Un Secolo di Luce nel Circondario di Vallo della Lucania

“Un Secolo di Luce nel Circondario di Vallo della Lucania. La Società Idro-Elettrica Lucana: l’impianto idroelettrico sul fiume Calore a Felitto e la tramvia di Vallo della Lucania” è il libro di Costabile Cerone che narra di un patrimonio industriale unico.

Il 1913 è l’anno in cui nel territorio del salernitano appaiono le prime imprese di produzione e distribuzione di energia elettrica e in molti paesi del Circondario di Vallo della Lucania e della Valle del Calore iniziano ad accendersi le prime lampade a incandescenza per l’illuminazione pubblica. È il punto di svolta verso un lento ma inevitabile progresso tecnologico.

Un Secolo di Luce, è il risultato di un lungo lavoro di studio e ricerca svolto per celebrare il centenario dell’arrivo dell’energia elettrica nel Cilento. Il libro racconta la storia di un’importante società elettrica costituita a Vallo della Lucania il 1910, la Società Idro-Elettrica Lucana, che nel 1913 diede inizio ai lavori di realizzazione di una centrale idroelettrica alimentata dal fiume Calore nel territorio comunale di Felitto (ad oggi di proprietà dell’ENEL), con la distribuzione di energia in moltissimi paesi del Circondario, da Felitto a Vallo della Lucania, attraversando i comuni di Campora, Cannalonga, Ceraso, Laurino, Magliano, Moio della Civitella, Novi Velia, Stio e tanti altri.

Il 1913 è anche l’anno di costituzione di un’altra società concorrente, la Società Anonima Lucana d’Industrie Elettriche, che raggruppava piccole aziende locali di produzione e distribuzione sui territori di Agropoli, Aquara, Capaccio, Castel San Lorenzo e Roccadaspide, portando per la prima volta l’elettricità a Vallo della Lucania con una piccola officina di produzione termoelettrica a carbone.

Il libro, oltre a dare un quadro storico del settore della produzione di energia elettrica a partire dalla fine dell’Ottocento, illustra le vicende legate al territorio e dei personaggi e società collegate a questo settore, come in particolare la Società Meridionale di Elettricità, in un taglio completamente inedito e accattivante, descrivendo luoghi, paesaggi e impianti.

Costabile Cerone, l’autore

Costabile Cerone, architetto, si interessa di ricerca e studio dei beni appartenenti al patrimonio di archeologia industriale, tra i quali le centrali idroelettriche dismesse per le quali certa di individuare possibili progetti di riattivazione e riutilizzo a scopo di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile e di valorizzazione degli ambienti di elevato valore naturalistico del paesaggistico in cui spesso sono inserite.

Ha scritto saggi sugli argomenti e numerosi articoli su riviste locali sui temi dell’ambiente, del paesaggio e dell’architettura. Tra i progetti recenti: Il ritorno di un paesaggio al vento; Recupero del mulino a vento di Montecorice; Riattivazione ex centrali idroelettriche in località Molino di Mare e Sorgenti di Capodifiume nel comune di Capaccio.

In corso di realizzazione: Restauro della vecchia fornace di Agropoli per un museo di archeologia industriale.

Titolo: Un Secolo di Luce nel Circondario di Vallo della Lucania
Autore: Architetto Costabile Cerone
Casa Editrice: [S. l. : s. n.], 2013 (Ogliastro Cilento : Centro Grafico Meridionale)
ISBN:978-88-909467-0-7
Lingua:Italiano




Nasce lo Spazio Amideria per conservare e promuovere la storia della ex Amideria Chiozza di Ruda

La ex Amideria Chiozza di Ruda, sito di archeologia industriale, trova nella comunità locale la forza per tramandare la sua storia. Nasce così lo Spazio Amideria fortemente voluto da chi ha compreso il valore del nostro patrimonio industriale.

La Storia dell’Amideria Chiozza

Nel 1865 Luigi Chiozza avvia in località La Fredda di Perteole nel comune di Ruda (Udine) una piccola attività per l’estrazione dell’amido dal mais, denominata “Industria La Fredda”, dal nome della roggia su cui insisteva il vecchio mulino che verrà utilizzato come forza motrice.

Inizialmente si configurava come un laboratorio dove avveniva sia la ricerca che la produzione. In seguito decise di ampliare l’attività grazie ad un nuovo metodo brevettato da Chiozza per l’estrazione dell’amido dal riso, che garantiva non solo una maggiore resa, ma soprattutto una maggiore qualità del prodotto in termini di purezza e candore.

Nel 1902, con l’entrata in società della “Prima pilatura triestina di riso, società anonima ad azioni”, il complesso viene ampliato raggiungendo la superficie attuale di oltre 10.000 mq coperti, l’intera organizzazione produttiva rinnovata, vengono introdotti nuovi macchinari assumendo l’aspetto che ancor oggi possiamo osservare e garantendo l’occupazione ad oltre 100 lavoratori in un area rurale della Bassa Friulana caratterizzata da una economia Agricola estremamente povera.

L’amido veniva utilizzato nelle confezioni di panni e tessuti per renderli rigidi (colli, pizzi…), ma gli impieghi divengono ben presto molteplici: nelle tessiture di lino e cotone, nelle tintorie e stamperie, nelle cartiere, nella concia dei pellami, nell’industria farmaceutica come eccipiente per pastiglie, nei cosmetici, nelle colle e adesivi, nei leganti per fonderia, nell’industria alimentare.

Il processo di lavorazione messo a punto da Luigi Chiozza per l’estrazione dell’amido, è rimasto inalterato per l’intero arco di attività dell’amideria, oltre un secolo, a testimonianza della sua assoluta validità. Negli anni ’50 inizia la crisi del settore a causa dell’avvento dell’amido sintetico e della sempre maggiore diffusione delle fibre tessili artificiali. Nel 1986 vi erano impiegate 24 persone, di cui 3 nell’amministrazione e 15 nella produzione.

Nel 1991 il Comune di Ruda acquista il complesso produttivo per garantire la tutela di una delle più significative testimonianze legate alla storia dell’industria presenti sul territorio, la prima fabbrica sorta nella Bassa friulana .

 

Guarda il video dell’Amideria Chiozza di Ruda

L’Associazione Amideria Chiozza e lo Spazio Amideria

Nel territorio del Comune di Ruda e nella sua Comunità è profondamente sentita la presenza dell’eredità industriale dell’ Amideria Chiozza, non come un “ reperto archeologico “ da studiare , ma come un’eredità viva. Per questo è nata, nel febbraio 2014, l’Associazione Amideria Chiozza che conta oggi oltre 40 soci: il Comune di Ruda, abitanti di Ruda, ex lavoratori, studiosi; tutti uniti dalla “passione” e dalla “volontà di fare“. Obiettivo dell’Associazione Amideria Chiozza è far rivivere e mantener in vita l’Amideria Chiozza cercando di trasferire non solo le emozioni di chi ha partecipato a questa storia ma la cultura del lavoro.

Il primo progetto che l’Associazione Amideria Chiozza si è prefissata di concretizzare è stato l’apertura dello Spazio Amideria. Lo Spazio Amideria, realizzato grazie all’Amministrazione Comunale di Ruda che ha messo a disposizione gli spazi, ma sopratutto grazie al lavoro dei suoi soci, è un “contenitore aperto al pubblico”, un sistema polifunzionale dove trovano collocazione: il Centro Studi Amideria Chiozza (CSAC), nato in collaborazione con l’Università di Udine, Dipartimento di Storia e Tutela dei Beni Culturali; il Museo Storico, primo nucleo museale che presenta e descrive la storia della fabbrica con video, immagini e testi; l’Archivio dell’Amideria Chiozza, l’archivio della fabbrica che contiene tutta la sua storia dal 1927 al 1976; la Sala Consultazione ed una Sala Conferenze.

Progetto altrettanto ambizioso, per il quale però non sono sufficienti gli sforzi ed i modesti fondi dell’associazione è “Riaccendiamo la macchina a vapore”. Nel 2015 ricorre infatti il 150° anniversario della fondazione della fabbrica, in quest’occasione un atto significativo sarebbe poter aprire parte dell’opificio, ad oggi ancora chiuso per motivi di sicurezza, e rimettere in moto la macchina a vapore, un esemplare unico in Europa ancora nella sua sede dove, dal 1902 alla fine degli anni 80, produceva l’energia che faceva funzionare l’intera fabbrica.

L’evento: Inaugurazione dello Spazio Amideria

Sabato 11 aprile, alle ore 15:00, sarà inaugurato a Saciletto di Ruda lo Spazio Amideria, ovvero un locale, messo a disposizione dall’Amministrazione comunale, nel quale l’associazione che porta il nome della storica fabbrica di amido da riso potrà svolgere e far svolgere tutte le attività connesse alla conoscenza e poi al rilancio del sito produttivo della Fredda. All’inaugurazione, fra gli altri, interverrà il Presidente della regione Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani, che, da sempre impegnata sul sito dell’Amideria Chiozza, non ha voluto far mancare il suo appoggio in primis all’amministrazione comunale e in secondo luogo all’associazione, costituitasi un anno fa, entrambe impegnate nel difficile compito di tramandare la memoria ma anche di rilanciare un luogo che altrimenti rischia l’oblio perenne.

Per maggiori informazioni visitate il sito www.amideriachiozza.it

Evento: Inaugurazione Spazio Amideria
Genere: Inaugurazione di Associazione e della sua sede
Dove e Quando : Sabato 11 aprile, alle ore 15:00 Salacinetto di Ruda – Udine
Contatti: www.amideriachiozza.it
Presentazione a cura di: Associazione Amideria Chiozza
Crediti Fotografici: ph Elido Turco + Associazione Amideria Chiozza




Monografia Aziendale: strumento di comunicazione istituzionale

Esiste un’associazione culturale che si chiama Osservatorio Monografie Istituzionali d’Impresa (OMI).
Il suo primo obiettivo è “diffondere la conoscenza e la cultura della comunicazione d’Impresa attraverso la valorizzazione dello strumento della Monografia Istituzionale”.

 

“Promuovere e divulgare i valori umani, tecnologici, storici e scientifici delle aziende, al fine di determinarne una positiva Reputazione Aziendale” che è appunto ciò in cui è impegnato l’Osservatorio Monografie Istituzionali d’Impresa, non solo attraverso lo strumento della Monografia Aziendale, ma anche attraverso strumenti come l’HeritageMarketing, le tecniche dello Storytelling e la narrazione audiovisiva, incontrano l’archeologia industriale nel momento in cui ha oggetto le aziende storiche, che per una lontana data di fondazione o per aver inciso particolarmente sul territorio possono essere definite come veri e propri “Monumenti del lavoro”.

Organizzare, editare e promuovere il patrimonio materiale ed immateriale di un’azienda non solo consente di preservarne la storia, ma restituisce alla comunità uno strumento per la diffusione della cultura d’impresa.

Incontriamo il prof. Mario Magagnino – docente di Comunicazione d’Impresa all’Università di Verona e allo Iusve – Istituto Salesiano Universitario di Venezia, nonché presidente dell’Osservatorio Monografie Istituzionali d’Impresa per approfondire l’argomento.

D: Quando e come è nata l’idea di creare un Osservatorio dedicato alle Monografie Istituzionali d’Impresa?
R: L’ interesse personale per questo strumento della Comunicazione d’Impresa è datato nel tempo; il progetto ha inizio nel 2006 con la creazione del DMI-VR (Deposito Monografie Istituzionali d’Impresa di Verona) presso l’Università di Verona e la realizzazione di alcune tesi di laurea su specifici settori merceologici con lo scopo di conoscere l’utilizzo della monografia aziendale presso le aziende veronesi.
Nel 2010, dopo l’uscita del libro “Monografia Istituzionale d’Impresa, realizzato con Lorena Foroni, ho avviato dei contatti per coinvolgere altri soggetti al mio progetto. Bisogna attendere il 2012 e il coinvolgimento di Tiziana Sartori e Stefano Russo, professionisti nel campo della comunicazione perché si possa avviare l’attuale Osservatorio e – successivamente – la disponibilità di Maurizio Molina Dorettore di Cartiere del Garda che sponsorizzandoci, ci consente la realizzazione della prima edizione del Premio. Mi preme fare questi nomi per condivisione, ma soprattutto perché sono amanti e conoscitori dello strumento Monografia aziendale.

D: Quali sono le figure che collaborano all’interno dell’Osservatorio Monografie Istituzionali d’Impresa?
R: Le figure che sostanzialmente collaborano con l’Osservatorio sono, come appena detto, Tiziana Sartori e Stefano Russo. inoltre l’Osservatorio si avvale dell’opera di alcuni studenti che svolgono un periodo di stage e del sostegno di alcune aziende .
E’ opportuno che si sappia che OMI non riceve alcun finanziamento pubblico.

D: Ci può dare una definizione di Monografia Istituzionale d’Impresa?
R: Partendo dalla mia esperienza e conoscenza di questo strumento mi sento di affermare che la Monografia Istituzionale d’Impresa è il racconto del vissuto di tutti gli attori dell’Azienda dal momento in cui essa si istituzionalizza collocandosi nell’organismo sociale. Esso si traduce in un documento, di solito in forma di libro, detto appunto Monografia Istituzionale d’Impresa, strumento importante per la validazione della storia e della reputazione dell’Azienda nell’ambito della propria Comunicazione d’Impresa.

D: Quali sono i servizi che offrite alle aziende che hanno già realizzato la propria Monografia d’Impresa ed a quelle che intendono farlo?
R: Alle aziende che hanno realizzato nel corso della loro vita una o più monografie offriamo la possibilità di far parte dell’Archivio di OMI veicolando visibilità alla loro opera e lo stesso servizio viene offerto anche a chi partecipa al Premio, rivitalizzando e promuovendo le opere da esse realizzate negli ultimi cinque anni.
Le aziende che intendono realizzarne una propria possono trovare nel nostro Archivio, situato attualmente presso l’Università di Verona, spunti attraverso una consultazione effettuabile per appuntamento. Possiamo, inoltre, fornire consulenze strategiche per il miglior approccio alla produzione dell’opera.

D: Ci può indicare alcune aziende che hanno già aderito al progetto?
R: Nel nostro archivio sono raccolte oltre 800 monografie, la maggior parte delle quali ci è pervenuta direttamente dalle aziende, o dagli artworker che le hanno progettate, che con il conferimento abbracciano di fatto la nostra mission.
Se poi vuole intendere quante aziende ci supportano economicamente allo stato attuale i nostri soci sostenitori sono: Ballarini Spa e Geico Taikisha Spa; mi auguro che nel corso di quest’anno altre aziende possano seguire il loro esempio.

D: Quest’anno il Premio OMI ha concluso la sua II edizione, ci può raccontare di cosa si tratta, chi ha partecipato e magari vinto e perché concorrere al Premio OMI è un’occasione importante per le imprese?
R: Aggiungo stiamo lavorando già alla realizzazione della terza edizione.
Alla seconda edizione hanno partecipato alla selezione ben 62 opere, presentate da 48 imprese e 14 agenzie di comunicazione. Tra le aziende che sono state premiate il 24 febbraio scorso presso l’Aula Magna dell’Università di Verona, oltre la vincitrice, Fedrigoni Spa per la monografia delle Cartiere di Fabriano, vi sono anche Lorenzo Marini Group, Antica Dolceria Bonajuto, Sicily by Car, Bedeschi, Baseggio Pubblicità per Colomberotto, Kartell e Edison.
L’elenco completo dei partecipanti è visibile nel nostro sito. Anche per chi non ha vinto, dai feed-back ricevuti dalle due edizioni, possiamo affermare che per alcune aziende l’aver preso parte alla competizione è stato vissuto come accrescimento e rafforzamento della propria reputazione aziendale. Su numerosi siti dei nostri partecipanti abbiamo vista divulgata la notizia della loro partecipazione al Premio, tant’è che abbiamo deciso di favorire questo aspetto creando ed offrendo loro il logo specifico di partecipazione.
Un aspetto del nostro Premio che reputo interessante è la creazione di due giurie: la juniores composta da studenti universitari dei corsi di Scienze della Comunicazione e non solo, e la Seniores composta da rappresentanti del mondo della comunicazione, dell’impresa e di quello accademico. In quest’ultimo ambito – nella seconda edizione – abbiamo avuto con noi tra gli altri anche l’inglese Jonathan Morris, dell’ University of Hertfordshire, esperto e conoscitore dello strumento Monografia.
Un ultimo dettaglio: in questa seconda edizione ai vincitori, oltre ad una splendida penna offerta da Montegrappa, è stato consegnato un trofeo creato nell’ambito di un contest che l’Università Iusve ha promosso insieme ad OMI e che ha coinvolto gli studenti del corso 3D.
Per la terza edizione del Premio ci auguriamo di trovare un’azienda sponsor interessata a dare spessore alla propria comunicazione istituzionale.

Video – Il 24 febbraio 2015 Consegna riconoscimenti Premio OMI 2014

D: Proprio sul saper raccontare un’impresa il 22 e 23 maggio si terrà il Workshop Comunicare l’identità aziendale, tra storytelling e post comunicazione da voi organizzato, ce ne vuole parlare?
R: Il workshop ha lo scopo di fornire delle guide per l’identificazione e focalizzazione dei valori dell’Azienda e per la loro corretta narrazione in funzione alla mission aziendale oltre che su come affrontare le criticità – preesistenti o nate lungo il percorso – nella comunicazione con i propri pubblici.
È un’iniziativa formativa volta a contribuire all’acculturamento di chi è interessato all’argomento dell’Identità aziendale, offrendo relatori di consolidata esperienza. Allo stato attuale i risultati relativi alla partecipazione sono decisamente buoni.

D: Quali sviluppi futuri prevede per l’Osservatorio Monografie Istituzionali d’Impresa?
R: Gli sviluppi futuri dell’Osservatorio sono legati allo sviluppo della conoscenza di questo strumento. Dal mio punto di vista davanti a noi si apre una prateria, e prefiguro la collaborazione tra molteplici soggetti che operano nell’area della comunicazione istituzionale. Un caso pratico è questa intervista per Archeologiaindustriale.net che ha molti punti di contatto con noi. Pensi che al Premio ha partecipato un’opera relativa ad un’azienda recentemente scomparsa e che, nel nostro archivio, disponiamo di Monografie di aziende che attualmente non sono più attive.
L’area degli strumenti della comunicazione istituzionale d’impresa abbraccia tra gli altri i musei d’impresa e la già citata archeologia industriale, fenomeni questi legati alla fisicità (corporate architecture), affini quindi alla tangibilità cartacea offerta da una Monografia aziendale.

Iscrizioni aperte Workdshop OMI Comunicare la Identità Aziendale 2015

12 Aprile 2015 – Chiusura preiscrizioni al
 Workshop Comunicare l’identità aziendale




Nasce il MUDEC – Museo delle Culture – nella Ex Ansaldo a Milano

Nell’anno di Expo 2015, inaugura a Milano il MUDEC – Museo delle Culture – all’interno del complesso di archeologia industriale della Ex Ansaldo, uno spazio per incontrare ed esplorare le culture di tutti i paesi del mondo.

 

Con questo nuovo spazio l’area della Ex Ansaldo, e tutta l’area di via Tortona, continua la sua mutazione da zona industriale a polo culturale e d’intrattenimento creativo. Il complesso industriale, che si estende per 70.000, risale al 1904, con l’impresa Zust, poi la AEG, poi la Galileo Ferraris. Negli anni Sessanta viene adibito alla produzione di locomotive, carrozze ferroviarie e tramviarie e negli anni Novanta il Comune di Milano lo acquista con l’obiettivo di convertirlo in area per la promozione e diffusione di attività culturali, un processo tutt’oggi in corso, che trova una delle sue manifestazioni proprio nella creazione del MUDEC

Realizzato dall’archistar David A. Chipperfield, vincitore del bando indetto dal Comune di Milano nel 1999 per la progettazione del primo lotto della futura Città delle Culture, il Museo delle Culture offre al visitatore e alla città una molteplicità di proposte culturali e di servizi, distribuiti su 17.000mq: sale della collezione museale e delle esposizioni temporanee, auditorium; Mudec Bistrot, Mudec Design Store, ristorante Mudec Club; aule didattiche, Mudec Junior e parcheggio.

Anche la gestione del MUDEC è innovativa: è, infatti, il primo museo italiano con una governance in partnership tra pubblico e privato. Il Comune di Milano ricopre la direzione scientifica del patrimonio, la sua valorizzazione e il coordinamento dell’attività del Forum Città Mondo. 24 ORE Cultura – Gruppo 24 Ore è responsabile della programmazione e realizzazione delle grandi mostre di respiro internazionale e della gestione dei servizi aggiuntivi del MUDEC nelle diverse anime che lo compongono.

Venerdì 27 marzo il Museo delle Culture apre i suoi spazi al pubblico con due mostre di ampio respiro: “Mondi a Milano” e “Africa. La terra degli spiriti

Mondi a Milano” è l’omaggio che il Comune di Milano rivolge a Expo 2015 e illustra come la città abbia accolto e divulgato al grande pubblico le diverse culture non europee nel corso dei suoi più rilevanti eventi espositivi.

Africa. La terra degli spiriti” è una mostra monumentale dedicata all’arte africana dal Medioevo a oggi. Con oltre 200 pezzi viene proposto un percorso che affianca capolavori celebri alla cultura occidentale per il loro valore estetico a opere della tradizione culturale e religiosa del continente africano, spiegandone la simbologia e l’importanza nella vita quotidiana delle popolazione dell’Africa nera.

La collezione permanente, ovvero le collezioni etnografiche del Comune di Milano, che al momento è visibile all’interno del depositi tramite visite guidate, sarà allestita nelle sale del museo al termine di Expo Milano 2015.

Negli spazi adiacenti al MUDEC avrà infine sede la Mudec Academy che offrirà Master Full Time e Part Time a moduli, laboratori interattivi, corsi serali ed Eventi, con particolare riferimento ai settori delle eccellenza del Made in Italy quali Arte & Turismo, Design, Digital, Food & Wine e Fashion.

Informazioni
MUDEC – Museo delle culture
Milano – via Tortona 56 Infoline: 02.54917 www.mudec.it
Orari di visita delle mostre temporanee e della collezione permanente:
LUN 14.30-19.30 | MAR, MER, VEN, DOM 9.30-19.30 | GIO, SAB 9.30-22.30

Evento: Inaugurazione MUDEC – Museo delle Culture
Genere: Inaugurazione spazio museale
Dove e Quando : 27 marzo 2015 MUDEC – Museo delle culture Milano – via Tortona 56
Contatti: MUDEC Infoline: +39 02 54917 www.mudec.it
Presentazione a cura di: Ufficio Stampa 24 ORE Cultura – Gruppo 24 Ore




“Ferrania: dalla polvere da sparo alla fotografia” – Giornate FAI di Primavera 2015

Il FAI, delegazione di Savona, per le Giornate FAI di Primavera, invita a visitare la Ex Ferrania e assistere alla proiezione: “Ferrania: dalla polvere da sparo alla fotografia” Tracce di archeologia industriale tra fabbrica e villaggio operaio.

Sabato 21 e domenica 22 marzo, il FAI – Fondo Ambiente Italiano – organizza le Giornate FAI di Primavera 2015, l’evento che, giunto alla sua 23ᵃ edizione, ha coinvolto sino ad oggi oltre 7.800.000 amanti dell’arte, della cultura e del bello.

Un evento nazionale per scoprire luoghi solitamente non accessibili ed acquisire consapevolezza del nostro patrimonio culturale: oltre 780 i luoghi aperti con visite a contributo libero in 340 località in tutte le Regioni grazie all’impegno e all’entusiasmo delle delegazioni e dei volontari FAI.

La Ex Ferrania Spa – ora Ferrania Technologies Spa

In occasione delle Giornate FAI di Primavera 2015, la delegazione FAI di Savona presenta Dal Medioevo alla Modernità: uno sguardo sulla Val Bormida, un programma per scoprire tesori nascosti del passato e importanti testimonianza imprenditoriali.

Tra i luoghi da visitare, in esclusiva per i già associati FAI o per chi si iscrive in loco, la Ex Fabbrica Ferrania Spa, aperta sabato 21, dalle ore 10.00 alle ore 12.00 (visite guidate a cura degli Apprendisti Ciceroni®: ITC “Boselli” di Savona; Istituto Superiore di Cairo Montenotte)

I visitatori contemporaneamente avranno modo di assistere alla videoproiezione del progetto fotografico a cura di Lidia Giusto, dal titolo: “Ferrania: dalla polvere da sparo alla fotografia” Tracce di archeologia industriale tra fabbrica e villaggio operaio.

Lidia Giusto (1984) artista, fotografa utilizzando come mezzo di espressione un obiettivo, puntato sui chiaro scuri, sui pieni e sui vuoti, sulle forme e sugli spazi.
Dice di sé: “La macchina fotografica è il prolungamento della mia mente, l’estensione del pensiero e dell’interiorità, che passando attraverso un obiettivo diventa inquadratura ed immagine”.
Inizia a fotografare da adolescente, lavorando sul tema degli abbandoni industriali e civili da oltre dieci anni. Predilige la fotografia analogica e la stampa autonoma in bianco e nero. Ha partecipato ed esposto a numerose mostre e concorsi, personali e collettive, in Italia e all’estero.

Ferrania e la sua storia

Le origini della Ferrania risalgono al 1882, quando venne impiantata una fabbrica di dinamite a Cengio, in Liguria, con il nome SIPE (Società Italiana Prodotti Esplodenti). La prima guerra mondiale comportò un ampliamento dell’impianto, e la nascita di una nuova fabbrica a Ferrania.

Verso la fine del conflitto fu avviato un piano di riconversione industriale, e venne costituita la Società per azioni FILM (Fabbrica Italiana Lamine Milano), per la produzione di pellicola cinematografica, consociata con la Pathé Frères di Vincennes, la maggiore fabbrica francese di materiale sensibile, fondando, nel 1923, quella che poi sarebbe diventata la Ferrania.

Nel 1932 nacque la Film Cappelli–Ferrania, con l’assorbimento da parte della FILM della milanese Cappelli, produttrice di lastre fotografiche in vetro. Successivamente fu assorbita anche la Tensi, l’altra importante fabbrica milanese di prodotti fotografici. Nel 1938 la ragione sociale venne modificata, diventando “Ferrania”.
L’azienda produsse, accanto ai materiali fotosensibili, anche macchine fotografiche; alcune, come la Condor I, erano dotate di ottima qualità ottica e meccanica.

La compagnia fu acquistata nel 1964 dall’azienda statunitense 3M, divenendo “Ferrania 3M”. In seguito la 3M formò una società sussidiaria mediante il trasferimento di parte delle attività della Ferrania. La nuova divisione fu chiamata Imation. Poi la ditta venne acquistata dalla Schroder Ventures nel 1999. Attualmente è di proprietà del Gruppo Messina di Genova.

L’azienda produsse pellicole fotografiche nei formati 135 e APS col marchio Solaris. Ferrania rimase l’unico produttore delle pellicole nel formato 126 “Instamatic”, dopo che Kodak ne aveva cessato la produzione nel 1999, ma all’inizio del 2007 a sua volta smise di produrlo. L’azienda commercializzò inoltre componenti per stampa a getto d’inchiostro, pellicole per raggi X (produzione dismessa durante il 2008), fotocamere digitali, materiali per arti grafiche, plastiche speciali, software per ospedali (produzione venduta al gruppo NoemaLife di Bologna nel 2008).

La produzione di pellicole per uso fotografico è terminata nel 2009.

Nel 2013 una nuova azienda, denominata “FILM Ferrania” ha acquistato la linea produttiva delle pellicole fotografiche, che include anche parte degli ultimi macchinari in uso e degli edifici industriali, prevedendo un inizio di nuova produzione dal 2016.

Evento: Ferrania – visita guidata e videoproiezione “Ferrania: dalla polvere da sparo alla fotografia”
Genere: visita guidata e proiezione fotografica – Le Giornate FAI di Primavera 2015
Dove e Quando : ex Stabilimento Ferrania Spa – Ferrania Viale della Libertà, 57. Sabato 21 marzo dalle ore 10.00 alle ore 12.00
Contatti: Giornate FAI di Primavera 2015 www.giornatefai.it
Presentazione a cura di: FAI delegazione di Savona. Per la parte storica si ringrazia Lidia Giusto lidia.giusto@libero.it




La fabbrica Fernet Branca e la Collezione Branca

La Fernet Branca, un’azienda tutta italiana con 170 anni di storia,  racconta di una capacità imprenditoriale fortemente legata alle proprie tradizioni, ma sempre protesa al futuro.

Novare serbando” è il motto dell’azienda che affonda le sue origini nel lontano 1845, quando Bernardino Branca, speziale di professione, con l’aiuto di un medico (tradizione vuole che fosse svedese e di cognome facesse Fernet) mette appunto un preparato per la cura del colera e della malaria.
Ben 27 elementi tra erbe, spezie e radici compongono la bevanda, delle quali però restano segrete le modalità, i tempi e le temperature di estrazione delle essenze; ancora oggi 5 delle 27 spezie vengono pesate e miscelate direttamente da un membro della famiglia Branca, che svolge l’operazione da solo, a porte chiuse. Gli ottimi risultati ottenuti sono la motivazione grazie alla quale cinque anni dopo, nel 1850, viene fondato il primo stabilimento Fernet Branca in Viale di Porta Nuova.

L’attività va a gonfie vele già dagli esordi, questo però costringe a cambiare stabilimento per uno più grande. Nel 1910 la Fernet Branca si trasferisce nella sede di Via Resegone 2 dove tutt’oggi si trova l’intera attività produttiva (eccetto, per motivi di sicurezza, la distillazione dell’alcool), un bene classificabile come archeologia industriale che però continua a svolgere la sua attività di sempre.
La nuova sede della Fernet Branca si presenta così come una piccola città del lavoro: orti, sartoria, falegnameria, infermeria erano alcuni dei servizi a disposizione dei 900 operai presenti in fabbrica.

Oggi con Niccolò Branca siamo alla quinta generazione e,  nonostante il volume produttivo sia rimasto alto, bastano 40 operai e altrettanti addetti alle mansioni contabili e di marketing per portare avanti l’azienda.
La fabbrica di via Resegone 2 è l’unico stabilimento europeo della Branca, da qui escono ogni anno 20 milioni di bottiglie tra i vari prodotti aziendali, esportati in Europa, Africa e America del nord.

Dagli anni ’80 dello scorso secolo la Fernet Branca inizia una politica di acquisizioni, entrano così a far parte del gruppo la Carpano di Torino, produttrice del Vermut Carpano e del Punt e Mes, poi la Grappa Candolini, e quindi nel 2000 arriva l’acquisizione del celebre Caffè Borghetti. Nello stesso anno la Fernet Branca apre il proprio stabilimento in Argentina, coprendo da vicino il mercato sudamericano

La Collezione Branca

La Collezione è un’iniziativa culturale che vuole far conoscere la storia di Branca in Italia e nel mondo, sia per quanto riguarda la tradizione e la cultura degli speziali, che per l’evoluzione imprenditoriale.

Il museo nasce per iniziativa del Presidente Niccolò Branca che ha voluto raccogliere e conservare oggetti, documentazione da collezione, oltre che dotare l’azienda di un luogo per attività culturali ed è uno dei primissimi musei d’impresa in Italia.

La Collezione è allestita nel complesso industriale di Milano e occupa oltre 1000mq. Essa è il frutto di più di 10 anni di lavoro in cui sono stati coinvolti tutti i soggetti attivi dell’Azienda, dalla selezione dei materiali, al restauro degli oggetti, fino all’allestimento finale.

L’aroma del Fernet-Branca pervade il museo e per evidenziare i diversi ambiti produttivi sono stati allestiti una bellissima area “erboristeria”, il laboratorio chimico per la qualità e l’analisi delle erbe, la falegnameria, un ufficio.

Alle pareti si possono ammirare, tra l’altro, alcuni calendari annuali realizzati dal 1886 al 1913 e alcuni dei tanti manifesti promozionali a firma Metlicovitz, Cappiello, Jean d’Ylen, Mauzan, Codognato, che testimoniano l’attenzione di Branca all’immagine d’impresa.

Su alcuni tavoli sono esposte alcune bottiglie di prodotti Branca “vecchie” di oltre 60 anni (tra cui una delle prime prodotte). Nell’area comunicazione si ammirano i bozzetti di alcune campagne pubblicitarie degli anni ’60 – 70’ e si rivedono i famosi Caroselli della televisione.

Ma la vera sorpresa arriva quasi alla fine del percorso museale, è la Botte Madre, la botte più grande d’Europa: 84.000 litri, 6 metri di diametro per 6. Fu costruita nel 1892 all’interno della prima sede poi, nel 1910 smontata, le sue doghe caricate su 40 carri, poi ricostruita in due mesi nell’attuale posizione. In questo gigante di legno invecchia il brandy Stravecchio e dal 1910 non è mai più stata svuotata per intero: ogni ciclo, infatti, viene lasciato un terzo del contenuto e poi rabboccata con il brandy nuovo. In questo modo si ha una specie di “riserva perpetua”, che dà continuità e una certa dose di fascino al prodotto.

Infine, 300 botti per lo Stravecchio e 500 botti per il Fernet, di 25.000 litri di capacità media per ogni botte, fiancheggiano il tunnel sotterrano che conduce all’uscita.

La Collezione Branca raccoglie dunque le testimonianze che portano a conoscere valori e tradizioni della storia Branca, una storia in cui l’azienda è fiera e alla quale ancora oggi si ispira per il futuro.

La Collezione Branca è parte di Museimpresa, l’associazione italiana dei musei e degli archivi d’impresa, promossa da Assolombarda e Confindustria.

Informazioni:

La Collezione Branca è aperta solo per visite guidate su appuntamento/invito
(Lunedì – mercoledì – venerdì – due visite al giorno, alle h. 10.00 e alle h. 15.00)
Via Resegone, 2 -Milano – Tel: 02 8513970 collezione@branca.it

Sito archeologico industriale: Fabbrica Fernet Branca e la Collezione Branca
Settore industriale: Settore Beverage
Luogo: Milano, Lombardia, Italia
Proprietà e Gestione: Fernet Branca www.branca.it
Testo a cura di: Collezione Branca




I Frigoriferi Milanesi: storia dell’evoluzione di un luogo

I Frigoriferi Milanesi, uno spazio polifunzionale da due cuori pulsanti il Palazzo dei Frigoriferi ed il Palazzo del Ghiaccio, è uno dei complessi architettonici di archeologia industriale più interessanti di Milano.

Il Palazzo dei Frigoriferi ed il Palazzo del Ghiaccio: la storia

Il Palazzo dei Frigoriferi di via Piranesi è stato costruito nel 1899, svolgendo la sua prima funzione di magazzino del ghiaccio sino agli anni Settanta. I Magazzini Refrigeranti e Ghiaccio Gondran Mangili si presentavano come un edificio squadrato a forma di parallelepipedo, dalle mura spesse ed alto quattro piani illuminati attraverso aperture a forma di feritoie. Uno dei magazzini del ghiaccio più grandi di Europa, a testimonianza dell’audacia economica e lo spirito imprenditoriale lombardo dell’epoca.

Nel 1923, sul fianco est della struttura utilizzata come deposito, viene inaugurato il Palazzo del Ghiaccio che diventerà la pista di pattinaggio di Milano nonché, con i suoi 1800 metri quadrati, la più grande pista coperta d’Europa. Il Palazzo del Ghiaccio risponde ad una semplice logica di sfruttamento della funzione del Palazzo dei Frigoriferi, nonché dell’energia generata in surplus. I due edifici sono così collegati da un rapporto tecnico, sebbene il primo destinato a fini utilitaristici mentre il secondo al divertimento. Una configurazione di tal tipo non si era ancora mai vista in tutta Europa.

Progettato dagli ingegneri Sandro Carnelli, Carlo Banfi e Ettore Redaelli, il Palazzo del Ghiaccio riprende l’aspetto del circo classico, con pista centrale delimitata da tribune circostanti. In stile Liberty come era in uso in quel periodo, il Palazzo del Ghiaccio, a forma di ogiva e dalle fondamenta in cemento armato, presenta un’imponente copertura in ferro, legno e vetro che costituisce un felice incontro di virtuosismo architettonico e rigore ingegneristico.

Il binomio Palazzo dei Frigoriferi – Palazzo del Ghiaccio rappresenta una rivoluzione per allora, considerando che l’idea di spazio polifunzionale era assolutamente bandita a favore dell’edificazione di edifici dedicati ad un’unica funzione: abitazione, artigianale, industriale, ludica, etc.

La nuova vita dei Frigoriferi Milanesi

Giuseppe Cabassi, uomo d’affari ed imprenditore, negli anni ’70 acquista il Palazzo dei Frigoriferi ed il Palazzo del Ghiaccio, che formano il comparto dei Frigoriferi Milanesi.

Il Palazzo dei Frigoriferi allora era adibito alla produzione di ghiaccio, oltre che allo stoccaggio di alcuni alimenti quali carni, legumi e uova e da sempre aveva assorto anche il ruolo di deposito per pellicce, tappeti ed oggetti di valore. Da qui l’idea di poter utilizzare questo spazio come luogo dove conservare cose preziose che non necessitassero di manutenzione e che Giuseppe Cabassi concretizza avviando una nuova attività all’interno della struttura: casseforti e messa in sicurezza dei beni. Successivamente, i figli di Giuseppe Cabassi ampliano l’attività di custodia dei caveau, con servizi integrati per la gestione e valorizzazione di opere d’arte quali art consulting, logistica per l’arte e laboratori di conservazione e restauro specializzati nella manutenzione di dipinti,  affreschi, arredi lignei, arazzi, tappeti e strumenti scientifici. Nasce così Open Care – Servizi per l’arte, la società del Gruppo Bastogi  che dal 2003 opera all’interno dei Frigoriferi Milanesi prendendosi “cura” – da qui l’origine del nome – degli oggetti che trovano allocazione nei suoi spazi di sicurezza e nei suoi laboratori di conservazione e restauro.

Abbandonata gradualmente la filiera del freddo e dismessa nel 2002 la sua funzione di pista di pattinaggio, il luogo, dopo l’importante riqualificazione, è diventato uno spazio polifunzionale che accoglie a eventi di vario tipo, dalle sfilate di moda, alle convention aziendali.

La radicale ristrutturazione degli edifici del complesso dei Frigoriferi Milanesi, che si concluderà nel 2009, ha mirato – insieme alla ricerca di una coesione armoniosa delle diverse attività all’interno delle strutture – ad una valorizzazione della dimensione pubblica del sito trasformandolo in luogo della socializzazione e contemporaneamente ricostruisce un rapporto con lo spazio, aprendolo alla luce ed agli sguardi. Il programma di ristrutturazione dei Frigoriferi Milanesi si inserisce anche in una visone più ampia di riqualificazione dell’intera area di via Piranesi, la stessa pannellatura rossa che ricopre la facciata su strada per ben 60 metri di lunghezza intende essere la metafora di un’azione decisa rigenerativa.

A seguito della recente riqualificazione architettonica che ha preservato il fascino dello stile industriale, sono stati ricavati spazi utilizzati per l’organizzazione di presentazioni, incontri culturali, mostre, esposizioni, spettacoli teatrali e videoproiezioni.

L’organizzazione di eventi è curata da Progetto Frigoriferi Milanesi che in questi anni ha creato alcuni format culturali che hanno riscontrato un grande interesse, quali le rassegne Frigodiffusione, Writers. Gli scrittori (si) raccontano, e Writers… Continua, oltre a Writing: Design on your desk, il primo evento in Italia dedicato interamente allo stationery design.

Sito archeologico industriale: Frigoriferi Milanesi
Settore industriale: Servizi
Luogo: Milano, Lombardia, Italia
Proprietà e Gestione: Gruppo Bastogi www.frigoriferimilanesi.it
Testo a cura di: Simona Politini e Ufficio comunicazione Frigoriferi Milanesi
Immagini a cura di: Ufficio comunicazione Frigoriferi Milanesi




L’Archivio Zegna di Trivero tra radici e ali

L’Archivio Zegna di Trivero, in provincia di Biella, raccoglie e valorizza la storia di una delle più prestigiose aziende italiane nel settore del tessile e della moda. Una documentazione unica che racconta una parte importante del nostro patrimonio industriale.

Ermenegildo Zegna (1892-1966) aveva già intuito che la consapevolezza dei risultati raggiunti è importante quanto l’entusiasmo per quelli da raggiungere. Alla figura del fondatore si può far risalire l’intento e l’avvio dell’attività di conservazione della storia Zegna nella sua totalità, attraverso la puntigliosa archiviazione dei documenti, delle fonti iconografiche e, soprattutto, dei preziosi campionari tessuti, vera e propria “memoria tecnica” del prodotto. A Ermenegildo Zegna, Conte di Monte Rubello di Trivero, si può ricondurre la precisa volontà di trasmettere organicamente le esperienze di un uomo e di una famiglia che hanno creato uno dei nomi più apprezzati e noti dell’imprenditoria made in Italy .

Aldo Zegna, primogenito di Ermenegildo scomparso nel 2000, dopo una vita dedicata insieme al fratello Angelo a trasformare il lanificio di Trivero (Biella) nel Gruppo Zegna, una realtà produttiva e commerciale non più locale ma “diffusa” in tutto il mondo, aveva a sua volta manifestato interesse per il recupero e per il riordino del patrimonio documentario e, in modo particolare, di quello fotografico del “mondo” Zegna, patrimonio che nel frattempo si era vistosamente ingrandito arrivando a includere le giacenze documentarie prodotte anche da decine di aziende diverse, da vari settori di investimento (per esempio l’attività turistica) e dalle “opere sociali” istituite a partire dagli anni Trenta.
Dal 2002 le linee tendenziali già presenti nelle due precedenti generazioni hanno potuto convergere nella realizzazione di un polo archivistico onnicomprensivo capace di accogliere le carte, le fotografie, i disegni tecnici, i campionari, gli oggetti, ecc… generati in più di un secolo di vita.

Attraverso la Fondazione Ermenegildo Zegna, tutti i membri della famiglia attivi nel Gruppo, ormai alla terza generazione, hanno ereditato la passione per la propria storia, trasformandola in una vera mission di ricerca, di recupero e di messa in valore.

L’Archivio Zegna e la sua attività

L’Archivio Zegna non è mai stato, fin dalle sue origini ideali, solo e semplicemente un luogo della ricordanza e, tanto meno, è stato costruito come un “archivio” nell’accezione corrente e adinamica del termine. Il patrimonio archivistico Zegna in tutte le sue componenti è, in se stesso, un cantiere di lavoro sempre attivo perché accoglie e accoglierà le testimonianze di una realtà non solo industriale in continua crescita e in evoluzione costante. In più l’Archivio Zegna è la fucina di sempre nuove idee dove la tradizione si fonde con la trasformazione e dove work in progress è il brand.

Ma, soprattutto, l’Archivio Zegna è da considerarsi parte integrante del processo creativo e di quello produttivo intrinseci all’identità e alla vita stessa del Gruppo. Tanto gli ideatori delle campagne pubblicitarie quanto i disegnatori dei tessuti, tanto gli stilisti quanto i tecnici produttivi del Gruppo Zegna possono contare su un giacimento potenzialmente infinito, ma organizzato e funzionale, cui attingere per trovare ispirazioni, confronti e verifiche. Si consolidato, in effetti, un circolo virtuoso che comporta il conferimento dei materiali documentari “grezzi” e la loro restituzione sotto forma di “prodotto finito” archivistico utilizzabile per le più diverse finalità.

L’Archivio Zegna e il suo patrimonio

La tradizione e l’identità Zegna è maschile e la vocazione per l’eccellenza stilistica e qualitativa per l’abbigliamento for men si ritrova fin dalle più ricche collezioni di échantillons che l’azienda ha voluto acquisire e affiancare alle proprie per stimolare il confronto e la creatività.

I libroni secolari della parigina Claude Frères (tutti restaurati nella loro antica fattura), tramandano la moda pour homme dal 1859 e conducono a quello che potrebbe considerarsi il “cuore” dell’Archivio Zegna, la serie di testimoni che più di tutti riassumono, scandiscono ed esaltano la storia Zegna: i campionari stagionali del Lanificio Ermenegildo Zegna fin dal primo anno di esercizio, il 1910.

A conferire ancor maggiore importanza a questa splendida e completissima collezione sta il fatto che i volumi, i contenitori, i ritagli di tessuti, gli stessi strumenti di consultazione rappresentano, nella loro esaustiva descrizione tecnica originaria, la possibilità concreta ed effettiva di riproporre e/o reinventare di cento anni di tessuti, come accaduto con il “Tessuto N° 1” rivisitato in occasione della ricorrenza del centenario di fondazione del Gruppo nel 2010. Inoltre, Zegna ha investito nella “buona pratica” di salvare e di riqualificare archivi tessili non di sua produzione, come lo straordinario campionario dell’elvetica Heberlein, un insieme di molte centinaia di migliaia di porzioni di stoffe tessute, tinte o stampate tra il 1920 e il 1980.

Dal punto di vista strettamente archivistico, la parte più importante dell’Archivio Zegna è il nucleo di documenti cartacei originali inerenti l’attività non solo del lanificio, ma anche delle altre realtà industriali o commerciali. Alle carte riflettenti la produzione di tessuti in Trivero dal 1910, si affiancano quelle relative all’industria della maglieria, la STIMA Società Torinese Industrie Maglieria e Affini, a partire dagli ultimi anni ’40 (dapprima a Torino poi presso lo stesso lanificio) e quelle generate da ragioni sociali dedicate alla confezione, quali la In.Co. Industria Confezioni o la Condotti. I “soggetti produttori” archivistici a oggi inclusi nel grande “inventario” digitale sono circa 150 e si riferiscono a tutti i continenti coprendo estensione lineare di circa un kilometro. Ma Zegna non è stata, ne è, solo una grande fabbrica tessile: i documenti restituiscono anche l’impegno iniziato da Ermenegildo Zegna e continuato dai figli in ambito socio-assistenziale con la creazione del Centro Zegna, così come nella bonifica e nella promozione della montagna del Biellese occidentale, dal torrente Cervo alla Valsessera (quella che oggi costituisce l’Oasi Zegna). E le carte della società immobiliare Monte Rubello e della stazione sciistica di Bielmonte raccontano infine della trasformazione impressa da Ermenegildo Zegna alle terre che sovrastano Trivero, soprattutto con la costruzione della strada Panoramica che posta il suo nome.

Le immagini, non meno di 200 mila fototipi (che restituiscono il “mondo” Zegna dal primo corpo di fabbrica alle ultime sfilate, dai macchinari alle campagne pubblicitarie, dalle maestranze alle installazioni artistiche di “All’Aperto” o agli scatti di Mattias Klum), e molte pellicole (le più datate delle quali realizzate su commissione dall’Istituto Luce attorno al 1940), documentano in parallelo la storia Zegna in ogni suo aspetto, da quando il lanificio era poco più di un capannone a shed alle inaugurazioni dei più recenti dei circa 600 corners Zegna.
La Fondazione Ermenegildo Zegna e tutto il Gruppo hanno dato vita e sostenuto questo speciale tributo alle loro stesse origini, consapevoli che si tratta di un giacimento storiografico e culturale non pubblico, ma senza dubbio condiviso. Zegna e Trivero, soprattutto, ma anche Zegna e il Biellese sono binomi storicamente fortissimi e tuttora inscindibili. La salvaguardia della storia Zegna corrisponde alla “messa in sicurezza” di una porzione importante della memoria del passato della comunità e del territorio in cui tuttora presente la produzione e sui quali è profuso l’impegno di “azioni” non industriali, come l’Oasi Zegna.

L’Archivio Zegna e la sua sede: Casa Zegna

L’idea trasmessa da Ermenegildo Zegna si è strutturata in un progetto che vede la sua prima importante concretizzazione nell’allestimento dell’Archivio Zegna all’interno del prestigioso complesso di Casa Zegna inaugurato nel giugno del 2007. Tenendo presente che il “mondo” Zegna è nato con il lanificio di Trivero e che, proprio a Trivero, Ermenegildo Zegna ha dato inizio, e via via ampliato, le sue più significative realizzazioni in ambito socio-assistenziale, urbanistico e turistico-ambientale, la “fabbrica archivistica” non poteva che svilupparsi proprio a Trivero. Ricalcando i passi dell’impresa umana, imprenditoriale e filantropica di Ermenegildo Zegna, anche l’acquisizione della documentazione ha avuto un andamento concentrico, dapprima locale, per poi espandersi a tutta la ramificata architettura produttiva e commerciale Zegna nel mondo.

La villa edificata negli anni Venti per la famiglia del Grand. Uff. Mario Zegna (1890-1972), fratello del Ermenegildo e, successivamente, abitata dai figli e dai nipoti di quest’ultimo, oggi contiene l’Archivio Zegna.

L’Archivio Zegna è motore di eventi e offerte culturali fin dall’inizio della sua attività. Casa Zegna, infatti, allestisce e/o ospita non meno di due mostre all’anno o occasioni analoghe e, per la maggior parte, si tratta di proposte e realizzazioni dell’archivio. Le fotografie, i filmati, le carte, i campionari e gli oggetti archiviati hanno consentito di strutturare i due percorsi dedicati alla evoluzione del marchio Zegna, quello focalizzato sullo sviluppo della stazione sciistica di Bielmonte, quello incentrato sulla “costruzione del paesaggio” operata da Ermenegildo Zegna ecc.

Casa Zegna è parte di Museimpresa, l’associazione italiana dei musei e degli archivi d’impresa, promossa da Assolombarda e Confindustria.

L’Archivio Agnona, parte dell’Archivio Zegna

A quello che è il considerevole corpus archivistico Zegna si è qui fuso, come è accaduto in senso industriale, il consistente e importantissimo Archivio Agnona.
Di Agnona si custodisce, oltre ai “fazzoletti” che disegnano mezzo secolo di stile al femminile, tutta la documentazione cartacea preservata dopo la chiusura dello stabilimento di Aranco (Borgosesia). Vi si trovano gli elementi archivistici fondamentali per la ricostruzione della storia dell’azienda fondata nel 1953 con la partecipazione di Aldo e Angelo Zegna, e incorporata nel Gruppo Zegna nel 2000: oltre alle carte, il prezioso materiale pubblicitario e di rassegne stampa, e la raccolta delle immagini, le testimonianze più vivide delle prestigiose collaborazioni di Agnona con i grandi nomi della moda donna mondiale dell’ultimo mezzo secolo, da Chanel a Versace, da Mila Schön a Pierre Cardin, da Emilio Pucci a Givenchy.

L’Archivio Zegna e la sua fruibilità

L’Archivio Zegna è un archivio privato e, per ragioni facilmente comprensibili, il suo accesso non è libero né automatico. La fruizione dei documenti custoditi è vincolata alla accettazione di un’apposita richiesta compilata da chi fosse interessato alla consultazione e sottoposta alla valutazione della proprietà. L’uso specifico dei documenti è inoltre stabilito dall’apposito regolamento interno.

Dal 2013 è comunque attivo il sito www.archiviozegna.com grazie al quale è possibile esplorare la realtà archivistica Zegna secondo la declinazione “quadricipite” (Family business, Prodotti e comunicazione, Ambiente e montagna, Filantropia e cultura) definita per i settori di interesse e di sviluppo tanto del Gruppo quanto della Fondazione Ermenegildo Zegna.

Sito archeologico industriale: Archivio Zegna
Settore industriale: Settore Tessile
Luogo: Trivero, Biella, Piemonte, Italia
Proprietà e Gestione: Fondazione Zegna www.archiviozegna.com/it
Testo e Immagini a cura di: Archivio Gruppo Zegna




D17. Fotografie Da Re – Archivio Fondazione Dalmine

TenarisDalmine presenta la mostra D17. Fotografie Da Re dall’archivio della Fondazione Dalmine.

L’esposizione, curata dalla Fondazione Dalmine, si terrà dal 28 febbraio al 22 marzo nei prestigiosi spazi delle Scuderie della Villa Borromeo d’Adda, in collaborazione con il Comune di Arcore, Assessorato alla Cultura.

La Fondazione Dalmine è attiva dal 1999 nella diffusione della cultura industriale e nella valorizzazione del ricco archivio storico di TenarisDalmine, che conserva fra l’altro oltre 35.000 immagini relative a impianti, processi, prodotti, persone, attività, spazi industriali. Questo patrimonio visivo risale al 1906 – anno di fondazione dello stabilimento di Dalmine, il più antico di Tenaris – includendo via via documenti e foto storiche su altri siti produttivi che nel corso del tempo sono entrati a far parte di TenarisDalmine.

La mostra D17. Fotografie Da Re dall’archivio della Fondazione Dalmine propone una selezione di immagini storiche realizzate tra gli anni ’30 e gli anni ’70 dallo studio bergamasco dei fotografi Da Re, che per oltre mezzo secolo ha collaborato strettamente con l’impresa. D17 è infatti la sigla in codice con cui lo studio identificava le fotografie realizzate per conto dell’azienda nell’epoca in cui era denominata Dalmine (da cui la lettera D): foto di siti produttivi, realizzazioni, prodotti che raccontano, con l’efficacia di un linguaggio universale, una storia dalle radici molto lontane.

Le immagini presentate nella mostra offrono al pubblico alcuni percorsi che non raccontano una storia lineare nel tempo, ma al contrario propongono un gioco di rimandi visivi e di letture inedite, che vanno al di là del contenuto storico e informativo specifico. Sebbene relativi al sito di Dalmine e a un limitato periodo della ben più lunga vicenda aziendale gli scatti esposti in D17 sono in primo luogo un omaggio agli autori, al loro “lavoro” di fotografi. Ma sono anche un esempio dell’efficacia, ricchezza e forza espressiva della fotografia come linguaggio ideale per rappresentare il mondo dell’industria e del lavoro. Queste immagini storiche sono uno spaccato singolare di una cultura, quella industriale, che Sandro e Umberto Da Re hanno saputo interpretare seguendo le esigenze della committenza senza rinunciare allo stile e alla qualità formale di autori.
La mostra è corredata da video, oggetti storici, apparati informativi sulla storia dello Studio Da Re e sulla storia dell’azienda. Anche per questo motivo, è proposta alle scuole primarie e secondarie del Comune di Arcore nell’ambito di un programma di visite guidate curato e gestito dal team didattico della Fondazione Dalmine (www.3-19.org). Sono inoltre previste visite per gruppi, su prenotazione (www.fondazionedalmine.org).

D17. Fotografie Da Re dall’archivio della Fondazione Dalmine, in questa tappa espressamente dedicata ad Arcore, è alla sua terza edizione, dopo il debutto alla GAMeC di Bergamo nel 2012 e l’allestimento al Museo Nazionale di Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano nel 2013, entrambi curati da Giacinto Di Pietrantonio e Maria Cristina Rodeschini. Con questa edizione nella prestigiosa sede delle scuderie di Villa Borromeo, la Fondazione Dalmine prosegue un filone di attività culturali dedicate alla fotografia e al rapporto che, nel corso di oltre cento anni di storia, ha legato l’azienda TenarisDalmine all’operato di importanti fotografi, confermando anche il proprio impegno nella promozione della cultura industriale non solo attraverso la conservazione degli archivi aziendale, ma anche attraverso la divulgazione al pubblico di temi legati alla storia come elemento per comprendere la contemporaneità.

Fondazione DalmineComune di Arcore

Informazioni

D17. Fotografie Da Re dall’archivio della Fondazione Dalmine
28 febbraio – 22 marzo 2015
Scuderie del parco della Villa Borromeo D’Adda, Arcore
Inaugurazione sabato 28 febbraio, ore 17.00

Orari
sabato e domenica: 15.00 | 18.00
feriali: su prenotazione scuole e gruppi
ingresso gratuito

Fondazione Dalmine
Manuel Tonolini
T +39 035 5603418 / C +39 3299016366
segreteria@fondazionedalmine.org
www.fondazione.dalmine.it

Comune di Arcore
T +39 039 616158
bibarcore@sbv.mi.it
comune.arcore.mb.it




Metanopoli, la città sostenibile di Mattei

A San Donato Milanese, alle porte di Milano, sorge Metanopoli, la città del metano voluta da Enrico Mattei per i lavoratori di eni.


Concepita secondo criteri urbanistici d’avanguardia, in linea con la filosofia del villaggio aziendale che mirava a integrare in un’unica realtà operai, impiegati e dirigenti dell’azienda di Stato, Metanopoli ha mantenuto nel tempo il suo aspetto originale, con case basse circondate da giardini e viali alberati.

L’idea di costruire un centro organizzativo e amministrativo nei pressi di San Donato nasce nel 1952, agli albori della costituzione di eni, con una funzione ben precisa: dar vita al più ordinato, razionale e verde hinterland di Milano. L’insediamento si inserisce nel tessuto urbanistico della cittadina come fondazione ex novo, in un’area in cui non esisteva fino a quel momento alcun impianto produttivo. Fortemente voluto da Mattei, il “quartier generale” eni – denominato Metanopoli – diviene ben presto un polo di eccellenza e di innovazione destinato a far ripartire, dopo anni di depressione, la grande industria del Nord.

Il progetto urbanistico, affidato all’architetto Mario Bacciocchi, prevedeva la collocazione del complesso in una zona di transito vicina alle grandi reti di trasporto dell’epoca: l’aeroporto di Linate, la storica Via Emilia, che collegava il centro di Milano con le città emiliane e il Sud, l’Autostrada del Sole. In brevissimo tempo il quartiere si trasforma in una vera e propria “città del terziario” dove si concentrano uffici, laboratori, centri di formazione, quartieri residenziali.

I laboratori, realizzati da Bacciocchi, diventano un fiore all’occhiello della ricerca scientifica in Italia. Qui chimici, fisici, ingegneri, biologi, scelti tra i più giovani delle università italiane, lavorano a stretto contatto, inaugurando un nuovo metodo di ricerca di tipo interdisciplinare. All’eccellenza guarda anche la Scuola superiore di studi sugli idrocarburi istituita a San Donato nel 1955 per la formazione dei quadri e dei dirigenti italiani e stranieri, nella quale insegnano i migliori docenti internazionali nel campo dell’economia, del management e della ricerca energetica.

Allo spazio esterno del centro, l’ambiente pubblico destinato a residenti, ospiti e addetti ai lavori, si unisce lo spazio interno, che comprende un’area residenziale, un centro sportivo, una scuola, una chiesa parrocchiale e un centro commerciale. A ridosso di Viale Alcide De Gasperi, Bacciocchi realizza nel 1955 l’unica vera piazza di Metanopoli, dominata dal complesso parrocchiale di Santa Barbara. All’interno e all’esterno della chiesa sono collocate opere di Arnaldo e Giò Pomodoro, Cassinari e Cascella.

Bacciocchi realizza anche una parte del complesso sportivo (il campo di calcio, la tribuna e il campo da tennis coperto) mentre la piscina coperta viene attribuita a Bacigalupo e Ratti e la piscina scoperta a Zoppini e Mattioni.

Lontana dall’idea di “città-fabbrica”, Metanopoli per Mattei doveva rappresentare una realtà urbana, viva e in movimento, concepita secondo criteri di sostenibilità ambientale ed efficienza, sul modello delle grandi città industriali statunitensi.

Nello stesso anno, il 1955, viene realizzato il Primo palazzo uffici, denominato progettato da Marcello Nizzoli e Gianmario Oliveri, a forma esagonale. Sulla sommità dell’edificio Piero Porcinai progetta anche un giardino pensile sul quale si affacciava, all’epoca, l’appartamento di Mattei.Il Secondo Palazzo Uffici, realizzato nel 1962 dagli architetti Marco Bacigalupo e Ugo Ratti, è caratterizzato da una pianta stellare a tre bracci.

In tempi più recenti, nel 1973, viene realizzato il Terzo palazzo uffici, nuova sede della Snamprogetti, un edificio alto 17 metri con bande rosso scuro dei rivestimenti esterni. In un’area verde adiacente al Terzo palazzo nasce poi, nel 1984, il Quarto palazzo Uffici, nuova sede della società Saipem, caratterizzato da una facciata continua, austera ed omogenea. Al piano terreno dell’edificio nell’ingresso è collocata una scultura di Arnaldo Pomodoro.

Infine, il Quinto palazzo uffici di eni, è stato inaugurato il 7 dicembre 1991. L’edificio, progettato dagli architetti Roberto Gabetti e Aimaro Isola, fronteggia i primi due Palazzi Uffici formando un ideale ingresso tecnologico alla città di Milano, tutto in cristallo verde azzurro.

La caratteristica che ancora oggi colpisce il visitatore di San Donato è la geometria essenziale del sistema viario, che integra in uno stesso spazio le zone destinate agli uffici e quelle riservate alle abitazioni. Una concezione che deriva dall’attenzione al benessere dei dipendenti sempre sostenuta da Mattei, che anticipa di una cinquantina d’anni il concetto di “welfare aziendale”. Proprio sui valori della coerenza e dell’integrazione Mattei fonderà molte delle sue scelte successive: dal salvataggio del Pignone a Firenze, agli investimenti nel settore della gomma sintetica e delle materie plastiche, alla creazione di società miste con i paesi produttori per il petrolio. Nella logica del fondatore di eni “tutto si tiene”, in nome del progresso ancora prima che dell’utile.

Sito archeologico industriale: Metanopoli
Settore industriale: Industria energetica
Luogo: San Donato Milanese, Milano, Lombardia, Italia
Proprietà e Gestione: Eni www.eni.com
Testo a cura di:Archivio storico eni
Crediti fotografici:Archivio storico eni




Paraboloidi. Un patrimonio dimenticato dell’architettura moderna

“Paraboloidi. Un patrimonio dimenticato dell’architettura moderna”, il volume realizzato da Marcello Modica e Francesca Santarella ed edito da Edifir illustra un fenomeno architettonico ancora in gran parte sconosciuto in Italia.

 

I paraboloidi, infatti, nonostante le loro origini ed evoluzione nel corso del Novecento abbiano interessato in modo significativo proprio questo paese, sono delle strutture la cui conoscenza è ancora poco diffusa. Trattasi dei magazzini industriali a copertura parabolica (comunemente detti paraboloidi, sebbene il termine non sia propriamente esatto): maestose volte nervate in cemento armato, unione perfetta tra funzionalità ed estetica, che hanno conquistato una posizione di tutto rispetto nell’architettura industriale legata al Movimento Moderno ed alla produzione seriale – tanto da essere successivamente “esportati” in numerosi paesi europei.

L’obiettivo di questo libro è di fare luce, per la prima volta in Italia, su un patrimonio storico, architettonico e culturale di valore inestimabile che, per la sua natura “industriale”, è costantemente a rischio di estinzione.

I 91 paraboloidi in Italia

Al centro della ricerca vi è un’articolata cronologia che descrive la storia di ognuno dei 91 esemplari realizzati sul territorio italiano tra il 1920 e il 1970 (presenti in tutte le regioni ad esclusione della Valle d’Aosta, Lazio, Molise e Basilicata), con un ricco ed inedito corredo di fotografie d’epoca e attuali, disegni, planimetrie originali, e un cenno ai recuperi effettuati e ai magazzini presenti in territorio europeo.

Tra i numerosi esemplari esistenti alcuni emergono per caratteristiche architettoniche, innovazioni costruttive e dimensioni. In ordine cronologico: il magazzino clinker dello stabilimento Italcementi di Casale Monferrato, primo esemplare di silos parabolico mai realizzato (1922-23); il silos perfosfato della Montecatini di Romano di Lombardia (1924-25); il vasto magazzino fertilizzanti azotati dello stabilimento chimico di Nera Montoro (1929-35); l’insieme dei magazzini del sale progettati da Pier Luigi Nervi, tra cui spiccano gli esemplari di Margherita di Savoia (1933-35), Tortona (1950-51) e Bologna (1954); i “paraboloidi della ricostruzione” della Montecatini presso Crotone (1946-47), Assisi (1948) e Castelfiorentino (1948), poi Legnago (1954-55) quale primo esemplare di paraboloide “tipo Montecatini” – ispirato ai progetti dell’ing. Giulio Borrelli – e Porto Recanati (1955), primo silos parabolico a testata “aperta”; tra le fabbriche consorziali del Nord Italia: Portogruaro (1949, presso la Fabbrica Perfosfati), Mantova (1952, presso la Fabbrica Mantovana Concimi Chimici), Cerea (1953-54, presso la Fabbrica Cooperativa Perfosfati), Piacenza (1954, presso il Consorzio Agrario) e Ravenna (1956-57, presso la Società Interconsorziale Romagnola); il magazzino per solfato ammonico presso lo stabilimento SNIA di Torviscosa (1961); i grandi paraboloidi a copertura continua costruiti dalla Montecatini-Edison a Porto Marghera, in particolare quelli dello stabilimento Fertilizzanti Complessi (1962-67) e del nuovo Petrolchimico (1970-71); i nove paraboloidi gemelli a copertura continua costruiti dalla Edison nel petrolchimico Sincat di Priolo (1956-60); i magazzini per fertilizzanti azotati dell’ANIC di Ravenna (1961-62) e relative riproduzioni di Gela (1962-63) e Manfredonia (1969-70); gli ultimi, enormi silos parabolici costruiti dalla Montedison presso Cirò Marina (1970) e Ferrara (1977).

Tra i pochi edifici recuperati si annoverano i due paraboloidi di Cerea (trasformati in centro congressi nei primi anni Duemila), quelli ex Montecatini di Assisi (recuperati in più fasi tra il 1999 e il 2008, oggi sede di un teatro, spazi espositivi e culturali) e il piccolo pseudo-paraboloide della Cimatoria Campolmi di Prato (interamente restaurato e dal 2009 sede della Biblioteca della città). Notevole anche il recupero a fini di pubblica utilità del paraboloide “Embarcadero” di Caceres, in Spagna, avvenuto nel periodo 2000-2006.

I due paraboloidi della Montecatini di Assisi

I due paraboloidi della Montecatini di Assisi. Il caso di Assisi è tra i più interessanti nel panorama italiano dei paraboloidi, essendo tra l’altro uno dei pochi che ha visto il restauro integrale degli edifici ex industriali. In occasione della ricostruzione post-bellica dello stabilimento di Assisi-Santa Maria degli Angeli la società Montecatini decide di attrezzare la rinnovata fabbrica di perfosfato minerale con un grande silos parabolico con chiave ribassata (intendendo con questa definizione i silos che presentano nastro trasportatore posto in una struttura in c.a. sottostante la chiave di volta) ed estradossi a vista, completato nel 1948 e costituito da due sezioni rispettivamente di 11 e 8 archi parabolici in cemento armato e stazione automatizzata di insacco mediana. Un secondo paraboloide, di dimensioni più ridotte, viene aggiunto poi tra il 1955 e il 1956. La fabbrica di perfosfato cessa l’attività negli anni Settanta e, successivamente, viene acquisita dall’Amministrazione Comunale. Negli anni Novanta si concretizza l’interesse verso il primo dei due silos parabolici. La porzione dell’edificio a nord è riutilizzata a fini ricreativi e ludico sportivi (palestra boxe, bocciofila, bar, piscina), la porzione a sud viene sottoposta ad un recupero conservativo ad opera degli ingg. Roberto Radicchia e Marco Mezzi, per ospitare poi la sede del Teatro Lyrick (inaugurato nel 2000). A distanza di qualche anno anche il secondo paraboloide, in condizioni di grave degrado come il primo, subisce un pregevole restauro (ingg. Giuseppe e Giacomo Ferroni) e si trasforma in spazio polifunzionale per eventi e congressi. In corso la rifunzionalizzazione della torretta centrale del “Morandi”, destinata ad ospitare un museo della boxe ed altre funzioni connesse.

Ai padiglioni di Assisi è dedicata una delle pochissime pubblicazioni italiane riguardanti i silos parabolici, ovvero La ricerca dell’arco perfetto. Da Morandi a Nervi, in ≪Bollettino per i Beni Culturali dell’Umbria≫, III, n. 4, Quaderno 1, 2010.

A proposito dell’origine dei due edifici. I due edifici vengono tradizionalmente fatti risalire a Riccardo Morandi (il più antico) e Pier Luigi Nervi (il secondo), anche se in realtà tali progetti non figurano negli elenchi ufficiali delle opere di costoro. Molto più probabile il coinvolgimento di ingegneri e tecnici interni alla società Montecatini, vista la somiglianza tipologica del primo paraboloide con un altro realizzato precedentemente (1940) dalla stessa società presso lo stabilimento chimico di Crotone. Il cosiddetto “Morandi” presenta caratteristiche di assoluta originalità, come la pensilina costituita da una successione di volte a botte sormontate da aperture a lunetta che si aprono nella volta monolitica in cemento armato. Il “Nervi”presenta invece grandi somiglianze con l’analogo denominato “Nervi”, ex Montecatini, esistente a Porto Recanati.

Gli autori

Marcello Modica, urbanista e fotografo, si occupa da diversi anni di archeologia industriale sul territorio italiano ed europeo. Ha partecipato come guest lecturer a numerose conferenze sul tema (Università degli Studi di Genova, Università Cattolica di Milano, 13° Biennale di Architettura di Venezia, NovarArchitettura) e collabora stabilmente con riviste scientifiche (Urbanistica, Patrimonio Industriale, Industriekultur, Llàmpara Patrimonio Industrial).

Francesca Santarella, studiosa di archeologia industriale, è consigliere comunale a Ravenna dal 2011. Di sua iniziativa la campagna di sensibilizzazione pubblica per la salvaguardia del paraboloide ex SIR.

Titolo: Paraboloidi. Un patrimonio dimenticato dell’architettura moderna
Autore: Marcello Modica, Francesca Santarella – prefazione di Alberto Giorgio Cassani
Casa Editrice: Edifir www.edifir.it
ISBN:978-88-7970-705-3
Lingua:Italiano