La Centrale del Battiferro a Bologna è in vendita

Il Comune di Bologna mette in vendita la Centrale idrotermoelettrica del Battiferro, una delle testimonianze più importanti della storia industriale del capoluogo dell’Emilia Romagna.

La Centraledel Battiferro è situata lungo il canale Navile, che fu per secoli uno dei cuori pulsanti dell’attività produttiva in città: l’area dove si trova, il Battiferro, deriva il nome dalla presenza nel passato di opifici legati alle lavorazioni metallurgiche. Si tratta di una zona che potremmo definire “strategica” dal punto di vista dell’archeologia industriale: nelle immediate vicinanze della centrale si trovano, infatti, il principale sostegno (così si chiamano le chiuse) del canale, la Fornace Galotti che ospita il Museo del Patrimonio Industriale e i resti di un’antica cartiera.

Storia della Centrale del Battiferro, esempio di archeologia industriale

La Centrale del Battiferro venne costruita per iniziativa della Ganz, la rinomata industria di Budapest produttrice di materiale elettrico, tra il 1898 e il 1900: venne dotata di 2 coppie di caldaie a vapore e di una turbina che sfruttava un salto di 3 metri del vicino canale Navile; questi macchinari azionavano 3 alternatori Ganz da 400 kW ciascuno. La turbina idraulica venne realizzata dalla Escher Wyss di Zurigo, mentre le caldaie furono prodotte dalla rinomata ditta tedesca Steinmüller; italiani erano i condensatori e le macchine motrici, fabbricati dalla Franco Tosi di Legnano. Si trattava quindi di una centrale che produceva energia sia termo che idroelettrica. La distribuzione dell’elettricità venne affidata a una società cooperativa fondata da Giuseppe Galotti, industriale attivo nei laterizi e proprietario della vicina fornace. Si trattava di una struttura all’avanguardia per l’epoca, che andava a sostituire l’unico l’impianto idroelettrico della città, collocato presso il Molino Poggioli.
La centrale del Battiferro fu la seconda grande “fabbrica” di energia di Bologna, dopo le Officine del Gas, costruite nel 1862 e divenute nel 1900 di proprietà del Comune (la prima azienda municipalizzata del gas nella storia d’Italia). L’elevato livello tecnologico della centrale venne attestato dalla visita che vi condussero nel 1901 i fisici italiani, riuniti a Bologna per il loro V congresso nazionale, alla presenza di Augusto Righi.
Con la costruzione dei laghi artificiali appenninici durante la prima metà del XX secolo, destinati alla produzione di energia idroelettrica, la piccola centrale del Battiferro perse pian piano importanza fino alla sua definitiva chiusura nel 1961.
In oltre 50 anni di abbandono, questo monumento della archeologia industriale ha subito danni molto gravi a causa delle intemperie, dell’usura del tempo e dei vandali. Chi ci è stato dentro negli ultimi tempi racconta che il pavimento è sparito sotto uno spesso strato di sporco e rifiuti, mentre all’interno dei locali vi trovano alloggio senzatetto e attività criminali legate al confezionamento e allo spaccio di stupefacenti. Nonostante tutto questo, sopravvivono ancora alcuni macchinari come un paio di turbine.

Il Comune di Bologna mette in vendita la Centrale del Battiferro

L’11 dicembre il Comune di Bologna ha comunicato la propria volontà di mettere in vendita alcuni dei gioielli del suo patrimonio per ripianare lo stato di crisi del bilancio municipale. Spicca nella lista il nome di Villa Aldini, fatta costruire nel 1811-16 per ospitare Napoleone; ma tra i beni in vendita c’è anche la centrale del Battiferro. Questo avvenimento può essere visto come un’opportunità per chi ha a cuore non solo l’archeologia industriale, ma tutto il patrimonio culturale bolognese. Dopo decenni di incuria, infatti, questo edificio potrebbe essere recuperato e rilanciato.

“Salviamo la Centrale del Battiferro” il nuovo gruppo su Facebook

Per sensibilizzare sulle potenzialità di questa struttura è stato recentemente lanciato il gruppo Facebook Salviamo la Centrale del Battiferro che si propone di creare un gruppo di opinione impegnato sulla rete e sul campo nel creare un progetto di recupero realizzabile e sostenibile. C’è bisogno, oltre che del sostegno della comune cittadinanza, di professionisti ed esperti in vari campi, dalla storia all’architettura, al restauro, alla tecnica, alla cultura, alla progettazione e al fund raising. Tutte queste figure sono necessarie per elaborare un progetto di salvataggio che sia di alto spessore culturale ma allo stesso tempo sostenibile dal punto di vista economico.

Archeologiaindustriale.net invita tutti gli interessati ad aderire al gruppo “Salviamo la Centrale del Battiferro” ed a lasciare il proprio contributo intellettuale affinché la Centrale del Battiferro, qualunque sia la nuova destinazione d’uso, non perda di identità e possa raccontare la propria storia  alle generazioni future.

Il gruppo Facebook “Salviamo la Centrale del Battiferro” è stato lanciato da Jacopo Ibello. Jacopo Ibello, autore del testo di cui sopra, è laureato in Geografia presso l’Università di Bologna. Dopo la laurea  ha conseguito il diploma di Master in Conservazione e Gestione del Patrimonio Industriale presso l’Università di Padova.

Hashtag di riferimento #saveindustrialheritage

Hanno parlato della Centrale del Battiferro:

CILAC Newsletter N° 180 – 31 dicembre 2013 clicca qui

UNESCO Chair Forum University and Heritage – Twitter Account clicca qui

UNESCO Chair Forum University and Heritage – Newsletter clicca qui

Sito archeologico industriale: La Centrale del Battiferro
Settore industriale: Settore Energia
Luogo: Bologna- Emilia Romagna
Proprietà/gestione: Comune di Bologna www.comune.bologna.it
Testo a cura di: Jacopo Ibello contatto: jacopo.ibello@gmail.com.
Crediti Fotografici: si ringrazia Massimo Brunelli – Vicepresidente, nonché ricercatore e fotografo, della “Associazione amici delle vie d’acqua e dei sotterranei di Bologna” www.amicidelleacque.org




Il Pastificio Moro ed il Museo Mulino di Bottonera in Lombardia

Attraverso il libro di Marco Scuffi “Pastificio di Chiavenna. I 145 anni” conosciamo la storia del Pastificio Moro e del Mulino di Bottonera che oggi ospita un interessante museo di archeologia industriale sulla produzione della farina.

Valchiavenna, provincia di Sondrio, tutto è nato per volontà di Carlo Moro (1838-1889). Carlo, che da giovane lavorava come panettiere, cominciò la propria attività fondando un mulino ed un torchio per la macinazione dei cereali a Chiavenna, presso il quartiere della Bottonera, dove sorgevano già da tempo altri opifici, che sfruttavano l’energia motrice fornita dall’acqua di un canale artificiale, la Molinanca, chiuso nella seconda metà del XX secolo.

La costruzione del mulino e del torchio risale al 1867; dopo qualche tempo accanto al nucleo originario fu aggiunto un pastificio che lavorava le farine prodotte. Il mulino Moro funzionava inizialmente a palmenti ma fu successivamente trasformato in un più moderno mulino a cilindri. All’epoca costituiva una delle strutture più avanzate a livello locale dal punto di vista tecnologico, tanto che l’attività di Carlo Moro si impose presto come una delle più importanti del settore nella provincia di Sondrio.
Nel frattempo l’azienda prese i primi contatti con la Svizzera e altri paesi vicini e cominciò ad esportare in Europa il proprio prodotto. Verso la fine del XX secolo l’esportazione raggiunse anche l’America e l’Australia.

Il canale della Molinanca fu chiuso nel 1958, ma i Moro introdussero nel mulino un motore elettrico, in grado di mantenerlo in funzione. Nonostante ciò la necessità di uno stabilimento più moderno spinse l’azienda a trasferire la produzione a Tanno, una frazione del vicino comune di Prata Camportaccio, con la fabbricazione dell’attuale struttura, che aprì i battenti nel 1965. Dopo un periodo intermedio in cui entrambe le strutture funzionarono insieme, nel 1971 il nucleo originario venne abbandonato. Oggi la quinta generazione della famiglia Moro continua a Tanno l´attività iniziata da Carlo.

Il Mulino Moro di Bottonera: Museo della Valchiavenna di Archeologia Industriale

Negli anni ’80 il comune di Chiavenna decise di utilizzare l’area del pastificio Moro per la costruzione di un nuovo polo scolastico: a questo punto però si convenne di conservare il mulino, per il suo valore storico, in vista di una sua futura trasformazione in sezione di archeologia industriale del Museo della Valchiavenna.

Il pastificio fu quindi abbattuto, anche se le scuole che lo sostituirono ne mantennero l’assetto architettonico come vincolo paesaggistico, mentre il mulino fu acquisito dalla provincia di Sondrio e lasciato in comodato alla Comunità Montana della Valchiavenna, che, insieme all’OVVA (Organizzazione Volontari Valchiavenna Anziani e Amici), lo rese nuovamente agibile.

Il 12 settembre del 1997 il museo fu quindi inaugurato, mentre nel 2000 anche la proprietà fu ceduta dalla provincia alla Comunità Montana.  Dopo un ultimo restauro al tetto, del 2012, è nuovamente visitabile.

Descrizione del Museo Mulino di Bottonera

Il mulino si sviluppa su tre piani più un seminterrato. Una struttura simmetrica, che ospita un ampio vano, è destinata alla sala macchine, mentre un vano laterale più piccolo serviva per le operazioni di pulitura e lavaggio dei cereali.

Il seminterrato ospitava la turbina e vi erano collocate alcune macchine per la pulitura. Al primo piano (piano rialzato) sono collocati i laminatoi, mentre al secondo ed al terzo sono i “plansister” e le semolatrici, oltre a vari macchinari per il recupero dei prodotti secondari della lavorazione e per l´insaccaggio. L´aspetto più interessante è costituito dal pregevole lavoro di carpenteria del legno con il quale sono costruite la mescola della farina, le tramogge e l´intero impianto di condutture che consentono, mediante elevatori, il movimento e la selezione dei prodotti semilavorati.

Per informazioni sui giorni ed orari di apertura del Museo della Valchiavenna – Mulino Moro di Bottonera,
contattare il Consorzio per la Promozione Turistica della Valchiavenna al + 39 343 37485

Hanno parlato del Pastificio Moro:

UNESCO Chair Forum University and Heritage – Newsletter clicca qui

Sito archeologico industriale: Il Pastificio Moro ed il Museo Mulino di Bottonera
Settore industriale: Settore Alimentare
Luogo: Chiavenna – Sondrio – Lombardia
Proprietà/gestione: Comunità Montana della Valchiavenna www.cmvalchiavenna.gov.it
Testo a cura di: Marco Scuffi. Per la descrizione del Museo Mulino di Bottonera testo tratto dal sito ufficiale del Consorzio per la Promozione Turistica della Valchiavenna




Il setificio Gütermann & C. in Piemonte

Il setificio Gütermann di Perosa Argentina,  in provincia di Torino, oggi parte del nostro patrimonio industriale, testimonia il contributo dell’imprenditorialità straniera al nostro territorio.

L’insediamento del setificio tedesco a Perosa Argentina risale al 1883 quando Max Gütermann, già fondatore nel 1864 a Vienna della fabbrica Gütermann & C. poi trasferitasi nel 1867 a Gutach, nel Baden, acquistò un primitivo impianto costruito nel 1870 dal francese Benedetto Bertholet, per la macerazione e la pettinatura dei cascami di seta greggia.

A dirigerlo fu Karl, poi Rudolf, aiutato per la parte tecnica dal nipote Arturo Gütermann e, nel 1925, da Willy, figlio di Rodolfo. Tra il 1895 e il 1949 la famiglia tedesca diede vita a numerosi interventi in favore della manodopera: case operaie, case per impiegati, convitto, asilo infantile, spaccio aziendale, colonia elioterapica e scuola elementare, secondo il modello della collaborazione tra capitale e lavoro. L’avvento delle fibre tessili sintetiche del decennio successivo porterà alla definitiva chiusura degli impianti nel 2001.

La primitiva struttura industriale, ancora oggi visibile sul terreno del torrente Chisone, è a più piani con un’ampia fronte parallela al fiume. Successivi ampliamenti portarono alla costruzione di altri corpi a quattro piani e tetti piani e alla costruzione del fabbricato a uso filatura (1906). Il nuovo edificio è a sei piani, collegato al primitivo corpo di fabbrica con un corridoio aereo che attraversa ancora oggi la carrozzabile. I muri a struttura portante sono in pietra e laterizio.

Al di là del fiume è il reparto della macerazione dei cascami (1910-11) con struttura a un solo piano a due falde.

Coeve agli edifici per le lavorazioni sono le abitazioni per la manodopera. Le prime, dette “case nuove”, nei pressi dello stabilimento, datano 1875. Si tratta di edifici a quattro piani con ballatoio esterno, struttura portante, tetto in legno con copertura a lose.

Nel 1895 si completò la costruzione di Villa Gütermann, dimora di Rodolfo e poi di Willy, edificio sobrio ma elegante con scenografico scalone centrale, decorazioni esterne in pietra di gusto neoclassico, bella pensilina in ferro lavorato, ampio parco, oggi sede della Comunità Montana. Degno di nota il corpo laterale alla villa, a uso serra (1900), in muratura portante, tetto in legno e copertura in ardesia “alla francese”, di chiara impronta nordica.

Tra il 1895 e il 1934 sono le palazzine operaie a quattro e cinque piani fuori terra, addossate le une alle altre, in muratura portante. Interessante per la posizione a gradoni sulla collina con terrazzi e tetti piani è la prima casa in via Roma, 63, del 1906, progettata dall’ing. Pietro Soldati. Sempre del Soldati sono un villino a uso della dirigenza, in v. Gütermann, a due piani e lambrequin in legno, e il Convitto con ringhiere in ghisa, montanti e mensole in pietra lavorata. Notevoli le palazzine impiegati (1910-1920) con decorazioni a piastrelle azzurre e motivi Liberty.

Più tarde le strutture dell’Asilo, dell’Ufficio Postale, del Dopolavoro e della Colonia Elioterapica.

 

Un Ecomuseo per valorizzare l’archeologia industriale di Perosa Argentina

Il 4 maggio 1996 nasce l’Associazione Ecomuseo delle attività industriali di Perosa Argentina e valli Chisone e Germanasca con l’obiettivo di realizzare, attraverso il coinvolgimento di Enti ed Istituzioni, la stesura e presentazione di un progetto in grado di attingere a finanziamenti provinciali, regionali e dell’Unione Europea, finalizzati al recupero di almeno una parte dell’ex Convitto Gütermann, all’allestimento del museo e di un percorso museale di archeologia industriale.

 Archeologia Industriale

Sito archeologico industriale: Il setificio Gütermann & C.
Settore industriale: Settore tessile
Luogo: Perosa Argentina – Torino – Piemonte
Proprietà/gestione: Provincia di Torino. Associazione Ecomuseo delle attività industriali di Perosa Argentina e Valli Chisone e Germanasca www.ecomuseoperosa.it
Testo a cura di: dott.sa Carla F. Gütermann . Crediti fotografici Gallery Associazione Ecomuseo delle attività industriali di Perosa Argentina e Valli Chisone e Germanasca




Libro: Leumann storia di un imprenditore e del suo villaggio modello

In “Leumann, storia di un imprenditore e del suo villaggio modello” Carla Federica Gütermann, non solo studiosa della materia ma diretta discendente dell’imprenditore Napoleone Leumann, ci porta per mano attraverso la storia e le vicende del Villaggio Leumann.

Presentazione del libro a cura del giornalista Andrea Sottero:

Leggere il frutto del lavoro di una lunga e dettagliata ricerca di tipo storico, sociale e, nel caso specifico, urbanistico ed architettonico, per quanto per fini prevalentemente divulgativi, è sempre curioso, perché, al di là dell’eleganza stilistica con cui il discorso si dipana tra le pagine, si finisce col percepire abbastanza chiaramente il livello di passione con cui l’autore ha condotto i suoi studi e le sue ricerche.

Sapere che l’autrice di “Leumann, storia di un imprenditore e del suo villaggio modello”, Carla Federica Gütermann, ha studiato le vicissitudini e le opere di un suo antenato e si è occupata, di conseguenza, di un pezzo di storia significativo della sua famiglia, potrebbe indurre a credere che il suo coinvolgimento emotivo si palesi da subito tra le righe del discorso. Invece, di fronte a queste aspettative, si rimane delusi perché la prima impressione è che il testo scorra come una sterile relazione degli studi fatti. Solo dopo qualche decina di pagine, quando ormai si intuisce un quadro più completo del tipo di lavoro svolto, si inizia ad avere la piacevole sensazione di trovarsi di fronte al racconto di chi ha avuto modo di conoscere fatti e aneddoti che vanno al di là di ciò che può essere trovato in documenti e annali dell’epoca; un racconto, per altro, arricchito da una miriade di informazioni più dettagliate, spesso anche di carattere tecnico, che, non solo non appesantiscono la narrazione, ma la rendono persino più viva e appetibile.

Il pregio dell’opera sono le notizie sui modelli urbanistici e industriali italiani ed europei che vengono via via descritti e comparati, in modo semplice, ma straordinariamente chiaro. Senza contare le informazioni sui piani regolatori e sullo sviluppo viario della città di Torino, che insieme alla spiegazione del funzionamento di un villaggio industriale satellite quale il Leumann, quasi piccolo centro urbano nella città, ci regalano un quadro dell’evoluzione urbanistica del capoluogo piemontese.

Il libro è integrato da una sezione curata dal fotografo torinese Renzo Miglio che raccoglie più di cento scatti. Questi mostrano a chi non conoscesse la realtà del sobborgo torinese lo splendore e l’originalità delle sue architetture e somministrano quella buona dose di curiosità che dovrebbe indurre i lettori più esigenti a sincerarsi di persona dello stato attuale delle villette e palazzine.

 

Libro: Leumannm storia di un imprenditore e del suo villaggio modello
Autore: dott.sa Carla Federica Gütermann guter@inwind.it
Casa Editrice: Daniela Piazza Editore www.danielapiazzaeditore.com
Anno di pubblicazione : 2006




Riapre il Civico Museo della Seta Abegg di Garlate

Il Civico Museo della Seta Abegg di Garlate, il primo museo di Archeologia Industriale dedicato al settore della seta, riapre sabato 30 novembre 2013 dopo una complessa opera di restituzione e recupero.

L’evento coincide coi 60 anni dell’istituzione. Realizzato per volontà della società svizzera Abegg, proprietaria dall’Ottocento dei Setifici Abegg, sull’idea di Carlo Job, loro direttore generale per l’Italia, di costituire un Museo Tecnico Scientifico con la storia dell’industria serica. Carlo Arter Abegg lo inaugurò il 28 novembre 1953 e lo donò successivamente al Comune di Garlate nel 1976.

Il museo, collocato nella filanda bicentenaria, si presenta oggi con ambienti e percorsi completamente rinnovati, con l’auspicio che diventi presto uno stimolante polo di attrazione culturale per visitatori di ogni provenienza.

Per visionare il programma dell’inaugurazione clicca qui

Per info:
Civico Museo della Seta Abegg di Garlate via Statale, 490 23852 Garlate, Lecco, Italia
tel +39 331 996 08 90, web site www.museosetagarlate.it, e-mail info@museosetagarlate.it

Archeologia Industriale




Mostra. Ritratto di quartiere: dallo stabilimento Birra Peroni al MACRO

“Ritratto di quartiere. Dallo stabilimento Birra Peroni al Macro”  è la mostra fotografica a cura dell’Archivio Storico e Museo Birra Peroni presente al MACRO, Museo d’Arte Contemporanea di Roma, sino all’8 dicembre – XII edizione del Festival Internazionale della Fotografia.

Birra Peroni espone una selezione di foto provenienti dal suo Archivio Storico,  in un’apposita sezione del festival dal titolo “Ritratto di quartiere. Dallo stabilimento Birra Peroni al Macro”.  La mostra ripercorre visivamente la storia della struttura industriale che ospita il MACRO, con immagini d’epoca affiancate da foto donate da esercenti storici ed abitanti del quartiere.

L’intero quartiere ed ex area industriale, oggi riqualificato dalla presenza di un luogo cosmopolita di interazione culturale come il MACRO, porta i segni e la memoria di un forte legame con Birra Peroni, che dal 1901 ai primi anni Settanta ha avuto lì il suo quartier generale. Andando oltre quel luogo, la mostra racconta il rapporto storico che Birra Peroni ha con il territorio romano, in cui opera dal lontano 1864.

La mostra è dunque un’occasione per ricordare la storia, le origini e la tradizione di Birra Peroni a Roma. Una Roma ‘sparita’, la cui vacatio – riprendendo il tema della XII edizione del Festival Internazionale della Fotografia che ospita la Mostra – è stata colmata da nuovi punti di riferimento ma i cui luoghi portano ancora il ricordo dei cavalli, dei carri e del profumo delle cotte di birra.

L’ingresso alla mostra di Birra Peroni è gratuito negli orari di apertura del MACRO

Archeologia Industriale




La ex-Fabbrica, l’Archivio Storico e Museo Birra Peroni a Roma

La ex-Fabbrica della Birra Peroni, oggi parte del nostro patrimonio archeologico industriale, e l’Archivio Storico e Museo Birra Peroni a Roma raccontano la storia di un marchio che ha contribuito fortemente allo sviluppo del settore birraio italiano.

La ex-Fabbrica della Birra Peroni, oggi sede del MACRO (Museo d’Arte Contemporanea di Roma)

La Ditta Francesco Peroni, nata a Vigevano nel 1846, avviò nel 1864 una seconda fabbrica di birra a Roma, futura Capitale d’Italia. A seguito della fusione della Ditta Francesco Peroni con la Società Romana per la fabbricazione del ghiaccio e della neve artificiale, avvenuta nel 1901, la sede societaria fu trasferita nei pressi di Porta Pia, dove ancora ai nostri giorni sono visibili i diversi corpi di fabbrica.

Il Lotto A: Nella sua prima configurazione – e fino al 1907 – l’attività produttiva era concentrata nel lotto compreso tra piazza Alessandria, via Mantova e via Bergamo (lotto “A”), dove si trovavano gli impianti di fabbricazione della birra, del ghiaccio e le celle frigorifere. Affacciato su piazza Alessandria, uno châlet-birreria di legno in stile Liberty, con giardino esterno, fu costruito nel 1902 per il consumo di birra in loco. Una prima sostanziale modifica allo stabilimento industriale fu apportata nel 1908 con la costruzione del Sudhaus (sala di cottura) in angolo con via Bergamo, progettato da Gustavo Giovannoni e ancora esistente.

La Ristrutturazione del 1912: Nel 1912 una profonda ristrutturazione dello stabilimento condusse tra l’altro allo smantellamento dello châlet e delle celle frigorifere, alla costruzione di “quartierini operai” nelle vie Brescia, Nizza e Bosi e all’estensione dello stabilimento ai lotti “B” e “C”, già di proprietà dell’azienda.

Il Lotto B: Nel lotto “B”, compreso tra le vie Mantova e Alessandria, si costruirono un reparto per il servizio del mercato fuori Roma e una nuova fabbrica di ghiaccio, sempre su progetto di Gustavo Giovannoni, con facciata su via Alessandria.

Il Lotto C: Nel lotto “C”, compreso tra le vie Reggio Emilia, Nizza e Cagliari furono edificate le scuderie e la rimessa dei carri per il servizio cittadino. Era il lotto destinato ai servizi di supporto alla produzione di birra e ghiaccio. Il fronte su via Reggio Emilia fu progettato da Gustavo Giovannoni nel 1912. Il fronte su via Cagliari e quello in angolo con via Nizza furono aggiunti tra il 1920 e il 1922, su progetto dell’architetto Alfredo Palopoli, in concomitanza con la costruzione di una nuova, ed ultima, fabbrica di ghiaccio, i cui impianti furono definitivamente smantellati all’inizio degli anni Sessanta.

La Fabbrica della Birra Peroni oggi: La configurazione dell’opificio della Birra Peroni rimase poi invariata fino alla sua dismissione, avvenuta nel 1971. La convenzione stipulata con il Comune di Roma del 1983 e la successiva riabilitazione dell’ex edificio industriale è storia recente, di cui fanno parte la destinazione del lotto “C” a sede della Galleria Comunale di arte moderna e contemporanea inaugurata nel 1999 (oggi MACRO) e il restauro dei lotti “A” e “B”, ora destinati ad uffici, negozi ed abitazioni private. Il l’Archivio e il Museo Birra Peroni ha trovato invece collocazione presso l’attuale stabilimento Birra Peroni di Roma in via Renato Birolli.

 

L’Archivio Storico e Museo Birra Peroni

Il progetto di recupero della memoria storica aziendale, intrapreso dalla Società Birra Peroni in occasione del centocinquantesimo anno di vita (1996) e proseguito negli anni successivi, ha conseguito 3 obiettivi principali:
• la redazione di una approfondita monografia storica aziendale,
• l’apertura al pubblico dell’Archivio Storico, dichiarato di notevole interesse storico dalla Soprintendenza archivistica per il Lazio nel 1996 e la pubblicazione del suo inventario nel 2001,
• la realizzazione di un museo aziendale, che ha aperto i battenti nel 2001.
Pioniera del settore, Birra Peroni è socio fondatore dell’Associazione Museimpresa, l’Associazione degli archivi e dei musei d’impresa italiani, nata nel 2001, su iniziativa di Assolombarda e e aderisce al Portale degli Archivi d’Impresa, promosso dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.

Il Museo Birra Peroni

La struttura museale si trova – insieme a quella dell’Archivio Storico, per un totale di 500 mq – all’interno dell’attuale Stabilimento Birra Peroni di Roma, situato in area industriale Tor Sapienza.

Nel Museo Birra Peroni sono rappresentate la storia e l’attualità della Società e del suo prodotto, attraverso oggetti, immagini, documenti originali e filmati d’epoca, che mettono in luce gli infiniti nessi con la storia del costume e della società italiani. Le tre sezioni di cui si compone il museo corrispondono ai tre punti chiave del successo Peroni nel tempo: la storia industriale nella sua dimensione interna e nei rapporti con le comunità locali; la storia del prodotto e del suo consumo nel mercato italiano; l’efficace comunicazione pubblicitaria dai primi del ‘900 all’invenzione della bionda Peroni nelle sue infinite declinazioni.

La I Sezione, Fabbriche, lavoro e territorio – la Birra Peroni nel XX secolo, è dedicata alle scelte strategiche ed industriali che hanno reso Birra Peroni prima azienda del settore sin dall’inizio del Novecento. Utensili ed impianti provenienti dagli uffici e dai reparti di fabbrica dismessi testimoniano la dimensione interna e l’evoluzione delle professioni e dell’organizzazione del lavoro.

La II Sezione, dedicata alla storia della distribuzione commerciale, ripercorre attraverso immagini e oggettistica l’evoluzione del consumo, del packaging e del materiale promozionale fornito ai punti vendita per accompagnare il consumo di birra sin dalla fine dell’Ottocento. Molti gli agganci alla storia del costume, del tempo libero e dell’alimentazione nei suoi aspetti antropologici ed economico-sociali, dagli anni della Belle Époque ai primi passi della società dei consumi di massa.

Nella III sezione la storia della comunicazione pubblicitaria offre uno spaccato di un altro importante capitolo di storia italiana: attraverso i motti ingenui ed efficaci delle campagne stampa dagli anni Venti e Trenta, si giunge alla rappresentazione femminile della bionda Peroni dagli anni Sessanta al 2003, fino ai filmati delle ultime campagne per TV e cinema di Peroni e Nastro Azzurro.

L’Archivio Storico Birra Peroni

L’Archivio Birra Peroni, vincolato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali nel 1996, è aperto al pubblico dalla fine degli anni Novanta. La documentazione conservata è inventariata analiticamente su supporto informatico ed è consultabile in Azienda per documentati motivi di studio e di ricerca.

Le carte aziendali corrispondono alla documentazione cartacea prodotta dall’azienda Birra Peroni tra gli ultimi decenni dell’Ottocento e gli anni Cinquanta del Novecento: scritture sociali, libri contabili, registri del personale, corrispondenze, documentazione relativa all’amministrazione del personale e alla attività produttiva e commerciale della sede centrale di Roma, degli stabilimenti di Bari, Napoli, Livorno e Padova e delle società acquisite (Birra d’Abbruzzo, Birra Paszkowski-Wührer, Birrerie Meridionali, Costruzioni Meccaniche Meridionali). Un nucleo ulteriore di documentazione copre i decenni dal 1960 circa ad oggi, per un totale di 500 metri lineari.

Oltre alla documentazione cartacea, la storia dell’Azienda è raccontata da video (oltre 1400 pellicole depositate presso l’Archivio Nazionale del Cinema d’Impresa di Ivrea), fotografie (circa 10.000 immagini, che coprono l’arco cronologico 1880 circa – oggi); varie tipologie oggettuali come confezioni e materiali per il punto vendita; filmati; macchinari ed attrezzi. Una biblioteca di oltre 1.000 testi inerenti l’argomento birrario, gli archivi e le storie d’impresa completa l’offerta culturale dell’Archivio Storico Birra Peroni.

Info
Archivio Storico e Museo Birra Peroni Via Renato Birolli, 8 – 00155 Roma Tel.   0622544.1
Email: museo@peroni.it Visita nei giorni feriali su appuntamento Ingresso gratuito

 

Sito archeologico industriale: Fabbrica della Birra Peroni e l’Archivio Storico e Museo Birra Peroni
Settore industriale: Settore birraio
Luogo: Roma – Lazio
Proprietà/gestione: Birra Peroni s.r.l www.birraperoni.it Comune di Roma www.comune.roma.it
Testo a cura di: Archivio Storico e Museo Birra Peroni

Archeologia Industriale




Presentazione del libro Schio. Archeologia Industriale

Sassi Editore srl, in collaborazione col Comune di Schio e Banca Alto Vicentino  presenta  il volume “Schio. Archeologia Industriale”, di Bernardetta Ricatti, Dino Sassi, e Luca Sassi.

Schio. Archeologia Industriale” è il racconto attraverso testi ed immagini inedite della storia di Schio, città della lana, e del suo patrimonio di archeologia industriale.

La presentazione si svolgerà il giorno 30 novembre 2013 alle ore 18.00 presso il Lanificio Conte (Piazza Alvise Conte) di Schio (VI). Saranno presenti gli autori del volume e un ospite d’eccezione, Vittorio Mincato, che racconterà a margine la storia della Lanerossi di Schio dal 1957 al 1987.
Modererà la serata Antonio di Lorenzo, redattore del capo del Giornale di Vicenza.

Per info:
Sassi Editore Srl, Viale Roma 122/b 36015 Schio (Vi) , Italy
tel +39 0445 539051, fax +39 0445 539051, cell. +39 349 5006889, e-mail: info@sassieditore.it




Libro: Schio. Archeologia Industriale

“Schio. Archeologia Industriale” novità editoriale che racconta la storia industriale della città di Schio, in provincia di Vicenza, testimonianza eccellente del patrimonio archeologico industriale italiano.

Il volume “Schio. Archeologia Industriale”si propone come un viaggio completo ed esauriente nella città di Schio, alla ricerca delle sue profonde radici di natura industriale che ne fecero, dal medioevo in poi, un centro produttivo di eccezionale qualità e di notevole importanza. Grazie al testo puntuale e preciso, ma allo stesso tempo divulgativo, il lettore è accompagnato attraverso i secoli che portarono Schio al grande sviluppo durante la Rivoluzione Industriale e in particolare all’epopea dell’industria tessile di Alessandro Rossi nell’800. Catalizzato infatti dall’industria Lanerossi, lo sviluppo della produzione fu esponenziale in ogni ramo inserendosi nel tessuto economico-sociale della città e assumendo importanza di statura europea.

Per la prima volta, questo volume pubblica in modo organico l’eccezionale archivio fotografico della Lanerossi di fine 800-inizi 900, attualmente custodito dalle istituzioni cittadine; non mancano inoltre immagini di altre importanti realtà industriali del territorio. Il libro si prefigge di valorizzare questo enorme patrimonio sociale e culturale tutt’ora spesso sottovalutato, che costituisce le radici di una vocazione industriale ancora oggi fortemente presente.

L’autore

Bernardetta Ricatti si è laureata in Lettere a Padova nel 1971 e ha conseguito il diploma di perfezionamento in Storia dell’Arte. Studiosa di Storia dell’Architettura e dell’Urbanistica, ha collaborato con riviste locali e nazionali e hacontribuito alla stesura di molti volumi, come Vicenza. La Provincia Preziosa (2000), Antonio Caregaro Negrin. Scritti sui giardini (2005), e Andrea Palladio e la villa veneta da Petrarca a Carlo Scarpa (2005). Fin dal 1977 ha svolto attività di ricerca nel campo dell’Archeologia Industriale collaborando alla stesura di volumi come Archeologia Industriale e Scuola (1989), Archeologia Industriale nel Veneto (1990), ArcheologiaIndustriale (1992).

Nota “Schio. Archeologia Industriale” sarà presentato sabato 30 novembre, ore 18:00, presso il Lanificio Conte a Schio. Clicca qui per visionare l’evento.

Archeologia Industriale

Libro: Schio. Archeologia Industriale
Autori: Dino Sassi, Bernardetta Ricatti
Casa Editrice: Sassi Editore Srl www.sassieditore.it
Lingua: Testo bilingue italiano/inglese
ISBN: 978-88-96045-96-1




La città di Schio e il Lanificio Rossi in Veneto

La città di Schio, in provincia di Vicenza, è nota per essere divenuta intorno al 1870 la capitale dell’industria tessile nazionale, tanto da meritarsi l’appellativo di Manchester d’Italia.

Grazie alla dirompente personalità dell’imprenditore Alessandro Rossi, che ne costituì la civitas, ossia il modello socio-culturale imperniato su una sorta di capitalismo “paternalistico”, Schio divenne uno dei principali poli produttivi d’Europa.

Il centro abitato si venne organizzando, fin dall’epoca romana e soprattutto medievale, allo sbocco in pianura della pittoresca Val Leogra. La ricchezza d’acqua favorì attraverso il sistema delle canalizzazioni la nascita e lo sviluppo di molteplici attività produttive.

La pagina più gloriosa della rivoluzione industriale della città di Schio e del suo circondario, che già si era distinta nella produzione della seta, è, senza dubbio, segnata dalla vicenda del Lanificio Rossi, fondamentale non solo per la portata storica delle innovazioni introdotte nel tempo nelle tecnologie della lavorazione della lana ma anche nei moduli e stili costruttivi degli stabilimenti legati alle diverse fonti di energia, a partire dalla Francesco Rossi (1817-1849) fino alla Fabbrica Alta (1862), agli innovativi stabilimenti industriali di Pievebelvicino, Torrebelvicino e Piovene Rocchette (1869-1882), ai padiglioni in cemento armato del Novecento e all’organizzazione del lavoro e della società con le istituzioni operaie. Interprete per oltre quarant’anni del pensiero rossiano in termini urbanistico-architettonici è il vicentino Antonio Caregaro Negrin, esperto di architetture industriali, termali e di complessi paesaggistici.

Il Lanificio Rossi
L’avvio della grande impresa tessile si deve a Francesco Rossi (1782-1845), già procuratore di lane nell’Alto Vicentino. La sua lungimiranza nella direzione dell’opificio fu colta dal figlio Alessandro (1819-1898), che nel 1845 divenne direttore del Lanificio. Quando nel 1873 il Lanificio F. Rossi si trasformò in Società Anonima con capitali italiani e stranieri e sede a Milano, egli rimase comunque alla testa dell’azienda, coinvolgendo i figli Giuseppe, Giovanni, Gaetano e Francesco e, nel 1879, garantendo la continuità della presenza familiare nell’impresa con il sistema delle gerenze.

A testimoniare la magnificenza dell’azienda restano i due edifici maggiori, disposti a “elle” rispetto al vasto cortile interno, un tempo occupato dai numerosi reparti del Lanificio Rossi e oggi per lo più piazzale parcheggio in attesa di una nuova destinazione d’uso.

Lo stabilimento Francesco Rossi fu eretto da Alessandro in via Pasubio nel 1849 sulle strutture dell’originario impianto manifatturiero (1817), davanti al settecentesco Lanificio Tron-Rubini (demolito nel 1878). Sul fronte strada esibisce un’elegante facciata ispirata ai palazzi di città del neoclassicismo vicentino, dove domina la rigorosa simmetria delle parti, la chiarezza degli elementi architettonici, il simbolismo della decorazione plastica. Lo slancio verticale dell’edificio è sottolineato dai numerosi fori rettangolari graduati in altezza che segnano la scansione di quattro piani, già occupati dalle diverse fasi di lavorazione, quindi svuotati e adibiti a uffici, ora inutilizzati. Da notare sono il maestoso portale tuscanico fregiato dal nome del fondatore e dalla data di nascita dell’impresa “Francesco Rossi 1817”, le finestre del pianterreno contornate da bugne leggere e distanziate e, soprattutto, i rilievi inseriti nei parapetti delle aperture del primo piano che celebrano l’industria laniera. Realizzata dall’architetto Auguste Vivroux di Verviers in Belgio, viene così descritta dallo stesso Alessandro Rossi “«In nove mesi ho eretta una fabbrica di 80 metri di lunghezza sopra 13,90 di larghezza con 6 piani oltre il terreno, 125 colonne di ghisa, 330 finestre con tutte le comodità di acqua e di vapore per servizio e riscaldamento col vapore perduto.

Oltrepassato il breve portico d’ingresso, restaurato e rimodernato nel 1980, ci s’inoltra nell’ampio cortile dominato a Nord dal colossale volume della Fabbrica Alta (1862-63). La Fabbrica Alta conserva tuttora il suo eccezionale valore monumentale e il significato dirompente nel contesto urbano circostante. È uno dei simboli della città. In particolare spiccano la compatta stesura dell’enorme parete rossastra per la prevalenza del laterizio sul pietrame locale, le testate delle putrelle di ferro in forma di rosoni sfogliati, il diverso impiego del cotto nel contorno delle finestre rettangolari, nel motivo romboidale del fregio e nel fastigio della ciminiera, a sezione quadrata, con la data 1862, l’impiego della pietra nei davanzali e nei dentelli che reggono il cornicione. L’armonica combinazione dei materiali, la sobrietà e l’eleganza del linguaggio artistico indicano la mano esperta dell’esecutore, individuato in Antonio Caregaro Negrin (Vicenza 1821-1898), amico del collega belga e architetto di fiducia di Alessandro Rossi. Gli interni furono liberati dal relativo corredo di macchinari per adattarli agli usi amministrativi della Lanerossi, che nel 1966-67 aveva trasferito nella nuova zona industriale i reparti dell’intero ciclo produttivo. Solo il piano sottotetto conserva la primitiva struttura lignea. Le colonnine in ghisa delle lunghe sale sono state murate, le soffittature abbassate e le antiche pavimentazioni ricoperte.

Il Giardino Jacquard
Nel processo di rinnovamento e ampliamento del Lanificio Rossi rientra la realizzazione dell’annesso Giardino (1858-1878), detto poi Jacquard, pregevole brano di archeologia industriale oltre che splendida architettura di paesaggio, che si apre al lato opposto di via Pasubio, in corrispondenza del monumentale ingresso dell’opificio. Esso si sviluppa in un’area di circa 5000 mq., acquistata da Alessandro Rossi nell’arco di cinque anni (1852-1857) per collocarvi nuovi impianti industriali.

Il Teatro Jacquard
Il 2 ottobre 1869 viene inaugurato il Teatro Jacquard, progettato dall’architetto Antonio Caregaro Negrin capace di 800 posti. La facciata originaria del fabbricato era particolarmente elegante, tutta traforata da monofore, bifore, trifore e da sei ingressi ad arco, tra cui il grande portale centrale. In stile lombardesco è tuttora impreziosita dai dodici medaglioni in cotto, opera dello scultore milanese Giambattista Boni, che rappresentano illustri personaggi che hanno reso celebre la città di Schio. L’interno del teatro aveva la tipica forma a ferro di cavallo sottolineata dall’andamento della loggetta lignea poggiante su colonnine in ghisa, mentre il soffitto era a capriate. Decorazioni floreali incorniciavano il palcoscenico, dove si rappresentavano operette e melodrammi ispirati alla vita degli operai. Al pianterreno furono ricavati locali per il caffè e la biglietteria.

Il Nuovo Quartiere Operaio
Il Nuovo Quartiere Operaio, detto la “Nuova Schio”, anch’esso progettato dell’urbanista-architetto Antonio Caregaro Negrin, rappresenta il tentativo di concretizzare l’utopia di una “città ideale. La planimetria generale del 28 luglio 1872 configura una romantica “città giardino” con palesi riferimenti alle esperienze di Owen e alle città industriali belghe e francesi. Via via però che il progetto prendeva forma si andava perdendo l’originaria impostazione paesista per assumere sempre più la consolidata fisionomia a scacchiera dei villaggi industriali d’oltralpe. In esso i villini, destinati a dirigenti e tecnici, e le case operaie, la scuola comunale e l’asilo, la chiesa, il teatro ed altri servizi  di interesse pubblico oggi per lo più scomparsi o rimodernati per altre attività, pur rimanendone memoria nella documentazione storica come la Ghiacciai Comune, lo Stabilimento bagni, piscina e lavatoi pubblici

L’istruzione e gli edifici scolastici
Grande importanza nel programma sociale del Rossi assunse l’istruzione, fondamentale per la preparazione dei futuri artieri, ma anche dei capi tecnici e dei moderni agricoltori. Ne sono testimonianza gli edifici scolastici eretti non solo a Schio, ma anche nei quartieri industriali dei paesi limitrofi, nel Podere Modello di Santorso e a Vicenza.

Nel 1990 la Lanerossi è stata acquistata dal Gruppo Marzotto con tutti gli stabilimenti di Schio e di Piovene Rocchette, recentemente chiusi. Il complesso della “Francesco Rossi” con la Fabbrica Alta e il Giardino Jacquard, dopo varie vicissitudini, è ora proprietà del Comune di Schio.

Parallelamente alla vicenda tessile rossiana si ricordano le tappe più salienti della storia dei Lanifici Conte e Cazzola, soprattutto per lo spazio che ancora occupano con i loro diversi volumi architettonici, ora restaurati e riusati, nell’economia del tessuto urbano della città di Schio.

Alessandro Rossi e dei suoi figli, sono anche responsabili della promozione delle comunicazioni ferroviarie dell’Alto Vicentino per velocizzare il trasporto delle materie prime e dei prodotti dei vari stabilimenti tessili della Val Leogra e della Val d’Astico e quelli della Cartiera di Arsiero. Altre imprese rientrano nelle sfera rossiana, come la Fabbrica di Birra Summano (1873) di Rocchette, lungo la vecchia strada per Velo d’Astico, un tempo servita pure dalla linea ferroviaria Schio-Arsiero, e tuttora luogo di ristoro della popolazione locale e dei turisti.

Sito archeologico industriale: Città di Schio
Settore industriale: Industria tessile – Lanificio
Luogo: Schio – provincia di Vicenza – regione Veneto
Proprietà/gestione: Comune di Schio www.comune.schio.vi.it
Testo a cura di: Dott.sa Bernardetta Ricatti.
Testi tratti dal volume Schio. Archeologia Industriale di Dino Sassi e Bernardetta Ricatti edito da Sassi Editore Srl.




Libro: Cento Anni di Vita al Villaggio Leumann

Cento Anni di Vita al Villaggio Leumann. Racconti per Immagini, Didascalie, Aneddoti”, il nuovo libro per scoprire attraverso le immagini la storia del Villaggio Operaio Leumann in Piemonte, una delle perle del patrimonio archeologico industriale in Italia.

Le foto d’epoca costituiscono un patrimonio culturale, di tradizione e di storia. Oltre ad incuriosire l’utente giovane, permettono di riscoprire il nostro passato, l’arredo urbano della nostra cittadina, gli usi ed i costumi locali dei nostri genitori e dei nostri nonni.

L’Associazione Amici della Scuola Leumann, nata nel 1992 con lo scopo di ricostruire la storia del Villaggio Leumann, di preservarne la memoria e di valorizzarlo quale raro esempio di archeologia industriale, ha costituito, negli anni, un ricco archivio fotografico e ha raccolto aneddoti e testimonianze di un passato molto caro ai soci che qui sono nati ed hanno trascorso parte della loro vita. Ad un certo punto nell’Associazione si è fatta strada l’idea di mettere a disposizione di un pubblico più vasto queste immagini e questi ricordi.

Ne è nato il libro “Cento Anni di Vita al Villaggio Leumann. Racconti per Immagini, Didascalie, Aneddoti” che, nella prima parte, copre un periodo che va dall’inizio del ‘900 fino al 1972, anno che ha visto la chiusura del Cotonificio Leumann e l’inizio di un progressivo impoverimento di energie e di idee, essendo venuto a mancare il motore trainante della “fabbrica”. La seconda parte illustra, per immagini, il rivitalizzarsi del Villaggio, la socializzazione, la trasformazione da luogo spento a crogiolo di attività culturali e ricreative.

Oggi, infatti, per l’impegno e la volontà di alcune persone, riunitesi in Associazione,  il Villaggio Leumann è luogo da visitare, da studiare, da vivere con iniziative sempre apprezzate dal pubblico che accorre numeroso a riscoprire questo borgo di fine ’800. Questo impegno e questa volontà proseguono e, giunta al compimento del 20° anno, l’Associazione Amici della Scuola Leumann è più attiva che mai. Da qualche anno il Villaggio Leumann è Ecomuseo Provinciale e vede la presenza di circa cento famiglie, formate in buona parte da ex dipendenti della ditta Leumann.

Il volume intende essere un omaggio all’imprenditore illuminato Napoleone Leumann che il villaggio l’ha fatto costruire, al sindaco di Collegno, Ruggero Bertotti, che, nel 1976, ha fatto sì che continuasse ad esistere e a tutte le persone che lo hanno abitato.

Vuole anche essere di stimolo alle nuove generazioni ad averne cura e a continuare l’azione di valorizzazione finora portata avanti dagli “Amici della Scuola Leumann” e, dall’interesse riscontrato in questa sua prima apparizione, ci sono ottime prospettive per il futuro.

Prossimamente in uscita.

Libro: Cento Anni di Vita al Villaggio Leumann. Racconti per Immagini, Didascalie, Aneddoti
A cura di: Alessandro Zerbi
Casa Editrice: Editrice Il Punto – Piemonte in Bancarella www.piemonteinbancarella.it
Note: Realizzato grazie all’attività dell’Associazione Amici della Scuola Leumann www.villaggioleumann.it

Archeologia Industriale