D17. Fotografie Da Re – Archivio Fondazione Dalmine

TenarisDalmine presenta la mostra D17. Fotografie Da Re dall’archivio della Fondazione Dalmine.

L’esposizione, curata dalla Fondazione Dalmine, si terrà dal 28 febbraio al 22 marzo nei prestigiosi spazi delle Scuderie della Villa Borromeo d’Adda, in collaborazione con il Comune di Arcore, Assessorato alla Cultura.

La Fondazione Dalmine è attiva dal 1999 nella diffusione della cultura industriale e nella valorizzazione del ricco archivio storico di TenarisDalmine, che conserva fra l’altro oltre 35.000 immagini relative a impianti, processi, prodotti, persone, attività, spazi industriali. Questo patrimonio visivo risale al 1906 – anno di fondazione dello stabilimento di Dalmine, il più antico di Tenaris – includendo via via documenti e foto storiche su altri siti produttivi che nel corso del tempo sono entrati a far parte di TenarisDalmine.

La mostra D17. Fotografie Da Re dall’archivio della Fondazione Dalmine propone una selezione di immagini storiche realizzate tra gli anni ’30 e gli anni ’70 dallo studio bergamasco dei fotografi Da Re, che per oltre mezzo secolo ha collaborato strettamente con l’impresa. D17 è infatti la sigla in codice con cui lo studio identificava le fotografie realizzate per conto dell’azienda nell’epoca in cui era denominata Dalmine (da cui la lettera D): foto di siti produttivi, realizzazioni, prodotti che raccontano, con l’efficacia di un linguaggio universale, una storia dalle radici molto lontane.

Le immagini presentate nella mostra offrono al pubblico alcuni percorsi che non raccontano una storia lineare nel tempo, ma al contrario propongono un gioco di rimandi visivi e di letture inedite, che vanno al di là del contenuto storico e informativo specifico. Sebbene relativi al sito di Dalmine e a un limitato periodo della ben più lunga vicenda aziendale gli scatti esposti in D17 sono in primo luogo un omaggio agli autori, al loro “lavoro” di fotografi. Ma sono anche un esempio dell’efficacia, ricchezza e forza espressiva della fotografia come linguaggio ideale per rappresentare il mondo dell’industria e del lavoro. Queste immagini storiche sono uno spaccato singolare di una cultura, quella industriale, che Sandro e Umberto Da Re hanno saputo interpretare seguendo le esigenze della committenza senza rinunciare allo stile e alla qualità formale di autori.
La mostra è corredata da video, oggetti storici, apparati informativi sulla storia dello Studio Da Re e sulla storia dell’azienda. Anche per questo motivo, è proposta alle scuole primarie e secondarie del Comune di Arcore nell’ambito di un programma di visite guidate curato e gestito dal team didattico della Fondazione Dalmine (www.3-19.org). Sono inoltre previste visite per gruppi, su prenotazione (www.fondazionedalmine.org).

D17. Fotografie Da Re dall’archivio della Fondazione Dalmine, in questa tappa espressamente dedicata ad Arcore, è alla sua terza edizione, dopo il debutto alla GAMeC di Bergamo nel 2012 e l’allestimento al Museo Nazionale di Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano nel 2013, entrambi curati da Giacinto Di Pietrantonio e Maria Cristina Rodeschini. Con questa edizione nella prestigiosa sede delle scuderie di Villa Borromeo, la Fondazione Dalmine prosegue un filone di attività culturali dedicate alla fotografia e al rapporto che, nel corso di oltre cento anni di storia, ha legato l’azienda TenarisDalmine all’operato di importanti fotografi, confermando anche il proprio impegno nella promozione della cultura industriale non solo attraverso la conservazione degli archivi aziendale, ma anche attraverso la divulgazione al pubblico di temi legati alla storia come elemento per comprendere la contemporaneità.

Fondazione DalmineComune di Arcore

Informazioni

D17. Fotografie Da Re dall’archivio della Fondazione Dalmine
28 febbraio – 22 marzo 2015
Scuderie del parco della Villa Borromeo D’Adda, Arcore
Inaugurazione sabato 28 febbraio, ore 17.00

Orari
sabato e domenica: 15.00 | 18.00
feriali: su prenotazione scuole e gruppi
ingresso gratuito

Fondazione Dalmine
Manuel Tonolini
T +39 035 5603418 / C +39 3299016366
segreteria@fondazionedalmine.org
www.fondazione.dalmine.it

Comune di Arcore
T +39 039 616158
bibarcore@sbv.mi.it
comune.arcore.mb.it




Crespi d’Adda: una location d’eccezione per la Percassi

Esiste un luogo magico che è il Villaggio operaio di Crespi d’Adda ed una grande azienda che è la Percassi, in comune le terre bergamasche e due imprenditori illuminati. Oggi Crespi d’Adda e la Percassi si fondono in un’unica realtà.

Lo scorso mese di ottobre l’imprenditore Antonio Percassi ha perfezionato l’acquisto della storica fabbrica facente parte del complesso industriale di Crespi d’Adda, monumento di archeologia industriale e sito protetto dall’UNESCO.

Abbiamo incontrato Giorgio Ghilardi, Presidente della “The Antonio Percassi Family Foundation” che ci ha raccontato la nascita e le aspettative di questa nuova realtà.

D: Com’è nata l’idea di investire su Crespi d’Adda?

R: Tutti i sogni, prima di diventare realizzabili, hanno una trafila lunghissima. L’Ing. Antonio Percassi, a capo della società che porta il suo nome e che sta sviluppando le proprie attività nel mondo, già da un po’ di tempo era in cerca una sede prestigiosa. Il forte legame esistente tra la persona e la propria terra natia ha spinto l’ingegnere a rivolgere lo sguardo oltre i più classici centri del commercio quali: Milano, Firenze o Roma,  indirizzandolo verso le potenzialità, gli sviluppi ed i luoghi legati alla terra di Bergamo.

Non si può dire mai per puro caso, perché alla fine il caso è sempre illuminato da uno sguardo significativo, ma una volta, passando per l’autostrada Bergamo-Milano che lui percorre spesso, Antonio Percassi ha visto il Villaggio Crespi ed ha chiesto di potersi fermare. Il Villaggio Crespi era già molto presente nel suo immaginario più che in termini reali, come del resto in tutta la nostra area.  Son di quegli accadimenti che non si riescono bene a spiegare, ma è stato feeling immediato. “Questo è il luogo dove mi piacerebbe collocare la sede della mia azienda” sono state le parole dell’Ing.  Percassi.

Certo che dal “mi piacerebbe” alla realizzazione la trafila è stata ed è complessa, se si pensa che l’acquisizione è stata possibile solo dopo quasi due anni di verifiche, ovvero nel momento in cui sono state presenti tutte le condizioni per realizzare quello che l’Ing. Antonio Percassi aveva in mente: collocare la Percassi e la sua attività lavorativa.

D: Qual è la vostra idea futura di Crespi d’Adda?  

R: L’idea di fondo è quella far rivivere il villaggio come un’esperienza di vissuto. Crespi d’Adda nasce non solo come attività produttiva, ma anche come luogo dell’abitare. Allo stesso modo,  dando  continuità allo spirito che ha mosso la nascita del sito,  noi desideriamo che Crespi d’Adda sia anche un luogo dove allacciare relazioni, dove vivere l’esperienza del lavoro a 360 gradi.

Se è quindi vero che non verrà recuperato il sito in termini di continuità lavorativa, tuttavia la riconversione al terziario comporterà la collocazione di centinaia di persone e tutto ciò che ne consegue. Attraverso l’inserimento di attività che andranno a toccare il settore del food come il settore del wellness come il settore culturale, puntiamo alla rivitalizzazione del sito  in una visione di benessere fisico e intellettivo

È chiaro che  le idee vorremmo farle nascere non solo a tavolino, ma vivendo il posto. Quindi, a poco a poco, mentre l’esperienza del vissuto prenderà corpo, cercheremo di capire quali saranno le esigenze di chi prenderà parte a questa esperienza.  Questa sorta di ristrutturazione avrà quindi degli step, primo tra tutti: l’inserimento  degli uffici perché la Percassi trovi sede e via via lo sviluppo di tutto il resto.

D: Quali rapporti vedremo svilupparsi con l’Amministrazione locale nonché con le varie realtà legate a Crespi d’Adda?

R: Noi ci inseriamo in un sito che ha la sua storia, ma che ha anche alcune sue progettualità. L’Amministrazione Comunale, appena cambiata, ha ripreso la sfida del dialogo con l’Associazione Siti Unesco impegnandosi nel portar avanti quello che è il Piano di Gestione necessario affinché il sito possa continuare a far parte della World Heritage List. Così, la Percassi, insieme alla altre realtà coinvolte, quali il Parco Adda Nord, nonché le associazioni locali, parteciperà  al perseguimento di questo obiettivo.  La nostra politica sarà improntata alla piena collaborazione per permettere al sito di ritornare allo splendore di una volta e di parlare ancora alle nuove generazioni di quella che è la sua  storia industriale ed il suo vissuto.

La società Percassi  e Crespi D’Adda

D: Che propositi avete riguardo al recupero della fabbrica?

R: Il recupero avverrà per step.  Il primo passo sarà quello di recuperare gli uffici, si parla di una superficie tra i dieci ei venti mila mq, perché è necessario ed urgente che il la Percassi trovi sede. Tuttavia, proprio perché si vuole agganciare il progetto nella sua complessità, gli architetti stanno lavorando ad un progetto globale che non è stato ancora comunicato e che vede di giorno in giorno un evolversi degli interventi.

La fabbrica ospiterà dunque gli uffici della Percassi oltre ai servizi terziari e la sede della Fondazione. Non si esclude l’ipotesi di realizzare anche un’area destinata ad una piccola produzione d’eccellenza attraverso lo studio e la ricerca che farebbe diventare il sito più riconoscibile a livello industriale, ma non è la priorità. Certo, problemi di spazio non ce ne saranno, visto che si parla di un totale di 80.000 metri quadri coperti.

D: Avete già pensato alla tipologia di museo che potrebbe essere ospitato all’interno della fabbrica?

R: Al momento non è ancora stata definita né la tipologia di museo che andrà a collocarsi all’interno della fabbrica, né la sua gestione. Siamo comunque indirizzati verso lo sviluppo di un museo un po’ unico, potenzialmente con uno sguardo nazionale e legato al tema dell’arte che ci permetterebbe poi di lavorare per la cultura locale, nazionale e mondiale. Abbiamo a disposizione ampi spazi che ci permettono di pensare ad un grande museo per dare il giusto valore ad un sito UNESCO quale Crespi D’Adda è. L’Ing.  Antonio Percassi ci tiene a far si che la storia che ci viene data in consegna  venga sviluppata in modo molto ampio, era già un sogno Crespi per allora e lo vuole essere ulteriormente oggi. Abbiamo un imprenditore di larga apertura, sognare in grande è sicuramente una delle sue caratteristiche.

Tuttavia sul piatto della bilancia c’è un altro obiettivo  importante e prioritario in termini di programmazione: il recupero dell’archivio della fabbrica e la sua ricollocazione in sede, riportando le cose dove in origine erano. Attualmente la documentazione cartacea e fotografica  è conservata presso il la sede del comune sotto la cura dell’ing. Rinaldi che, a richiesta, accompagna gli studiosi in un viaggio a ritroso alla riscoperta della storia di Crespi d’Adda. Il lavoro di archiviazione e digitalizzazione che andremo ad intraprendere è la premessa per la creazione di percorsi turistici dedicati alle scuole come agli adulti.

D: Sono presenti ancora macchinari all’interno della fabbrica?

R: Si, all’interno della fabbrica c’è ancora qualche macchinario, difatti stiamo cercando di recuperare anche solo alcuni dei procedimenti industriali di allora. Chiaramente questo sarà un lavoro che richiederà tempistiche abbastanza lunghe, ma che ci consentirà di metterci in relazione con le realtà manifatturiere del posto che potranno dare il  proprio contributo al progetto.

D: Cosa significa impegnarsi nella riqualificazione di una location così ricca in termini di storia, nonché attivarsi in interventi di ripristino su beni sottoposti a vincoli di tale calibro?

R: Il sito è grande e l’investimento altrettanto.  Vincoli sul sito rendono complesso qualsiasi tipo di intervento necessitando di un continuo lavoro di mediazione.  Ogni tanto ci diciamo che “il sogno sono anche le pazzie”. L’impegno della società è quello di valorizzare questo sito, ovviamente  tenendo presente lo sviluppo futuro e recuperandolo nel miglior modo possibile; questo è un regalo anche per l’Italia che desideriamo portar avanti.

D: Come intendete porvi nei confronti della comunità locale residente all’interno del sito?

R: La gente che abita il sito, che sono soprattutto i figli dei figli dei dipendenti della fabbrica, è gente che  ama il posto e che manifesta palesemente la voglia di recuperare il sito. Da un po’ di tempo attendevano  qualcuno che credesse in Crespi d’Adda e decidesse di investire per la sua rinascita. Certo  vivono questo momento di cambiamento con gran attenzione: sono molto attenti alle notizie, al fatto che si facciano le cose per bene, ad essere coinvolti. La nostra intenzione è quella di renderli edotti  su ciò che verrà fatto, cercando una  collaborazione. Sono gli abitanti di Crespi d’Adda che vivono e fanno vivere il sito accogliendo  visitatori e turisti verso i quali sono da sempre ben intenzionati ed accoglienti. Inoltre, la rivitalizzazione del sito insieme alla realizzazione di nuovi servizi sono i presupposti per la creazione di posti di lavori disponibili.

“The Antonio Percassi Family Foundation” – promuovere il territorio attraverso la cultura

D: Quali sono gli scopi della “The Antonio Percassi Family Foundation”  ?

R: La Fondazione nasce per volere del fondatore con il preciso intento di realizzare grandi iniziative, che possano dare lustro al territorio bergamasco nei suoi più diversificati aspetti e settori.

L’attenzione ai poveri e in particolare ai bambini sarà il motore catalizzatore e il cuore pulsante dell’attività solidale della fondazione.

Grande impegno è poi lo sviluppo di tutte quelle azioni volte a migliorare la “cultura” nel senso più ampio del termine, in questa nostra meravigliosa terra che è l’Italia e in particolare Bergamo.

Il sostegno alla realizzazione di grandi opere sarà un ulteriore impegno dell’attività della Fondazione, ed è proprio in virtù di questi principi che l’Ing. Percassi ha voluto già finanziare interamente il “Giardino della Pace di Papa Giovanni XXIII” a Sotto il Monte.

D: A chi sarà affidata la programmazione culturale nonché la sua realizzazione e gestione?

R: La fondazione è appena partita (“The Antonio Percassi Family Foundation” è stata fondata il 4 di ottobre 2013 ndr.) ed al momento siamo in una fase di raccolta delle proposte che ci stanno pervenendo che sono delle tipologie più varie: da progetti legati ai bambini ed allo sviluppo dell’infanzia, a progetti legati al turismo, all’arte contemporanea, sino alle proposte più eccentriche. Siamo nella fase dell’ascolto. Ad ogni modo prima dobbiamo capire la direzione che prenderà l’attività culturale: se farà a capo a noi direttamente, ed in quel caso dovremo creare una struttura organizzativa, o se un’istituzione già con la sua storia entrerà dentro il sito e si prenderà in carico questo aspetto.

Milano EXPO 2015

D: L’inaugurazione del sito è prevista per il 2015, anno in cui Milano ospiterà l’EXPO, Crespi d’Adda/Percassi – EXPO. Cosa c’è da aspettarsi da questa contingenza?

R: Il sogno al quale l’Ing. Percassi non rinuncerà mai è proprio quello di iniziare l’attività all’interno di Crespi d’Adda durante l’Expo. L’impegno della costruzione è enorme. La squadra disponibile c’è già, bisogna capire se tutta la tipologia di permessi necessari a procedere arriverà in tempo.

 

Images courtesy of:
Associazione Crespi d’Adda  www.crespidadda.it
Vincenzo del Franco, fotografo info@vincenzodelfranco.it




Torviscosa, la città della cellulosa in Friuli Venezia Giulia

Torviscosa, cittadina in provincia di Udine, è un’affascinante company town nata in funzione della produzione di cellulosa a scala industriale e un gioiello dalle linee metafisiche della nostra archeologia industriale.

Una piccola cittadina, simbolo dell’Italia fascista e dei suoi principali riferimenti ideologici: costruita tra il 1937 e il 1942, Torviscosa è una città di fondazione, cioè una di quelle città nuove sorte in Italia negli anni Trenta del Novecento nei territori di bonifica e caratterizzate da architetture di regime. È allo stesso tempo una company town, perché la sua fondazione è legata a una grande azienda italiana, la SNIA Viscosa (da cui Torviscosa prende una parte del nome) che all’epoca si dedicava soprattutto alla produzione di fibre artificiali ricavate dalla cellulosa e che trova in questa parte della pianura friulana ancora poco sfruttata un territorio ideale per un esperimento “autarchico”: la coltivazione su larga scala di canna comune da cui ricavare la materia prima per le sue produzioni e l’insediamento di un nuovo grande stabilimento industriale per la sua lavorazione.

Torviscosa, company town del Nord-Est

Il visitatore che entra a Torviscosa non ha dubbi sul ruolo industriale di questa cittadina: il grande piazzale di ingresso all’abitato, disegnato da Giuseppe De Min nel 1937, è dominato per metà dagli edifici connessi all’attività industriale e dal grande edificio di rappresentanza del CID (Centro Informazione Documentazione), costruito dalla SNIA agli inizi degli anni Sessanta come biglietto da visita della città industriale e luogo di ricevimento delle delegazioni straniere. Utilizzato fino alla fine degli anni Settanta per ospitare la biblioteca tecnica aziendale, è stato recentemente restaurato e riaperto come sede espositiva. Accanto al CID si innalza la torre panoramica, alla cui sommità si apre un vano quadrangolare con funzione di belvedere, un tempo salottino per gli alti dirigenti della SNIA che qui accoglievano gli ospiti per offrire loro un punto privilegiato d’osservazione sulla città e l’intero territorio circostante. L’altra metà della piazza, a ovest, è invece una spazio sociale, con il teatro e l’edificio del dopolavoro ristoro. Il piazzale, oggi dedicato a Franco Marinotti, fondatore della città e all’epoca amministratore delegato e poi presidente della SNIA, si chiamava in origine “piazza dell’Autarchia”, per sottolineare che l’intero insediamento industriale e urbanistico era stato pensato in funzione del modello economico del regime.

Accanto allo stabilimento, architetti e ingegneri disegnarono e fecero costruire la nuova città, immaginata per espandersi e ospitare fino a 20.000 persone e organizzata per aree funzionali. La struttura originaria non ha subito modifiche sostanziali e ancora oggi sono quindi riconoscibili il villaggio operaio, le case per i tecnici, le ville dei dirigenti, gli spazi del lavoro e quelli per il tempo libero e lo sport. Il fulcro della vita pubblica era rappresentato dalla piazza “Impero” (oggi piazza del Popolo). Progettata dall’architetto Giuseppe De Min nel 1940 secondo il gusto architettonico dell’epoca che si ispirava alle piazze metafisiche di Giorgio De Chirico, è dominata dall’edificio del Comune caratterizzato dalla torre dell’arengario e dal suo balcone.

Il villaggio operaio di Torviscosa

Poco lontano, il villaggio operaio è costituito da due gruppi di case di diversa tipologia. Al primo gruppo appartengono le case chiamate “colombaie” per le loro caratteristiche architettoniche che ricordano le casette per i colombi. Questo gruppo di abitazioni, costruito a partire dal 1943 ma completato solo negli anni Sessanta, è composto da dieci blocchi di case a schiera disposti a coppie secondo l’asse est – ovest. Ogni blocco si compone di cinque alloggi. I prospetti principali sono caratterizzati dagli archi che segnano l’ingresso alle singole abitazioni, mentre i prospetti posti a sud presentano grandi arcate a doppia altezza, una sorta di brise soleil per il lato più esposto al sole. Il secondo gruppo, chiamato “case gialle”, è stato realizzato tra il 1941 e il 1944. È formato da 12 blocchi di edifici in linea disposti parallelamente su quattro file orientate nord – sud. I prospetti sono scanditi dalla modularità delle finestre e nell’insieme queste case risultano più modeste delle colombaie.

La fabbrica di Torviscosa

La parte più vecchia delle strutture industriali risale agli anni 1937 – 1940 e fu progettata dall’architetto Giuseppe De Min. Comprende vari edifici rispondenti a scopi diversi e quindi anche di forme e volumi differenti a seconda delle funzioni a cui erano destinati, ma tutti accomunati dalle facciate rivestite a mattoni rossi. Il nucleo storico della fabbrica, destinato alla produzione della “cellulosa autarchica” derivata dalla lavorazione della canna gentile, fu inaugurato il 21 settembre del 1938 alla presenza di Benito Mussolini. In seguito, il reparto cellulosa venne ampliato con il cosiddetto “raddoppio” del 1940 e nel periodo fra il 1946 e 1948 fu costruito il nuovo reparto sodacloro. L’intero reparto cellulosa è stato dismesso nel 1991.

Accanto al portale d’ingresso, costituito da colonne rivestite in mattoni, ci sono due statue monumentali di Leone Lodi realizzate nel 1938 e dedicate all’agricoltura e all’industria, a sottolineare la duplice natura del progetto imprenditoriale di Torviscosa. La statua che si riferisce all’agricoltura è intitolata “La continuità della stirpe nel lavoro” e rappresenta una donna seduta con un bambino sulle ginocchia e un uomo in piedi con un badile. La statua dedicata all’industria, invece, raffigura un cavallo trattenuto da un uomo e si intitola “Sintesi di Forza, Ragione e Fede”.

Immediatamente dietro alla portineria, la palazzina degli uffici è composta da una parte centrale di tre piani e due ali laterali simmetriche che discendono a due e un piano. In corrispondenza dell’edificio degli uffici inizia un viale lungo circa 1 km sul quale si affacciano i vari edifici che componevano l’impianto per la produzione di cellulosa. A metà circa del complesso è posto il Laboratorio Ricerche e Controlli, facilmente riconoscibile dall’iscrizione. Sull’altro lato del viale sorge invece l’edificio destinato alla produzione di vapore ed energia elettrica, collegato alla struttura che conteneva l’impianto cellulosa per mezzo di un ponteggio.

Poco oltre si stagliano le due torri Jensen destinate alla produzione di bisolfito di calcio. La prima, quella più a nord, fu realizzata nel 1938 mentre la seconda fu costruita nel 1940 durante i lavori del raddoppio dello stabilimento. Sono alte 54 metri, hanno una pianta circolare e poggiano su un unico basamento rettangolare. Esternamente ripropongono le forme dei fasci littori; la lama dell’ascia littoria che sporgeva dalla torre nord fu abbattuta dagli operai il 26 luglio del 1943. Le due torri sono collegate alla sommità da un percorso orizzontale che costituiva il passaggio per gli operai addetti al reparto.

Torviscosa oggi

Il sito industriale è tutt’ora sede di alcuni insediamenti che utilizzano parte delle strutture. Alcune di queste sono state recuperate o sono ora oggetto di ristrutturazione.

Sito archeologico industriale: La company town di Torviscosa
Settore industriale:Industria della cellulosa
Luogo: Torviscosa – Udine – Friuli Venezia Giulia
Proprietà/gestione: Le strutture del sito industriale appartengono alle varie aziende attualmente insediate www.comune.torviscosa.ud.it
Testo a cura di: Per la parte relativa al sito archeologico industriale sono state utilizzate le schede MBI del SIRPAC – Sistema Informativo Regionale del Patrimonio Culturale del Friuli Venezia Giulia e la relazione “Architetture storiche presenti nel Comune di Torviscosa” redatta nel 1995 dall’arch. Monica Bellantone per il Comune di Torviscosa.
Image courtesy of: Comune di Torviscosa




Il Villaggio operaio di Crespi d’Adda – sito Unesco

Il villaggio di Crespi d’Adda, in provincia di Bergamo in Lombardia, racconta di un villaggio ideale del lavoro: un piccolo feudo dove il castello del padrone era simbolo sia dell’autorità che della benevolenza, verso i lavoratori e le loro famiglie.

Sito UNESCO, il Villaggio operaio di Crespi d’Adda rappresenta la più importante testimonianza in Italia del fenomeno dei villaggi operai e, insieme al Villaggio Leumann, alla città di Schio, è uno dei più mirabili esempi di archeologia industriale in Italia.

L’UNESCO ha accolto nel 1995, Crespi d’Adda nella Lista del Patrimonio Mondiale Protetto in quanto “Esempio eccezionale del fenomeno dei villaggi operai, il più completo e meglio conservato del Sud Europa”.

Crespi d’Adda: un luogo fuori dal tempo

Crespi d’Adda è una città dove bisogna orientarsi non con un libro o una mappa, ma con lo stesso camminare a piedi, con la vista, l’abitudine e l’esperienza. Qui, spazio, tempo e architettura sono un tutt’uno. Quello che state per conoscere è molto di più di un esempio insigne della storia architettonica. Il villaggio industriale di Crespi d’Adda è un prodotto dell’opinione eccessivamente raffinata dell’Ottocento secondo cui le cose utili potevano e dovevano essere anche belle, e ciascuno aveva l’assoluto dovere di fare ogni cosa nel modo più elegante possibile. È un viaggio dentro una aspirazione industriale e alle origini di una utopia, in fondo ad una storia di macchine e di formiche, di ostinazione e di illusioni, di presunzione e di fatiche disumane. È il resoconto della testarda volontà di un uomo ricco, autoritario, ostinato a portare avanti i suoi sogni e di suo figlio che cercherà di realizzarli compiutamente. È la vicenda del luogo che doveva diventare, all’inizio di questa storia, nel 1876, un modello ideale ma che si è trasformato in una miraggio irraggiungibile, nel segno evidente di una decadenza prematura e ineluttabile. È l’appassionante cronaca dell’ascesa di un sogno e del declino di una ambizione.

Il villaggio industriale di Crespi d’Adda è la città che cambia al ritmo del lavoro.
È la dimostrazione della smisurata fiducia nel progresso, nel lavoro e nell’industria.
Marco Iannucci dettaglia che “Crespi d’Adda non è stato modellato dalla vita ma da un’idea. La vita è un miscuglio di esigenze disordinate e contraddittorie. Qui l’atmosfera è diversa: da un lato più nitida, dall’altro è come se mancassero alcuni segni della vita a cui siamo abituati. E tutto ha qualcosa di sospeso e un po’ irreale”.

La storia della Fabbrica e del Villaggio di Crespi d’Adda, perla dell’archeologia industriale

Il Villaggio prende il nome dai Crespi, famiglia di industriali cotonieri lombardi che a fine Ottocento realizzò un moderno “Villaggio ideale del lavoro” accanto al proprio opificio tessile, lungo la riva bergamasca del fiume Adda.

Autentico modello di città ideale, il Villaggio di Crespi d’Adda ha costituito una delle realizzazioni più complete ed originali nel mondo e si è conservato perfettamente integro – mantenendo pressoché intatto il suo aspetto urbanistico e architettonico.

Il Villaggio Crespi d’Adda è una vera e propria cittadina completa costruita dal nulla dal padrone della fabbrica per i suoi dipendenti e le loro famiglie. Ai lavoratori venivano messi a disposizione una casa con orto e giardino e tutti i servizi necessari. In questo piccolo mondo perfetto il padrone “regnava” dal suo castello e provvedeva come un padre a tutti i bisogni dei dipendenti: dentro e fuori la fabbrica e “dalla culla alla tomba”, anticipando le tutele dello Stato stesso. Nel Villaggio potevano abitare solo coloro che lavoravano nell’opificio, e la vita di tutti i singoli e della comunità intera “ruotava attorno alla fabbrica stessa”, ai suoi ritmi e alle sue esigenze; una città-giardino a misura d’uomo, al confine tra mondo rurale e mondo industriale.

Fabbrica e villaggio di Crespi d’Adda furono realizzati a cavallo tra Otto e Novecento dalla famiglia di industriali cotonieri Crespi, quando in Italia nasceva l’industria moderna. Era questa l’epoca dei grandi capitani d’industria illuminati, al tempo stesso padroni e filantropi, ispirati a una dottrina sociale che li vedeva impegnati a tutelare la vita dei propri operai dentro e fuori la fabbrica, colmando in tal modo i ritardi della legislazione sociale dello Stato stesso. L’idea era di dare a tutti i dipendenti una villetta, con orto e giardino, e di fornire tutti i servizi necessari alla vita della comunità: chiesa, scuola, ospedale, dopolavoro, teatro, bagni pubblici… Nato nel 1878 sulla riva dell’Adda, in provincia di Bergamo, anche questo esperimento paternalista ebbe inesorabilmente termine – alla fine degli anni Venti – con la fuoriuscita dei suoi protagonisti e a causa dei mutamenti avvenuti nel XX secolo. Oggi il villaggio di Crespi ospita una comunità in gran parte discendente degli operai che vi hanno vissuto o lavorato; e la fabbrica stessa è rimasta in funzione fino al 2003, sempre nel settore tessile cotoniero.

Il Villaggio Crespi d’Adda ed il paesaggio

Il paesaggio che ospita Crespi d’Adda è davvero singolare: il villaggio è inserito in una sorta di culla, un bassopiano dalla forma triangolare che è delimitato da due fiumi confluenti e da un dislivello del terreno, una lunga costa che lo cinge da nord. I due fiumi sono l’Adda e il Brembo, che formano una penisola chiamata “Isola Bergamasca”, alla cui estremità si trova appunto il villaggio; mentre lungo la citata costa correva anticamente il “Fosso Bergamasco”, linea di confine tra il territorio del Ducato di Milano e quello della Repubblica di Venezia. L’isolamento geografico è poi accentuato dal fatto che il villaggio è collegato all’esterno soltanto in direzione Nord. Oggi queste caratteristiche geografiche e il grado di emarginazione che esse hanno implicato ci aiutano a capire come Crespi d’Adda si sia potuta conservare in modo così straordinario, nascosta ed estranea allo sviluppo caotico dell’area circostante.

Il Villaggio Crespi d’Adda è l’aspetto urbanistico

L’aspetto urbanistico del villaggio è straordinario. La fabbrica è situata lungo il fiume; accanto il castello della famiglia Crespi, simbolo del suo potere e monito per chi vi giunge da fuori. Le case operaie, di ispirazione inglese, sono allineate ordinatamente a est dell’opificio lungo strade parallele; a sud vi è un gruppo di ville più tarde per gli impiegati e, incantevoli, per i dirigenti. Le case del medico e del prete vigilano dall’alto sul villaggio, mentre la chiesa e la scuola, affiancate, fronteggiano la fabbrica. Segnano la presenza e l’importanza dell’opificio le sue altissime ciminiere e i suoi capannoni a shed che si ripetono in un’affascinante prospettiva lungo la via principale, la quale, quasi metafora della vita operaia, corre tra la fabbrica e il villaggio, giungendo infine al cimitero.

Il Villaggio Crespi d’Adda è l’architettura

A Crespi d’Adda si annovera notevole diversità di stili, oscillante tra classicismo e romanticismo. La villa padronale ripropone lo stile medioevale trecentesco mentre la chiesa è copia esatta della rinascimentale S.Maria di Busto Arsizio, paese d’origine dei Crespi. Le altre costruzioni sono tutte di gusto neomedioevale, con preziose decorazioni in cotto – care al romanticismo lombardo – e finiture in ferro battuto. Neomedioevale anche l’opificio, che esprime la massima celebrazione dell’industria nell’ingresso centrale, tra le fastose palazzine degli uffici dirigenziali. Il cimitero, di gusto esotico e di stile eclettico, è monumento nazionale: al suo interno la cappella Crespi, una torre-piramide di ceppo e cemento decorata si erge ad abbracciare le tombe operaie, piccole croci disposte ordinate nel prato all’inglese.

Scopriamo il Villaggio di Crespi d’Adda insieme a chi lo vive

Non soltanto la piacevole passeggiata della domenica ma dei meravigliosi tour originali a Crespi d’Adda.
Dalle percorsi guidati della domenica alle visite guidate in notturna con animazione teatrale… questo e molto altro per scoprire la storie e le storie di questo villaggio industriale dell’Ottocento.
A piedi o in bici, da soli o in compagnia della famiglia o degli amici, l’Associazione Crespi d’Adda accompagna il visitatore all’interno tra la storia del Villaggio Operaio di Crespi d’Adda.

Da diversi anni l’Associazione Crespi Cultura, realtà locale con sede nel Villaggio, indirizza lo sviluppo turistico verso un modello sostenibile e a valenza culturale: i depositari della storia locale, residenti e discendenti degli ex dipendenti del cotonificio, accompagnano i visitatori, in particolare scolaresche, alla scoperta di Crespi e delle sue chiavi di lettura. Essere abitanti e, allo stesso tempo, operatori culturali consente di raccogliere e fare propria la molteplicità di sguardi sul significato, sul valore e sulle opportunità del sito. Grazie soprattutto alle visite guidate il Villaggio è divenuto nell’immaginario un bene collettivo da conservare e valorizzare, luogo caro alla comunità locale ed a migliaia di visitatori.

 

Informazioni e prenotazioni visite guidate:

Associazione Crespi d’Adda www.crespidadda.it / info@crespidadda.it /
tel.0039 331 2935312

Associazione Crespi Cultura – www.villaggiocrespi.it / info@villaggiocrespi.it
tel: 0039 02 90987191

Hanno parlato del Villaggio Operaio di Crespi d’Adda – Sito Unesco:

UNESCO Chair Forum University and Heritage – Newsletter n. 99 clicca qui

Sito archeologico industriale: Villaggio Operaio di Crespi d’Adda
Settore industriale: Settore tessile
Luogo: Crespi d’Adda – frazione del comune di Capriate S. Gervasio – Bergamo – Lombardia
Proprietà/gestione: mausoleo, abitazioni, fabbrica e castello sono di proprietà privata (fabbrica e castello sono stati acquistati da Antonio Percassi, titolare dell’omonimo Gruppo Percassi) ; chiesa, ambulatorio medico e casa del prete sono di proprietà della parrocchia; scuole/asilo, teatro, strade, pineta e cimitero sono di proprietà del comune.
Testo a cura di: Introduzione “Crespi d’Adda: un luogo fuori dal tempo” a cura di Associazione Crespi d’Adda. Testo a seguire a cura di Associazione Crespi Cultura

 




Libro: Leumann storia di un imprenditore e del suo villaggio modello

In “Leumann, storia di un imprenditore e del suo villaggio modello” Carla Federica Gütermann, non solo studiosa della materia ma diretta discendente dell’imprenditore Napoleone Leumann, ci porta per mano attraverso la storia e le vicende del Villaggio Leumann.

Presentazione del libro a cura del giornalista Andrea Sottero:

Leggere il frutto del lavoro di una lunga e dettagliata ricerca di tipo storico, sociale e, nel caso specifico, urbanistico ed architettonico, per quanto per fini prevalentemente divulgativi, è sempre curioso, perché, al di là dell’eleganza stilistica con cui il discorso si dipana tra le pagine, si finisce col percepire abbastanza chiaramente il livello di passione con cui l’autore ha condotto i suoi studi e le sue ricerche.

Sapere che l’autrice di “Leumann, storia di un imprenditore e del suo villaggio modello”, Carla Federica Gütermann, ha studiato le vicissitudini e le opere di un suo antenato e si è occupata, di conseguenza, di un pezzo di storia significativo della sua famiglia, potrebbe indurre a credere che il suo coinvolgimento emotivo si palesi da subito tra le righe del discorso. Invece, di fronte a queste aspettative, si rimane delusi perché la prima impressione è che il testo scorra come una sterile relazione degli studi fatti. Solo dopo qualche decina di pagine, quando ormai si intuisce un quadro più completo del tipo di lavoro svolto, si inizia ad avere la piacevole sensazione di trovarsi di fronte al racconto di chi ha avuto modo di conoscere fatti e aneddoti che vanno al di là di ciò che può essere trovato in documenti e annali dell’epoca; un racconto, per altro, arricchito da una miriade di informazioni più dettagliate, spesso anche di carattere tecnico, che, non solo non appesantiscono la narrazione, ma la rendono persino più viva e appetibile.

Il pregio dell’opera sono le notizie sui modelli urbanistici e industriali italiani ed europei che vengono via via descritti e comparati, in modo semplice, ma straordinariamente chiaro. Senza contare le informazioni sui piani regolatori e sullo sviluppo viario della città di Torino, che insieme alla spiegazione del funzionamento di un villaggio industriale satellite quale il Leumann, quasi piccolo centro urbano nella città, ci regalano un quadro dell’evoluzione urbanistica del capoluogo piemontese.

Il libro è integrato da una sezione curata dal fotografo torinese Renzo Miglio che raccoglie più di cento scatti. Questi mostrano a chi non conoscesse la realtà del sobborgo torinese lo splendore e l’originalità delle sue architetture e somministrano quella buona dose di curiosità che dovrebbe indurre i lettori più esigenti a sincerarsi di persona dello stato attuale delle villette e palazzine.

 

Libro: Leumannm storia di un imprenditore e del suo villaggio modello
Autore: dott.sa Carla Federica Gütermann guter@inwind.it
Casa Editrice: Daniela Piazza Editore www.danielapiazzaeditore.com
Anno di pubblicazione : 2006




Presentazione del libro Schio. Archeologia Industriale

Sassi Editore srl, in collaborazione col Comune di Schio e Banca Alto Vicentino  presenta  il volume “Schio. Archeologia Industriale”, di Bernardetta Ricatti, Dino Sassi, e Luca Sassi.

Schio. Archeologia Industriale” è il racconto attraverso testi ed immagini inedite della storia di Schio, città della lana, e del suo patrimonio di archeologia industriale.

La presentazione si svolgerà il giorno 30 novembre 2013 alle ore 18.00 presso il Lanificio Conte (Piazza Alvise Conte) di Schio (VI). Saranno presenti gli autori del volume e un ospite d’eccezione, Vittorio Mincato, che racconterà a margine la storia della Lanerossi di Schio dal 1957 al 1987.
Modererà la serata Antonio di Lorenzo, redattore del capo del Giornale di Vicenza.

Per info:
Sassi Editore Srl, Viale Roma 122/b 36015 Schio (Vi) , Italy
tel +39 0445 539051, fax +39 0445 539051, cell. +39 349 5006889, e-mail: info@sassieditore.it




Libro: Schio. Archeologia Industriale

“Schio. Archeologia Industriale” novità editoriale che racconta la storia industriale della città di Schio, in provincia di Vicenza, testimonianza eccellente del patrimonio archeologico industriale italiano.

Il volume “Schio. Archeologia Industriale”si propone come un viaggio completo ed esauriente nella città di Schio, alla ricerca delle sue profonde radici di natura industriale che ne fecero, dal medioevo in poi, un centro produttivo di eccezionale qualità e di notevole importanza. Grazie al testo puntuale e preciso, ma allo stesso tempo divulgativo, il lettore è accompagnato attraverso i secoli che portarono Schio al grande sviluppo durante la Rivoluzione Industriale e in particolare all’epopea dell’industria tessile di Alessandro Rossi nell’800. Catalizzato infatti dall’industria Lanerossi, lo sviluppo della produzione fu esponenziale in ogni ramo inserendosi nel tessuto economico-sociale della città e assumendo importanza di statura europea.

Per la prima volta, questo volume pubblica in modo organico l’eccezionale archivio fotografico della Lanerossi di fine 800-inizi 900, attualmente custodito dalle istituzioni cittadine; non mancano inoltre immagini di altre importanti realtà industriali del territorio. Il libro si prefigge di valorizzare questo enorme patrimonio sociale e culturale tutt’ora spesso sottovalutato, che costituisce le radici di una vocazione industriale ancora oggi fortemente presente.

L’autore

Bernardetta Ricatti si è laureata in Lettere a Padova nel 1971 e ha conseguito il diploma di perfezionamento in Storia dell’Arte. Studiosa di Storia dell’Architettura e dell’Urbanistica, ha collaborato con riviste locali e nazionali e hacontribuito alla stesura di molti volumi, come Vicenza. La Provincia Preziosa (2000), Antonio Caregaro Negrin. Scritti sui giardini (2005), e Andrea Palladio e la villa veneta da Petrarca a Carlo Scarpa (2005). Fin dal 1977 ha svolto attività di ricerca nel campo dell’Archeologia Industriale collaborando alla stesura di volumi come Archeologia Industriale e Scuola (1989), Archeologia Industriale nel Veneto (1990), ArcheologiaIndustriale (1992).

Nota “Schio. Archeologia Industriale” sarà presentato sabato 30 novembre, ore 18:00, presso il Lanificio Conte a Schio. Clicca qui per visionare l’evento.

Archeologia Industriale

Libro: Schio. Archeologia Industriale
Autori: Dino Sassi, Bernardetta Ricatti
Casa Editrice: Sassi Editore Srl www.sassieditore.it
Lingua: Testo bilingue italiano/inglese
ISBN: 978-88-96045-96-1




La città di Schio e il Lanificio Rossi in Veneto

La città di Schio, in provincia di Vicenza, è nota per essere divenuta intorno al 1870 la capitale dell’industria tessile nazionale, tanto da meritarsi l’appellativo di Manchester d’Italia.

Grazie alla dirompente personalità dell’imprenditore Alessandro Rossi, che ne costituì la civitas, ossia il modello socio-culturale imperniato su una sorta di capitalismo “paternalistico”, Schio divenne uno dei principali poli produttivi d’Europa.

Il centro abitato si venne organizzando, fin dall’epoca romana e soprattutto medievale, allo sbocco in pianura della pittoresca Val Leogra. La ricchezza d’acqua favorì attraverso il sistema delle canalizzazioni la nascita e lo sviluppo di molteplici attività produttive.

La pagina più gloriosa della rivoluzione industriale della città di Schio e del suo circondario, che già si era distinta nella produzione della seta, è, senza dubbio, segnata dalla vicenda del Lanificio Rossi, fondamentale non solo per la portata storica delle innovazioni introdotte nel tempo nelle tecnologie della lavorazione della lana ma anche nei moduli e stili costruttivi degli stabilimenti legati alle diverse fonti di energia, a partire dalla Francesco Rossi (1817-1849) fino alla Fabbrica Alta (1862), agli innovativi stabilimenti industriali di Pievebelvicino, Torrebelvicino e Piovene Rocchette (1869-1882), ai padiglioni in cemento armato del Novecento e all’organizzazione del lavoro e della società con le istituzioni operaie. Interprete per oltre quarant’anni del pensiero rossiano in termini urbanistico-architettonici è il vicentino Antonio Caregaro Negrin, esperto di architetture industriali, termali e di complessi paesaggistici.

Il Lanificio Rossi
L’avvio della grande impresa tessile si deve a Francesco Rossi (1782-1845), già procuratore di lane nell’Alto Vicentino. La sua lungimiranza nella direzione dell’opificio fu colta dal figlio Alessandro (1819-1898), che nel 1845 divenne direttore del Lanificio. Quando nel 1873 il Lanificio F. Rossi si trasformò in Società Anonima con capitali italiani e stranieri e sede a Milano, egli rimase comunque alla testa dell’azienda, coinvolgendo i figli Giuseppe, Giovanni, Gaetano e Francesco e, nel 1879, garantendo la continuità della presenza familiare nell’impresa con il sistema delle gerenze.

A testimoniare la magnificenza dell’azienda restano i due edifici maggiori, disposti a “elle” rispetto al vasto cortile interno, un tempo occupato dai numerosi reparti del Lanificio Rossi e oggi per lo più piazzale parcheggio in attesa di una nuova destinazione d’uso.

Lo stabilimento Francesco Rossi fu eretto da Alessandro in via Pasubio nel 1849 sulle strutture dell’originario impianto manifatturiero (1817), davanti al settecentesco Lanificio Tron-Rubini (demolito nel 1878). Sul fronte strada esibisce un’elegante facciata ispirata ai palazzi di città del neoclassicismo vicentino, dove domina la rigorosa simmetria delle parti, la chiarezza degli elementi architettonici, il simbolismo della decorazione plastica. Lo slancio verticale dell’edificio è sottolineato dai numerosi fori rettangolari graduati in altezza che segnano la scansione di quattro piani, già occupati dalle diverse fasi di lavorazione, quindi svuotati e adibiti a uffici, ora inutilizzati. Da notare sono il maestoso portale tuscanico fregiato dal nome del fondatore e dalla data di nascita dell’impresa “Francesco Rossi 1817”, le finestre del pianterreno contornate da bugne leggere e distanziate e, soprattutto, i rilievi inseriti nei parapetti delle aperture del primo piano che celebrano l’industria laniera. Realizzata dall’architetto Auguste Vivroux di Verviers in Belgio, viene così descritta dallo stesso Alessandro Rossi “«In nove mesi ho eretta una fabbrica di 80 metri di lunghezza sopra 13,90 di larghezza con 6 piani oltre il terreno, 125 colonne di ghisa, 330 finestre con tutte le comodità di acqua e di vapore per servizio e riscaldamento col vapore perduto.

Oltrepassato il breve portico d’ingresso, restaurato e rimodernato nel 1980, ci s’inoltra nell’ampio cortile dominato a Nord dal colossale volume della Fabbrica Alta (1862-63). La Fabbrica Alta conserva tuttora il suo eccezionale valore monumentale e il significato dirompente nel contesto urbano circostante. È uno dei simboli della città. In particolare spiccano la compatta stesura dell’enorme parete rossastra per la prevalenza del laterizio sul pietrame locale, le testate delle putrelle di ferro in forma di rosoni sfogliati, il diverso impiego del cotto nel contorno delle finestre rettangolari, nel motivo romboidale del fregio e nel fastigio della ciminiera, a sezione quadrata, con la data 1862, l’impiego della pietra nei davanzali e nei dentelli che reggono il cornicione. L’armonica combinazione dei materiali, la sobrietà e l’eleganza del linguaggio artistico indicano la mano esperta dell’esecutore, individuato in Antonio Caregaro Negrin (Vicenza 1821-1898), amico del collega belga e architetto di fiducia di Alessandro Rossi. Gli interni furono liberati dal relativo corredo di macchinari per adattarli agli usi amministrativi della Lanerossi, che nel 1966-67 aveva trasferito nella nuova zona industriale i reparti dell’intero ciclo produttivo. Solo il piano sottotetto conserva la primitiva struttura lignea. Le colonnine in ghisa delle lunghe sale sono state murate, le soffittature abbassate e le antiche pavimentazioni ricoperte.

Il Giardino Jacquard
Nel processo di rinnovamento e ampliamento del Lanificio Rossi rientra la realizzazione dell’annesso Giardino (1858-1878), detto poi Jacquard, pregevole brano di archeologia industriale oltre che splendida architettura di paesaggio, che si apre al lato opposto di via Pasubio, in corrispondenza del monumentale ingresso dell’opificio. Esso si sviluppa in un’area di circa 5000 mq., acquistata da Alessandro Rossi nell’arco di cinque anni (1852-1857) per collocarvi nuovi impianti industriali.

Il Teatro Jacquard
Il 2 ottobre 1869 viene inaugurato il Teatro Jacquard, progettato dall’architetto Antonio Caregaro Negrin capace di 800 posti. La facciata originaria del fabbricato era particolarmente elegante, tutta traforata da monofore, bifore, trifore e da sei ingressi ad arco, tra cui il grande portale centrale. In stile lombardesco è tuttora impreziosita dai dodici medaglioni in cotto, opera dello scultore milanese Giambattista Boni, che rappresentano illustri personaggi che hanno reso celebre la città di Schio. L’interno del teatro aveva la tipica forma a ferro di cavallo sottolineata dall’andamento della loggetta lignea poggiante su colonnine in ghisa, mentre il soffitto era a capriate. Decorazioni floreali incorniciavano il palcoscenico, dove si rappresentavano operette e melodrammi ispirati alla vita degli operai. Al pianterreno furono ricavati locali per il caffè e la biglietteria.

Il Nuovo Quartiere Operaio
Il Nuovo Quartiere Operaio, detto la “Nuova Schio”, anch’esso progettato dell’urbanista-architetto Antonio Caregaro Negrin, rappresenta il tentativo di concretizzare l’utopia di una “città ideale. La planimetria generale del 28 luglio 1872 configura una romantica “città giardino” con palesi riferimenti alle esperienze di Owen e alle città industriali belghe e francesi. Via via però che il progetto prendeva forma si andava perdendo l’originaria impostazione paesista per assumere sempre più la consolidata fisionomia a scacchiera dei villaggi industriali d’oltralpe. In esso i villini, destinati a dirigenti e tecnici, e le case operaie, la scuola comunale e l’asilo, la chiesa, il teatro ed altri servizi  di interesse pubblico oggi per lo più scomparsi o rimodernati per altre attività, pur rimanendone memoria nella documentazione storica come la Ghiacciai Comune, lo Stabilimento bagni, piscina e lavatoi pubblici

L’istruzione e gli edifici scolastici
Grande importanza nel programma sociale del Rossi assunse l’istruzione, fondamentale per la preparazione dei futuri artieri, ma anche dei capi tecnici e dei moderni agricoltori. Ne sono testimonianza gli edifici scolastici eretti non solo a Schio, ma anche nei quartieri industriali dei paesi limitrofi, nel Podere Modello di Santorso e a Vicenza.

Nel 1990 la Lanerossi è stata acquistata dal Gruppo Marzotto con tutti gli stabilimenti di Schio e di Piovene Rocchette, recentemente chiusi. Il complesso della “Francesco Rossi” con la Fabbrica Alta e il Giardino Jacquard, dopo varie vicissitudini, è ora proprietà del Comune di Schio.

Parallelamente alla vicenda tessile rossiana si ricordano le tappe più salienti della storia dei Lanifici Conte e Cazzola, soprattutto per lo spazio che ancora occupano con i loro diversi volumi architettonici, ora restaurati e riusati, nell’economia del tessuto urbano della città di Schio.

Alessandro Rossi e dei suoi figli, sono anche responsabili della promozione delle comunicazioni ferroviarie dell’Alto Vicentino per velocizzare il trasporto delle materie prime e dei prodotti dei vari stabilimenti tessili della Val Leogra e della Val d’Astico e quelli della Cartiera di Arsiero. Altre imprese rientrano nelle sfera rossiana, come la Fabbrica di Birra Summano (1873) di Rocchette, lungo la vecchia strada per Velo d’Astico, un tempo servita pure dalla linea ferroviaria Schio-Arsiero, e tuttora luogo di ristoro della popolazione locale e dei turisti.

Sito archeologico industriale: Città di Schio
Settore industriale: Industria tessile – Lanificio
Luogo: Schio – provincia di Vicenza – regione Veneto
Proprietà/gestione: Comune di Schio www.comune.schio.vi.it
Testo a cura di: Dott.sa Bernardetta Ricatti.
Testi tratti dal volume Schio. Archeologia Industriale di Dino Sassi e Bernardetta Ricatti edito da Sassi Editore Srl.




Libro: Cento Anni di Vita al Villaggio Leumann

Cento Anni di Vita al Villaggio Leumann. Racconti per Immagini, Didascalie, Aneddoti”, il nuovo libro per scoprire attraverso le immagini la storia del Villaggio Operaio Leumann in Piemonte, una delle perle del patrimonio archeologico industriale in Italia.

Le foto d’epoca costituiscono un patrimonio culturale, di tradizione e di storia. Oltre ad incuriosire l’utente giovane, permettono di riscoprire il nostro passato, l’arredo urbano della nostra cittadina, gli usi ed i costumi locali dei nostri genitori e dei nostri nonni.

L’Associazione Amici della Scuola Leumann, nata nel 1992 con lo scopo di ricostruire la storia del Villaggio Leumann, di preservarne la memoria e di valorizzarlo quale raro esempio di archeologia industriale, ha costituito, negli anni, un ricco archivio fotografico e ha raccolto aneddoti e testimonianze di un passato molto caro ai soci che qui sono nati ed hanno trascorso parte della loro vita. Ad un certo punto nell’Associazione si è fatta strada l’idea di mettere a disposizione di un pubblico più vasto queste immagini e questi ricordi.

Ne è nato il libro “Cento Anni di Vita al Villaggio Leumann. Racconti per Immagini, Didascalie, Aneddoti” che, nella prima parte, copre un periodo che va dall’inizio del ‘900 fino al 1972, anno che ha visto la chiusura del Cotonificio Leumann e l’inizio di un progressivo impoverimento di energie e di idee, essendo venuto a mancare il motore trainante della “fabbrica”. La seconda parte illustra, per immagini, il rivitalizzarsi del Villaggio, la socializzazione, la trasformazione da luogo spento a crogiolo di attività culturali e ricreative.

Oggi, infatti, per l’impegno e la volontà di alcune persone, riunitesi in Associazione,  il Villaggio Leumann è luogo da visitare, da studiare, da vivere con iniziative sempre apprezzate dal pubblico che accorre numeroso a riscoprire questo borgo di fine ’800. Questo impegno e questa volontà proseguono e, giunta al compimento del 20° anno, l’Associazione Amici della Scuola Leumann è più attiva che mai. Da qualche anno il Villaggio Leumann è Ecomuseo Provinciale e vede la presenza di circa cento famiglie, formate in buona parte da ex dipendenti della ditta Leumann.

Il volume intende essere un omaggio all’imprenditore illuminato Napoleone Leumann che il villaggio l’ha fatto costruire, al sindaco di Collegno, Ruggero Bertotti, che, nel 1976, ha fatto sì che continuasse ad esistere e a tutte le persone che lo hanno abitato.

Vuole anche essere di stimolo alle nuove generazioni ad averne cura e a continuare l’azione di valorizzazione finora portata avanti dagli “Amici della Scuola Leumann” e, dall’interesse riscontrato in questa sua prima apparizione, ci sono ottime prospettive per il futuro.

Prossimamente in uscita.

Libro: Cento Anni di Vita al Villaggio Leumann. Racconti per Immagini, Didascalie, Aneddoti
A cura di: Alessandro Zerbi
Casa Editrice: Editrice Il Punto – Piemonte in Bancarella www.piemonteinbancarella.it
Note: Realizzato grazie all’attività dell’Associazione Amici della Scuola Leumann www.villaggioleumann.it

Archeologia Industriale




Il Villaggio Leumann in Piemonte

Il Villaggio Operaio Leumann è uno dei fiori all’occhiello dell’Archeologia Industriale in Italia. Situato in provincia di Torino è una delle poche edificazioni filantropiche volute da imprenditori illuminati a supporto della classe operaia. 

 

Il Villaggio Leumann di Collegno insieme al Cotonificio fu edificato tra il 1876 e il 1912 dall’imprenditore svizzero Napoleone Leumann per dare lavoro, sistemazione e servizi gratuiti alle maestranze qui impiegate che provenivano sia dalla precedente tessitura di Voghera, nell’Oltrepò pavese, sia dai comuni limitrofi a Collegno. Il complesso costruttivo, a pianta triangolare, è formato dal Cotonificio e da due comprensori laterali, per una superficie complessiva di 72.000 mq. Entrambi i comprensori sono attraversati da una via principale, che si stacca dallo stradale di Rivoli, penetra all’interno di ciascun area di costruzione e si conclude in una graziosa piazzetta. A far da cornice agli slarghi sono rispettivamente due edifici fulcro: il Convitto nel comprensorio est e la Chiesa di Sant’Elisabetta nel comprensorio ovest, edifici questi costruiti per essere punti di aggregazione a uso collettivo. Il progetto architettonico fu affidato in parte all’ing. Pietro Fenoglio, artefice delle più significative opere in stile liberty a Torino. Il luogo, a nord della città sabauda, fu scelto dalla famiglia svizzera per la presenza di corsi d’acqua, per la vicina ferrovia e per il costo relativamente basso dei terreni rispetto a quelli di Torino. Tale fu l’importanza del Cotonificio svizzero che, nel 1896, il Comune di Collegno intitolò la zona Borgata Leumann, frazione del Comune di Collegno.

Il Villaggio Leumann venne concepito per essere del tutto autonomo. Le villette per gli operai e gli impiegati sono costruite in laterizio con due piani fuori terra e orto-giardino, ispirate alla tradizione edilizia padana del tempo, miscelata, specie nei tagli volumetrici dei tetti, con imprestiti di derivazione svizzera, riferibili all’origine elvetica del committente. Accanto alle abitazioni una serie di strutture assistenziali gratuite supportate da iniziative assistenziali (cassa malattia, cassa nuziale, cassa pensioni, liquidazione) facilitavano la vita e il lavoro alla Borgata. Nel comprensorio est trovano spazio il Convitto per le Operaie (1890-1906), il Refettorio (1890-1909), poi trasferito nell’area dello stabilimento e ora non più visibile, l’edificio dei Bagni (1902), il Teatro (1890) e l’Albergo Il Persico (1891). Nel comprensorio ovest, l’Ufficio Postale (1911), la Scuola Materna (1900) la Scuola Elementare (1906), la Palestra (1906), la Chiesa di Santa Elisabetta (1907), il Circolo per gli Impiegati e uno Spaccio Alimentare. L’Asilo Nido (1890), un tempo ubicato all’interno dello stabilimento, fu poi trasferito in una graziosa palazzina accanto alla fabbrica, l’Ambulatorio medico (1891) era in prossimità dell’entrata all’opificio, mentre la stazionetta (1903) trova collocazione di fronte all’ingresso. L’entrata al Cotonificio è ancora oggi caratterizzata da due piccole costruzioni similari del 1880 in litocemento con decorazioni in legno munite di torrette angolari, loggia e balconi e poste l’una di fronte all’altra sul corso Francia. Qui l’architettura vernacolare svizzera diventa il modello di importazione per eccellenza: l’immagine idilliaca e pittorica degli chalet montani si traduce nell’uso smodato del legno e dei tetti cuspidati.

Il cotonificio ha continuato la propria attività produttiva fino al 1972 quando chiuse in parte i battenti (Tessitura) a seguito della grave crisi del settore tessile e definitivamente nel 2007 (Nobilitazione del tessuto e tintoria). Il Comune di Collegno, con l’intento di salvaguardare e valorizzare un patrimonio culturale, riuscì ad acquistare praticamente tutte le case del Villaggio.

Oggi il Villaggio è sotto la tutela della Soprintendenza dei Beni architettonici e paesaggistici del Piemonte.

 

Il Villaggio Leumann oggi

Il Villaggio Operaio Leumann è oggi un importante documento di carattere storico e architettonico, indiscutibilmente uno degli esempi più prestigiosi del patrimonio archeologico industriale italiano, che continua a vivere e fa parte della rete ecomuseale della provincia di Torino.

L’Ecomuseo copre tutta l’area del Villaggio Leumann. Sono stati recuperati o ristrutturati molti edifici: il Convitto, l’Albergo, l’Ufficio Postale, la Stazionetta e una parte del Cotonificio. Di recente sono stati rimessi a nuovo i lavatoi ed è stata allestita una segnaletica interna. E’ stata ristrutturata anche la Scuola che, oltre a continuare ad ospitare cinque classi di scuola elementare, è sede dell’Ecomuseo.

Le abitazioni sono ancora utilizzate come tali e gli edifici che ospitavano servizi hanno ancora una funzione pubblica. Il Convitto delle Operaie ospita la Biblioteca Civica, l’Albergo è sede di associazioni, la Stazionetta, ristrutturata nel 1998 su iniziativa dell’Associazione Amici della Scuola Leumann,  ha svolto fino a fine 2012 un servizio di informazioni culturali, sociali e turistiche, il locale dei Bagni ospita il Centro Anziani. L’Ufficio Postale, la Scuola e la Chiesa mantengono invece la funzione originaria. A breve verrà allestito il Centro di Documentazione della Storia del Villaggio Leumann e un Laboratorio di Storia per le scuole.

Un ulteriore passo è stato fatto con l’allestimento realizzato dall’Arch. Alessandro Mazzotta e con gli arredi forniti dai soci dell’Associazione suddetta, della Casa-Museo nei locali messi a disposizione dal comune di Collegno. Si tratta di un “progetto pilota” e della prima esperienza di questo genere in un villaggio operaio.

L’Associazione Amici della Scuola Leumann

A prendersi cura della valorizzazione e della promozione del Villaggio Operaio Leumann attraverso l’organizzazione di visite guidate, attività culturali di vario genere, iniziative di ristrutturazione ed altro,  è l’Associazione Amici della Scuola Leumann.

Informazioni e prenotazioni visite guidate: Associazione Amici della Scuola Leumann
Corso Francia 345 – 10093 Collegno – Tel. 011 4159543 – 349 7835948
e-mail: info@villaggioleumann.it – sito web: www.villaggioleumann.it

 

Sito archeologico industriale: Villaggio Operaio Leumann
Settore industriale: Industria tessile – Cotonificio
Luogo: Collegno – provincia di Torino – regione Piemonte
Proprietà/gestione: Comune di Collegno www.comune.collegno.gov.it
Testo a cura di: dott.sa Carla F. Gütermann per la parte storica; Rosalbina Miglietti Presidente dell’Associazione Amici della Scuola Leumann .

Archeologia Industriale