Il Villaggio Eni di Borca di Cadore in Veneto | Progetto Borca di Dolomiti Contemporanee

Il Villaggio Eni di Borca di Cadore ai piedi del monte Antelao nelle Dolomiti bellunesi nasce per volontà di Enrico Mattei, presidente Eni, agli inizi degli anni ’50 su progetto dell’architetto Edoardo Gellner.

 

Il Villaggio Eni nasce come villaggio turistico per ospitare esclusivamente i dipendenti dell’Eni ad ognuno dei quali, perseguendo la visione di Mattei, spettava la possibilità di soggiornarvi. Elevati standard architettonici, servizi accessibili a tutti, nessuna distinzione gerarchica (le villette venivano assegnate tramite sorteggio) gli conferiscono il nome di “Villaggio Sociale ENI”

VIDEO: Un villaggio per le vacanze – G. Taffarel, 1963, video promo

Il Villaggio Eni di Borca di Cadore, che  si estende su un’area boschiva di circa 130 ettari per un totale di 100.000 mq edificati, caratterizzato da un’ottima esposizione solare e da logisticamente strategico (la famosa località di Cortina d’Ampezzo dista appena 15 km) è  costituito da diverse strutture:

La Colonia , costruita tra il 1955 ed il 1962 per ospitare 600 bambini,  per via della conformazione del terreno, non è costituita da un corpo unico bensì da 17 edifici uniti fra loro da un sistema di collegamenti a rampe coperte che gravitano attorno al grande padiglione centrale.

La Chiesa Nostra Signora del Cadore, iniziata nel 1956 e consacrata nel 1961, vanta della collaborazione di Carlo Scarpa, maestro nell’utilizzo del cemento armato e dell’acciaio. Fulcro dell’intero progetto, essa si colloca su un’altura raggiungibile mediante rampe coperte. Le sue linee verticali, le ampie vetrate sulle falde del tetto a doppi spioventi e l’alta guglia in acciaio ne fanno della Chiesa Nostra signora del Cadore un gioiello dell’architettura sacra contemporanea.

L’Albergo Boite ed il residence Corte, terminati nel 1962, rappresentano solo una parte delle strutture destinate a servizi per gli ospiti della località progettati da  Gellner poi però incompiuti. Il residence era destinato ad accogliere il personale di servizio, mentre l’albergo era costituito da 78 camere distribuite su 6 livelli, cemento e legno i materiali utilizzati per la struttura, rame e pietra per la copertura. Le stanze luminose dotate di terrazzo sono anch’esse caratterizzate da un design elegante e funzionale.

Il Campeggio a tende fisse, ovvero capanne in legno, realizzato tra il 1958 ed il 1961 per ospitare 200 ragazzi.

280 Villette monofamiliari. Originariamente previste in numero doppio,  le villette con tetto a falda unica, sono progettate su piattaforme a mo’ di palafitte che lasciano il piano terra, fortemente inclinato, libero a vista e utilizzabile così  come autorimessa. Le villette, sparse nel bosco, sono pensate per al tempo stesso garantire la privacy familiare e consentire momenti di aggregazione.

Oltre ai servizi satellite realizzati tra  il 1956 ed il 1957,

La firma di Gellner è apposta su ogni singolo aspetto del Villaggio Eni di Borca di Cadore: dall’urbanistica la design  dalla sistemazione delle strade, alla piantumazione degli alberi, al progettazione degli arredi.

Poco dopo la tragica scomparsa di Enrico Mattei (27 ottobre 1962) la realizzazione del villaggio venne interrotta e nonostante successive aperture per un completamento del centro servizi che portano Gellner a elaborare sei progetti tra il 1974 e il 1990, i lavori del Villaggio Eni di Borca di Cadore non ripresero  più.

Dolomiti Contemporanee e il Progetto Borca  per la valorizzazione del Villaggio Eni di Borca di Cadore

Dal 2000, il VillaggioEni di Borca di Cadore  è proprietà del Gruppo Minoter-Cualbu, con cui Dolomiti Contemporanee ha iniziato nel 2014 una collaborazione, sulla base di un progetto di valorizzazione culturale e funzionale dell’insediamento, denominato Progetto Borca.

Oggi infatti, alcune delle strutture del Villaggio (la Colonia in particolare) sono defunzionalizzate, ed è necessario trovare per esse una nuova destinazione d’uso sostenibile, pena l’abbandono ed il degrado di quest’architettura sorprendente e dal potenziale intatto.

In generale, oltre alla Colonia, diverse altre strutture del complesso risultano  oggi sottoutilizzate.
Progetto Borca, inaugurato a luglio 2014, è una piattaforma culturale e strategica che opera al ripensamento e alla rigenerazione del sito nel suo complesso.

L’arte contemporanea è uno dei metodi attraverso cui si è avviato questo processo di ridefinizione funzionale dell’identità del sito. Una Residenza internazionale è ora attiva nel Villaggio, nel quale gli artisti vivono e lavorano.

Per maggiori informazioni sul Progettoborca, programmi e calendari visitate www.progettoborca.net

VIdeo: progettoborca – early glimpses

Sito archeologico industriale:Villaggio Eni di Borca di Cadore
Settore industriale: Villaggio turistico per i dipendenti Eni
Luogo: Borca di Cadore, Belluno, Veneto, Italia
Proprietà e Gestione: Gruppo Minoter-Cualbu
Testo a cura di:per la parte storica Archivio Storico Eni Roma – per il Progetto Borca Dolomiti Contemporanee www.dolomiticontemporanee.net
Crediti fotografici: per le immagini storiche si ringrazia l’Archivio Storico Eni Roma – per le immagini del Villaggio Eni oggi si ringrazia Giacomo De Dona¦Ç2




Dolomiti Contemporanee valorizza il patrimonio industriale

Esiste un progetto che si chiama Dolomiti Contemporanee che attraverso la sua attività da un contributo tangibile al recupero del nostro patrimonio industriale. 

La  mission di Dolomiti Contemporanee è l’individuazione e la riattivazione di risorse inutilizzate dal grande potenziale, nella regione delle Dolomiti-Unesco (Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige) e fuori da esse, nello specifico: grandi siti e complessi d’archeologia industriale, fabbriche ed edifici pubblici di particolare valore e interesse.

Incontriamo l’architetto Gianluca d’Incà Levis, ideatore e curatore di Dolomiti Contemporanee che ci racconta del progetto.

D: Quando e come nasce il progetto Dolomiti Contemporanee?

R: Il progetto Dolomiti Contemporanee prende il via nel 2011, due anni dopo che le Dolomiti sono entrate a far parte della UNESCO World Heritage List, alla sua base il rifiuto dell’inerzia e della passività.
Mi spiego meglio: nel momento in cui le Dolomiti sono state dichiarate “Patrimonio dell’Umanità”, è balzato all’evidenza il gap tra il potenziale estremo di questa risorsa e la sua valorizzazione ancora insufficiente; gap ancora più marcato nell’area delle Dolomiti bellunesi e friulane, proprio lì dove Dolomiti Contemporanee prende forma con l’intento di operare sul bene in modo non stereotipato, attivando procedure culturalmente rilevanti e rinnovative attraverso la cultura contemporanea.
Dolomiti e arte contemporanea, intesa come serbatoio ideativo, prassi analitica e critica, modalità di azione funzionale e produttiva, si confrontano, dialogano e si integrano.
Laboratorio d’arti visive in ambiente” è il pay-off di Dolomiti Contemporanee. Attraverso l’arte contemporanea, aree depresse e necrotiche ospitanti siti inattivi o complessi di archeologia industriale, riprendono vita consegnandoci una nuova immagine.

D: Qual è quindi, secondo la filosofia di Dolomiti Contemporanee, la funzione dell’arte contemporanea all’interno del processo di riqualificazione del nostro patrimonio industriale?

R: L’arte come opposizione all’inerzia. La creatività come propulsore di nuove energie all’interno di luoghi dimenticati. Sensibilità, pensiero, ricerca e azione. Una battaglia rigeneratrice tra gli artisti – curiosi, generosi, che vogliono capire, imparare, riflettere, esprimere, rappresentare, prendere e dare, trasformare – e gli uomini fermi, disinteressati, passivi. L’arte è la dichiarazione incarnata che le idee, la volontà, gli sguardi franchi, l’intenzione e l’interesse, vincono. Applicando questo modello d’azione, il patrimonio industriale può dunque risorgere.

D: Sulla base di quali caratteristiche giudicate un sito idoneo a ospitare Dolomiti Contemporanee?

R: I siti che scegliamo, sono, semplicemente, i più interessanti, tra quelli inutilizzati ed abbandonati disponibili, che sono moltissimi. Quelli dal potenziale più elevato. Sono anche quelli che giacciono nello stato di maggiore “stupidità” possibile. Scegliamo infatti siti già restaurati, e mai riavviati. Siti quindi che sono essenzialmente in ordine, e la cui inerzia non dipende da problemi legati a fatiscenza o inagibilità. Siti quasi in ordine, ma immobili. In questo modo, si viene ad evidenziare al massimo il fatto che il sito non è abbandonato a causa di problematiche o criticità insormontabili: mancano invece le idee e i progetti, e la capacità di concretizzare.
I siti vengono selezionati anche rispetto ad una serie di caratteristiche funzionali e logistiche. Debbono prestarsi all’uso che ne faremo. Debbono poter ospitare, secondo una dislocazione ottimale, una serie di funzioni, tra cui la Residenza e i servizi connessi alla ricettività (il bar-ristoro, foresteria, uffici, bookshop, servizi pubblici, ecc.). Servono laboratori per gli artisti, e, ovviamente, spazi espositivi. Gli spazi industriali più grandi, vengono trasformati in spazi espositivi. In tal modo, una volta riaperti, essi mostrano di nuovo, finalmente, le proprie attitudini.
Ci interessano i complessi nei quali si è svolta un’attività produttiva, o industriale. Questo anche perché siamo interessati a mettere in luce la frizione, il contrasto, tra natura e modelli di antropizzazione.
Una baita in legno, in montagna, è un elemento di coerenza organica (o una cartolina banale). Una fabbrica, invece, coi suoi cementi e metalli e vetri, è il luogo perfetto per avviare un processo critico di rielaborazione del senso delle cose. Per avviare un cantiere di idee, e di forme, non automatiche. Anche per ripensare la fabbrica, a farne un luogo aperto, da chiuso che era, sarà necessario immaginare e completare molti procedimenti artificiali, forzando la normalità delle cose e delle prassi. La razionalità geometrica e architettonica dell’insediamento costruito, le sue ortogonalità e perpendicolarità, la storia industriale dei siti, creano un forte scarto rispetto al contesto naturale. Far rivivere questi insediamenti è riportare in vita la loro storia, la loro originaria funzione produttiva. Alla produttività industriale, si sostituisce ora la produttività artistica in una rifunzionalizzazione temporanea.

 

D: Una volta individuato il sito di archeologia industriale, come procedete?

R: Per quanto, generalmente, nel caso dei cantieri più importanti, scegliamo siti in ordine, sui quali non occorre effettuare interventi strutturali, riattivare un complesso di 3.000 o 10.000 metri quadrati, chiuso da anni o decenni, non è cosa semplice. Prima ancora di occuparsi del sito in sé, c’è dunque un altro ordine di problemi da svolgere. Se un grande sito giace in stato di cronica inerzia da 25 anni (Sass Muss, Sospirolo), ciò significa, evidentemente, che non c’è una capacità, e nemmeno un interesse, politico, in senso lato, ad agire su questo bene. Prima di poter lavorare fisicamente su un sito tanto depresso è dunque necessario verificare, e creare, determinate condizioni a favore dell’intervento. Bisogna, in sostanza, realizzare una rete eterogenea di soggetti, coinvolgendo tutti i decisori politici, gli enti che governano e gestiscono il territorio, le amministrazioni e le comunità, e convincendoli che il progetto è fattibile e, anzi, necessario. Questo lavoro è lungo, e difficile. Per questa ragione Dolomiti Contemporanee, sin dal suo inizio, si è dotata di una struttura di sostegno articolata, uno scheletro, un’architettura di rete, che ha consentito poi di innescare e sostenere i processi e le azioni fattive. Trovato questo assetto, rimane da fare il lavoro “materiale”, che non è poco. Il sito, infatti, privo di qualsiasi funzionalità, andrà ripreso da zero. Gli spazi dovranno essere adeguati all’uso che se ne farà: per tre-quattro mesi infatti il sito diverrà una cittadella creativa, un laboratorio, uno spazio espositivo e ricettivo.

Riesumare una fabbrica, abitarla per alcuni mesi e comunicare il progetto può costare oltre 250.000 euro. I finanziamenti pubblici al progetto coprono forse un quinto di questo costo teorico. È necessario quindi mettere in piedi una rete di partner e sponsor locali, in prevalenza attraverso la cessione di servizi e lavoro, che consenta poi di recepire le risorse per far fronte ai costi. Con questo genere di aiuto si realizzano anche le opere degli artisti in Residenza. La cittadella creativa diventa un autentico laboratorio, all’interno del quale si realizza quello che chiamiamo il produttivo culturale. Una nuova fabbrica che integra la funzione creativa alle risorse del territorio.

Bisogna poi costruire una macchina di comunicazione capace di trasformare il sito dimenticato in un centro attrattivo per il pubblico, per i media. Dopo alcuni mesi, la fabbrica è pronta. Gli artisti vengono ad abitarla, parte la nuova stagione, si fa il lavoro curatoriale. Le mostre si succedono, le persone arrivano, curiose, a migliaia. Questa rifunzionalizzazione culturale temporanea consente la riscoperta del sito: è l’inizio del suo processo di valorizzazione e della sua riacquisizione da parte della comunità. Quando, dopo 3-4 mesi di attività, lo lasciamo, esso ha riguadagnato un significato, e un appeal anche commerciale. A quel punto, diciamo, che il sito è maturo per un essere riavviato definitivamente.

D: Quali sono le difficoltà che riscontrate maggiormente?

R: La mentalità depressiva e, in sostanza, l’incapacità di lavorare, di concepire idee funzionali, l’ignoranza, direi, insieme all’accidia sono i nemici principali.
Questo genere di cantiere è estremamente impegnativo: servono molte forze, molta volontà, molta partecipazione e cooperazione. Come in ogni ambito, anche qui esistono però i soggetti passivi, inerti, poco o per nulla interessati a partecipare a un programma innovativo.
Gli scettici, i pigri, gli sfiduciati, le persone che possiedono della realtà una visione stereotipata e ferma, tendono a non comprendere, talvolta ad ostacolare, procedure rinnovative.
L’incapacità, cronica per alcuni soggetti o enti, di concepire politiche d’azione integrata, è un altro elemento pernicioso e nefasto.
Questa mentalità – o assenza di mentalità – è la responsabile della paralisi dei siti.
La burocrazia poi ci mette la sua, a volte rallentando o impedendo determinati esiti.
Dolomiti Contemporanee vuole combattere e reagire all’inerzia.

D: Quali sono gli obiettivi raggiunti?

R: I risultati sono di vario tipo.
Sempre c’è un contenuto culturale-artistico in primo piano. Il primo risultato della stagione artistica è dunque la messe di mostre, opere, eventi, che si realizzano, insieme a molte altre realtà, artisti, curatori, partner culturali, musei, all’interno delle fabbriche riesumate, e trasformate in centri espositivi temporanei. Le fabbriche, però, non sono il mero contenitore, bensì il potenziale da valorizzare attraverso la produzione artistica.
Il risultato di secondo grado, riguarda invece il futuro del sito nel medio-lungo periodo.
L’impulso generato attraverso la nuova stagione creativa non si esaurisce subito. Tra le migliaia di persone che vengono a visitare la cittadella rianimata e le mostre, alcune si interessano agli edifici. La fabbrica, finalmente aperta, può essere vista, soppesata, valutata. Dolomiti Contemporanee mette in contatto le persone interessate con la proprietà del sito Dopo le prime timidezze, arrivano le richieste commerciali. Si intavolano le trattative e, dopo qualche tempo, gli spazi iniziano finalmente a venir affittati. Siti che giacevano, abbandonati e sfitti, rinascono a nuova vita.

D: Ci racconti la vostra case history d’eccelenza?

R: Nel 2011, partimmo con l’ex polo chimico di Sass Muss (Sospirolo, Belluno), un sito eccezionale di archeologia industriale a ridosso del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi. La stagione estivo-autunnale andò molto bene. Il sito era desolatamente chiuso da oltre 20 anni. L’impulso che producemmo fu forte. Oltre 100 articoli furono pubblicati su questa “anomalia”: una fabbrica fantasma trasformata in villaggio creativo. Nessuno ricordava quel sito, che ha caratteristiche davvero speciali. Molte le trattative commerciali furono avviate in seguito alla nostra azione. Alcuni affittuari entrarono negli spazi: purtroppo, per motivi legati alla crisi economica, diversi di loro dovettero in seguito lasciarli. La società proprietaria, Attiva spa, ebbe l’occasione, allora, di riaffittare tutti gli edifici principali del complesso. Purtroppo, con poca lungimiranza essa decise di non ridurre i canoni di locazione, e molte di queste trattative si arenarono. Attiva spa è quindi fallita, a dicembre 2013. Ancora oggi, noi lavoriamo, sull’onda lunga dell’attenzione generata tre anni fa, nell’intento di favorire ulteriormente, e completare, l’opera di rilancio del sito.

Nell’estate 2012, replicammo questo modello su un’ex fabbrica di occhiali, chiusa da oltre 10 anni, a Taibon Agordino, ancora nelle Dolomiti bellunesi, a due passi dallo stabilimento principale di Luxottica, che fu allora uno dei nostri partner. Dopo aver vissuto nella fabbrica per alcuni mesi, la abbandonammo. Cinque attività commerciali e produttive vi si insediarono subito dopo: chi erano, questi cinque? Cinque partner di Dolomiti Contemporanee, che ci avevano aiutato a ripristinare la fabbrica abbandonata e a sostenere la nostra stagione d’eventi, e così facendo l’avevano riscoperta, decidendo alla fine di trasferire la propria azienda negli spazi riattivati.

Nel 2012, abbiamo avviato anche un altro cantiere estremamente significativo. Il Nuovo Spazio di Casso che è ora l’unica sede permanente di Dolomiti Contemporanee. Si tratta, in questo caso, di un edificio civile, chiuso da mezzo secolo, e riaperto, secondo gli stessi principi che animano il progetto: rifiuto del concetto di chiusura e fiducia nel valore della cultura e nella sua funzione attivatrice.

D: Cosa c’è da aspettarsi da Dolomiti Contemporanee per il prossimo futuro?

R: Gli obiettivi del progetto e la mentalità operativa, sono chiaramente delineati. Continueremo ad occuparci di risorse sottoutilizzate o per nulla utilizzate. Di siti, industriali o civili, che meritano una miglior sorte di quella procurata loro dall’assenza d’iniziativa e dall’incapacità di valorizzarne il potenziale. Continueremo a lavorare in rete con altri soggetti, per allargare lo spettro della nostra azione e sviluppare ulteriormente il progetto.
Nel 2014, partiranno alcuni progetti di ricerca che coinvolgeranno alcuni atenei e altri enti che si occupano di ricerca nel campo dell’innovazione culturale e scientifica.
Tra i siti su cui abbiamo iniziato ad avviare delle procedure più che esplorative, e che potrebbero divenire prossimi cantieri DC, segnaliamo: l’ex Villaggio minerario di Valle Imperina (Rivamonte Agordino, Belluno) e il Villaggio Eni di Borca di Cadore, realizzato da Enrico Mattei con Edoardo Gellner negli anni ’50, un sito formidabile ed estremamente complesso, dotato di un potenziale assoluto.

Per scoprire in dettaglio l’attività di Dolomiti Contemporanee visitate www.dolomiticontemporanee.net

 

 

 




Sass Muss – L’ex Chimica Montecatini in Veneto

L’ex Chimica Montecatini di Sospirolo, località Sass Muss, in provincia di Belluno, grazie ad un’imponente azione di restauro e riqualificazione,  rappresenta una delle realtà più interessati dell’archeologia industriale delle Dolomiti.

Lo stabilimento di Sass Muss, destinato alla produzione dell’ammonica e realizzato sulla base del progetto elaborato dall’ingegner Giacomo Fauser, era ubicato vicino al fiume Cordevole. L’intero complesso era costituito dalla fabbrica vera e propria (edificio Sass de Mura: uno spazioso edificio a pianta rettangolare provvisto di vetrate e di grandi portoni d’accesso), un altro dedicato alla produzione di energia (Padiglione Pavione) e da un fabbricato adibito ad uffici e ad abitazione del direttore (edificio Pizzocco).

All’esterno erano collocati i due gasometri: uno grande per l’idrogeno ed uno più piccolo per l’azoto. Lo stabilimento,  costruito nel solo spazio di una anno e dotato di macchinari di fabbricazione italiana,  entrò in produzione nel 1924, occupando all’inizio una ventina di persone. Vi si produceva, col processo Fauser, solo ammoniaca.

La corrente elettrica necessaria al funzionamento  (un milione di chilowattore al mese) era fornita dalla vicina centrale (situata a pochi metri di distanza). Nel 1928 lo stabilimento contava 39 dipendenti.

Durante la Seconda Guerra Mondiale gli aerei americani mitragliarono, danneggiandoli gravemente, i due gasometri dell’idrogeno e dell’azoto e i serbatoi dell’ammoniaca, che si riversò tutta nel Cordevole. Lo stabilimento restò anche fermo a causa di altri eventi bellici che danneggiarono la condotta forzata della centrale elettrica.

Nel  1964 i dipendenti erano scesi a 24/25. Qualche anno dopo la fabbrica smise l’attività. Negli anni Ottanta, venne acquistata da un’industria chimica milanese, ma mai impiegata per usi produttivi o di altro genere.

Oggi il sito comprende l’insieme dei recuperati edifici di pregio architettonico in termini di archeologia industriale e quello dei nuovi corpi di fabbrica progettati da Attiva spa. La nuova area consiste in quattro blocchi contigui ed indipendenti, realizzati a schiera, e con un’unica copertura verde, per un totale di circa 8.000 metri quadri. In uno dei corpi di fabbrica appartenenti all’ampliamento produttivo  nel 2012 si è insediata l ’azienda produttrice di cioccolato Mirco Della Vecchia .

A partire dal 2012, in seguito all’azione di Dolomiti Contamporanee, i restanti edifici sono stati saltuariamente affittati come spazi espositivi, residence, feste, conferenze ed altro. Attualmente, col recente fallimento della Attiva Spa, tali edifici sono stati messi in vendita.

Il recupero dell’area di archeologia industriale Sass Muss, Sospirolo, Belluno

Attraverso il contributo del Fondo Europeo Sviluppo Regionale, la Attiva Spa – Agenzia Trasformazione Territoriale in Veneto ha realizzato il recupero del sito di archeologia industriale, articolato in 3 edifici originari e 2 edificati ex novo, su progetto dell’Architetto Manlio Olivotto.

Per il restauro dei fabbricati di archeologia industriale si è dovuto provvedere al loro consolidamento strutturale, oltre che all’inserimento di nuove strutture in acciaio, al rifacimento di massetti e pavimenti, della copertura e degli elementi di collegamento verticale. La scelta delle finiture esterne, dei nuovi serramenti e di restaurare gli esistenti è stata particolarmente finalizzata al mantenimento del caratteristico ed originario aspetto dell’antica fabbrica industriale.

Due  nuovi corpi di fabbrica integrano l’area, inserendosi in maniera armoniosa, seppur non mimetica, nel contesto dal punto di vista naturalistico, rispettando il vincolo idrogeologico cui è soggetto il territorio, caratterizzato da diverse componenti ambientali. Dal punto di vista architettonico, il confronto con la forte presenza degli edifici di archeologia industriale avviene in maniera decisa, ma non senza cercare un accordo formale: prospetti vetrati e coperture con manto vegetale si modulano osservando i volumi e lo spazio circostante.

Dolomiti Contemporanee –  Sass Muss un esempio di riqualificazione del patrimonio industriale

Dolomiti Contemporanee,  nato ad agosto 2011, è un riconfiguratore spaziale, e concettuale. Attraverso l’arte e la cultura, Dolomiti Contemporanee individua e riattivata una serie di siti dal forte potenziale: siti industriali, fabbriche abbandonate, ai piedi delle guglie dolomitiche.

Il programma di riqualificazione ideato da Dolomiti Contemporanee prevede l’occupazione temporanea dei complessi individuati, che vengono trasformati in centri espositivi. Al loro interno, si attivano le Residenze, in cui vengono ospitati gli artisti. Oltre 100 nei primi due anni di attività. La fabbriche, chiuse da anni o decenni, riaprono dunque come centri di produzione culturale ed artistica.

Sass muss è il sito-origine del progetto Dolomiti Contemporanee. il primo complesso riattivato e recuperato attraverso un modello in cui cultura ed arte divengono elementi produttivi di spinta, leve concrete per l’azione sul territorio.

Il sito di archeologia industriale di Sass Muss è stato utilizzato da Dolomiti Contemporanee  tra giugno 2011 e giugno 2012, ed ha inaugurato la stagione delle “migrazioni artistiche”. Dolomiti Contemporanee all’interno dell’edificio Pizzocco ha realizzato i propri uffici, un bar-ristoro, e utilizzando gli appartamenti ai piani superiori per la Residenza degli artisti; i Padiglioni Pavione (750 metri quadri) e Sass de Mura (1.000 metri quadri), sono stati utilizzati come spazi espositivi, insieme a due degli edifici che fanno parte dell’ampliamento produttivo. Oltre 10.000 persone sono giunte in questo sito, formidabile e delocalizzato, riscoprendolo, dopo decenni d’oblio, e inaugurando una nuova stagione per il complesso. In seguito, altri siti, complessi d’archeologia industriale, fabbriche abbandonate, sono state riavviate grazie all’azione di Dolomiti Contemporanee (Blocco di Taibon, estate 2012) che attualmente lavora ai prossimi cantieri.

Ecco alcuni dei video realizzati da Dolomiti Contemporanee e visionabili sul loro canale YouTube che ci accompagnano alla scoperta del sito di archeologia industriale Sass Muss:

Dolomiti Contemporanee – Sass Muss #1

Dolomiti Contemporanee – Sass Muss 30 luglio 2011 – video start

Info:

Dolomiti Contemporanee Tel Belluno +39 0437 30685  Casso +39 0427 666068 +39 338 1492993
Web site www.dolomiticontemporanee.net e-mail  info@dolomiticontemporanee.net

Sito archeologico industriale: L’ex Chimica Montecatini Sass Muss
Settore industriale:Industria Chimica
Luogo: Sass Muss – Sospirolo – Belluno – Veneto (Sospirolo è all’interno del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi, Patrimonio UNESCO)
Proprietà/gestione: Attiva Spa e Mirco Della Vecchia – Artigiano del Ciccolato
Testo a cura di: Dolomiti Contemporanee

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