Ai Cantieri Culturali alla Zisa di Palermo inaugura Haus der Kunst – La Casa dell’Arte

All’interno di uno dei capannoni industriali dei Cantieri Culturali alla Zisa di Palermo, il Verein e.V. Düsseldorf Palermo apre la sua nuova sede siciliana.

 

Il 15 ottobre alle ore 12:00 inaugura infatti “Haus der Kunst“ (Casa dell’Arte) uno spazio che ospiterà le attività del Verein e.V che da tre anni conduce progetti e scambio culturali e artistici tra le città di Palermo e Düsseldorf, e tra le due rispettive regioni, Sicilia e Renania Settentrionale-Vestfalia. In questi giorni è in fase di restauro uno dei capannoni della ex fabbrica storica dei Ducrot, un luogo plasmabile al servizio dell’arte.

Ma uno spazio artistico non è tale se non si apre con una mostra: ed ecco quindi nascere – sempre sabato 15 ottobre – la collettiva “Haus der Kunst #1” che raccoglie le opere di diversi artisti che lavorano tra la Sicilia e la Renania Settentrionale-Vestfalia; generazioni diverse, spesso a confronto, ma anche notorietà, medium (pittura, scultura, fotografia, istallazioni) e tematiche artistiche sviscerate.

Da nomi noti in ambito internazionale – come Felix Droehse, Jan Kolata, Valerie Krause, Fulvio Di Piazza, Sergio Zavattieri – fino agli studenti delle Accademie di Düsseldorf e di Palermo. L’idea è proprio quella di “invadere lo spazio con l’arte”, simbolicamente e fisicamente, pur mantenendone le “tracce”, le orme indelebili del suo passato remoto, del suo essere luogo di lavoro, attivo fino al secondo dopoguerra.

Con “Haus der Kunst #1” il Verein e.V. vuole quindi riconsegnare simbolicamente lo spazio all’arte e alla cultura, costruendone una nuova identità in cui si intrecciano due realtà apparentemente distanti, Palermo e Düsseldorf, ma che negli ultimi anni hanno dimostrato la volontà di conoscersi e di innescarsi a vicenda.

Archeologiaindustriale.net incontra Alessandro Pinto, vicepresidente del Verein  Düsseldorf Palermo e.V. e Responsabile dello spazio  Haus der Kunst

 

Alessandro Pinto così ci racconta il progetto culturale:

“Haus der Kunst (casa dell’arte, il nome che è stato dato allo spazio) è il risultato di anni di attività del Verein Düsseldorf Palermo e. V. e dello scambio artistico e culturale che il Verein ha condotto. Il Comune di Düsseldorf e quello di Palermo hanno siglato un patto di gemellaggio a marzo di quest’anno e in virtù di questo hanno assegnato al Verein uno spazio per i progetti che hanno luogo in Sicilia.  Si tratta di una concessione temporanea della durata di sei anni e si spera già da ora che venga rinnovata, ovviamente se riusciremo a guadagnarci la nostra presenza in uno spazio così bello, e secondo l’accordo col Comune di Palermo garantendo dei progetti inerenti allo scambio artistico e culturale e garantendo la manutenzione e il restauro del padiglione.”

Chiediamo: cosa significa lavorare all’interno di uno spazio di archeologia industriale?

Insediarsi in un luogo industriale per noi che promoviamo arte significa quasi un ritornare al fare, al produrre. Per certi versi è un onore rileggere la storia dello spazio che il Comune di Palermo ci ha assegnato, abbiamo la possibilità di riattivare un luogo che per anni è rimasto chiuso e quasi isolato dal mondo. Esporre arte organizzando progetti legati all’arte e alla cultura è un modo per approcciarsi alla storia di questi luoghi. Ed è per questo che abbiamo deciso di iniziare con il primo progetto lasciando lo spazio esattamente come l’abbiamo trovato, intervenendo solo nella messa in sicurezza e cercando di rispettare il più possibile le tracce del suo passato.”

E ancora: quali sono i vantaggi e gli svantaggi di lavorare all’interno di un ex spazio industriale?

“Ovviamente il vantaggio di lavorare in un luogo dell’archeologia industriale come questo è poter fare tutto. Cercare di trasferire l’idea del produrre manualmente anche nella fase allestitiva dello spazio. Abbiamo installato delle opere intervenendo fisicamente nello spazio e cercando di sfruttare anche elementi, per così dire, non convenzionali per uno spazio espositivo, per esempio le nicchie e binari presenti nel capannone. Lo svantaggio sta nel competere con lo spazio, spesso questi spazi ex industriali sono già delle esposizioni, delle mostre, visitarli suscita interesse e andare ad allestire una mostra significa dover competere con le pareti, con il tetto, con la pavimentazione, ovvero con il risultato visivo della loro storia.”

 

Informazioni:

Nel giorno dell’inaugurazione, “Haus der Kunst” rimarrà aperto da mezzogiorno a mezzanotte e, oltre alla mostra, vedrà susseguirsi performance musicali di artisti siciliani e tedeschi.

Artisti in mostra: Felix Droese, Petra Fröhning, Jan Kolata, Birgit Jensen, Valerie Krause, Nina Brauhauser, Driss Ouadahi, Udo Dziersk, Stefanie Pürschler, Wanda Koller, Frank Hinrichs, Mira Sasse, Jan Holthoff, Giuseppe Agnello, Fulvio Di Piazza, Sergio Zavattieri, Riccardo Brugnone, Andrea Buglisi, Giuseppe Adamo, Andrea Stepkova, Daniele Notaro, Erika Giacalone, Dimitri Agnello, Valeria Prestigiacomo, Grazia Inserillo, Roberta Mazzola, Azzurra Messina, Giampiero Chirco.




Archeologia industriale. Palermo – Libro edito da Kalós

Archeologia industriale. Palermo a cura di Daniela Pirrone e Maria Antonietta Spadaro è l’ultimo volume edito da Edizioni d’arte Kalós inserito nella collana Itinerari d’arte.

Archeologia industriale. Palermo è una ricognizione storico-fotografica sulle testimonianze di archeologia industriale presenti sul territorio palermitano.

Oltre ai saggi iniziali che ripercorrono la storia imprenditoriale della città, il testo comprende schede approfondite e sintetiche circa le fabbriche individuate e raggruppate in tre sezioni.

La prima sezione è relativa alle strutture industriali abbandonate come ad esempio la Chimica Arenella, vasto complesso attualmente in stato di abbandono che, in considerazione della splendida posizione si presterebbe a un riuso di notevole pregio per la città.

La seconda parte del volume è attinente alle strutture ancora attive nelle sedi storiche come la ditta Fratelli Contorno, l’unica tra le più antiche industrie conserviere a essere ancora in attività presso il sito originario.

La terza sezione del volume riguarda i siti recuperati e impiegati per le nuove attività un esempio ne sono gli stabilimenti delle industrie San Lorenzo olii-conserve, acquisiti di recente dal gruppo Vita s.r.l. che ne ha avviato un progressivo recupero volto ad ospitare attività commerciali. Altri esempi sono poi Palazzo Petyx, sede dell’opificio Dagnino, che oggi ospita gli uffici della Banca Popolare Sant’Angelo. Anche Banca Nuova.

Si tratta spesso di strutture dalle dimensioni notevoli, che occupano aree rilevanti il cui recupero impone riflessioni che vanno recepite dagli strumenti di pianificazione territoriale, prevedendo pratiche di intervento studiate caso per caso,che comportino inoltre una valorizzazione complessiva del territorio, come mostrano tanti esempi italiano e internazionali.

Un ricco e rappresentativo apparato iconografico completa le schede di questa singolare rassegna su una nuova e suggestiva forma d’arte.

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Il volume Archeologia industriale. Palermo è disponibile presso le librerie al prezzo di copertina di 20,00€ e sul sito di Edizioni d’arte Kalós a 17,00€ con uno sconto del 15%.

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Street Art Silos: il Porto di Catania cambia veste

È stata appena inaugurata la prima fase del progetto Street Art Silos, un’operazione culturale che ha rigenerato lo skyline del Porto di Catania.

8 Artisti internazionali sono stati chiamati per reinterpretare i miti e le leggende di Catania e della Sicilia su un supporto eccezionale, non solo per la grandezza, ma soprattutto per la sua particolarità: stiamo parlando dei silos che si elevano all’interno del porto del capoluogo etneo, silos che, di proprietà della società Silos Granari della Sicilia, non hanno perso però la loro funzione.

Street Art Silos nasce dall’incontro tra Orazio Licandro (Assessore ai Saperi e Bellezza condivisa del Comune di Catania) e Giuseppe Stagnitta (curatore di Emergence Festival) e trova riscontro in volontà politica capace di reinterpretare il proprio patrimonio culturale attraverso le forme espressive della contemporaneità.

Il progetto è realizzato da Emergence Festival con il contributo dell’Autorità Portuale di Catania ed è tra gli appuntamenti del Festival I-ART, il grande contenitore di eventi pluridisciplinari inserito nell’omonimo progetto comunitario, ideato e diretto da I World con il Comune di Catania, ente capofila.

Per unici giorni gli artisti sono stati totalmente impegnati nella realizzazione delle loro reinterpretazioni dei miti: OKUDA (Spagna) con l’opera dal titolo “La bella di Bellini” rende omaggio al più grande compositore catanese Vincenzo Bellini; “Oraculo” di ROSH333 (Spagna) rappresenta l’esplosiva energia che dalla fucina di Vulcano si scaglia nel cielo; MICROBO (Italia) realizza “Il moto perpetuo di Scilla e Cariddi” rappresentato in un intreccio infinito di vortici e correnti; BO130 (Italia) invita alla tolleranza verso le popolazioni più disagiate raffigurando il mito di Colapesce attraverso l’opera dal titolo “La storia non scritta di Colapesce”; VLADY ART (Italia) con l’opera “Barattoli” asseconda le forme curve del silo inscatolando sirene e minotauri; DANILO BUCCHI (Italia) con “Minotauro” rappresenta l’omonimo mito; e infine il duo INTERESNI KAZKI (Ucraina) realizza “Triskelion e La fuga di Ulisse da Polifemo”.

A settembre l’artista portoghese VHILS completerà il progetto realizzando gli otto silos che si rivolgono al Mare.

Street Art per la rigenerazione dei luoghi

L’affidarsi alla street art come mezzo per la rigenerazione di aree industriali o di aree urbane esteticamente poco appetibili, alle quali spesso si associa anche un disagio sociale, non è una novità oltre confine, ma non lo è neanche in Italia.

La città di Roma, per esempio, dal 2010, ospita OUTDOOR Urban Art Festival che “ridefinisce le geometrie urbane e ne comunica il cambiamento”. La scorsa edizione del festival è stata ospitata all’interno dello splendido spazio industriale della ex Dogana di Roma nel quartiere San Lorenzo: un processo di rigenerazione artistica che ha coinvolto artisti nazionali ed internazionali nella creazione di opere site specific.

Street Art e Silos: un connubio fecondo

Anche l’elemento industriale del silo non è nuovo dall’essere trattato come “tela” sulla quale raffigurare maestose opere d’arte metropolitane, quasi sempre commissionate all’interno di progetti culturali più ampi tesi alla riqualificazione dei luoghi e della storia locale nei quali si inseriscono, trasformandosi da ingombranti simboli del lavoro a testimonianza di cambiamento e positività.

Alcuni esempi significativi sono: la mastodontica opera dei gemelli brasiliani, Gustavo e Otávio Pandolfo, meglio noti come Os Gemeos, che, in occasione della Vancouver Biennale, hanno completamente trasformato i silos in enormi giganti dai colori sgargianti; l’opera temporanea Silo Art sulla I-80 a Omaha in Nebraska, parte del progetto Emerging Terrain, i 26 silos sono stati scelti come supporto sul quale rappresentare i temi del cibo, dell’agricoltura e del trasporto, trasformando questa scomoda cortina muraria, che idealmente segna il confine tra il centro città e l’espansione suburbana ad ovest, lungo una strada trafficata da oltre 76.000 pendolari, in un input per una più grande riconversione ambientale; l’opera “Spirit Farmer” realizzata sul silo della Birdsong Peanut Company a Colquitt, in Georgia, parte del Millennium Mural Project iniziato nel 1999 quando il Colquitt/ Miller Arts Council ricevette un finanziamento dalla National Endowment for the Arts (NEA) decidendo di destinarlo alla forma d’arte del murales per la sua grande forza d’impatto sul turismo durante tutto il corso dell’anno; così come i due silos del porto di Ancona che, durante l’edizione 2008 del Pop Up! Festival, sono stati rivitalizzati dall’opera “Bottles” degli streeters Ericailcane e Blu, modificando radicalmente la percezione grigia del luogo; e, per concludere la carrellata, un esempio con fini meno “aulici”, ma assolutamente degno di nota per la sua originalità, si tratta del progetto della Rocktown Climbing Gym ad Oklahoma City, una vera e propria palestra per l’arrampicata realizzata in un gruppo di silos, Rocktown è stata nominata tra le “10 Coolest Climbing Gyms” nel mondo, le sue pareti esterne sono state reinterpretate dall’artista folck americano Rick Sinnett e la realizzazione è stata finanziata grazie a Kickstarter, la più nota piattaforma di crowdfunding.

Col progetto Street Art Silos la città di Catania, non nuova al recupero di siti di archeologia industriale (basti ricordare la riqualificazione dell’area delle Ciminiere di Viale Africa o la Fondazione Brodbeck, che trova sede all’interno di un ex opificio di fine ‘800) si inserisce a pieno titolo nel dialogo supercontemporaneo tra street art e patrimonio industriale.

di Simona Politini
Founder & Project Manager Archeologiaindustriale.net




L’ex Stabilimento Florio delle tonnare di Favignana e Formica in Sicilia

L’ex Stabilimento Florio delle tonnare di Favignana e Formica, recuperato in maniera mirabile, è uno degli esempi di archeologia industriale più prestigiosi della Sicilia, regione con un’economia storicamente legata ai prodotti della terra e del mare.

 

L’ex Stabilimento Florio di Favignana e la sua storia

La genesi dell’ l’ex Stabilimento Florio di Favignana , il più importante e moderno stabilimento industria¬le del Mediterraneo per la lavorazione del tonno, costruito nella seconda metà dell’800 per iniziativa del senatore Ignazio Florio (1838-91), è comprensibile pienamente se si focalizzano alcuni aspetti che non attengono solo al complesso di attività poste in essere dalla più prestigiosa dinastia di borghesi imprenditori siciliani nei settori commerciale, industriale e finanziario, lungo tutto il secolo XIX.
Basti ampliare il campo di osservazione e di indagine, infatti, per rendersi conto di quanto siano antiche e profonde le radici dello Stabilimento e di quanto sia stato rischioso assumere la decisione di costruirlo. L’andamento della produttività delle tonnare delle Egadi, la creazione di un insediamento abitativo a Favignana sin dal XVII secolo, la progressiva formazione, generazione dopo gene¬razione, di una cospicua forza lavoro “specializzata” (raisi, sottopadroni, faratici, muxiari, semplici tonnaroti), in grado di assicurare lo svolgimento del ciclo produttivo, dalla cattura dei grandi cetacei alla lavorazione del pescato, la forte concorrenza interna e internazionale per il controllo dei principali siti di pesca del Mediterraneo, rappresentano solo alcuni dei temi da conside¬rare nella ricostruzione delle origini e della storia del grandioso complesso industriale.

L’acquisto delle isole (tonnare incluse), nel 1874, dai proprietari genovesi Pallavicini, al prezzo convenuto in contratto di 2.750.000 lire, non fu indotto da megalomania, né dettato da esigenze di status simbol del senatore, bensì rappresentò un traguardo nella strategia familiare ottocentesca. La gestione in gabella di diversi impianti di pesca siciliani – Vergine Maria, Arenella, Isola delle Femmine, Marzamemi, Favignana e Formica – era stata sperimentata ripetutamente in passato, con alterne fortune, sia dal padre che dallo zio di Ignazio Florio. Tuttavia, rispetto all’esperimento di semplice conduzione in affitto delle tonnare delle Egadi compiuto dal padre, don Vincenzo, nel periodo 1841-59, è innegabile che il salto di qualità del 1874 sia stato rilevante sotto ogni profilo.

Il primo nucleo dello Stabilimento – il cosiddetto edificio “Torino” – era stato costruito sul versante opposto a quello sul quale sorgevano gli antichi edifici (marfaraggio), per iniziativa del gabelloto genovese Giulio Drago che, dal 1860, aveva preso in esercizio gli impianti, dopo la rinuncia di Vincenzo Florio. Era già nelle intenzioni del Drago trasferire le attività più propriamente industriali in un’area lontana dal centro abitato, in nuovi locali per il confezionamento del tonno in barili sotto sale e in scatole di latta sott’olio.
Solo dopo l’arrivo di Ignazio Florio, nuovo proprietario delle Egadi, a quel corpo di fabbrica si aggiunsero, tra il 1881 e il 1889, i grandiosi magazzini, le sale di confezionamento del pescato e le strutture di servizio per tutti gli addetti, oltre ad una vasta area aperta – denominata camposanto – destinata all’essiccazione delle teste dei tonni, per ricavarne olio per uso industriale.
Fino alla metà degli anni settanta dell’800, il senatore si era avvalso dell’architetto Giuseppe Damiani Almeyda per committenze di lavori da svolgere a Palermo e per la progettazione del palazzo di villeggiatura a Favignana.

Dall’inizio del successivo decennio, invece, il nuovo artefice delle opere da realizzare nelle isole, per conto di Casa Florio divenne l’ingegnere Filippo La Porta, il quale aveva già diretto i lavori dell’edificio padronale favignanese, in assenza del Damiani Almeyda. Quattro grandi tavole di progetto acquerellate, firmate dal La Porta, furono esibite nel 1891 all’Esposizione Nazionale di Palermo, per illustrare non soltanto le dimensioni, la struttura e la funzionalità degli ambienti, ma anche la correlazione tra tipologia architettonica e nuovo modello industriale.

Ignazio Florio affidò la gestione dello Stabilimento a Gaetano Caruso, il più valido dei suoi amministratori: «…egli è il direttore, l’organizzatore, il creatore dello stabilimento, […] non è un semplice amministratore, che si limita ad impiegare le cure di un buon padre di famiglia pel regolare andamento della cosa amministrata […] e sospinto da una passione ardente per lo sviluppo di una industria, che può dirsi sua creazione, egli ne studia con amore indefesso l’organismo, così nei suoi più minuti dettagli come nel suo complesso, ne perfeziona i congegni, ne invigila con instancabile alacrità tutti i movimenti, moltiplicandosi, presenziando tutto, perché rinvigorito dalla potenza della sua ferrea volontà» (da La Settimana commerciale e industriale, 15 maggio 1892).

In questa nuova e moderna realtà produttiva, di molto somigliante alle cittadelle operaie continentali, si riuscì a organizzare un ciclo lavorativo che coinvolgeva alcune centinaia di addetti: «Buttati i pesci dalla barca nell’acqua della spiaggia, vengono immediatamente uncinati in un occhio, legati con corda alla coda, tirati nello sbarcatoio e disposti in tre ordini simettrici. Appena formata la prima fila, sei operai con un’accetta fanno in un attimo quattro tagli: uno per tagliare la testa, la quale vien subito portata via, due trasversali ed uno longitudinale per estrarre le interiora, le quali da un altro operaio, che accorre istantaneamente con un mastello, vengono portate in apposito locale. Appena sventrato il pesce, vien posto sulle robuste spalle di un uomo, il quale lo trasporta in magazzini dal tetto basso da cui pendono innumerevoli corde, alle quali i tonni vengono appiccati per la coda, perché ne possa colare il sangue per parecchie ore. […] Una serie di magazzini è destinata al riempimento delle scatole ed alla conservazione dei prodotti. L’intero stabilimento è illuminato a gas, la cui forza motrice viene utilizzata per estrarre l’acqua da un pozzo e per altri usi» (da La Settimana ecc. cit.). Il tonno tagliato a pezzi veniva cotto in 24 grandi caldaie e, successivamente, posto ad asciugare in ceste di ferro collocate in maga¬zzini ben ventilati. In un altro ampio locale si effettuava la lavorazione delle latte, mediante utilizzo di macchine e saldatrici. Alla citata Esposizione del 1891-92, Casa Florio, nel proprio padiglione dedicato alla pesca del tonno, presentò tarantello e ventresca nelle innovative scatolette di latta con apertura a chiave.

Con la costruzione dello Stabilimento, il rinnovato impulso dato alla pesca e alla commercializzazione del pregiato prodotto, sui principali mercati nazionali e stranieri, fu ampiamente ripagato dal successo, in termini di immagine e di profitto. E anche quando, nei primi decenni del ‘900, le sorti di quello che era stato il più importante gruppo industriale e finanziario siciliano apparivano segnate, lo Stabilimento Florio, pienamente attivo e produttivo, sopravvisse al fallimento della dinastia imprenditoriale, passando, a fine anni trenta, prima nel novero delle aziende di proprietà dell’I.R.I, poi nelle mani degli industriali genovesi Parodi e da questi, infine, alla Regione Siciliana.

 

Il restauro dell’ex Stabilimento Florio di Favignana

Il restauro dell’ex Stabilimento Florio di Favignana, progettato dall’arch. Stefano Biondo, è stato realizzato grazie ai fondi europei del POR 2000-2006; i lavori, avviati dallo stesso arch. Stefano Biondo e poi diretti e completati dall’arch. Paola Misuraca, hanno rappresentato uno dei più significativi impegni, sia dal punto di vista finanziario che professionale, affrontato dai tecnici della Soprintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali di Trapani. Un lungo cammino interdisciplinare, durante il quale architetti, impiantisti, storici, con il supporto di antropologi, amministrativi, grafici, fotografi e studiosi si sono confrontati ed unitamente hanno ricercato e progettato, per restituire alle Egadi, alla Sicilia e non solo, una delle più grandi tonnare del Mediterraneo: circa 32.000 mq la superficie complessiva, di cui oltre tre quarti di superfici coperte; una serie di corti attorno alle quali si articolano e distribuiscono spazi e ambienti diversi per dimensioni e destinazioni d’uso: uffici, magazzini, falegnameria, officine, spogliatoio per gli uomini e spogliatoio per le donne, magazzino militare, stiva, galleria delle macchine, trizzana e malfaraggio (per il ricovero delle barche), locali a servizio della lunga batteria di forni per la cottura del tonno e, svettanti su tutto, tre alte ciminiere. Superficie oggetto d’intervento mq 19.848, superfici di coperture ripristinate 9.000 mq; 27.500 mq di superfici parietali restaurate; circa 16.759 mq di pavimentazioni; 350 mc di legname impiegati per capriate ed orditure, 53.000 ml di cavi elettrici, ecc.

 

Gli spazi museali dell’ l’ex Stabilimento Florio di Favignana

Ex magazzini confezionamento, Antiquarium. Collezione di archeologia delle Egadi
La collezione archeologica esposta comprende principalmente anfore di varia epoca (greco-romana e punica) provenienti dal mare delle Egadi. Sono presenti anche ceppi di ancore greco-romane e puniche in piombo tra cui ne ricordiamo uno, del tipo mobile (cioè smontabile) che reca su un braccio in rilievo l’iscrizione in greco EUPLOIA che significa “Buona navigazione” e che simbolicamente proteggeva l’imbarcazione da possibili disastri. Tra i reperti particolari segnaliamo anche una fiasca in peltro del XIV secolo rinvenuta nelle acque del Bue Marino a Favignana che conteneva ancora il vino originale. Tra i reperti più interessanti spicca un esemplare rarissimo di rostro bronzeo recuperato nelle acquea a Nord-Ovest di Levanzo. Si tratta dell’arma letale che gli antichi usavano per colpire le navi nemiche e che ebbe un ruolo determinante nella vittoria romana il 10 marzo del 241 a.C. quando nel mare di Levanzo cessò la prima guerra punica con i Romani vittoriosi sulla flotta cartaginese.

Ex stiva, “Torino”, video-installazione
La video-installazione “Torino”, a cura di Renato Alongi, nasce da un progetto di raccolta di testimonianze orali presentate in forma visiva, condotto tra un gruppo di anziani operai dello stabilimento Florio di Favignana. L’installazione abitata da 18 autori-protagonisti e altrettante pratiche narrative (conversazioni, discorsi, rappresentazioni) è un’opera tesa a costruire uno spazio entro cui è possibile esplorare dei mondi d’esperienza narrati su celluloide digitale. Microcosmi di pochi secondi che hanno lo spessore semantico di precise memorie. Intensi primi piani, visi tesi, mezzi sorrisi, sguardi.

Ex magazzino della trizzana_ex spogliatoio donne
Mostra permanente di fotografie d’autore della collezione dell’ex Stabilimento Florio delle tonnare di Favignana e Formica. Fotografie di René Burri, Leonard Freed, Herbert List, Sebastião Salgado, Ferdinando Scianna
Negli ex magazzini della trizzana è allestita la prima sezione della mostra permanente, dedicata a Herbert List. La collezione comprende l’intero reportage fotografico, composto da 35 stampe fotografiche moderne in bianco nero, realizzato da Herbert List, a Favignana nel 1951, durante la campagna di pesca della mattanza e della lavorazione dei tonni.
Nell’ex spogliatoio delle donne è allestita la seconda sezione della mostra permanente, comprendente le opere fotografiche in bianco nero di Sebastião Salgado, della serie Workers, realizzate a Favignana agli inizi anni novanta, di René Burri che ritraggono la tonnara negli anni Cinquanta, le opere degli anni Settanta di Leonard Freed e quelle a colori degli anni Ottanta di Ferdinando Scianna.

Ex magazzini del carbone, “The death room”, video-installazione
All’interno degli ex magazzini del carbone si sviluppa la video installazione “The death room”, una sequenza di schermi di grande formato in tulle a maglia larga, che prende spunto, come citazione, dallo schema della camera della morte. Su questi schermi vengono proiettate in loop immagini subacquee di branchi di tonni in attesa del loro destino che si ripete nei secoli e di cui adesso ne resta solo la memoria. Di riverbo, dalla superficie, arrivano in lontananza i canti ritmici, le cialome, le nenie dei tonnaroti già pronti ad alzare le reti.

Ex Magazzini del sale. La pesca del tonno 1924-31
Un documentario inedito girato tra il 1924 e il 1931 dall’allora Istituto Nazionale Luce, capace di aver messo a fuoco cultura materiale (cicli produttivi) e immateriale della pesca del tonno (pratiche incorporate e saperi pratici). Documento poetico dell’era del muto e sonorità contemporanee di Gianni Gebbia, provocano insieme un estraniamento che gioca per dissonanza.

 

L’ex Stabilimento Florio di Favignana – fulcro del turismo delle isole Egadi

L’ex Stabilimento Florio di Favignana, oggi è il fulcro di un’offerta culturale che ha per temi i tanti aspetti della storia e dell’archeologia mediterranea riassunti nei meravigliosi contesti delle isole Egadi. Dalle originali ed esemplari incisioni rupestri paleolitiche della Grotta di Cala del Genovese che ci offrono i fotogrammi di un passato estinto quando le Egadi isole non erano e vaste praterie verdi occupavano l’azzurro intenso del mare odierno tra esse e Trapani dove cervi e cavalli selvaggi scorazzavano ed erano prede dei primi abitanti cavernicoli, si passa alle prime esperienze di osservazione del mare e dei suoi grandi pelagici, tra cui il tonno, dipinti nella stessa grotta alla fine del neolitico. Si giunge, infine, alla storia con gli impianti punico-romani per la lavorazione della salsa di pesce – il garum – di cui gli antichi, soprattutto in epoca romana, andavano particolarmente ghiotti. Ipogei punici e paleocristiani ricchi di vestigia di antichi culti sforacchiano le superfici rocciose di Favignana dove ancora riecheggiano da tempo immemorabile le nenie cantilenanti che annunciano il rito annuale della mattanza.

Nello Stabilimento non echeggiano più le voci dei lavoranti o dei tonnaroti in arrivo dopo le mattanze. Non si sentono più i calderoni ribollire di tonno ed i generatori elettrici ritmare le fasi della fervida vita industriale in un contesto di vivace e spiccata mediterraneità. Oggi lo Stabilimento Florio è un museo di se stesso, che tenta di far conoscere l’epopea di un passato glorioso attraverso immagini, suoni, filmati ed innovative istallazioni multimediali.

Per maggiori informazioni consultare:

Ex Stabilimento Florio della tonnara di Favignana Facebook Fan Page

Ex Stabilimento Florio della tonnara di Favignana e Formica su Issuu.com

ed inoltre

exstabilimentoflorio canale YouTube

Ex Stabilimento Florio tonnara di Favignana su Flickr

Ex Stabilimento Florio su Tripadvisor

 

Sito archeologico industriale:Ex Stabilimento Florio delle tonnare di Favignana e Formica
Settore industriale: Industria ittica – Pesca e lavorazione del tonno
Luogo: Favignana Isole Egadi Trapani Sicilia
Proprietà e Gestione: Proprietà: Regione Siciliana Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana Ente gestore: Soprintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali di Trapani
Testo a cura di: Soprintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali di Trapani
Crediti Fotografici: foto archivio Soprintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali di Trapani – credit:
Renato Alongi, Filippo Mannino, Vitalba Liotti, Paolo Balistreri, Gian-Luigi-Suman, Erika Chaubert Studer




La miniera Floristella in Sicilia

La miniera Floristella è sicuramente tra le miniere di zolfo più importanti della Sicilia, che tra il 1800 ed il 1900 raggiunse il primato mondiale in questo settore industriale.

Il 10 novembre 1781 il feudo di Floristella, situato nei pressi di Valguarnera (Enna), a seguito dell’espulsione della Compagnia di Gesù titolare del fondo, viene acquistato da un certo don Camillo Caruso per conto e col denaro del barone Salvatore Pennisi.

L’11 aprile 1825, sebbene l’attività estrattiva fosse già avviata da tempo, la Direzione Generale de’ Rami e Diritti Diversi accorda al barone D. Venerando Salvatore Pennisi il permesso di apertura di una zolfara nell’ex feudo Floristella, previo deposito di 10 onze al Regio Erario, come in uso in quel periodo.

La miniera Floristella rimane nella titolarità della famiglia Pennisi sino a quando ne viene revocata la concessione con Decreto presidenziale del 12 luglio 1967, passando poi all’Ente minerario siciliano, presieduto da Don Graziano Verzotto.

L’attività estrattiva prosegue ancora per circa una ventina d’anni sino a che, l’1 dicembre 1986, viene redatto il piano di chiusura delle vie d’accesso al sotterraneo della miniera.
La legge della Regione Siciliana 15 maggio 1991 n° 17 (art. 6) istituisce l’Ente Parco Minerario Floristella – Grottacalda con lo scopo di tutelare uno dei siti di archeologia industriali più importanti del meridione e recuperare il palazzo Pennisi sito nell’aria mineraria di Floristella.

La miniera Floristella: Il sito archeologico industriale

La miniera Floristella occupa una superficie superiore ai 425 ettari.
In cima alla collina, che domina la vallata disegnata dal rio Floristella, si erge il Palazzo Pennisi.
Il palazzo si sviluppa in altezza su due piani  separati in parte da un piano mezzano, un solaio e, al di sotto del livello della strada, un grandissimo scantinato; in lunghezza si compone di tre corpi con quello centrale sensibilmente rientrato nella facciata esposta a Sud-Est di modo da costituire un cortile d’invito all’accesso. Sui quattro prospetti, pietra bianca riveste le lesene che scandiscono verticalmente il palazzo e tutte le aperture comprese le feritoie, indispensabili in caso di rivolta.
Il piano terra ospitava gli uffici amministrativi e, nell’ala Sud-Ovest, la cappella ottagonale sormontata da cupola.
I piani superiori costituivano la residenza della famiglia Pennisi che si recava lì nel periodo pasquale nonché gli alloggi dei direttori che via via si avvicendavano.
Il palazzo fu edificato in due fasi: si ritiene di poter datare la realizzazione del piano terra intorno al 1860, essendo stato ospitato al suo interno l’ing. Piemontese Sebastiano Mottura, mandato in Sicilia nel 1862 dal Ministero per L’Agricoltura Industria e Commercio per presiedere alla nuova scuola mineraria di Caltanissetta; il piano sopraelevato fu invece realizzato tra il 1880 ed il 1885. Dirigendosi giù per la valle ci si imbatte in tutte le più tipiche edificazioni delle miniere zolfifere.

Tre gli imponenti pozzi nella miniera Floristella per l’estrazione del minerale.

Il pozzo n. 1, nella Sezione Sant’Agostino, edificato direttamente in pietra intorno al 1919. Il pozzo n. 2, provvisoriamente edificato in legno, passerà ad una struttura in muratura nel 1945, per poi essere sostituito da un castelletto in ferro nel 1965.
Il pozzo n. 3, a pochi passi dal palazzo in direzione Sud-Ovest, costruito interamente in ferro tra il 1970 ed il 1971, dal quale transitavano sia carrelli carichi di materiale che persone; numeri diversi di tocchi di campana avvertivano cosa stesse percorrendo il pozzo.

Ma è nella parte più antica della miniera, in quel susseguirsi di sezioni denominate Calì, Pecoraro, San Giuseppe ed altre ancora, che è possibile ammirare le primissime discenderie composte da un’apertura principale per il passaggio degli operai e da una secondaria ed un pozzo verticale per il reflusso dell’aria. Tali discenderie sono tutte esposte verso Sud Sud-Est per sfruttare il più possibile la luce solare, che flebile faceva da guida alla risalita dei carusi, spesso sprovvisti di lampada.

Sistemi per la fusione dello zolfo: calcarelle, calcaroni, forni Gill sono sparsi per tutta la vallata, a volte singolarmente, a volte in batteria. Nella Statistica mineraria del 1956 risultano attivi 17 apparecchi Gill gemelli e 19 calcaroni.

Ed ancora altri edifici : capannoni, piccole costruzioni funzionali all’attività estrattiva, caseggiati come la Direzione, il dormitorio operai – conosciuto anche come “Case Mottura”, la sala riunione operai, la sede dell’I.N.A.I.L., una città dello zolfo a tutti gli effetti.

Oggi la vallata appare ricca di vegetazione, ma in realtà si tratta di un rimboscamento avvenuto in tempi recenti. Originariamente il paesaggio doveva esser tinto esclusivamente del giallo dello zolfo e del biancastro del gesso.

 

Sito archeologico industriale: Miniera Floristella
Settore industriale: Minerario – Le miniere di zolfo in Sicilia
Luogo: Valguarnera – provincia di Enna – Regione Sicilia
Proprietà/gestione: Ente Parco Minerario Floristella Grottacalda www.enteparcofloristella.it
Testo a cura di: Dott.sa Simona Politini contatto simona.politini@archeologiaindustriale.net
Tratto dalla tesi di laurea “L’oro di Sicilia. L’industria zolfifera siciliana e la miniera Floristella 1825-1987” di Simona Politini. Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa – Napoli. Anno accademico 2000-2001. Relatore prof. Gregorio Rubino

Archeologia Industriale