L’Archivio Zegna di Trivero tra radici e ali

L’Archivio Zegna di Trivero, in provincia di Biella, raccoglie e valorizza la storia di una delle più prestigiose aziende italiane nel settore del tessile e della moda. Una documentazione unica che racconta una parte importante del nostro patrimonio industriale.

Ermenegildo Zegna (1892-1966) aveva già intuito che la consapevolezza dei risultati raggiunti è importante quanto l’entusiasmo per quelli da raggiungere. Alla figura del fondatore si può far risalire l’intento e l’avvio dell’attività di conservazione della storia Zegna nella sua totalità, attraverso la puntigliosa archiviazione dei documenti, delle fonti iconografiche e, soprattutto, dei preziosi campionari tessuti, vera e propria “memoria tecnica” del prodotto. A Ermenegildo Zegna, Conte di Monte Rubello di Trivero, si può ricondurre la precisa volontà di trasmettere organicamente le esperienze di un uomo e di una famiglia che hanno creato uno dei nomi più apprezzati e noti dell’imprenditoria made in Italy .

Aldo Zegna, primogenito di Ermenegildo scomparso nel 2000, dopo una vita dedicata insieme al fratello Angelo a trasformare il lanificio di Trivero (Biella) nel Gruppo Zegna, una realtà produttiva e commerciale non più locale ma “diffusa” in tutto il mondo, aveva a sua volta manifestato interesse per il recupero e per il riordino del patrimonio documentario e, in modo particolare, di quello fotografico del “mondo” Zegna, patrimonio che nel frattempo si era vistosamente ingrandito arrivando a includere le giacenze documentarie prodotte anche da decine di aziende diverse, da vari settori di investimento (per esempio l’attività turistica) e dalle “opere sociali” istituite a partire dagli anni Trenta.
Dal 2002 le linee tendenziali già presenti nelle due precedenti generazioni hanno potuto convergere nella realizzazione di un polo archivistico onnicomprensivo capace di accogliere le carte, le fotografie, i disegni tecnici, i campionari, gli oggetti, ecc… generati in più di un secolo di vita.

Attraverso la Fondazione Ermenegildo Zegna, tutti i membri della famiglia attivi nel Gruppo, ormai alla terza generazione, hanno ereditato la passione per la propria storia, trasformandola in una vera mission di ricerca, di recupero e di messa in valore.

L’Archivio Zegna e la sua attività

L’Archivio Zegna non è mai stato, fin dalle sue origini ideali, solo e semplicemente un luogo della ricordanza e, tanto meno, è stato costruito come un “archivio” nell’accezione corrente e adinamica del termine. Il patrimonio archivistico Zegna in tutte le sue componenti è, in se stesso, un cantiere di lavoro sempre attivo perché accoglie e accoglierà le testimonianze di una realtà non solo industriale in continua crescita e in evoluzione costante. In più l’Archivio Zegna è la fucina di sempre nuove idee dove la tradizione si fonde con la trasformazione e dove work in progress è il brand.

Ma, soprattutto, l’Archivio Zegna è da considerarsi parte integrante del processo creativo e di quello produttivo intrinseci all’identità e alla vita stessa del Gruppo. Tanto gli ideatori delle campagne pubblicitarie quanto i disegnatori dei tessuti, tanto gli stilisti quanto i tecnici produttivi del Gruppo Zegna possono contare su un giacimento potenzialmente infinito, ma organizzato e funzionale, cui attingere per trovare ispirazioni, confronti e verifiche. Si consolidato, in effetti, un circolo virtuoso che comporta il conferimento dei materiali documentari “grezzi” e la loro restituzione sotto forma di “prodotto finito” archivistico utilizzabile per le più diverse finalità.

L’Archivio Zegna e il suo patrimonio

La tradizione e l’identità Zegna è maschile e la vocazione per l’eccellenza stilistica e qualitativa per l’abbigliamento for men si ritrova fin dalle più ricche collezioni di échantillons che l’azienda ha voluto acquisire e affiancare alle proprie per stimolare il confronto e la creatività.

I libroni secolari della parigina Claude Frères (tutti restaurati nella loro antica fattura), tramandano la moda pour homme dal 1859 e conducono a quello che potrebbe considerarsi il “cuore” dell’Archivio Zegna, la serie di testimoni che più di tutti riassumono, scandiscono ed esaltano la storia Zegna: i campionari stagionali del Lanificio Ermenegildo Zegna fin dal primo anno di esercizio, il 1910.

A conferire ancor maggiore importanza a questa splendida e completissima collezione sta il fatto che i volumi, i contenitori, i ritagli di tessuti, gli stessi strumenti di consultazione rappresentano, nella loro esaustiva descrizione tecnica originaria, la possibilità concreta ed effettiva di riproporre e/o reinventare di cento anni di tessuti, come accaduto con il “Tessuto N° 1” rivisitato in occasione della ricorrenza del centenario di fondazione del Gruppo nel 2010. Inoltre, Zegna ha investito nella “buona pratica” di salvare e di riqualificare archivi tessili non di sua produzione, come lo straordinario campionario dell’elvetica Heberlein, un insieme di molte centinaia di migliaia di porzioni di stoffe tessute, tinte o stampate tra il 1920 e il 1980.

Dal punto di vista strettamente archivistico, la parte più importante dell’Archivio Zegna è il nucleo di documenti cartacei originali inerenti l’attività non solo del lanificio, ma anche delle altre realtà industriali o commerciali. Alle carte riflettenti la produzione di tessuti in Trivero dal 1910, si affiancano quelle relative all’industria della maglieria, la STIMA Società Torinese Industrie Maglieria e Affini, a partire dagli ultimi anni ’40 (dapprima a Torino poi presso lo stesso lanificio) e quelle generate da ragioni sociali dedicate alla confezione, quali la In.Co. Industria Confezioni o la Condotti. I “soggetti produttori” archivistici a oggi inclusi nel grande “inventario” digitale sono circa 150 e si riferiscono a tutti i continenti coprendo estensione lineare di circa un kilometro. Ma Zegna non è stata, ne è, solo una grande fabbrica tessile: i documenti restituiscono anche l’impegno iniziato da Ermenegildo Zegna e continuato dai figli in ambito socio-assistenziale con la creazione del Centro Zegna, così come nella bonifica e nella promozione della montagna del Biellese occidentale, dal torrente Cervo alla Valsessera (quella che oggi costituisce l’Oasi Zegna). E le carte della società immobiliare Monte Rubello e della stazione sciistica di Bielmonte raccontano infine della trasformazione impressa da Ermenegildo Zegna alle terre che sovrastano Trivero, soprattutto con la costruzione della strada Panoramica che posta il suo nome.

Le immagini, non meno di 200 mila fototipi (che restituiscono il “mondo” Zegna dal primo corpo di fabbrica alle ultime sfilate, dai macchinari alle campagne pubblicitarie, dalle maestranze alle installazioni artistiche di “All’Aperto” o agli scatti di Mattias Klum), e molte pellicole (le più datate delle quali realizzate su commissione dall’Istituto Luce attorno al 1940), documentano in parallelo la storia Zegna in ogni suo aspetto, da quando il lanificio era poco più di un capannone a shed alle inaugurazioni dei più recenti dei circa 600 corners Zegna.
La Fondazione Ermenegildo Zegna e tutto il Gruppo hanno dato vita e sostenuto questo speciale tributo alle loro stesse origini, consapevoli che si tratta di un giacimento storiografico e culturale non pubblico, ma senza dubbio condiviso. Zegna e Trivero, soprattutto, ma anche Zegna e il Biellese sono binomi storicamente fortissimi e tuttora inscindibili. La salvaguardia della storia Zegna corrisponde alla “messa in sicurezza” di una porzione importante della memoria del passato della comunità e del territorio in cui tuttora presente la produzione e sui quali è profuso l’impegno di “azioni” non industriali, come l’Oasi Zegna.

L’Archivio Zegna e la sua sede: Casa Zegna

L’idea trasmessa da Ermenegildo Zegna si è strutturata in un progetto che vede la sua prima importante concretizzazione nell’allestimento dell’Archivio Zegna all’interno del prestigioso complesso di Casa Zegna inaugurato nel giugno del 2007. Tenendo presente che il “mondo” Zegna è nato con il lanificio di Trivero e che, proprio a Trivero, Ermenegildo Zegna ha dato inizio, e via via ampliato, le sue più significative realizzazioni in ambito socio-assistenziale, urbanistico e turistico-ambientale, la “fabbrica archivistica” non poteva che svilupparsi proprio a Trivero. Ricalcando i passi dell’impresa umana, imprenditoriale e filantropica di Ermenegildo Zegna, anche l’acquisizione della documentazione ha avuto un andamento concentrico, dapprima locale, per poi espandersi a tutta la ramificata architettura produttiva e commerciale Zegna nel mondo.

La villa edificata negli anni Venti per la famiglia del Grand. Uff. Mario Zegna (1890-1972), fratello del Ermenegildo e, successivamente, abitata dai figli e dai nipoti di quest’ultimo, oggi contiene l’Archivio Zegna.

L’Archivio Zegna è motore di eventi e offerte culturali fin dall’inizio della sua attività. Casa Zegna, infatti, allestisce e/o ospita non meno di due mostre all’anno o occasioni analoghe e, per la maggior parte, si tratta di proposte e realizzazioni dell’archivio. Le fotografie, i filmati, le carte, i campionari e gli oggetti archiviati hanno consentito di strutturare i due percorsi dedicati alla evoluzione del marchio Zegna, quello focalizzato sullo sviluppo della stazione sciistica di Bielmonte, quello incentrato sulla “costruzione del paesaggio” operata da Ermenegildo Zegna ecc.

Casa Zegna è parte di Museimpresa, l’associazione italiana dei musei e degli archivi d’impresa, promossa da Assolombarda e Confindustria.

L’Archivio Agnona, parte dell’Archivio Zegna

A quello che è il considerevole corpus archivistico Zegna si è qui fuso, come è accaduto in senso industriale, il consistente e importantissimo Archivio Agnona.
Di Agnona si custodisce, oltre ai “fazzoletti” che disegnano mezzo secolo di stile al femminile, tutta la documentazione cartacea preservata dopo la chiusura dello stabilimento di Aranco (Borgosesia). Vi si trovano gli elementi archivistici fondamentali per la ricostruzione della storia dell’azienda fondata nel 1953 con la partecipazione di Aldo e Angelo Zegna, e incorporata nel Gruppo Zegna nel 2000: oltre alle carte, il prezioso materiale pubblicitario e di rassegne stampa, e la raccolta delle immagini, le testimonianze più vivide delle prestigiose collaborazioni di Agnona con i grandi nomi della moda donna mondiale dell’ultimo mezzo secolo, da Chanel a Versace, da Mila Schön a Pierre Cardin, da Emilio Pucci a Givenchy.

L’Archivio Zegna e la sua fruibilità

L’Archivio Zegna è un archivio privato e, per ragioni facilmente comprensibili, il suo accesso non è libero né automatico. La fruizione dei documenti custoditi è vincolata alla accettazione di un’apposita richiesta compilata da chi fosse interessato alla consultazione e sottoposta alla valutazione della proprietà. L’uso specifico dei documenti è inoltre stabilito dall’apposito regolamento interno.

Dal 2013 è comunque attivo il sito www.archiviozegna.com grazie al quale è possibile esplorare la realtà archivistica Zegna secondo la declinazione “quadricipite” (Family business, Prodotti e comunicazione, Ambiente e montagna, Filantropia e cultura) definita per i settori di interesse e di sviluppo tanto del Gruppo quanto della Fondazione Ermenegildo Zegna.

Sito archeologico industriale: Archivio Zegna
Settore industriale: Settore Tessile
Luogo: Trivero, Biella, Piemonte, Italia
Proprietà e Gestione: Fondazione Zegna www.archiviozegna.com/it
Testo e Immagini a cura di: Archivio Gruppo Zegna




Il Setificio di Tomioka in Giappone – Patrimonio UNESCO

Il Setificio di Tomioka, nella prefettura di Gunma, a nord-ovest di Tokio, è uno dei più begli esempi di archeologia industriale in Giappone

 

Il Setificio di Tomioka fu costruito dal governo nel tentativo di modernizzare l’industria della seta in Giappone nel 1872, a soli 4 anni dalla Restaurazione Meiji.

Il Setificio era un complesso di fabbrica a larga scala incentrata sul procedimento di lavorazione del filo da seta voluto dal governo Meiji per consentire la produzione in serie di seta grezza di alta qualità. Nel XIX secolo infatti, a seguito dell’apertura del Giappone verso l’Occidente, la domanda di esportazione di seta grezza cominciava a crescere, ma, poiché essa era prodotta artigianalmente, non si era in grado di soddisfare tale domanda.

Il governo decise allora di assumere ingegneri francesi per fondare la fabbrica ed introdurre le tecnologie meccaniche più avanzate per il procedimento di trattura e filatura della seta. Il Setificio di Tomioka ebbe un ruolo importante come modello di fabbrica per diffondere la moderna tecnologia per la trattura della seta in tutto il paese. Il governo reclutò le donne come forza lavoro ed insegnò loro le nuove tecnica in modo da poter diventare leader in quest’attività.

Anche dopo esser stato venduto al settore privato nel 1893, il setificio ha continuato la sua attività mantenendo la propria leadership nella produzione di seta grezza in Giappone fino al 1987. L’attività cesso infine a causa della concorrenza della più economica seta grezza importata da altri paesi asiatici.

Il complesso industriale è formato da diversi edifici storici e strutture. I principali edifici originali sono l’impianto per la trattura della seta, i due magazzini per la produzione di bozzoli, sale macchine, la casa del direttore ed i dormitori per gli ingegneri francesi costruiti nel 1872 e 1873. Si tratta di costruzione di mattoni in legno e muratura, una tecnica introdotta dagli ingegneri francesi.

Dal 2005, il Setificio di Tomioka è stato gestito dalla città ed è stato aperto al pubblico. La fabbrica è un simbolo della modernizzazione dell’industria della seta in Giappone, per questa ragione è conservata come esempio importante del patrimonio industriale.

Dal mese di giugno 2014, Il Setificio di Tomioka è stato iscritto nella UNESCO World Heritage List come “Tomioka Silk Mill and Related Sites””. Questo pezzo del patrimonio mondiale è valutato per il suo contributo allo sviluppo e gli scambi internazionali nel campo della tecnologia della sericoltura e della filatura. Oggi tante persone visitano Il Setificio di Tomioka ogni giorno.

Sito archeologico industriale:Setificio di Tomioka
Settore industriale: Industria tessile
Luogo: Tomioka City, prefettura di Gunma, Giappone
Proprietà e Gestione: Tomioka City
Testo a cura di:
The Tomioka Silk Mill department, Tomioka City email worldheritage@city.tomioka.lg.jp




Lo State Textile and Industry Museum Augsburg – TIM in Germania

Il Museo Statale del Tessile e dell’Industria di Augsburg in Germania, collocato all’interno della storico edificio della Augsburg Kammgarnspinnerei (AKS), racconta la storia antica dell’industria tessile.

Prezioso esempio di archeologia industriale, il TIM, inaugurato nel 2010, accompagna i visitatori in un viaggio attraverso il tempo la scoperta della storia del tessile bavarese, partendo dal 1600 sino ai giorni nostri. La collezione museale testimonia la storia del settore tessile non senza dare uno sguardo alle prospettive future in maniera interattiva: 2500 metri quadrati per vedere, sentire, odorare, toccare e creare.

Al Museo Statale del Tessile e dell’Industria di Augsburg è possibile esplorare il sensazionale mondo dei materiali, modelli e colori legati alla produzione dei tessuti. Dagli abiti Biedermeier ai moderni vestiti Streness, il TIM guida il visitatore attraverso 200 anni emozionanti di storia della moda, che a loro volta sono la storia della società. Al TIM è altresì possibile conoscere l’intrigante mondo della tecnologia e delle macchine legate alla produzione. Telai storici affiancano macchinari moderni ad alta tecnologia per fornire una significativa esperienza.

3 I principali percorsi all’interno del TIM.
ll primo percorso esplora il processo di produzione tessile: dalle fibre tessili, alla filatura, alla tessitura. All’interno di questo percorso è presente una sezione dedicata alle mode degli ultimi due secoli. Il
secondo percorso racconta la storia dei lavoratori e degli imprenditori la cui vita è stata plasmata dal settore dal 19° secolo in poi. Il terzo percorso verte sulla collezione della New Augsburg Calico Factory (1780s-1990), che contiene più di 1,3 milioni di modelli di tessuto stampato.

Il servizio di didattica è un altro degli aspetti del quale il TIM ha molta cura. Per i bambini è stato realizzato un percorso separato attraverso il museo in cui tutto è pensato per essere provato. I processi di pettinatura della lana, di filatura e la stampa dimostrano un’attenzione particolare verso i più piccini

All’interno del TIM si trova il Museum Restaurant Nunò nonché la possibilità di affittare sale per eventi e conferenze dotate delle più moderne tecnologie, per una capienza massima di 800 persone

Sede del Museo Statale del Tessile e dell’Industria di Augsburg è la ex fabbrica di filati Augsburg
Kammgarnspinnerei ( AKS ). La Augsburg Kammgarnspinnerei, fondata ne 1836, essa è stata una delle aziende tessili storiche di Augsburg. La città tedesca di Augsburg , infatti, è stata uno dei centri più importanti del settore tessile in Europa. Nel 1986 l’azienda contava ancora 680 impiegati, ma purtroppo, colpita anch’essa dalla crisi del tessile, ha interrotto la produzione nell’aprile del 2004.

Il Museo Statale del Tessile e dell’Industria di Augsburg nel 2011 è stato insignito del Premio Luigi Micheletti come Miglior Museo Industriale, Tecnico e della Scienza d’Europa.
Qui la presentazione del TIM di Augsburg, in occasione del Micheletti Award 2011. Espone il direttore dottor Carlo Borromeo Murr.

 

Sito archeologico industriale: TIM | State Textile and Industry Museum Augsburg
Settore industriale:Industria tessile
Luogo: Augsburg, Germania
Proprietà/gestione: tim | State Textile and Industry Museum Augsburg ex Augsburger Kammgarnspinnerei – Provinostraße 46, 86153 Augsburg, Germany www.timbayern.de
Testo a cura di: TIM Press Office
Image courtesy of: Eckhart Matthäus www.em-foto.de




Il Villaggio operaio di Crespi d’Adda – sito Unesco

Il villaggio di Crespi d’Adda, in provincia di Bergamo in Lombardia, racconta di un villaggio ideale del lavoro: un piccolo feudo dove il castello del padrone era simbolo sia dell’autorità che della benevolenza, verso i lavoratori e le loro famiglie.

Sito UNESCO, il Villaggio operaio di Crespi d’Adda rappresenta la più importante testimonianza in Italia del fenomeno dei villaggi operai e, insieme al Villaggio Leumann, alla città di Schio, è uno dei più mirabili esempi di archeologia industriale in Italia.

L’UNESCO ha accolto nel 1995, Crespi d’Adda nella Lista del Patrimonio Mondiale Protetto in quanto “Esempio eccezionale del fenomeno dei villaggi operai, il più completo e meglio conservato del Sud Europa”.

Crespi d’Adda: un luogo fuori dal tempo

Crespi d’Adda è una città dove bisogna orientarsi non con un libro o una mappa, ma con lo stesso camminare a piedi, con la vista, l’abitudine e l’esperienza. Qui, spazio, tempo e architettura sono un tutt’uno. Quello che state per conoscere è molto di più di un esempio insigne della storia architettonica. Il villaggio industriale di Crespi d’Adda è un prodotto dell’opinione eccessivamente raffinata dell’Ottocento secondo cui le cose utili potevano e dovevano essere anche belle, e ciascuno aveva l’assoluto dovere di fare ogni cosa nel modo più elegante possibile. È un viaggio dentro una aspirazione industriale e alle origini di una utopia, in fondo ad una storia di macchine e di formiche, di ostinazione e di illusioni, di presunzione e di fatiche disumane. È il resoconto della testarda volontà di un uomo ricco, autoritario, ostinato a portare avanti i suoi sogni e di suo figlio che cercherà di realizzarli compiutamente. È la vicenda del luogo che doveva diventare, all’inizio di questa storia, nel 1876, un modello ideale ma che si è trasformato in una miraggio irraggiungibile, nel segno evidente di una decadenza prematura e ineluttabile. È l’appassionante cronaca dell’ascesa di un sogno e del declino di una ambizione.

Il villaggio industriale di Crespi d’Adda è la città che cambia al ritmo del lavoro.
È la dimostrazione della smisurata fiducia nel progresso, nel lavoro e nell’industria.
Marco Iannucci dettaglia che “Crespi d’Adda non è stato modellato dalla vita ma da un’idea. La vita è un miscuglio di esigenze disordinate e contraddittorie. Qui l’atmosfera è diversa: da un lato più nitida, dall’altro è come se mancassero alcuni segni della vita a cui siamo abituati. E tutto ha qualcosa di sospeso e un po’ irreale”.

La storia della Fabbrica e del Villaggio di Crespi d’Adda, perla dell’archeologia industriale

Il Villaggio prende il nome dai Crespi, famiglia di industriali cotonieri lombardi che a fine Ottocento realizzò un moderno “Villaggio ideale del lavoro” accanto al proprio opificio tessile, lungo la riva bergamasca del fiume Adda.

Autentico modello di città ideale, il Villaggio di Crespi d’Adda ha costituito una delle realizzazioni più complete ed originali nel mondo e si è conservato perfettamente integro – mantenendo pressoché intatto il suo aspetto urbanistico e architettonico.

Il Villaggio Crespi d’Adda è una vera e propria cittadina completa costruita dal nulla dal padrone della fabbrica per i suoi dipendenti e le loro famiglie. Ai lavoratori venivano messi a disposizione una casa con orto e giardino e tutti i servizi necessari. In questo piccolo mondo perfetto il padrone “regnava” dal suo castello e provvedeva come un padre a tutti i bisogni dei dipendenti: dentro e fuori la fabbrica e “dalla culla alla tomba”, anticipando le tutele dello Stato stesso. Nel Villaggio potevano abitare solo coloro che lavoravano nell’opificio, e la vita di tutti i singoli e della comunità intera “ruotava attorno alla fabbrica stessa”, ai suoi ritmi e alle sue esigenze; una città-giardino a misura d’uomo, al confine tra mondo rurale e mondo industriale.

Fabbrica e villaggio di Crespi d’Adda furono realizzati a cavallo tra Otto e Novecento dalla famiglia di industriali cotonieri Crespi, quando in Italia nasceva l’industria moderna. Era questa l’epoca dei grandi capitani d’industria illuminati, al tempo stesso padroni e filantropi, ispirati a una dottrina sociale che li vedeva impegnati a tutelare la vita dei propri operai dentro e fuori la fabbrica, colmando in tal modo i ritardi della legislazione sociale dello Stato stesso. L’idea era di dare a tutti i dipendenti una villetta, con orto e giardino, e di fornire tutti i servizi necessari alla vita della comunità: chiesa, scuola, ospedale, dopolavoro, teatro, bagni pubblici… Nato nel 1878 sulla riva dell’Adda, in provincia di Bergamo, anche questo esperimento paternalista ebbe inesorabilmente termine – alla fine degli anni Venti – con la fuoriuscita dei suoi protagonisti e a causa dei mutamenti avvenuti nel XX secolo. Oggi il villaggio di Crespi ospita una comunità in gran parte discendente degli operai che vi hanno vissuto o lavorato; e la fabbrica stessa è rimasta in funzione fino al 2003, sempre nel settore tessile cotoniero.

Il Villaggio Crespi d’Adda ed il paesaggio

Il paesaggio che ospita Crespi d’Adda è davvero singolare: il villaggio è inserito in una sorta di culla, un bassopiano dalla forma triangolare che è delimitato da due fiumi confluenti e da un dislivello del terreno, una lunga costa che lo cinge da nord. I due fiumi sono l’Adda e il Brembo, che formano una penisola chiamata “Isola Bergamasca”, alla cui estremità si trova appunto il villaggio; mentre lungo la citata costa correva anticamente il “Fosso Bergamasco”, linea di confine tra il territorio del Ducato di Milano e quello della Repubblica di Venezia. L’isolamento geografico è poi accentuato dal fatto che il villaggio è collegato all’esterno soltanto in direzione Nord. Oggi queste caratteristiche geografiche e il grado di emarginazione che esse hanno implicato ci aiutano a capire come Crespi d’Adda si sia potuta conservare in modo così straordinario, nascosta ed estranea allo sviluppo caotico dell’area circostante.

Il Villaggio Crespi d’Adda è l’aspetto urbanistico

L’aspetto urbanistico del villaggio è straordinario. La fabbrica è situata lungo il fiume; accanto il castello della famiglia Crespi, simbolo del suo potere e monito per chi vi giunge da fuori. Le case operaie, di ispirazione inglese, sono allineate ordinatamente a est dell’opificio lungo strade parallele; a sud vi è un gruppo di ville più tarde per gli impiegati e, incantevoli, per i dirigenti. Le case del medico e del prete vigilano dall’alto sul villaggio, mentre la chiesa e la scuola, affiancate, fronteggiano la fabbrica. Segnano la presenza e l’importanza dell’opificio le sue altissime ciminiere e i suoi capannoni a shed che si ripetono in un’affascinante prospettiva lungo la via principale, la quale, quasi metafora della vita operaia, corre tra la fabbrica e il villaggio, giungendo infine al cimitero.

Il Villaggio Crespi d’Adda è l’architettura

A Crespi d’Adda si annovera notevole diversità di stili, oscillante tra classicismo e romanticismo. La villa padronale ripropone lo stile medioevale trecentesco mentre la chiesa è copia esatta della rinascimentale S.Maria di Busto Arsizio, paese d’origine dei Crespi. Le altre costruzioni sono tutte di gusto neomedioevale, con preziose decorazioni in cotto – care al romanticismo lombardo – e finiture in ferro battuto. Neomedioevale anche l’opificio, che esprime la massima celebrazione dell’industria nell’ingresso centrale, tra le fastose palazzine degli uffici dirigenziali. Il cimitero, di gusto esotico e di stile eclettico, è monumento nazionale: al suo interno la cappella Crespi, una torre-piramide di ceppo e cemento decorata si erge ad abbracciare le tombe operaie, piccole croci disposte ordinate nel prato all’inglese.

Scopriamo il Villaggio di Crespi d’Adda insieme a chi lo vive

Non soltanto la piacevole passeggiata della domenica ma dei meravigliosi tour originali a Crespi d’Adda.
Dalle percorsi guidati della domenica alle visite guidate in notturna con animazione teatrale… questo e molto altro per scoprire la storie e le storie di questo villaggio industriale dell’Ottocento.
A piedi o in bici, da soli o in compagnia della famiglia o degli amici, l’Associazione Crespi d’Adda accompagna il visitatore all’interno tra la storia del Villaggio Operaio di Crespi d’Adda.

Da diversi anni l’Associazione Crespi Cultura, realtà locale con sede nel Villaggio, indirizza lo sviluppo turistico verso un modello sostenibile e a valenza culturale: i depositari della storia locale, residenti e discendenti degli ex dipendenti del cotonificio, accompagnano i visitatori, in particolare scolaresche, alla scoperta di Crespi e delle sue chiavi di lettura. Essere abitanti e, allo stesso tempo, operatori culturali consente di raccogliere e fare propria la molteplicità di sguardi sul significato, sul valore e sulle opportunità del sito. Grazie soprattutto alle visite guidate il Villaggio è divenuto nell’immaginario un bene collettivo da conservare e valorizzare, luogo caro alla comunità locale ed a migliaia di visitatori.

 

Informazioni e prenotazioni visite guidate:

Associazione Crespi d’Adda www.crespidadda.it / info@crespidadda.it /
tel.0039 331 2935312

Associazione Crespi Cultura – www.villaggiocrespi.it / info@villaggiocrespi.it
tel: 0039 02 90987191

Hanno parlato del Villaggio Operaio di Crespi d’Adda – Sito Unesco:

UNESCO Chair Forum University and Heritage – Newsletter n. 99 clicca qui

Sito archeologico industriale: Villaggio Operaio di Crespi d’Adda
Settore industriale: Settore tessile
Luogo: Crespi d’Adda – frazione del comune di Capriate S. Gervasio – Bergamo – Lombardia
Proprietà/gestione: mausoleo, abitazioni, fabbrica e castello sono di proprietà privata (fabbrica e castello sono stati acquistati da Antonio Percassi, titolare dell’omonimo Gruppo Percassi) ; chiesa, ambulatorio medico e casa del prete sono di proprietà della parrocchia; scuole/asilo, teatro, strade, pineta e cimitero sono di proprietà del comune.
Testo a cura di: Introduzione “Crespi d’Adda: un luogo fuori dal tempo” a cura di Associazione Crespi d’Adda. Testo a seguire a cura di Associazione Crespi Cultura

 




A rischio il Follone di Pinerolo – Ex Merlettifico Turck – in Piemonte

A rischio il complesso del Follone di Pinerolo, in provincia di Torino. Situato in una porzione di territorio compresa tra il canale Moirano ed il torrente Lemina, a poche centinaia di metri dal centro della città, è un esempio di archeologia industriale.

L’edificio del Follone, antica fabbrica laniera, si affaccia sul Rio Moirano, da cui traeva la forza motrice, e si presenta come un grosso corpo di fabbrica di notevoli dimensioni (144 m. di lunghezza, 9,6 m. di larghezza e 16,3 di altezza); la facciata, in muratura di mattoni intonacata, è caratterizzata dalla ritmicità delle aperture che, ripetute per i quattro piani, segnano l’intero volume.
La fabbrica è sprovvista di qualsiasi elemento decorativo, e rispecchia la tipologia edilizia che si andava affermando alla fine del Seicento: edifici stretti e lunghi, le cui dimensioni erano dettate dal numero dei macchinari che vi venivano disposti. Nel cortile interno, capannoni e sheds, bassi magazzini, tettoie e una ciminiera; a est del fabbricato, l’edificio per gli uffici (caratterizzato da ingresso decorato da una lunetta a vetri cattedrali). A Pinerolo, la lavorazione della lana è l’attività economica più antica, risalente al XI secolo, ma fu a partire dal XV secolo che divenne un’attività prospera in città .

Ecco come il FAI definisce l’Ex Merlettificio Turck  su “I Luoghi del Cuore“:

Uno dei primissimi insediamenti industriali della città, sopravvissuto e rimaneggiato nei secoli, sorge sul sito dell’antico paratore comunale di epoca settecentesca e sull’antichissimo canale artificiale che attraversa la città (il Moirano) le cui sponde nel tempo hanno ospitato laboratori artigiani e mulini prima e industrie poi che ne sfruttavano l’energia idraulica. L’attuale edificio, oggi dismesso, risale al IX secolo e rimane una delle poche testimonianze del passato industriale della città.

Storia del Follone di Pinerolo – Ex Merlettificio Turck, parte del patrimonio industriale italiano

L’edificio denominato Follone venne progettato e costruito nel Quattrocento e posto lungo il rio Moirano, dove si trovavano gli antichi paratori di stoffe. La deliberazione per la costruzione del Follone venne firmata dal Comune di Pinerolo (proprietario del terreno) l’11 aprile 1440, ma l’edificio venne subito dato in concessione a mercanti, che ne ebbero l’affidamento fino al 1614, detenendo il monopolio dell’arte della lana in città.

Il Follone venne ampliato nel 1723 e in esso venne impiantata una fabbrica di falci, una di panni e rattine (panni di lana dalla superficie pelosa ed arricciata), ed infine una fabbrica di calze denominata San Manzo. Questo primo ampliamento consistette nella costruzione di un nuovo follone a fianco dell’antico paratore e permise la concentrazione di tutta la lavorazione della lana in un unico complesso.

Nel 1765 il Follone aveva alle dipendenze già trecento persone, ed il Re lo intitolò Lanificio di Pinerolo e lo pose sotto la sua regia protezione; ciò comportò svariati privilegi, che sommati all’atteggiamento favorevole della città, fecero decollare l’industria laniera rendendo necessaria una nuova espansione.
Il Comune espropriò alcuni edifici adiacenti e incaricò del progetto l’ing. Gerolamo Buniva ed il tecnico
meccanico Giacomo Marletto. Venne costruito un edificio a manica semplice a tre piani; il complesso aveva imponenti opere di presa che alimentavano cinque ruote idrauliche, tre delle quali destinate al nuovo follone, mentre le restanti due alla frisa.

Negli anni successivi la ditta Arduin, locataria, propose l’acquisto della fabbrica, ma il Comune decise che l’industria era troppo utile alla città per venderla, pertanto venne rinnovato il contratto d’affitto.

Durante il periodo Napoleonico la fabbrica raggiunse i 1500 dipendenti, ma dopo questo periodo di crescita esponenziale si arrivò alle prime crisi: il numero degli operai scese a 400, ma il Follone rimase una delle prime industrie del pinerolese.

Verso gli anni trenta dell’Ottocento vi fu un rinnovamento delle tecniche di produzione grazie all’introduzione di nuovi macchinari, che però necessitavano di spazi e quantità di energia idraulica adeguati. Pertanto, venne commissionato all’ing. Filippo Ghigliani un progetto d’innalzamento ed ampliamento del Follone, e la successiva installazione di una moderna turbina idraulica del tipo Fourneyron da 40 cavalli e dopo il 1938 si attrezzò un reparto di filatura a pettine, il primo di tutto lo Stato.

Nel 1820 vennero introdotte la pettinatura e la filatura con macchinari importati dall’Inghilterra, e nel 1829 le due famiglie a capo del Follone (Ditta Fratelli Arduin e Brun) furono premiate con una medaglia d’argento e nel 1832 e nel 1838 con l’oro. Inoltre, la ditta si prodigò per la crescita professionale dei suoi
dipendenti, istituendo corsi di chimica, meccanica e geometria.
Nel 1844 le famiglie ottennero un attestato di benemerenza pubblica per alcune loro iniziative, tra le
quali: ammodernamento nella tintura della lana, introduzione della pettinatura e della filatura secondo
l’uso inglese, filatura e tintura della lane da ricami che ridussero le importazioni da Francia e Russia.

A partire dal 1853 però l’azienda fu colpita da una grave crisi finanziaria che portò alla scissione della
società nel 1858; nel 1881 il fabbricato venne alienato dal municipio, e dal 1895 una parte della fabbrica fu
destinata alla lavorazione tessile, mentre la restante parte venne affittata alla Fabbrica di Pizzi e Merletti, sotto la direzione di Ugo Turck, primo ad introdurre in Italia la fabbricazione di pizzi a macchina.

Dal 1930, passata alla casa tedesca Henkels, la fabbrica venne denominata Merlettificio Turck e continuò la
sua attività fino agli anni settanta, negli anni ottanta i cortili della fabbrica ospitarono le autorimesse
dell’Acea.

A rischio il Follone di Pinerolo, uno degli esempi di archeologia industriale in Italia

Negli anni Settanta tutta l’area è stata acquistata dalla società Moirano, intenzionata a riqualificarne i siti: si prevedeva la demolizione completa o parziale delle preesistenze con costruzione di condomìni che arriverebbero fino al torrente Lemina, alti dai cinque ai sette piani; il progetto rimase in sospeso.

Domenica 13 ottobre 2013 l’ex merlettificio Turck viene devastato da un incendio, al seguito del quale il sindaco di Pinerolo Eugenio Buttiero ha firmato l’ordinanza per la messa in sicurezza della fabbrica e la sua prossima demolizione, primo passo che si concretizzerà poi con l’analisi del progetto presentato dai proprietari nei mesi scorsi e che prevede di realizzare qui un nuovo quartiere di Pinerolo.

Le norme del Piano Regolatore (sovradimensionate sotto il profilo quantitativo, 800 nuovi alloggi in una zona già congestionata dal traffico) omettono la valutazione del valore documentale e storico dell’ex Merlettificio che andrebbe, invece, valorizzato quale importante brano di archeologia industriale e quale ideale contenitore per numerose funzioni pubbliche e private, riuscendo a riproporlo come luogo da cui vengano nuove occasioni di sviluppo e crescita civile, come già evidenziarono i contributi resi dalla Soprintendenza e dalla Prof.ssa Chierici a supporto del Convegno sul Turck promosso da Italia Nostra nel 2010.

Hashtag di riferimento #saveindustrialheritage

Sito archeologico industriale: Il Follone
Settore industriale:Industria Tessile
Luogo: Pinerolo – Torino – Piemonte
Proprietà/gestione: Privati
Testo a cura di: Veronica Polia e-mail  veronica.polia@libero.it
Crediti fotografici:Emanuele Basile

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Il setificio Gütermann & C. in Piemonte

Il setificio Gütermann di Perosa Argentina,  in provincia di Torino, oggi parte del nostro patrimonio industriale, testimonia il contributo dell’imprenditorialità straniera al nostro territorio.

L’insediamento del setificio tedesco a Perosa Argentina risale al 1883 quando Max Gütermann, già fondatore nel 1864 a Vienna della fabbrica Gütermann & C. poi trasferitasi nel 1867 a Gutach, nel Baden, acquistò un primitivo impianto costruito nel 1870 dal francese Benedetto Bertholet, per la macerazione e la pettinatura dei cascami di seta greggia.

A dirigerlo fu Karl, poi Rudolf, aiutato per la parte tecnica dal nipote Arturo Gütermann e, nel 1925, da Willy, figlio di Rodolfo. Tra il 1895 e il 1949 la famiglia tedesca diede vita a numerosi interventi in favore della manodopera: case operaie, case per impiegati, convitto, asilo infantile, spaccio aziendale, colonia elioterapica e scuola elementare, secondo il modello della collaborazione tra capitale e lavoro. L’avvento delle fibre tessili sintetiche del decennio successivo porterà alla definitiva chiusura degli impianti nel 2001.

La primitiva struttura industriale, ancora oggi visibile sul terreno del torrente Chisone, è a più piani con un’ampia fronte parallela al fiume. Successivi ampliamenti portarono alla costruzione di altri corpi a quattro piani e tetti piani e alla costruzione del fabbricato a uso filatura (1906). Il nuovo edificio è a sei piani, collegato al primitivo corpo di fabbrica con un corridoio aereo che attraversa ancora oggi la carrozzabile. I muri a struttura portante sono in pietra e laterizio.

Al di là del fiume è il reparto della macerazione dei cascami (1910-11) con struttura a un solo piano a due falde.

Coeve agli edifici per le lavorazioni sono le abitazioni per la manodopera. Le prime, dette “case nuove”, nei pressi dello stabilimento, datano 1875. Si tratta di edifici a quattro piani con ballatoio esterno, struttura portante, tetto in legno con copertura a lose.

Nel 1895 si completò la costruzione di Villa Gütermann, dimora di Rodolfo e poi di Willy, edificio sobrio ma elegante con scenografico scalone centrale, decorazioni esterne in pietra di gusto neoclassico, bella pensilina in ferro lavorato, ampio parco, oggi sede della Comunità Montana. Degno di nota il corpo laterale alla villa, a uso serra (1900), in muratura portante, tetto in legno e copertura in ardesia “alla francese”, di chiara impronta nordica.

Tra il 1895 e il 1934 sono le palazzine operaie a quattro e cinque piani fuori terra, addossate le une alle altre, in muratura portante. Interessante per la posizione a gradoni sulla collina con terrazzi e tetti piani è la prima casa in via Roma, 63, del 1906, progettata dall’ing. Pietro Soldati. Sempre del Soldati sono un villino a uso della dirigenza, in v. Gütermann, a due piani e lambrequin in legno, e il Convitto con ringhiere in ghisa, montanti e mensole in pietra lavorata. Notevoli le palazzine impiegati (1910-1920) con decorazioni a piastrelle azzurre e motivi Liberty.

Più tarde le strutture dell’Asilo, dell’Ufficio Postale, del Dopolavoro e della Colonia Elioterapica.

 

Un Ecomuseo per valorizzare l’archeologia industriale di Perosa Argentina

Il 4 maggio 1996 nasce l’Associazione Ecomuseo delle attività industriali di Perosa Argentina e valli Chisone e Germanasca con l’obiettivo di realizzare, attraverso il coinvolgimento di Enti ed Istituzioni, la stesura e presentazione di un progetto in grado di attingere a finanziamenti provinciali, regionali e dell’Unione Europea, finalizzati al recupero di almeno una parte dell’ex Convitto Gütermann, all’allestimento del museo e di un percorso museale di archeologia industriale.

 Archeologia Industriale

Sito archeologico industriale: Il setificio Gütermann & C.
Settore industriale: Settore tessile
Luogo: Perosa Argentina – Torino – Piemonte
Proprietà/gestione: Provincia di Torino. Associazione Ecomuseo delle attività industriali di Perosa Argentina e Valli Chisone e Germanasca www.ecomuseoperosa.it
Testo a cura di: dott.sa Carla F. Gütermann . Crediti fotografici Gallery Associazione Ecomuseo delle attività industriali di Perosa Argentina e Valli Chisone e Germanasca




Libro: Leumann storia di un imprenditore e del suo villaggio modello

In “Leumann, storia di un imprenditore e del suo villaggio modello” Carla Federica Gütermann, non solo studiosa della materia ma diretta discendente dell’imprenditore Napoleone Leumann, ci porta per mano attraverso la storia e le vicende del Villaggio Leumann.

Presentazione del libro a cura del giornalista Andrea Sottero:

Leggere il frutto del lavoro di una lunga e dettagliata ricerca di tipo storico, sociale e, nel caso specifico, urbanistico ed architettonico, per quanto per fini prevalentemente divulgativi, è sempre curioso, perché, al di là dell’eleganza stilistica con cui il discorso si dipana tra le pagine, si finisce col percepire abbastanza chiaramente il livello di passione con cui l’autore ha condotto i suoi studi e le sue ricerche.

Sapere che l’autrice di “Leumann, storia di un imprenditore e del suo villaggio modello”, Carla Federica Gütermann, ha studiato le vicissitudini e le opere di un suo antenato e si è occupata, di conseguenza, di un pezzo di storia significativo della sua famiglia, potrebbe indurre a credere che il suo coinvolgimento emotivo si palesi da subito tra le righe del discorso. Invece, di fronte a queste aspettative, si rimane delusi perché la prima impressione è che il testo scorra come una sterile relazione degli studi fatti. Solo dopo qualche decina di pagine, quando ormai si intuisce un quadro più completo del tipo di lavoro svolto, si inizia ad avere la piacevole sensazione di trovarsi di fronte al racconto di chi ha avuto modo di conoscere fatti e aneddoti che vanno al di là di ciò che può essere trovato in documenti e annali dell’epoca; un racconto, per altro, arricchito da una miriade di informazioni più dettagliate, spesso anche di carattere tecnico, che, non solo non appesantiscono la narrazione, ma la rendono persino più viva e appetibile.

Il pregio dell’opera sono le notizie sui modelli urbanistici e industriali italiani ed europei che vengono via via descritti e comparati, in modo semplice, ma straordinariamente chiaro. Senza contare le informazioni sui piani regolatori e sullo sviluppo viario della città di Torino, che insieme alla spiegazione del funzionamento di un villaggio industriale satellite quale il Leumann, quasi piccolo centro urbano nella città, ci regalano un quadro dell’evoluzione urbanistica del capoluogo piemontese.

Il libro è integrato da una sezione curata dal fotografo torinese Renzo Miglio che raccoglie più di cento scatti. Questi mostrano a chi non conoscesse la realtà del sobborgo torinese lo splendore e l’originalità delle sue architetture e somministrano quella buona dose di curiosità che dovrebbe indurre i lettori più esigenti a sincerarsi di persona dello stato attuale delle villette e palazzine.

 

Libro: Leumannm storia di un imprenditore e del suo villaggio modello
Autore: dott.sa Carla Federica Gütermann guter@inwind.it
Casa Editrice: Daniela Piazza Editore www.danielapiazzaeditore.com
Anno di pubblicazione : 2006




Riapre il Civico Museo della Seta Abegg di Garlate

Il Civico Museo della Seta Abegg di Garlate, il primo museo di Archeologia Industriale dedicato al settore della seta, riapre sabato 30 novembre 2013 dopo una complessa opera di restituzione e recupero.

L’evento coincide coi 60 anni dell’istituzione. Realizzato per volontà della società svizzera Abegg, proprietaria dall’Ottocento dei Setifici Abegg, sull’idea di Carlo Job, loro direttore generale per l’Italia, di costituire un Museo Tecnico Scientifico con la storia dell’industria serica. Carlo Arter Abegg lo inaugurò il 28 novembre 1953 e lo donò successivamente al Comune di Garlate nel 1976.

Il museo, collocato nella filanda bicentenaria, si presenta oggi con ambienti e percorsi completamente rinnovati, con l’auspicio che diventi presto uno stimolante polo di attrazione culturale per visitatori di ogni provenienza.

Per visionare il programma dell’inaugurazione clicca qui

Per info:
Civico Museo della Seta Abegg di Garlate via Statale, 490 23852 Garlate, Lecco, Italia
tel +39 331 996 08 90, web site www.museosetagarlate.it, e-mail info@museosetagarlate.it

Archeologia Industriale




La città di Schio e il Lanificio Rossi in Veneto

La città di Schio, in provincia di Vicenza, è nota per essere divenuta intorno al 1870 la capitale dell’industria tessile nazionale, tanto da meritarsi l’appellativo di Manchester d’Italia.

Grazie alla dirompente personalità dell’imprenditore Alessandro Rossi, che ne costituì la civitas, ossia il modello socio-culturale imperniato su una sorta di capitalismo “paternalistico”, Schio divenne uno dei principali poli produttivi d’Europa.

Il centro abitato si venne organizzando, fin dall’epoca romana e soprattutto medievale, allo sbocco in pianura della pittoresca Val Leogra. La ricchezza d’acqua favorì attraverso il sistema delle canalizzazioni la nascita e lo sviluppo di molteplici attività produttive.

La pagina più gloriosa della rivoluzione industriale della città di Schio e del suo circondario, che già si era distinta nella produzione della seta, è, senza dubbio, segnata dalla vicenda del Lanificio Rossi, fondamentale non solo per la portata storica delle innovazioni introdotte nel tempo nelle tecnologie della lavorazione della lana ma anche nei moduli e stili costruttivi degli stabilimenti legati alle diverse fonti di energia, a partire dalla Francesco Rossi (1817-1849) fino alla Fabbrica Alta (1862), agli innovativi stabilimenti industriali di Pievebelvicino, Torrebelvicino e Piovene Rocchette (1869-1882), ai padiglioni in cemento armato del Novecento e all’organizzazione del lavoro e della società con le istituzioni operaie. Interprete per oltre quarant’anni del pensiero rossiano in termini urbanistico-architettonici è il vicentino Antonio Caregaro Negrin, esperto di architetture industriali, termali e di complessi paesaggistici.

Il Lanificio Rossi
L’avvio della grande impresa tessile si deve a Francesco Rossi (1782-1845), già procuratore di lane nell’Alto Vicentino. La sua lungimiranza nella direzione dell’opificio fu colta dal figlio Alessandro (1819-1898), che nel 1845 divenne direttore del Lanificio. Quando nel 1873 il Lanificio F. Rossi si trasformò in Società Anonima con capitali italiani e stranieri e sede a Milano, egli rimase comunque alla testa dell’azienda, coinvolgendo i figli Giuseppe, Giovanni, Gaetano e Francesco e, nel 1879, garantendo la continuità della presenza familiare nell’impresa con il sistema delle gerenze.

A testimoniare la magnificenza dell’azienda restano i due edifici maggiori, disposti a “elle” rispetto al vasto cortile interno, un tempo occupato dai numerosi reparti del Lanificio Rossi e oggi per lo più piazzale parcheggio in attesa di una nuova destinazione d’uso.

Lo stabilimento Francesco Rossi fu eretto da Alessandro in via Pasubio nel 1849 sulle strutture dell’originario impianto manifatturiero (1817), davanti al settecentesco Lanificio Tron-Rubini (demolito nel 1878). Sul fronte strada esibisce un’elegante facciata ispirata ai palazzi di città del neoclassicismo vicentino, dove domina la rigorosa simmetria delle parti, la chiarezza degli elementi architettonici, il simbolismo della decorazione plastica. Lo slancio verticale dell’edificio è sottolineato dai numerosi fori rettangolari graduati in altezza che segnano la scansione di quattro piani, già occupati dalle diverse fasi di lavorazione, quindi svuotati e adibiti a uffici, ora inutilizzati. Da notare sono il maestoso portale tuscanico fregiato dal nome del fondatore e dalla data di nascita dell’impresa “Francesco Rossi 1817”, le finestre del pianterreno contornate da bugne leggere e distanziate e, soprattutto, i rilievi inseriti nei parapetti delle aperture del primo piano che celebrano l’industria laniera. Realizzata dall’architetto Auguste Vivroux di Verviers in Belgio, viene così descritta dallo stesso Alessandro Rossi “«In nove mesi ho eretta una fabbrica di 80 metri di lunghezza sopra 13,90 di larghezza con 6 piani oltre il terreno, 125 colonne di ghisa, 330 finestre con tutte le comodità di acqua e di vapore per servizio e riscaldamento col vapore perduto.

Oltrepassato il breve portico d’ingresso, restaurato e rimodernato nel 1980, ci s’inoltra nell’ampio cortile dominato a Nord dal colossale volume della Fabbrica Alta (1862-63). La Fabbrica Alta conserva tuttora il suo eccezionale valore monumentale e il significato dirompente nel contesto urbano circostante. È uno dei simboli della città. In particolare spiccano la compatta stesura dell’enorme parete rossastra per la prevalenza del laterizio sul pietrame locale, le testate delle putrelle di ferro in forma di rosoni sfogliati, il diverso impiego del cotto nel contorno delle finestre rettangolari, nel motivo romboidale del fregio e nel fastigio della ciminiera, a sezione quadrata, con la data 1862, l’impiego della pietra nei davanzali e nei dentelli che reggono il cornicione. L’armonica combinazione dei materiali, la sobrietà e l’eleganza del linguaggio artistico indicano la mano esperta dell’esecutore, individuato in Antonio Caregaro Negrin (Vicenza 1821-1898), amico del collega belga e architetto di fiducia di Alessandro Rossi. Gli interni furono liberati dal relativo corredo di macchinari per adattarli agli usi amministrativi della Lanerossi, che nel 1966-67 aveva trasferito nella nuova zona industriale i reparti dell’intero ciclo produttivo. Solo il piano sottotetto conserva la primitiva struttura lignea. Le colonnine in ghisa delle lunghe sale sono state murate, le soffittature abbassate e le antiche pavimentazioni ricoperte.

Il Giardino Jacquard
Nel processo di rinnovamento e ampliamento del Lanificio Rossi rientra la realizzazione dell’annesso Giardino (1858-1878), detto poi Jacquard, pregevole brano di archeologia industriale oltre che splendida architettura di paesaggio, che si apre al lato opposto di via Pasubio, in corrispondenza del monumentale ingresso dell’opificio. Esso si sviluppa in un’area di circa 5000 mq., acquistata da Alessandro Rossi nell’arco di cinque anni (1852-1857) per collocarvi nuovi impianti industriali.

Il Teatro Jacquard
Il 2 ottobre 1869 viene inaugurato il Teatro Jacquard, progettato dall’architetto Antonio Caregaro Negrin capace di 800 posti. La facciata originaria del fabbricato era particolarmente elegante, tutta traforata da monofore, bifore, trifore e da sei ingressi ad arco, tra cui il grande portale centrale. In stile lombardesco è tuttora impreziosita dai dodici medaglioni in cotto, opera dello scultore milanese Giambattista Boni, che rappresentano illustri personaggi che hanno reso celebre la città di Schio. L’interno del teatro aveva la tipica forma a ferro di cavallo sottolineata dall’andamento della loggetta lignea poggiante su colonnine in ghisa, mentre il soffitto era a capriate. Decorazioni floreali incorniciavano il palcoscenico, dove si rappresentavano operette e melodrammi ispirati alla vita degli operai. Al pianterreno furono ricavati locali per il caffè e la biglietteria.

Il Nuovo Quartiere Operaio
Il Nuovo Quartiere Operaio, detto la “Nuova Schio”, anch’esso progettato dell’urbanista-architetto Antonio Caregaro Negrin, rappresenta il tentativo di concretizzare l’utopia di una “città ideale. La planimetria generale del 28 luglio 1872 configura una romantica “città giardino” con palesi riferimenti alle esperienze di Owen e alle città industriali belghe e francesi. Via via però che il progetto prendeva forma si andava perdendo l’originaria impostazione paesista per assumere sempre più la consolidata fisionomia a scacchiera dei villaggi industriali d’oltralpe. In esso i villini, destinati a dirigenti e tecnici, e le case operaie, la scuola comunale e l’asilo, la chiesa, il teatro ed altri servizi  di interesse pubblico oggi per lo più scomparsi o rimodernati per altre attività, pur rimanendone memoria nella documentazione storica come la Ghiacciai Comune, lo Stabilimento bagni, piscina e lavatoi pubblici

L’istruzione e gli edifici scolastici
Grande importanza nel programma sociale del Rossi assunse l’istruzione, fondamentale per la preparazione dei futuri artieri, ma anche dei capi tecnici e dei moderni agricoltori. Ne sono testimonianza gli edifici scolastici eretti non solo a Schio, ma anche nei quartieri industriali dei paesi limitrofi, nel Podere Modello di Santorso e a Vicenza.

Nel 1990 la Lanerossi è stata acquistata dal Gruppo Marzotto con tutti gli stabilimenti di Schio e di Piovene Rocchette, recentemente chiusi. Il complesso della “Francesco Rossi” con la Fabbrica Alta e il Giardino Jacquard, dopo varie vicissitudini, è ora proprietà del Comune di Schio.

Parallelamente alla vicenda tessile rossiana si ricordano le tappe più salienti della storia dei Lanifici Conte e Cazzola, soprattutto per lo spazio che ancora occupano con i loro diversi volumi architettonici, ora restaurati e riusati, nell’economia del tessuto urbano della città di Schio.

Alessandro Rossi e dei suoi figli, sono anche responsabili della promozione delle comunicazioni ferroviarie dell’Alto Vicentino per velocizzare il trasporto delle materie prime e dei prodotti dei vari stabilimenti tessili della Val Leogra e della Val d’Astico e quelli della Cartiera di Arsiero. Altre imprese rientrano nelle sfera rossiana, come la Fabbrica di Birra Summano (1873) di Rocchette, lungo la vecchia strada per Velo d’Astico, un tempo servita pure dalla linea ferroviaria Schio-Arsiero, e tuttora luogo di ristoro della popolazione locale e dei turisti.

Sito archeologico industriale: Città di Schio
Settore industriale: Industria tessile – Lanificio
Luogo: Schio – provincia di Vicenza – regione Veneto
Proprietà/gestione: Comune di Schio www.comune.schio.vi.it
Testo a cura di: Dott.sa Bernardetta Ricatti.
Testi tratti dal volume Schio. Archeologia Industriale di Dino Sassi e Bernardetta Ricatti edito da Sassi Editore Srl.




Il Villaggio Leumann in Piemonte

Il Villaggio Operaio Leumann è uno dei fiori all’occhiello dell’Archeologia Industriale in Italia. Situato in provincia di Torino è una delle poche edificazioni filantropiche volute da imprenditori illuminati a supporto della classe operaia. 

 

Il Villaggio Leumann di Collegno insieme al Cotonificio fu edificato tra il 1876 e il 1912 dall’imprenditore svizzero Napoleone Leumann per dare lavoro, sistemazione e servizi gratuiti alle maestranze qui impiegate che provenivano sia dalla precedente tessitura di Voghera, nell’Oltrepò pavese, sia dai comuni limitrofi a Collegno. Il complesso costruttivo, a pianta triangolare, è formato dal Cotonificio e da due comprensori laterali, per una superficie complessiva di 72.000 mq. Entrambi i comprensori sono attraversati da una via principale, che si stacca dallo stradale di Rivoli, penetra all’interno di ciascun area di costruzione e si conclude in una graziosa piazzetta. A far da cornice agli slarghi sono rispettivamente due edifici fulcro: il Convitto nel comprensorio est e la Chiesa di Sant’Elisabetta nel comprensorio ovest, edifici questi costruiti per essere punti di aggregazione a uso collettivo. Il progetto architettonico fu affidato in parte all’ing. Pietro Fenoglio, artefice delle più significative opere in stile liberty a Torino. Il luogo, a nord della città sabauda, fu scelto dalla famiglia svizzera per la presenza di corsi d’acqua, per la vicina ferrovia e per il costo relativamente basso dei terreni rispetto a quelli di Torino. Tale fu l’importanza del Cotonificio svizzero che, nel 1896, il Comune di Collegno intitolò la zona Borgata Leumann, frazione del Comune di Collegno.

Il Villaggio Leumann venne concepito per essere del tutto autonomo. Le villette per gli operai e gli impiegati sono costruite in laterizio con due piani fuori terra e orto-giardino, ispirate alla tradizione edilizia padana del tempo, miscelata, specie nei tagli volumetrici dei tetti, con imprestiti di derivazione svizzera, riferibili all’origine elvetica del committente. Accanto alle abitazioni una serie di strutture assistenziali gratuite supportate da iniziative assistenziali (cassa malattia, cassa nuziale, cassa pensioni, liquidazione) facilitavano la vita e il lavoro alla Borgata. Nel comprensorio est trovano spazio il Convitto per le Operaie (1890-1906), il Refettorio (1890-1909), poi trasferito nell’area dello stabilimento e ora non più visibile, l’edificio dei Bagni (1902), il Teatro (1890) e l’Albergo Il Persico (1891). Nel comprensorio ovest, l’Ufficio Postale (1911), la Scuola Materna (1900) la Scuola Elementare (1906), la Palestra (1906), la Chiesa di Santa Elisabetta (1907), il Circolo per gli Impiegati e uno Spaccio Alimentare. L’Asilo Nido (1890), un tempo ubicato all’interno dello stabilimento, fu poi trasferito in una graziosa palazzina accanto alla fabbrica, l’Ambulatorio medico (1891) era in prossimità dell’entrata all’opificio, mentre la stazionetta (1903) trova collocazione di fronte all’ingresso. L’entrata al Cotonificio è ancora oggi caratterizzata da due piccole costruzioni similari del 1880 in litocemento con decorazioni in legno munite di torrette angolari, loggia e balconi e poste l’una di fronte all’altra sul corso Francia. Qui l’architettura vernacolare svizzera diventa il modello di importazione per eccellenza: l’immagine idilliaca e pittorica degli chalet montani si traduce nell’uso smodato del legno e dei tetti cuspidati.

Il cotonificio ha continuato la propria attività produttiva fino al 1972 quando chiuse in parte i battenti (Tessitura) a seguito della grave crisi del settore tessile e definitivamente nel 2007 (Nobilitazione del tessuto e tintoria). Il Comune di Collegno, con l’intento di salvaguardare e valorizzare un patrimonio culturale, riuscì ad acquistare praticamente tutte le case del Villaggio.

Oggi il Villaggio è sotto la tutela della Soprintendenza dei Beni architettonici e paesaggistici del Piemonte.

 

Il Villaggio Leumann oggi

Il Villaggio Operaio Leumann è oggi un importante documento di carattere storico e architettonico, indiscutibilmente uno degli esempi più prestigiosi del patrimonio archeologico industriale italiano, che continua a vivere e fa parte della rete ecomuseale della provincia di Torino.

L’Ecomuseo copre tutta l’area del Villaggio Leumann. Sono stati recuperati o ristrutturati molti edifici: il Convitto, l’Albergo, l’Ufficio Postale, la Stazionetta e una parte del Cotonificio. Di recente sono stati rimessi a nuovo i lavatoi ed è stata allestita una segnaletica interna. E’ stata ristrutturata anche la Scuola che, oltre a continuare ad ospitare cinque classi di scuola elementare, è sede dell’Ecomuseo.

Le abitazioni sono ancora utilizzate come tali e gli edifici che ospitavano servizi hanno ancora una funzione pubblica. Il Convitto delle Operaie ospita la Biblioteca Civica, l’Albergo è sede di associazioni, la Stazionetta, ristrutturata nel 1998 su iniziativa dell’Associazione Amici della Scuola Leumann,  ha svolto fino a fine 2012 un servizio di informazioni culturali, sociali e turistiche, il locale dei Bagni ospita il Centro Anziani. L’Ufficio Postale, la Scuola e la Chiesa mantengono invece la funzione originaria. A breve verrà allestito il Centro di Documentazione della Storia del Villaggio Leumann e un Laboratorio di Storia per le scuole.

Un ulteriore passo è stato fatto con l’allestimento realizzato dall’Arch. Alessandro Mazzotta e con gli arredi forniti dai soci dell’Associazione suddetta, della Casa-Museo nei locali messi a disposizione dal comune di Collegno. Si tratta di un “progetto pilota” e della prima esperienza di questo genere in un villaggio operaio.

L’Associazione Amici della Scuola Leumann

A prendersi cura della valorizzazione e della promozione del Villaggio Operaio Leumann attraverso l’organizzazione di visite guidate, attività culturali di vario genere, iniziative di ristrutturazione ed altro,  è l’Associazione Amici della Scuola Leumann.

Informazioni e prenotazioni visite guidate: Associazione Amici della Scuola Leumann
Corso Francia 345 – 10093 Collegno – Tel. 011 4159543 – 349 7835948
e-mail: info@villaggioleumann.it – sito web: www.villaggioleumann.it

 

Sito archeologico industriale: Villaggio Operaio Leumann
Settore industriale: Industria tessile – Cotonificio
Luogo: Collegno – provincia di Torino – regione Piemonte
Proprietà/gestione: Comune di Collegno www.comune.collegno.gov.it
Testo a cura di: dott.sa Carla F. Gütermann per la parte storica; Rosalbina Miglietti Presidente dell’Associazione Amici della Scuola Leumann .

Archeologia Industriale