La Centrale Montemartini a Roma Ostiense

La ex Centrale termoelettrica Montemartini, oggi sede museale all’interno del Polo Espositivo dei Musei Capitolini, integra mirabilmente archeologia industriale e arte classica.

Inaugurata il 30 giugno del 1912, la Centrale termoelettrica Montemartini fu il primo impianto elettrico pubblico per la produzione di energia elettrica della “Azienda elettrica municipale” (oggi Acea).
Venne intitolata a Giovanni Montemartini, economista italiano e teorico più autorevole del movimento delle municipalizzazioni delle aziende di servizi ad interesse pubblico.

La costruzione della centrale, su un’area di circa 20.000 mq tra la Via Ostiense e l’ansa del Tevere, fu affidata alla ditta di costruzione in cemento armato dell’ing. H. Bollinger di Milano.

L’aspetto monumentale dell’edificio si giustifica con la volontà di manifestare l’orgoglio della municipalità nel poter provvedere da sola alla produzione di servizi per i propri cittadini. Esigenze funzionali e valore estetico si sposano perfettamente nella struttura sia esterna che interna:

Le pareti laterali lunghe erano scandite dai pilastri su cui poggiavano le capriate paraboliche che reggevano il solaio. Quest’ultimo lungo l’asse principale si interrompeva per raggiungere uno quota più alta e formare un lucernaio con finestre a nastro. Il terrazzo di copertura era formato da una doppia soletta per favorire l’isolamento termico. L’aula era stata divisa in due aree distinte a seconda della tipologia di macchinario installato.
Lo spazio del lavoro veniva poi connotato attraverso una fascia alta circa due metri in “lapis ligneus” culminante con un fregio con un motivo decorativo a festoni, fiocchi e targhe che correva lungo tutto il perimetro. Una serie di eleganti lampioni in ghisa con globi sorretti da bracci arcuati illuminava l’interno. Sulla parete est era stato sistemato un grande schermo con lo schema dell’illuminazione pubblica.

Nel 1933, fu Benito Mussolini in persona ad inaugurare i due giganteschi motori diesel da 7500 Hp Franco Tosi, lunghi entrambi 23 metri, collocati all’interno della sala macchine completamente rinnovata. Un nuovo pavimento a mosaico disegnava intorno alle macchine cornici multicolori,ancora oggi utili a visualizzare l’assetto originario.

Nel periodo fascista, la centrale venne ulteriormente potenziata con lo scopo di sostenere il consumo energetico previsto per la grande Esposizione Universale che nel 1942 il regime intendeva realizzare nella zona sud di Roma per autocelebrarsi, ma in realtà mai organizzata.

Durante i bombardamenti che colpirono la città di Roma tra il 1944-45, anche la Centrale Montemartini subì alcuni danni, ma per fortuna di poca entità. la Centrale Montemartini si fece carico da sola dell’approvvigionamento energetico dell’intera città durante la liberazione. Dopo la guerra fu ulteriormente potenziata.

Nel 1963 la produzione di energia elettrica venne interrotta a cause dell’impianto ormai obsoleto per il quale non risultava più conveniente investire ulteriori risorse.

Il recupero della ex Centrale Montemartini, esempio di archeologia industriale

Per circa 20 anni la centrale rimase abbandonata, finché l’Acea non decise di recuperare la struttura con lo scopo di realizzare uno spazio polifunzionale destinato al terziario.
Su progetto dell’ingegnere Paolo Nervi l’intervento interessò principalmente la Sala Macchine e la nuova Sala Caldaie. I lavori, iniziati nel 1989, furono realizzati nel rispetto delle forme originali, recuperando parte delle decorazioni e dei macchinari originari, tra questi la grande turbina a vapore del 1917.

Il Museo della Centrale Montemartini parte del polo espositivo dei Musei Capitolini di Roma

Nel 1997, in occasione di un ampia ristrutturazione che ha interessato i Musei Capitolini, un centinaio di sculture sono state temporaneamente trasferite all’interno della ex Centrali Montemartini ed allestite nella mostra “Le macchine e gli dei“, creando un dialogo tra archeologia classica ed archeologia industriale.

In un suggestivo gioco di contrasti accanto ai vecchi macchinari produttivi della centrale sono stati esposti capolavori della scultura antica e preziosi manufatti rinvenuti negli scavi della fine dell’Ottocento e degli anni Trenta del 1900, con la ricostruzione di grandi complessi monumentali e l’illustrazione dello sviluppo della città antica dall’età repubblicana fino alla tarda età imperiale.

L’adeguamento della sede a museo, il restauro delle macchine e la sezione didattica del settore archeo industriale sono stati realizzati dall’Acea.

Lo splendido spazio museale, inizialmente concepito come temporaneo, in occasione del rientro di una parte delle sculture in Campidoglio nel 2005, alla conclusione dei lavori di ristrutturazione, è stato confermato come sede permanente delle collezioni di più recente acquisizione dei Musei Capitolini.
Nei suoi spazi continua il lavoro di sperimentazione di nuove soluzioni espositive collegato alla ricerca scientifica sui reperti; l’accostamento di opere provenienti da uno stesso contesto consente anche di ripristinare il vincolo tra il museo e il tessuto urbano antico.

Il museo stesso è inserito all’interno di un più ampio progetto di riqualificazione della zona Ostiense Marconi, che prevede la riconversione in polo culturale dell’area di più antica industrializzazione della città di Roma (comprendente, oltre alla centrale elettrica Montemartini, il Mattatoio, il Gazometro, strutture portuali, l’ex Mira Lanza e gli ex Mercati Generali) con il definitivo assetto delle sedi universitarie di Roma Tre e la realizzazione della Città della Scienza.

I servizi museali all’interno del Museo della Centrale Montemartini, in quanto parte del Sistema dei Musei Civici di Roma Capitale, sono curati da Zetema Progetto Cultura.

Info:
Musei Capitolini – Centrale Montemartini
Via Ostiense 106 – 00154 ROMA
Informazioni e prenotazioni Tel. 060608 tutti i giorni ore 9.00-21.00
Website www.centralemontemartini.org/E-mail info.centralemontemartini@comune.roma.it

 

Sito archeologico industriale:La Centrale Montemartini
Settore industriale:Settore Energetico
Luogo: Roma – Lazio
Proprietà/gestione: Musei Civici di Roma www.museiincomuneroma.it/
Testo a cura di:Centrale Montemartini. I testi per la parte storica sono stati tratti da “la Centrale Termoelettrica Giovanni Montemartini” di Antonio David Fiore.
Image Courtesy of: Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali




Sass Muss – L’ex Chimica Montecatini in Veneto

L’ex Chimica Montecatini di Sospirolo, località Sass Muss, in provincia di Belluno, grazie ad un’imponente azione di restauro e riqualificazione,  rappresenta una delle realtà più interessati dell’archeologia industriale delle Dolomiti.

Lo stabilimento di Sass Muss, destinato alla produzione dell’ammonica e realizzato sulla base del progetto elaborato dall’ingegner Giacomo Fauser, era ubicato vicino al fiume Cordevole. L’intero complesso era costituito dalla fabbrica vera e propria (edificio Sass de Mura: uno spazioso edificio a pianta rettangolare provvisto di vetrate e di grandi portoni d’accesso), un altro dedicato alla produzione di energia (Padiglione Pavione) e da un fabbricato adibito ad uffici e ad abitazione del direttore (edificio Pizzocco).

All’esterno erano collocati i due gasometri: uno grande per l’idrogeno ed uno più piccolo per l’azoto. Lo stabilimento,  costruito nel solo spazio di una anno e dotato di macchinari di fabbricazione italiana,  entrò in produzione nel 1924, occupando all’inizio una ventina di persone. Vi si produceva, col processo Fauser, solo ammoniaca.

La corrente elettrica necessaria al funzionamento  (un milione di chilowattore al mese) era fornita dalla vicina centrale (situata a pochi metri di distanza). Nel 1928 lo stabilimento contava 39 dipendenti.

Durante la Seconda Guerra Mondiale gli aerei americani mitragliarono, danneggiandoli gravemente, i due gasometri dell’idrogeno e dell’azoto e i serbatoi dell’ammoniaca, che si riversò tutta nel Cordevole. Lo stabilimento restò anche fermo a causa di altri eventi bellici che danneggiarono la condotta forzata della centrale elettrica.

Nel  1964 i dipendenti erano scesi a 24/25. Qualche anno dopo la fabbrica smise l’attività. Negli anni Ottanta, venne acquistata da un’industria chimica milanese, ma mai impiegata per usi produttivi o di altro genere.

Oggi il sito comprende l’insieme dei recuperati edifici di pregio architettonico in termini di archeologia industriale e quello dei nuovi corpi di fabbrica progettati da Attiva spa. La nuova area consiste in quattro blocchi contigui ed indipendenti, realizzati a schiera, e con un’unica copertura verde, per un totale di circa 8.000 metri quadri. In uno dei corpi di fabbrica appartenenti all’ampliamento produttivo  nel 2012 si è insediata l ’azienda produttrice di cioccolato Mirco Della Vecchia .

A partire dal 2012, in seguito all’azione di Dolomiti Contamporanee, i restanti edifici sono stati saltuariamente affittati come spazi espositivi, residence, feste, conferenze ed altro. Attualmente, col recente fallimento della Attiva Spa, tali edifici sono stati messi in vendita.

Il recupero dell’area di archeologia industriale Sass Muss, Sospirolo, Belluno

Attraverso il contributo del Fondo Europeo Sviluppo Regionale, la Attiva Spa – Agenzia Trasformazione Territoriale in Veneto ha realizzato il recupero del sito di archeologia industriale, articolato in 3 edifici originari e 2 edificati ex novo, su progetto dell’Architetto Manlio Olivotto.

Per il restauro dei fabbricati di archeologia industriale si è dovuto provvedere al loro consolidamento strutturale, oltre che all’inserimento di nuove strutture in acciaio, al rifacimento di massetti e pavimenti, della copertura e degli elementi di collegamento verticale. La scelta delle finiture esterne, dei nuovi serramenti e di restaurare gli esistenti è stata particolarmente finalizzata al mantenimento del caratteristico ed originario aspetto dell’antica fabbrica industriale.

Due  nuovi corpi di fabbrica integrano l’area, inserendosi in maniera armoniosa, seppur non mimetica, nel contesto dal punto di vista naturalistico, rispettando il vincolo idrogeologico cui è soggetto il territorio, caratterizzato da diverse componenti ambientali. Dal punto di vista architettonico, il confronto con la forte presenza degli edifici di archeologia industriale avviene in maniera decisa, ma non senza cercare un accordo formale: prospetti vetrati e coperture con manto vegetale si modulano osservando i volumi e lo spazio circostante.

Dolomiti Contemporanee –  Sass Muss un esempio di riqualificazione del patrimonio industriale

Dolomiti Contemporanee,  nato ad agosto 2011, è un riconfiguratore spaziale, e concettuale. Attraverso l’arte e la cultura, Dolomiti Contemporanee individua e riattivata una serie di siti dal forte potenziale: siti industriali, fabbriche abbandonate, ai piedi delle guglie dolomitiche.

Il programma di riqualificazione ideato da Dolomiti Contemporanee prevede l’occupazione temporanea dei complessi individuati, che vengono trasformati in centri espositivi. Al loro interno, si attivano le Residenze, in cui vengono ospitati gli artisti. Oltre 100 nei primi due anni di attività. La fabbriche, chiuse da anni o decenni, riaprono dunque come centri di produzione culturale ed artistica.

Sass muss è il sito-origine del progetto Dolomiti Contemporanee. il primo complesso riattivato e recuperato attraverso un modello in cui cultura ed arte divengono elementi produttivi di spinta, leve concrete per l’azione sul territorio.

Il sito di archeologia industriale di Sass Muss è stato utilizzato da Dolomiti Contemporanee  tra giugno 2011 e giugno 2012, ed ha inaugurato la stagione delle “migrazioni artistiche”. Dolomiti Contemporanee all’interno dell’edificio Pizzocco ha realizzato i propri uffici, un bar-ristoro, e utilizzando gli appartamenti ai piani superiori per la Residenza degli artisti; i Padiglioni Pavione (750 metri quadri) e Sass de Mura (1.000 metri quadri), sono stati utilizzati come spazi espositivi, insieme a due degli edifici che fanno parte dell’ampliamento produttivo. Oltre 10.000 persone sono giunte in questo sito, formidabile e delocalizzato, riscoprendolo, dopo decenni d’oblio, e inaugurando una nuova stagione per il complesso. In seguito, altri siti, complessi d’archeologia industriale, fabbriche abbandonate, sono state riavviate grazie all’azione di Dolomiti Contemporanee (Blocco di Taibon, estate 2012) che attualmente lavora ai prossimi cantieri.

Ecco alcuni dei video realizzati da Dolomiti Contemporanee e visionabili sul loro canale YouTube che ci accompagnano alla scoperta del sito di archeologia industriale Sass Muss:

Dolomiti Contemporanee – Sass Muss #1

Dolomiti Contemporanee – Sass Muss 30 luglio 2011 – video start

Info:

Dolomiti Contemporanee Tel Belluno +39 0437 30685  Casso +39 0427 666068 +39 338 1492993
Web site www.dolomiticontemporanee.net e-mail  info@dolomiticontemporanee.net

Sito archeologico industriale: L’ex Chimica Montecatini Sass Muss
Settore industriale:Industria Chimica
Luogo: Sass Muss – Sospirolo – Belluno – Veneto (Sospirolo è all’interno del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi, Patrimonio UNESCO)
Proprietà/gestione: Attiva Spa e Mirco Della Vecchia – Artigiano del Ciccolato
Testo a cura di: Dolomiti Contemporanee

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Il Pastificio Moro ed il Museo Mulino di Bottonera in Lombardia

Attraverso il libro di Marco Scuffi “Pastificio di Chiavenna. I 145 anni” conosciamo la storia del Pastificio Moro e del Mulino di Bottonera che oggi ospita un interessante museo di archeologia industriale sulla produzione della farina.

Valchiavenna, provincia di Sondrio, tutto è nato per volontà di Carlo Moro (1838-1889). Carlo, che da giovane lavorava come panettiere, cominciò la propria attività fondando un mulino ed un torchio per la macinazione dei cereali a Chiavenna, presso il quartiere della Bottonera, dove sorgevano già da tempo altri opifici, che sfruttavano l’energia motrice fornita dall’acqua di un canale artificiale, la Molinanca, chiuso nella seconda metà del XX secolo.

La costruzione del mulino e del torchio risale al 1867; dopo qualche tempo accanto al nucleo originario fu aggiunto un pastificio che lavorava le farine prodotte. Il mulino Moro funzionava inizialmente a palmenti ma fu successivamente trasformato in un più moderno mulino a cilindri. All’epoca costituiva una delle strutture più avanzate a livello locale dal punto di vista tecnologico, tanto che l’attività di Carlo Moro si impose presto come una delle più importanti del settore nella provincia di Sondrio.
Nel frattempo l’azienda prese i primi contatti con la Svizzera e altri paesi vicini e cominciò ad esportare in Europa il proprio prodotto. Verso la fine del XX secolo l’esportazione raggiunse anche l’America e l’Australia.

Il canale della Molinanca fu chiuso nel 1958, ma i Moro introdussero nel mulino un motore elettrico, in grado di mantenerlo in funzione. Nonostante ciò la necessità di uno stabilimento più moderno spinse l’azienda a trasferire la produzione a Tanno, una frazione del vicino comune di Prata Camportaccio, con la fabbricazione dell’attuale struttura, che aprì i battenti nel 1965. Dopo un periodo intermedio in cui entrambe le strutture funzionarono insieme, nel 1971 il nucleo originario venne abbandonato. Oggi la quinta generazione della famiglia Moro continua a Tanno l´attività iniziata da Carlo.

Il Mulino Moro di Bottonera: Museo della Valchiavenna di Archeologia Industriale

Negli anni ’80 il comune di Chiavenna decise di utilizzare l’area del pastificio Moro per la costruzione di un nuovo polo scolastico: a questo punto però si convenne di conservare il mulino, per il suo valore storico, in vista di una sua futura trasformazione in sezione di archeologia industriale del Museo della Valchiavenna.

Il pastificio fu quindi abbattuto, anche se le scuole che lo sostituirono ne mantennero l’assetto architettonico come vincolo paesaggistico, mentre il mulino fu acquisito dalla provincia di Sondrio e lasciato in comodato alla Comunità Montana della Valchiavenna, che, insieme all’OVVA (Organizzazione Volontari Valchiavenna Anziani e Amici), lo rese nuovamente agibile.

Il 12 settembre del 1997 il museo fu quindi inaugurato, mentre nel 2000 anche la proprietà fu ceduta dalla provincia alla Comunità Montana.  Dopo un ultimo restauro al tetto, del 2012, è nuovamente visitabile.

Descrizione del Museo Mulino di Bottonera

Il mulino si sviluppa su tre piani più un seminterrato. Una struttura simmetrica, che ospita un ampio vano, è destinata alla sala macchine, mentre un vano laterale più piccolo serviva per le operazioni di pulitura e lavaggio dei cereali.

Il seminterrato ospitava la turbina e vi erano collocate alcune macchine per la pulitura. Al primo piano (piano rialzato) sono collocati i laminatoi, mentre al secondo ed al terzo sono i “plansister” e le semolatrici, oltre a vari macchinari per il recupero dei prodotti secondari della lavorazione e per l´insaccaggio. L´aspetto più interessante è costituito dal pregevole lavoro di carpenteria del legno con il quale sono costruite la mescola della farina, le tramogge e l´intero impianto di condutture che consentono, mediante elevatori, il movimento e la selezione dei prodotti semilavorati.

Per informazioni sui giorni ed orari di apertura del Museo della Valchiavenna – Mulino Moro di Bottonera,
contattare il Consorzio per la Promozione Turistica della Valchiavenna al + 39 343 37485

Hanno parlato del Pastificio Moro:

UNESCO Chair Forum University and Heritage – Newsletter clicca qui

Sito archeologico industriale: Il Pastificio Moro ed il Museo Mulino di Bottonera
Settore industriale: Settore Alimentare
Luogo: Chiavenna – Sondrio – Lombardia
Proprietà/gestione: Comunità Montana della Valchiavenna www.cmvalchiavenna.gov.it
Testo a cura di: Marco Scuffi. Per la descrizione del Museo Mulino di Bottonera testo tratto dal sito ufficiale del Consorzio per la Promozione Turistica della Valchiavenna




Il setificio Gütermann & C. in Piemonte

Il setificio Gütermann di Perosa Argentina,  in provincia di Torino, oggi parte del nostro patrimonio industriale, testimonia il contributo dell’imprenditorialità straniera al nostro territorio.

L’insediamento del setificio tedesco a Perosa Argentina risale al 1883 quando Max Gütermann, già fondatore nel 1864 a Vienna della fabbrica Gütermann & C. poi trasferitasi nel 1867 a Gutach, nel Baden, acquistò un primitivo impianto costruito nel 1870 dal francese Benedetto Bertholet, per la macerazione e la pettinatura dei cascami di seta greggia.

A dirigerlo fu Karl, poi Rudolf, aiutato per la parte tecnica dal nipote Arturo Gütermann e, nel 1925, da Willy, figlio di Rodolfo. Tra il 1895 e il 1949 la famiglia tedesca diede vita a numerosi interventi in favore della manodopera: case operaie, case per impiegati, convitto, asilo infantile, spaccio aziendale, colonia elioterapica e scuola elementare, secondo il modello della collaborazione tra capitale e lavoro. L’avvento delle fibre tessili sintetiche del decennio successivo porterà alla definitiva chiusura degli impianti nel 2001.

La primitiva struttura industriale, ancora oggi visibile sul terreno del torrente Chisone, è a più piani con un’ampia fronte parallela al fiume. Successivi ampliamenti portarono alla costruzione di altri corpi a quattro piani e tetti piani e alla costruzione del fabbricato a uso filatura (1906). Il nuovo edificio è a sei piani, collegato al primitivo corpo di fabbrica con un corridoio aereo che attraversa ancora oggi la carrozzabile. I muri a struttura portante sono in pietra e laterizio.

Al di là del fiume è il reparto della macerazione dei cascami (1910-11) con struttura a un solo piano a due falde.

Coeve agli edifici per le lavorazioni sono le abitazioni per la manodopera. Le prime, dette “case nuove”, nei pressi dello stabilimento, datano 1875. Si tratta di edifici a quattro piani con ballatoio esterno, struttura portante, tetto in legno con copertura a lose.

Nel 1895 si completò la costruzione di Villa Gütermann, dimora di Rodolfo e poi di Willy, edificio sobrio ma elegante con scenografico scalone centrale, decorazioni esterne in pietra di gusto neoclassico, bella pensilina in ferro lavorato, ampio parco, oggi sede della Comunità Montana. Degno di nota il corpo laterale alla villa, a uso serra (1900), in muratura portante, tetto in legno e copertura in ardesia “alla francese”, di chiara impronta nordica.

Tra il 1895 e il 1934 sono le palazzine operaie a quattro e cinque piani fuori terra, addossate le une alle altre, in muratura portante. Interessante per la posizione a gradoni sulla collina con terrazzi e tetti piani è la prima casa in via Roma, 63, del 1906, progettata dall’ing. Pietro Soldati. Sempre del Soldati sono un villino a uso della dirigenza, in v. Gütermann, a due piani e lambrequin in legno, e il Convitto con ringhiere in ghisa, montanti e mensole in pietra lavorata. Notevoli le palazzine impiegati (1910-1920) con decorazioni a piastrelle azzurre e motivi Liberty.

Più tarde le strutture dell’Asilo, dell’Ufficio Postale, del Dopolavoro e della Colonia Elioterapica.

 

Un Ecomuseo per valorizzare l’archeologia industriale di Perosa Argentina

Il 4 maggio 1996 nasce l’Associazione Ecomuseo delle attività industriali di Perosa Argentina e valli Chisone e Germanasca con l’obiettivo di realizzare, attraverso il coinvolgimento di Enti ed Istituzioni, la stesura e presentazione di un progetto in grado di attingere a finanziamenti provinciali, regionali e dell’Unione Europea, finalizzati al recupero di almeno una parte dell’ex Convitto Gütermann, all’allestimento del museo e di un percorso museale di archeologia industriale.

 Archeologia Industriale

Sito archeologico industriale: Il setificio Gütermann & C.
Settore industriale: Settore tessile
Luogo: Perosa Argentina – Torino – Piemonte
Proprietà/gestione: Provincia di Torino. Associazione Ecomuseo delle attività industriali di Perosa Argentina e Valli Chisone e Germanasca www.ecomuseoperosa.it
Testo a cura di: dott.sa Carla F. Gütermann . Crediti fotografici Gallery Associazione Ecomuseo delle attività industriali di Perosa Argentina e Valli Chisone e Germanasca




La ex-Fabbrica, l’Archivio Storico e Museo Birra Peroni a Roma

La ex-Fabbrica della Birra Peroni, oggi parte del nostro patrimonio archeologico industriale, e l’Archivio Storico e Museo Birra Peroni a Roma raccontano la storia di un marchio che ha contribuito fortemente allo sviluppo del settore birraio italiano.

La ex-Fabbrica della Birra Peroni, oggi sede del MACRO (Museo d’Arte Contemporanea di Roma)

La Ditta Francesco Peroni, nata a Vigevano nel 1846, avviò nel 1864 una seconda fabbrica di birra a Roma, futura Capitale d’Italia. A seguito della fusione della Ditta Francesco Peroni con la Società Romana per la fabbricazione del ghiaccio e della neve artificiale, avvenuta nel 1901, la sede societaria fu trasferita nei pressi di Porta Pia, dove ancora ai nostri giorni sono visibili i diversi corpi di fabbrica.

Il Lotto A: Nella sua prima configurazione – e fino al 1907 – l’attività produttiva era concentrata nel lotto compreso tra piazza Alessandria, via Mantova e via Bergamo (lotto “A”), dove si trovavano gli impianti di fabbricazione della birra, del ghiaccio e le celle frigorifere. Affacciato su piazza Alessandria, uno châlet-birreria di legno in stile Liberty, con giardino esterno, fu costruito nel 1902 per il consumo di birra in loco. Una prima sostanziale modifica allo stabilimento industriale fu apportata nel 1908 con la costruzione del Sudhaus (sala di cottura) in angolo con via Bergamo, progettato da Gustavo Giovannoni e ancora esistente.

La Ristrutturazione del 1912: Nel 1912 una profonda ristrutturazione dello stabilimento condusse tra l’altro allo smantellamento dello châlet e delle celle frigorifere, alla costruzione di “quartierini operai” nelle vie Brescia, Nizza e Bosi e all’estensione dello stabilimento ai lotti “B” e “C”, già di proprietà dell’azienda.

Il Lotto B: Nel lotto “B”, compreso tra le vie Mantova e Alessandria, si costruirono un reparto per il servizio del mercato fuori Roma e una nuova fabbrica di ghiaccio, sempre su progetto di Gustavo Giovannoni, con facciata su via Alessandria.

Il Lotto C: Nel lotto “C”, compreso tra le vie Reggio Emilia, Nizza e Cagliari furono edificate le scuderie e la rimessa dei carri per il servizio cittadino. Era il lotto destinato ai servizi di supporto alla produzione di birra e ghiaccio. Il fronte su via Reggio Emilia fu progettato da Gustavo Giovannoni nel 1912. Il fronte su via Cagliari e quello in angolo con via Nizza furono aggiunti tra il 1920 e il 1922, su progetto dell’architetto Alfredo Palopoli, in concomitanza con la costruzione di una nuova, ed ultima, fabbrica di ghiaccio, i cui impianti furono definitivamente smantellati all’inizio degli anni Sessanta.

La Fabbrica della Birra Peroni oggi: La configurazione dell’opificio della Birra Peroni rimase poi invariata fino alla sua dismissione, avvenuta nel 1971. La convenzione stipulata con il Comune di Roma del 1983 e la successiva riabilitazione dell’ex edificio industriale è storia recente, di cui fanno parte la destinazione del lotto “C” a sede della Galleria Comunale di arte moderna e contemporanea inaugurata nel 1999 (oggi MACRO) e il restauro dei lotti “A” e “B”, ora destinati ad uffici, negozi ed abitazioni private. Il l’Archivio e il Museo Birra Peroni ha trovato invece collocazione presso l’attuale stabilimento Birra Peroni di Roma in via Renato Birolli.

 

L’Archivio Storico e Museo Birra Peroni

Il progetto di recupero della memoria storica aziendale, intrapreso dalla Società Birra Peroni in occasione del centocinquantesimo anno di vita (1996) e proseguito negli anni successivi, ha conseguito 3 obiettivi principali:
• la redazione di una approfondita monografia storica aziendale,
• l’apertura al pubblico dell’Archivio Storico, dichiarato di notevole interesse storico dalla Soprintendenza archivistica per il Lazio nel 1996 e la pubblicazione del suo inventario nel 2001,
• la realizzazione di un museo aziendale, che ha aperto i battenti nel 2001.
Pioniera del settore, Birra Peroni è socio fondatore dell’Associazione Museimpresa, l’Associazione degli archivi e dei musei d’impresa italiani, nata nel 2001, su iniziativa di Assolombarda e e aderisce al Portale degli Archivi d’Impresa, promosso dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.

Il Museo Birra Peroni

La struttura museale si trova – insieme a quella dell’Archivio Storico, per un totale di 500 mq – all’interno dell’attuale Stabilimento Birra Peroni di Roma, situato in area industriale Tor Sapienza.

Nel Museo Birra Peroni sono rappresentate la storia e l’attualità della Società e del suo prodotto, attraverso oggetti, immagini, documenti originali e filmati d’epoca, che mettono in luce gli infiniti nessi con la storia del costume e della società italiani. Le tre sezioni di cui si compone il museo corrispondono ai tre punti chiave del successo Peroni nel tempo: la storia industriale nella sua dimensione interna e nei rapporti con le comunità locali; la storia del prodotto e del suo consumo nel mercato italiano; l’efficace comunicazione pubblicitaria dai primi del ‘900 all’invenzione della bionda Peroni nelle sue infinite declinazioni.

La I Sezione, Fabbriche, lavoro e territorio – la Birra Peroni nel XX secolo, è dedicata alle scelte strategiche ed industriali che hanno reso Birra Peroni prima azienda del settore sin dall’inizio del Novecento. Utensili ed impianti provenienti dagli uffici e dai reparti di fabbrica dismessi testimoniano la dimensione interna e l’evoluzione delle professioni e dell’organizzazione del lavoro.

La II Sezione, dedicata alla storia della distribuzione commerciale, ripercorre attraverso immagini e oggettistica l’evoluzione del consumo, del packaging e del materiale promozionale fornito ai punti vendita per accompagnare il consumo di birra sin dalla fine dell’Ottocento. Molti gli agganci alla storia del costume, del tempo libero e dell’alimentazione nei suoi aspetti antropologici ed economico-sociali, dagli anni della Belle Époque ai primi passi della società dei consumi di massa.

Nella III sezione la storia della comunicazione pubblicitaria offre uno spaccato di un altro importante capitolo di storia italiana: attraverso i motti ingenui ed efficaci delle campagne stampa dagli anni Venti e Trenta, si giunge alla rappresentazione femminile della bionda Peroni dagli anni Sessanta al 2003, fino ai filmati delle ultime campagne per TV e cinema di Peroni e Nastro Azzurro.

L’Archivio Storico Birra Peroni

L’Archivio Birra Peroni, vincolato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali nel 1996, è aperto al pubblico dalla fine degli anni Novanta. La documentazione conservata è inventariata analiticamente su supporto informatico ed è consultabile in Azienda per documentati motivi di studio e di ricerca.

Le carte aziendali corrispondono alla documentazione cartacea prodotta dall’azienda Birra Peroni tra gli ultimi decenni dell’Ottocento e gli anni Cinquanta del Novecento: scritture sociali, libri contabili, registri del personale, corrispondenze, documentazione relativa all’amministrazione del personale e alla attività produttiva e commerciale della sede centrale di Roma, degli stabilimenti di Bari, Napoli, Livorno e Padova e delle società acquisite (Birra d’Abbruzzo, Birra Paszkowski-Wührer, Birrerie Meridionali, Costruzioni Meccaniche Meridionali). Un nucleo ulteriore di documentazione copre i decenni dal 1960 circa ad oggi, per un totale di 500 metri lineari.

Oltre alla documentazione cartacea, la storia dell’Azienda è raccontata da video (oltre 1400 pellicole depositate presso l’Archivio Nazionale del Cinema d’Impresa di Ivrea), fotografie (circa 10.000 immagini, che coprono l’arco cronologico 1880 circa – oggi); varie tipologie oggettuali come confezioni e materiali per il punto vendita; filmati; macchinari ed attrezzi. Una biblioteca di oltre 1.000 testi inerenti l’argomento birrario, gli archivi e le storie d’impresa completa l’offerta culturale dell’Archivio Storico Birra Peroni.

Info
Archivio Storico e Museo Birra Peroni Via Renato Birolli, 8 – 00155 Roma Tel.   0622544.1
Email: museo@peroni.it Visita nei giorni feriali su appuntamento Ingresso gratuito

 

Sito archeologico industriale: Fabbrica della Birra Peroni e l’Archivio Storico e Museo Birra Peroni
Settore industriale: Settore birraio
Luogo: Roma – Lazio
Proprietà/gestione: Birra Peroni s.r.l www.birraperoni.it Comune di Roma www.comune.roma.it
Testo a cura di: Archivio Storico e Museo Birra Peroni

Archeologia Industriale




La città di Schio e il Lanificio Rossi in Veneto

La città di Schio, in provincia di Vicenza, è nota per essere divenuta intorno al 1870 la capitale dell’industria tessile nazionale, tanto da meritarsi l’appellativo di Manchester d’Italia.

Grazie alla dirompente personalità dell’imprenditore Alessandro Rossi, che ne costituì la civitas, ossia il modello socio-culturale imperniato su una sorta di capitalismo “paternalistico”, Schio divenne uno dei principali poli produttivi d’Europa.

Il centro abitato si venne organizzando, fin dall’epoca romana e soprattutto medievale, allo sbocco in pianura della pittoresca Val Leogra. La ricchezza d’acqua favorì attraverso il sistema delle canalizzazioni la nascita e lo sviluppo di molteplici attività produttive.

La pagina più gloriosa della rivoluzione industriale della città di Schio e del suo circondario, che già si era distinta nella produzione della seta, è, senza dubbio, segnata dalla vicenda del Lanificio Rossi, fondamentale non solo per la portata storica delle innovazioni introdotte nel tempo nelle tecnologie della lavorazione della lana ma anche nei moduli e stili costruttivi degli stabilimenti legati alle diverse fonti di energia, a partire dalla Francesco Rossi (1817-1849) fino alla Fabbrica Alta (1862), agli innovativi stabilimenti industriali di Pievebelvicino, Torrebelvicino e Piovene Rocchette (1869-1882), ai padiglioni in cemento armato del Novecento e all’organizzazione del lavoro e della società con le istituzioni operaie. Interprete per oltre quarant’anni del pensiero rossiano in termini urbanistico-architettonici è il vicentino Antonio Caregaro Negrin, esperto di architetture industriali, termali e di complessi paesaggistici.

Il Lanificio Rossi
L’avvio della grande impresa tessile si deve a Francesco Rossi (1782-1845), già procuratore di lane nell’Alto Vicentino. La sua lungimiranza nella direzione dell’opificio fu colta dal figlio Alessandro (1819-1898), che nel 1845 divenne direttore del Lanificio. Quando nel 1873 il Lanificio F. Rossi si trasformò in Società Anonima con capitali italiani e stranieri e sede a Milano, egli rimase comunque alla testa dell’azienda, coinvolgendo i figli Giuseppe, Giovanni, Gaetano e Francesco e, nel 1879, garantendo la continuità della presenza familiare nell’impresa con il sistema delle gerenze.

A testimoniare la magnificenza dell’azienda restano i due edifici maggiori, disposti a “elle” rispetto al vasto cortile interno, un tempo occupato dai numerosi reparti del Lanificio Rossi e oggi per lo più piazzale parcheggio in attesa di una nuova destinazione d’uso.

Lo stabilimento Francesco Rossi fu eretto da Alessandro in via Pasubio nel 1849 sulle strutture dell’originario impianto manifatturiero (1817), davanti al settecentesco Lanificio Tron-Rubini (demolito nel 1878). Sul fronte strada esibisce un’elegante facciata ispirata ai palazzi di città del neoclassicismo vicentino, dove domina la rigorosa simmetria delle parti, la chiarezza degli elementi architettonici, il simbolismo della decorazione plastica. Lo slancio verticale dell’edificio è sottolineato dai numerosi fori rettangolari graduati in altezza che segnano la scansione di quattro piani, già occupati dalle diverse fasi di lavorazione, quindi svuotati e adibiti a uffici, ora inutilizzati. Da notare sono il maestoso portale tuscanico fregiato dal nome del fondatore e dalla data di nascita dell’impresa “Francesco Rossi 1817”, le finestre del pianterreno contornate da bugne leggere e distanziate e, soprattutto, i rilievi inseriti nei parapetti delle aperture del primo piano che celebrano l’industria laniera. Realizzata dall’architetto Auguste Vivroux di Verviers in Belgio, viene così descritta dallo stesso Alessandro Rossi “«In nove mesi ho eretta una fabbrica di 80 metri di lunghezza sopra 13,90 di larghezza con 6 piani oltre il terreno, 125 colonne di ghisa, 330 finestre con tutte le comodità di acqua e di vapore per servizio e riscaldamento col vapore perduto.

Oltrepassato il breve portico d’ingresso, restaurato e rimodernato nel 1980, ci s’inoltra nell’ampio cortile dominato a Nord dal colossale volume della Fabbrica Alta (1862-63). La Fabbrica Alta conserva tuttora il suo eccezionale valore monumentale e il significato dirompente nel contesto urbano circostante. È uno dei simboli della città. In particolare spiccano la compatta stesura dell’enorme parete rossastra per la prevalenza del laterizio sul pietrame locale, le testate delle putrelle di ferro in forma di rosoni sfogliati, il diverso impiego del cotto nel contorno delle finestre rettangolari, nel motivo romboidale del fregio e nel fastigio della ciminiera, a sezione quadrata, con la data 1862, l’impiego della pietra nei davanzali e nei dentelli che reggono il cornicione. L’armonica combinazione dei materiali, la sobrietà e l’eleganza del linguaggio artistico indicano la mano esperta dell’esecutore, individuato in Antonio Caregaro Negrin (Vicenza 1821-1898), amico del collega belga e architetto di fiducia di Alessandro Rossi. Gli interni furono liberati dal relativo corredo di macchinari per adattarli agli usi amministrativi della Lanerossi, che nel 1966-67 aveva trasferito nella nuova zona industriale i reparti dell’intero ciclo produttivo. Solo il piano sottotetto conserva la primitiva struttura lignea. Le colonnine in ghisa delle lunghe sale sono state murate, le soffittature abbassate e le antiche pavimentazioni ricoperte.

Il Giardino Jacquard
Nel processo di rinnovamento e ampliamento del Lanificio Rossi rientra la realizzazione dell’annesso Giardino (1858-1878), detto poi Jacquard, pregevole brano di archeologia industriale oltre che splendida architettura di paesaggio, che si apre al lato opposto di via Pasubio, in corrispondenza del monumentale ingresso dell’opificio. Esso si sviluppa in un’area di circa 5000 mq., acquistata da Alessandro Rossi nell’arco di cinque anni (1852-1857) per collocarvi nuovi impianti industriali.

Il Teatro Jacquard
Il 2 ottobre 1869 viene inaugurato il Teatro Jacquard, progettato dall’architetto Antonio Caregaro Negrin capace di 800 posti. La facciata originaria del fabbricato era particolarmente elegante, tutta traforata da monofore, bifore, trifore e da sei ingressi ad arco, tra cui il grande portale centrale. In stile lombardesco è tuttora impreziosita dai dodici medaglioni in cotto, opera dello scultore milanese Giambattista Boni, che rappresentano illustri personaggi che hanno reso celebre la città di Schio. L’interno del teatro aveva la tipica forma a ferro di cavallo sottolineata dall’andamento della loggetta lignea poggiante su colonnine in ghisa, mentre il soffitto era a capriate. Decorazioni floreali incorniciavano il palcoscenico, dove si rappresentavano operette e melodrammi ispirati alla vita degli operai. Al pianterreno furono ricavati locali per il caffè e la biglietteria.

Il Nuovo Quartiere Operaio
Il Nuovo Quartiere Operaio, detto la “Nuova Schio”, anch’esso progettato dell’urbanista-architetto Antonio Caregaro Negrin, rappresenta il tentativo di concretizzare l’utopia di una “città ideale. La planimetria generale del 28 luglio 1872 configura una romantica “città giardino” con palesi riferimenti alle esperienze di Owen e alle città industriali belghe e francesi. Via via però che il progetto prendeva forma si andava perdendo l’originaria impostazione paesista per assumere sempre più la consolidata fisionomia a scacchiera dei villaggi industriali d’oltralpe. In esso i villini, destinati a dirigenti e tecnici, e le case operaie, la scuola comunale e l’asilo, la chiesa, il teatro ed altri servizi  di interesse pubblico oggi per lo più scomparsi o rimodernati per altre attività, pur rimanendone memoria nella documentazione storica come la Ghiacciai Comune, lo Stabilimento bagni, piscina e lavatoi pubblici

L’istruzione e gli edifici scolastici
Grande importanza nel programma sociale del Rossi assunse l’istruzione, fondamentale per la preparazione dei futuri artieri, ma anche dei capi tecnici e dei moderni agricoltori. Ne sono testimonianza gli edifici scolastici eretti non solo a Schio, ma anche nei quartieri industriali dei paesi limitrofi, nel Podere Modello di Santorso e a Vicenza.

Nel 1990 la Lanerossi è stata acquistata dal Gruppo Marzotto con tutti gli stabilimenti di Schio e di Piovene Rocchette, recentemente chiusi. Il complesso della “Francesco Rossi” con la Fabbrica Alta e il Giardino Jacquard, dopo varie vicissitudini, è ora proprietà del Comune di Schio.

Parallelamente alla vicenda tessile rossiana si ricordano le tappe più salienti della storia dei Lanifici Conte e Cazzola, soprattutto per lo spazio che ancora occupano con i loro diversi volumi architettonici, ora restaurati e riusati, nell’economia del tessuto urbano della città di Schio.

Alessandro Rossi e dei suoi figli, sono anche responsabili della promozione delle comunicazioni ferroviarie dell’Alto Vicentino per velocizzare il trasporto delle materie prime e dei prodotti dei vari stabilimenti tessili della Val Leogra e della Val d’Astico e quelli della Cartiera di Arsiero. Altre imprese rientrano nelle sfera rossiana, come la Fabbrica di Birra Summano (1873) di Rocchette, lungo la vecchia strada per Velo d’Astico, un tempo servita pure dalla linea ferroviaria Schio-Arsiero, e tuttora luogo di ristoro della popolazione locale e dei turisti.

Sito archeologico industriale: Città di Schio
Settore industriale: Industria tessile – Lanificio
Luogo: Schio – provincia di Vicenza – regione Veneto
Proprietà/gestione: Comune di Schio www.comune.schio.vi.it
Testo a cura di: Dott.sa Bernardetta Ricatti.
Testi tratti dal volume Schio. Archeologia Industriale di Dino Sassi e Bernardetta Ricatti edito da Sassi Editore Srl.




Il Villaggio Leumann in Piemonte

Il Villaggio Operaio Leumann è uno dei fiori all’occhiello dell’Archeologia Industriale in Italia. Situato in provincia di Torino è una delle poche edificazioni filantropiche volute da imprenditori illuminati a supporto della classe operaia. 

 

Il Villaggio Leumann di Collegno insieme al Cotonificio fu edificato tra il 1876 e il 1912 dall’imprenditore svizzero Napoleone Leumann per dare lavoro, sistemazione e servizi gratuiti alle maestranze qui impiegate che provenivano sia dalla precedente tessitura di Voghera, nell’Oltrepò pavese, sia dai comuni limitrofi a Collegno. Il complesso costruttivo, a pianta triangolare, è formato dal Cotonificio e da due comprensori laterali, per una superficie complessiva di 72.000 mq. Entrambi i comprensori sono attraversati da una via principale, che si stacca dallo stradale di Rivoli, penetra all’interno di ciascun area di costruzione e si conclude in una graziosa piazzetta. A far da cornice agli slarghi sono rispettivamente due edifici fulcro: il Convitto nel comprensorio est e la Chiesa di Sant’Elisabetta nel comprensorio ovest, edifici questi costruiti per essere punti di aggregazione a uso collettivo. Il progetto architettonico fu affidato in parte all’ing. Pietro Fenoglio, artefice delle più significative opere in stile liberty a Torino. Il luogo, a nord della città sabauda, fu scelto dalla famiglia svizzera per la presenza di corsi d’acqua, per la vicina ferrovia e per il costo relativamente basso dei terreni rispetto a quelli di Torino. Tale fu l’importanza del Cotonificio svizzero che, nel 1896, il Comune di Collegno intitolò la zona Borgata Leumann, frazione del Comune di Collegno.

Il Villaggio Leumann venne concepito per essere del tutto autonomo. Le villette per gli operai e gli impiegati sono costruite in laterizio con due piani fuori terra e orto-giardino, ispirate alla tradizione edilizia padana del tempo, miscelata, specie nei tagli volumetrici dei tetti, con imprestiti di derivazione svizzera, riferibili all’origine elvetica del committente. Accanto alle abitazioni una serie di strutture assistenziali gratuite supportate da iniziative assistenziali (cassa malattia, cassa nuziale, cassa pensioni, liquidazione) facilitavano la vita e il lavoro alla Borgata. Nel comprensorio est trovano spazio il Convitto per le Operaie (1890-1906), il Refettorio (1890-1909), poi trasferito nell’area dello stabilimento e ora non più visibile, l’edificio dei Bagni (1902), il Teatro (1890) e l’Albergo Il Persico (1891). Nel comprensorio ovest, l’Ufficio Postale (1911), la Scuola Materna (1900) la Scuola Elementare (1906), la Palestra (1906), la Chiesa di Santa Elisabetta (1907), il Circolo per gli Impiegati e uno Spaccio Alimentare. L’Asilo Nido (1890), un tempo ubicato all’interno dello stabilimento, fu poi trasferito in una graziosa palazzina accanto alla fabbrica, l’Ambulatorio medico (1891) era in prossimità dell’entrata all’opificio, mentre la stazionetta (1903) trova collocazione di fronte all’ingresso. L’entrata al Cotonificio è ancora oggi caratterizzata da due piccole costruzioni similari del 1880 in litocemento con decorazioni in legno munite di torrette angolari, loggia e balconi e poste l’una di fronte all’altra sul corso Francia. Qui l’architettura vernacolare svizzera diventa il modello di importazione per eccellenza: l’immagine idilliaca e pittorica degli chalet montani si traduce nell’uso smodato del legno e dei tetti cuspidati.

Il cotonificio ha continuato la propria attività produttiva fino al 1972 quando chiuse in parte i battenti (Tessitura) a seguito della grave crisi del settore tessile e definitivamente nel 2007 (Nobilitazione del tessuto e tintoria). Il Comune di Collegno, con l’intento di salvaguardare e valorizzare un patrimonio culturale, riuscì ad acquistare praticamente tutte le case del Villaggio.

Oggi il Villaggio è sotto la tutela della Soprintendenza dei Beni architettonici e paesaggistici del Piemonte.

 

Il Villaggio Leumann oggi

Il Villaggio Operaio Leumann è oggi un importante documento di carattere storico e architettonico, indiscutibilmente uno degli esempi più prestigiosi del patrimonio archeologico industriale italiano, che continua a vivere e fa parte della rete ecomuseale della provincia di Torino.

L’Ecomuseo copre tutta l’area del Villaggio Leumann. Sono stati recuperati o ristrutturati molti edifici: il Convitto, l’Albergo, l’Ufficio Postale, la Stazionetta e una parte del Cotonificio. Di recente sono stati rimessi a nuovo i lavatoi ed è stata allestita una segnaletica interna. E’ stata ristrutturata anche la Scuola che, oltre a continuare ad ospitare cinque classi di scuola elementare, è sede dell’Ecomuseo.

Le abitazioni sono ancora utilizzate come tali e gli edifici che ospitavano servizi hanno ancora una funzione pubblica. Il Convitto delle Operaie ospita la Biblioteca Civica, l’Albergo è sede di associazioni, la Stazionetta, ristrutturata nel 1998 su iniziativa dell’Associazione Amici della Scuola Leumann,  ha svolto fino a fine 2012 un servizio di informazioni culturali, sociali e turistiche, il locale dei Bagni ospita il Centro Anziani. L’Ufficio Postale, la Scuola e la Chiesa mantengono invece la funzione originaria. A breve verrà allestito il Centro di Documentazione della Storia del Villaggio Leumann e un Laboratorio di Storia per le scuole.

Un ulteriore passo è stato fatto con l’allestimento realizzato dall’Arch. Alessandro Mazzotta e con gli arredi forniti dai soci dell’Associazione suddetta, della Casa-Museo nei locali messi a disposizione dal comune di Collegno. Si tratta di un “progetto pilota” e della prima esperienza di questo genere in un villaggio operaio.

L’Associazione Amici della Scuola Leumann

A prendersi cura della valorizzazione e della promozione del Villaggio Operaio Leumann attraverso l’organizzazione di visite guidate, attività culturali di vario genere, iniziative di ristrutturazione ed altro,  è l’Associazione Amici della Scuola Leumann.

Informazioni e prenotazioni visite guidate: Associazione Amici della Scuola Leumann
Corso Francia 345 – 10093 Collegno – Tel. 011 4159543 – 349 7835948
e-mail: info@villaggioleumann.it – sito web: www.villaggioleumann.it

 

Sito archeologico industriale: Villaggio Operaio Leumann
Settore industriale: Industria tessile – Cotonificio
Luogo: Collegno – provincia di Torino – regione Piemonte
Proprietà/gestione: Comune di Collegno www.comune.collegno.gov.it
Testo a cura di: dott.sa Carla F. Gütermann per la parte storica; Rosalbina Miglietti Presidente dell’Associazione Amici della Scuola Leumann .

Archeologia Industriale




La miniera Floristella in Sicilia

La miniera Floristella è sicuramente tra le miniere di zolfo più importanti della Sicilia, che tra il 1800 ed il 1900 raggiunse il primato mondiale in questo settore industriale.

Il 10 novembre 1781 il feudo di Floristella, situato nei pressi di Valguarnera (Enna), a seguito dell’espulsione della Compagnia di Gesù titolare del fondo, viene acquistato da un certo don Camillo Caruso per conto e col denaro del barone Salvatore Pennisi.

L’11 aprile 1825, sebbene l’attività estrattiva fosse già avviata da tempo, la Direzione Generale de’ Rami e Diritti Diversi accorda al barone D. Venerando Salvatore Pennisi il permesso di apertura di una zolfara nell’ex feudo Floristella, previo deposito di 10 onze al Regio Erario, come in uso in quel periodo.

La miniera Floristella rimane nella titolarità della famiglia Pennisi sino a quando ne viene revocata la concessione con Decreto presidenziale del 12 luglio 1967, passando poi all’Ente minerario siciliano, presieduto da Don Graziano Verzotto.

L’attività estrattiva prosegue ancora per circa una ventina d’anni sino a che, l’1 dicembre 1986, viene redatto il piano di chiusura delle vie d’accesso al sotterraneo della miniera.
La legge della Regione Siciliana 15 maggio 1991 n° 17 (art. 6) istituisce l’Ente Parco Minerario Floristella – Grottacalda con lo scopo di tutelare uno dei siti di archeologia industriali più importanti del meridione e recuperare il palazzo Pennisi sito nell’aria mineraria di Floristella.

La miniera Floristella: Il sito archeologico industriale

La miniera Floristella occupa una superficie superiore ai 425 ettari.
In cima alla collina, che domina la vallata disegnata dal rio Floristella, si erge il Palazzo Pennisi.
Il palazzo si sviluppa in altezza su due piani  separati in parte da un piano mezzano, un solaio e, al di sotto del livello della strada, un grandissimo scantinato; in lunghezza si compone di tre corpi con quello centrale sensibilmente rientrato nella facciata esposta a Sud-Est di modo da costituire un cortile d’invito all’accesso. Sui quattro prospetti, pietra bianca riveste le lesene che scandiscono verticalmente il palazzo e tutte le aperture comprese le feritoie, indispensabili in caso di rivolta.
Il piano terra ospitava gli uffici amministrativi e, nell’ala Sud-Ovest, la cappella ottagonale sormontata da cupola.
I piani superiori costituivano la residenza della famiglia Pennisi che si recava lì nel periodo pasquale nonché gli alloggi dei direttori che via via si avvicendavano.
Il palazzo fu edificato in due fasi: si ritiene di poter datare la realizzazione del piano terra intorno al 1860, essendo stato ospitato al suo interno l’ing. Piemontese Sebastiano Mottura, mandato in Sicilia nel 1862 dal Ministero per L’Agricoltura Industria e Commercio per presiedere alla nuova scuola mineraria di Caltanissetta; il piano sopraelevato fu invece realizzato tra il 1880 ed il 1885. Dirigendosi giù per la valle ci si imbatte in tutte le più tipiche edificazioni delle miniere zolfifere.

Tre gli imponenti pozzi nella miniera Floristella per l’estrazione del minerale.

Il pozzo n. 1, nella Sezione Sant’Agostino, edificato direttamente in pietra intorno al 1919. Il pozzo n. 2, provvisoriamente edificato in legno, passerà ad una struttura in muratura nel 1945, per poi essere sostituito da un castelletto in ferro nel 1965.
Il pozzo n. 3, a pochi passi dal palazzo in direzione Sud-Ovest, costruito interamente in ferro tra il 1970 ed il 1971, dal quale transitavano sia carrelli carichi di materiale che persone; numeri diversi di tocchi di campana avvertivano cosa stesse percorrendo il pozzo.

Ma è nella parte più antica della miniera, in quel susseguirsi di sezioni denominate Calì, Pecoraro, San Giuseppe ed altre ancora, che è possibile ammirare le primissime discenderie composte da un’apertura principale per il passaggio degli operai e da una secondaria ed un pozzo verticale per il reflusso dell’aria. Tali discenderie sono tutte esposte verso Sud Sud-Est per sfruttare il più possibile la luce solare, che flebile faceva da guida alla risalita dei carusi, spesso sprovvisti di lampada.

Sistemi per la fusione dello zolfo: calcarelle, calcaroni, forni Gill sono sparsi per tutta la vallata, a volte singolarmente, a volte in batteria. Nella Statistica mineraria del 1956 risultano attivi 17 apparecchi Gill gemelli e 19 calcaroni.

Ed ancora altri edifici : capannoni, piccole costruzioni funzionali all’attività estrattiva, caseggiati come la Direzione, il dormitorio operai – conosciuto anche come “Case Mottura”, la sala riunione operai, la sede dell’I.N.A.I.L., una città dello zolfo a tutti gli effetti.

Oggi la vallata appare ricca di vegetazione, ma in realtà si tratta di un rimboscamento avvenuto in tempi recenti. Originariamente il paesaggio doveva esser tinto esclusivamente del giallo dello zolfo e del biancastro del gesso.

 

Sito archeologico industriale: Miniera Floristella
Settore industriale: Minerario – Le miniere di zolfo in Sicilia
Luogo: Valguarnera – provincia di Enna – Regione Sicilia
Proprietà/gestione: Ente Parco Minerario Floristella Grottacalda www.enteparcofloristella.it
Testo a cura di: Dott.sa Simona Politini contatto simona.politini@archeologiaindustriale.net
Tratto dalla tesi di laurea “L’oro di Sicilia. L’industria zolfifera siciliana e la miniera Floristella 1825-1987” di Simona Politini. Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa – Napoli. Anno accademico 2000-2001. Relatore prof. Gregorio Rubino

Archeologia Industriale