Il Linificio e Canapificio Nazionale e l’industria canapiera di Frattamaggiore

Archeologia industriale a Frattamaggiore: l’industria canapiera

L’architettura industriale di Frattamaggiore, fin dall’Ottocento, segna lo sviluppo economico ed urbanistico della città definendo la rete di trasporti, la distribuzione delle residenze e destinazione d’uso del suolo.

Si delineava un rinnovamento tipologico dell’architettura industriale ed emergeva il dibattito sui temi dell’igiene, razionalizzazione della produzione, aggiornamento dei materiali da costruzione e sull’estetica degli edifici industriali1. Le architetture industriali d’inizio Novecento, a differenza di quelle del periodo preunitario, superavano il modello a sviluppo verticale multipiano e si affermava quello a sviluppo orizzontale con copertura a Shed2,  inoltre, l’utilizzo del cemento armato consentiva rapidità di costruzione e libertà compositiva dal punto di vista architettonico.

Tale modello si diffuse in tutta la penisola ed anche nei centri minori come quello di Frattamaggiore, comune prossimo a Napoli noto fin dalla sua fondazione, in epoca romana3, per la lavorazione della canapa. In origine, una prima e rudimentale lavorazione artigianale si svolgeva presso le proprie abitazioni, dove abili e specializzate operaie si dedicavano al ramo dell’arte tessile ed in ampi piazzali, si trasformava la canapa in funi.

Successivamente con l’industria della canapa, si giunse ad esportare i prodotti in tutta Europa e Sud America, dando dimostrazione dell’operosità e maestria che nei secoli avrebbe caratterizzato gli abitanti di Frattamaggiore4.

Lo Stabilimento di Frattamaggiore: Il Linificio e Canapificio Nazionale

Il Linificio e Canapificio Nazionale di Frattamaggiore: la storia

Nel 1906 un gruppo d’imprenditori frattesi costituiva la Società Canapificio Napoletano e nel 1909 lo stabilimento di Frattamaggiore era già in piena attività con oltre 5000 fusi.

Nel 1920 veniva acquisito dal Linificio e Canapificio Nazionale fondato nel 1873 dal Dott. Andrea Ponti che contava 21 stabilimenti ubicati principalmente al Nord e costituiva l’unico grande impianto del Mezzogiorno d’Italia5.

Il Linificio e Canapificio Nazionale di Frattamaggiore: l’architettura

Lo stabilimento frattese adotta anch’esso il modello architettonico a sviluppo orizzontale e la copertura a Shed per i locali di produzione mentre l’edificio adibito ad uffici è ubicato su un angolo della proprietà, prospiciente Piazza Crispino, disposto su tre lati, si eleva per due piani fuori terra e termina con una copertura a padiglione.

Superato l’ingresso, su Via Vittorio Emanuele III, a destra è tuttora ubicato il locale caldaia avente copertura a falda con integrato un lucernario centrale ed adiacente all’alta canna fumaria. Attiguo vi è il locale principale adibito alla lavorazione della canapa e l’edificio oblungo con copertura a padiglione ed in parte voltato, adibito ad alloggi per operai.

Il Linificio e Canapificio Nazionale di Frattamaggiore: i macchinari

Nell’azienda furono introdotti macchinari altamente tecnologici per l’epoca, come quelli della Ditta Ercole Marelli con motore Mac, azionati con energia di tipo termoelettrico e raggiungevano in media 1000 HP di forza motrice.

Il Linificio e Canapificio Nazionale di Frattamaggiore: gli anni d’oro

Successivamente, considerata la grande quantità di commesse, furono costruiti due grandi locali con struttura in cemento armato per soddisfare le richieste dei committenti ed altri locali a Nord del locale principale.

Per assicurare il servizio d’igiene e di sicurezza antincendio, fu eretto un serbatoio alto 22 metri, capace di 50 m3 d’acqua ed erano delocalizzati in altri opifici, i piccoli reparti di candeggio e cordette lucide, la cui produzione si aggirava attorno a 35 quintali fra umido e secco.

La forza elettrica impiegata era pari a HP. 600 mentre la riserva termica era pari a HP. 500 e la mano d’opera contava circa 450 operai6. I lavoratori erano considerati un’importante risorsa, così si adottavano le nuove leggi sociali sull’igiene ambientale, sull’assicurazione, nonché sulla sicurezza antincendio e sul raggiungimento del benessere termoigrometrico.

Inoltre, erano introdotti altri strumenti di assistenza quali asili d’infanzia, convitti ed alloggi. Varia era la gamma dei prodotti che comprendeva filati di lino, canapa, juta, olone, cordami, tele, tovaglie, tessuti damascati ed eterogenea era la clientela rappresentata da privati, Istituzioni Statali, compagnie di navigazione. Infine, lo stabilimento fu rilevato nel 1985 dal Gruppo Marzotto, acquisito alcuni anni fa dalla Società Mec Dab Group e concesso in fitto ad una trentina di aziende che oggi impiegano un cospicuo numero di lavoratori.

Il Linificio e Canapificio di Frattamaggiore: oggi

Il complesso industriale di Frattamaggiore, allo stato attuale, risulta in larga parte ristrutturato e sono stati conservati tutti gli elementi architettonici che caratterizzavano gli edifici industriali dell’epoca, come ad esempio le capriate lignee e metalliche, gli shed, i grandi capannoni in calcestruzzo armato ed il locale caldaia con l’alto fumaiolo. All’interno sono allocate diverse attività commerciali dedite alla ristorazione, al ramo tessile e cordami, al settore farmaceutico, alimentare ed oggettistica.

Autore

Arch. Vincenzo Scotti, Napoli

Relazione Fotografica

Relazione fotografica Linificio Canapificio Nazionale di Frattamagiore

Note

  1. ROBERTO PARISI, Fabbriche d’Italia. L’architettura industriale dall’unità alla fine del secolo breve, Milano, Franco Angeli, 2011.
  2. PASQUALE. DE MEO, MARIA LUISA SCALVINI, Destino della città. Strutture industriali e la rivoluzione urbana, Napoli, ESI, 1965.
  3. GIACINTO LIBERTINI, Persistenza di luoghi e toponimi nelle terre delle antiche città di Atella e Acerra, Frattamaggiore, Tip. Cirillo, 1999.
  4. PASQUALE PEZZULLO, L’economia di Frattamaggiore nel XX secolo, in «Raccolta Rassegna storica dei comuni», Vol. XIX, Frattamaggiore, Tip. Cirillo, 2005, p. 141.
  5. Linificio e Canapificio Nazionale 1873-1923, Milano, Alfieri e Lacroix, 1923.
  6. Linificio e Canapificio Nazionale 1873-1923 , Milano, Alfieri e Lacroix, 1923, p. 456.



Ex Vetreria Ricciardi: simbolo dell’era industriale a Vietri sul Mare in Costiera Amalfitana

La ex Vetreria Ricciardi di Vietri sul Mare in provincia di Salerno conserva tra le sue mura le tracce di un passato tutto da scoprire e raccontare.

 

ex Vetreria Ricciardi - Vietri sul Mare - ph Francesco Lupo - prospetto sud scorcio

Originariamente sorto come monastero, il complesso venne convertito nel ‘700 in opificio per poi essere trasformato nell’800 in una grande fabbrica. Oggi la ex Vetreria Ricciardi è uno di quei beni di archeologia industriale che attende di essere recuperato e rigenerato per tramandare alle generazioni presenti e future la sua storia.

 

La storia industriale di Vietri sul Mare

La Costiera Amalfitana, con i suoi paesini aggrappati alle montagne ed i panorami mozzafiato, è oggi una delle mete turistiche più affascinanti d’Italia, ma fino a qualche secolo fa era tra i poli industriali più importanti del Mezzogiorno.

Vietri sul Mare, città capofila della Costiera Amalfitana dalla secolare tradizione di ceramica artigianale (testimonianze già nel Medioevo e più accreditate dal 1472), vede nascere i primi opifici nel XVII secolo con lavorazioni protoindustriali di ceramica, smalti, vetro, metalli carta e tessuti. Sfruttando l’energia idraulica del fiume Bonea per alimentare macchinari tecnologicamente sempre più sofisticati, contando su una fitta rete di scambi commerciali in tutto il Mediterraneo e godendo dell’autonomia politica dalla città di Cava de’ Tirreni sancita da Giuseppe Bonaparte nel 1806, Vietri sul Mare si afferma nell’800 non solo come centro di produzione industriale ma anche come prolifico ambiente culturale, ospitando artisti ed intellettuali da tutta Europa attirati dal fascino del Grand Tour. Nel Novecento, a causa della crisi del ’29 e dell’alluvione del ’54, si assiste alla progressiva ma inesorabile chiusura dei settori industriali, soppiantati dal comparto turistico.

Attualmente la Costiera Amalfitana viene percepita, in un certo senso, come un gioiello cristallizzato in un’epoca ormai lontana e irriproducibile, un museo a cielo aperto da visitare quasi esclusivamente d’estate, un paesaggio suggestivo da fotografare e incorniciare, impegnarsi dunque a ridare valore alla storica produzione industriale locale si configura come una delle possibili strade per diversificare e destagionalizzare il flusso turistico attraverso la sperimentazione di nuovi contenuti.

Ex Vetreria Ricciardi: ricerca storica, studio dell’architettura e del contesto territoriale

Nel 1736 il notabile Lorenzo Cantilena lascia in eredità tutti i suoi averi per la costruzione di un Monastero di sole donne nella zona dell’Olivone, una forcella tra le attuali via XXV Luglio e via Costiera Amalfitana a Vietri sul Mare. Dopo il completamento l’edificio viene sottratto alle religiose a causa delle leggi Murattiane e utilizzato come lanificio.

Successivamente viene acquistato da Luigi Maglione che ne utilizza i locali per produrre bottiglie in vetro. Nel 1860 la Famiglia Taiani rileva l’intero stabilimento, avvia le prime opere di ampliamento realizzando un capannone sul lato orientale e dando inizio alla produzione di vetri e cristalli.

La società Modigliani-Ricciardi nel 1880 acquista la fabbrica, continua la produzione vetraia e provvede ad ampliare ulteriormente la struttura realizzando un nuovo corpo di fabbrica sul lato meridionale, ma agli inizi del ‘900 la società si scioglie e Cesare Ricciardi resta alla guida dell’azienda realizzando nuove opere di ampliamento sul lato sud. Infine i Solimene, importante famiglia di ceramisti vietresi, acquista nel 1956 la vetreria e termina le opere di ampliamento innalzando ancora di un piano il capannone industriale ed il corpo di fabbrica ottocentesco posto sul lato meridionale.

Attualmente l’Ex Vetreria Ricciardi versa in uno stato di evidente degrado e addirittura dissesto nella zona occidentale. I numerosi cambi di destinazione d’uso, gli stravolgimenti architettonici nei locali interni per accogliere le svariate attività produttive e l’abbandono durante gli ultimi decenni hanno compromesso profondamente l’aspetto delle facciate principali rendendo per altro quasi impossibile la lettura delle interessanti stratificazioni storiche dei vari corpi di fabbrica che fanno di questo edificio un eccezionale esempio di archeologia industriale.

 

Prima di ipotizzare qualsiasi intervento di restauro si è reso pertanto necessario lo studio della fabbrica attraverso i rilievi fotografici, architettonici, materici e del degrado che hanno evidenziato la complessità di un edificio evolutosi in tre secoli di storia, le varie tecniche costruttive che lo caratterizzano e lo stato di conservazione dei materiali.

Un progetto di restauro e conservazione dell’Ex Vetreria Ricciardi

Da una fabbrica di vetro e ceramica ad una fabbrica di idee e progetti per il futuro.

Così si può sintetizzare il progetto proposto dall’architetto Francesco Lupo, che sulla ex Vetreria Ricciardi ha compilato la sua tesi di laurea in restauro architettonico all’interno della facoltà di Architettura.

Gli obiettivi generali del progetto sono due, il primo è quello di liberare le architetture permettendo una chiara lettura delle stratificazioni storiche dell’edificio attraverso la demolizioni delle aggiunte contemporanee incompatibili con la struttura, il riproporzionamento delle facciate nord e sud, la ricostruzione di alcuni moduli con i criteri dei restauro critico, la separazione mediante tagli e lucernai dei vari corpi di fabbrica appartenenti ad epoche differenti.

Il secondo obiettivo, concorde con le previsioni UNESCO per la Costiera Amalfitana, con i vincoli del Piano Urbanistico Territoriale vigente, nonché con le disposizioni della Soprintendenza ai Beni Culturali, consiste nel recuperare la vocazione industriale del territorio, incentivando la diffusione della conoscenza dell’arte della fabbricazione della ceramica e della carta mediante l’assegnazione della funzione scolastica (istituto tecnico professionale) ai locali situati al piano del chiostro ed ai piani superiori dell’Ex Vetreria Ricciardi e mantenendo la funzione industriale di fabbrica per la ceramica nei due piani parzialmente interrati.
Far coesistere in un unico edificio la scuola ed il lavoro, mettendo in comunicazione queste due realtà attraverso pozzi di luce, tagli nei solai e sistemi di risalita. La Scuola è il luogo dove la cultura può essere conservata, aggiornata e fatta evolvere, il posto dove la storia e l’arte sono tramandate e dove quindi nascono e si sperimentano le nuove idee. La Fabbrica è il luogo dove la teoria diventa concretezza, dove gli errori diventano esperienza, dove la passione diventa lavoro.

Questo progetto vuole proporre un luogo dove la cultura e il lavoro possano incontrarsi, mescolarsi e generare un cambiamento virtuoso.

Sito archeologico industriale: ex Vetreria Ricciardi
Settore industriale: Produzione ceramica e vetro
Luogo: Vietri sul Mare, Salerno, Campania, Italia
Testo a cura di: architetto Francesco Lupo
Crediti fotografici: foto e studio del progetto a cura dell’architetto Francesco Lupo




Il Museo della Carta di Amalfi in Campania

Il Museo della Carta di Amalfi, piccolo gioiello di archeologia industriale, racconta di una tradizione antica in uno dei luoghi più suggestivi della nostra Italia.

Amalfi e la produzione della carta

Non si hanno documenti ufficiali che consentono di determinare gli anni esatti dei primi impianti, ma si può supporre che siano sorti intorno alla prima metà del XII sec. prendendo come riferimento epocale la data (1231) in cui Federico II con le norme “decretali” pubblicate a Melfi vietò ai curiali di Napoli, Sorrento e Amalfi l’uso della carta “bambagina” negli atti pubblicati ed impose la trascrizione degli stessi su pergamena.

Gli amalfitani avevano appreso dagli Arabi le tecniche per la produzione di carta che allora veniva chiamata carta bambagina, dal nome della città araba El Mambig e, anche, secondo altre tesi, dal cotone omonimo.
Poi la carta amalfitana fu usata anche per scritture private, per atti giudiziari e valori bollati in tutte le città dell’Italia Meridionale, presso le corti degli Angioini, degli Aragonesi, del Vicereame Spagnolo e della corte Borbonica. Furono molti gli stranieri che, attirati dalla qualità del prodotto, arrivavano a Napoli per stampare le loro opere sulla carta d’Amalfi.
Quante siano le cartiere sorte nella Valle dei Mulini non é possibile stabilirlo.

Il Museo della Carta di Amalfi

Per iniziativa di uno dei suoi figli migliori, il comm. Nicola Milano, illustre discendente di un’antica stirpe di cartari, Amalfi ha il suo “ Museo della Carta ”. Questo museo ha sede in un’antica cartiera risalente al XIV secolo, o, forse, alla metà del XIII.
La donazione per la Fondazione avvenuta nel 1969 e riconosciuta con decreto del Presidente della Repubblica del 22 novembre 1971 n. 1294 è frutto dell’acquisita consapevolezza del Magister in arte cartarum Nicola Milano dell’incombente pericolo non solo di un ulteriore degrado di questo insediamento, e anche di una definitiva perdita della sua identità, ma soprattutto perché fosse conservata per i posteri la “Storia” della carta a mano amalfitana.

Nella cartiera – museo sono ancora oggi fruibili gli attrezzi secolari usati nella produzione della carta a mano. Ben evidenti gli antichi magli in legno che, azionati da una ruota idraulica, battevano e trituravano gli stracci di lino, cotone e canapa precedentemente raccolti nelle possenti “Pile in Pietra”. L’impianto così ricavato si prelevava dalle pile con opportuni attingiti in legno e veniva immesso nel Tino, diluendolo con acqua. Il “Tino” consisteva in una vasca, rivestita interamente di maioliche, di un’altezza tale da consentire al lavorante in piedi la più comoda delle posizioni. Il lavorante immergeva nel tino un telaio il cui fondo era costituito da una rete metallica a maglie strette e raccoglieva una certa quantità di pasta, distribuendola nella forma. Scolata l’acqua, restava un sottile strato di pasta. Il “Foglio” veniva poi messo su un feltro di lana “Ponitore” e ricoperto di un altro feltro. Molti “Fogli” accatastati insieme con la stessa procedura, venivano poi sottoposti ad una pressa per l’eliminazione dell’acqua residua. Nella cartiera – museo ne esistono due, tuttora funzionanti, risalenti al 1700. Dopo la pressatura i fogli venivano tolti dal levatore e posti l’uno sull’altro creando la così detta “Posta”. Successivamente le “Poste” venivano trasportate nei locali “Spanditoi” per l’asciugatura ad aria. I fogli venivano poi collati con soluzione di gelatina animale e lisciati a mano, previa accurata selezione a seconda della qualità.

L’ambiente della cartiera, nelle sue stratificazioni presenta altri aspetti più “moderni”. Nel 1600, infatti la “pila a maglio” fu sostituita dalle “Olandesi”, nuove macchine capaci di produrre più celermente a costi inferiori. L’esemplare esistente nella cartiera, azionato idraulicamente, fu installato il 18 novembre 1745, come risulta dalla data graffita sull’intonaco di una parte. Questa lavorazione a “mano – macchina” utilizzava, al posto del telaio, un cilindro ricoperto di tela metallica per metà immerso nella pasta di cui sollevava uno strato aderente alla superficie. Lo strato si staccava automaticamente e passava attraverso due rulli feltrati per l’eliminazione dell’acqua. Questa macchina era detta “in tondo” o “a tamburo”. La carta così prodotta a fogli veniva poi messa ad asciugare negli “Spanditoi”.

Il “Museo della carta” si avvale anche di una sala operativa, realizzata in un moderno ambiente sovrapposto, dove vi è una mostra antichi utensili per la fabbricazione e allestimento della carta a mano. A memoria delle numerose cartiere una volta in funzione disseminate lungo il fiume “Canneto”, ora ruderi, e per il godimento dei visitatori. Grande importanza e valore bibliografico assume la dotazione libraria di fonti e testi sulle origini della Carta di Amalfi in lettura presso la biblioteca del museo, in parte donata dal Magister in arte cartarum Nicola Milano fu Filippo.

Informazioni:
Museo della Carta
via Delle Cartiere, 24 – Amalfi
Tel.+ 39 089 83 04 561
www.museodellacarta.it info@museodellacarta.it

Sito archeologico industriale:Museo della Carta di Amalfi
Settore industriale: Industria Cartaria
Luogo: Amalfi, Salerno, Campania, Italia
Testo a cura di: Direttore del Museo della carta di Amalfi