L’ex Lanificio di Stia oggi Museo dell’Arte della Lana in Toscana

Il Lanificio di Stia in provincia di Arezzo fu, fino al secondo dopoguerra, uno dei principali lanifici italiani. Dal 2010, grazie all’opera della Fondazione Luigi e Simonetta Lombard che ne è proprietaria, ha ripreso vita come Museo dell’Arte della Lana.

La storia del Lanificio di Stia

La prima Società di Lanificio di Stia fu costituita nel 1852, quando già da alcuni decenni si era sviluppata una moderna attività imprenditoriale organizzata in modo tale da concentrare in un unico stabilimento le varie fasi della lavorazione della lana. Nei primi anni ‘60 dell’Ottocento il Lanificio di Stia occupava circa 140 operai e si ricorda come il primo in Toscana ad impiegare macchinari importati dall’estero. Tra il 1862 e il 1888, sotto la direzione di Adamo Ricci, fu completata la meccanizzazione di tutto il processo produttivo e razionalizzato il complesso degli stabilimenti.

Dalla fine dell’Ottocento la famiglia Lombard divenne proprietaria del Lanificio di Stia e ne affidò la direzione al veneto Giovanni Sartori, che riammodernò la fabbrica, portandola ai livelli dei più importanti lanifici italiani e si adoperò per creare una concreta copertura previdenziale a tutti i lavoratori in difficoltà. Con la direzione di Sartori il Lanificio di Stia giunse all’apice del suo prestigio, come dimostra il fatto di essere fornitore ufficiale di Casa Savoia, e al più alto livello di occupazione. Alla fine del primo conflitto mondiale gli operai impiegati erano 500, i telai circa 136 e la produzione era di oltre 700.000 metri di stoffa. In seguito alla crisi iniziata negli anni Sessanta il Lanificio di Stia fallì nel 1985 e chiuse definitivamente nel 2000.

Simonetta Lombard, erede della famiglia proprietaria per oltre sessanta anni della Fabbrica, ne riacquisì gli edifici costituendo una Fondazione che elaborò un progetto di ristrutturazione per la realizzazione di un centro di diffusione della cultura tessile. Tale progetto si concretizzò nel 2010 con l’apertura del Museo dell’Arte della Lana.

Il restauro degli edifici dell’ex Lanificio di Stia

Il complesso del Lanificio di Stia aveva una notevole rilevanza architettonica e disponeva di una superficie utile di circa 23.000 m2; era composto da vari edifici costruiti tra il XVIII e il XX secolo. Dopo anni di abbandono molti tetti e porzioni di edifici erano crollati, infiltrazioni d’acqua danneggiavano i muri, tonnellate di materiale di scarico era accatastato e marciva dentro e fuori gli edifici creando dissesti, la vegetazione aveva invaso ampie porzioni dello stabilimento, entrando all’interno e distruggendo anche le finiture. Malgrado ciò nel 2007 gli edifici furono posti sotto tutela diretta della Soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici della Provincia di Arezzo.

Gli edifici principali hanno una struttura perimetrale in muratura di pietrame, decorata con archi in mattoni a vista; all’interno, per avere la massima fruibilità degli spazi, la struttura è realizzata con pilastri in ghisa, travi di ferro e volticciole in mattoni. L’obiettivo dell’intervento architettonico è stato quello di recuperare le principali costruzioni, conservandone la realtà di edifici industriali dismessi. Per quanto possibile, le strutture murarie e le finiture sono state conservate come ci sono pervenute; è stata effettuata prevalentemente un’opera di pulitura e manutenzione, anche se sono state rifatte le coperture crollate e sono stati realizzati dei nuovi impianti e servizi. Gli intonaci originari sono stati mantenuti e le lacune di quelli esterni, decorati con finto bugnato, sono state riprese con intonaco grezzo. Anche i pavimenti originari in cemento sono stati puliti e conservati come le “buche” che erano state realizzate per la manutenzione degli assortimenti di cardatura.

Il Museo dell’Arte della Lana

Il percorso espositivo è un cammino nella storia dell’arte della lana dai primordi della civiltà umana fino alla rivoluzione industriale e all’età d’oro del Lanificio di Stia. Visitare il Museo è una vera e propria esperienza sensoriale, dove si può toccare, annusare, ascoltare, imparare, provando in prima persona la manualità di alcuni gesti propri dell’arte della lana: i visitatori possono ancora riconoscere all’interno delle sale, che ospitavano in passato i cicli produttivi delle lavorazioni tessili, l’odore degli oli per la lubrificazione della lana per la cardatura, quelli intensi dei filati e dei tessuti appena tinti, o quelli metallici e acuti dei macchinari tessili, e con un po’ d’immaginazione si può riuscire anche a percepire le essenze del lavoro e della fatica che sono ancora attaccate alle pareti. Per far riascoltare ai visitatori gli assordanti rumori che rimbombavano negli stanzoni durante le lavorazioni sono stati creati dei percorsi sonori che ridanno voce ai vari macchinari. Anche il tatto è fondamentale per comprendere pienamente le lavorazioni tessili e le qualità di una stoffa. In collaborazione con l’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti sono stati realizzati dei percorsi tattili utilissimi per tutti i visitatori.

Tutte le proposte didattiche del museo sono improntate alla sperimentazione per meglio comprendere le fasi di lavorazione della lana: nell’aula didattica sono eseguiti, con l’aiuto di alcuni strumenti, i procedimenti che trasformano il vello della pecora in tessuto.

Museo dell’Arte della Lana ex Lanificio di Stia
Via G. Sartori 2 – 5201 Pratovecchio Stia (Ar)
info@museodellartedellalana.it

Sito archeologico industriale: ex Lanificio di Stia oggi Museo dell’Arte della Lana
Settore industriale: Industria Tessile
Luogo: Stia, Arezzo, Toscana, Italia
Proprietà e Gestione: Fondazione Lombard www.museodellartedellalana.it
Testo a cura di: direttore del Museo dell’Arte della Lana dott. Andrea Gori. Per la parte relativa al restauro degli edifici: Prof. Arch. Carlo Blasi, Arch. Francesca Blasi, Ing. Susanna Carfagni




La Centrale del Battiferro a Bologna è in vendita

Il Comune di Bologna mette in vendita la Centrale idrotermoelettrica del Battiferro, una delle testimonianze più importanti della storia industriale del capoluogo dell’Emilia Romagna.

La Centraledel Battiferro è situata lungo il canale Navile, che fu per secoli uno dei cuori pulsanti dell’attività produttiva in città: l’area dove si trova, il Battiferro, deriva il nome dalla presenza nel passato di opifici legati alle lavorazioni metallurgiche. Si tratta di una zona che potremmo definire “strategica” dal punto di vista dell’archeologia industriale: nelle immediate vicinanze della centrale si trovano, infatti, il principale sostegno (così si chiamano le chiuse) del canale, la Fornace Galotti che ospita il Museo del Patrimonio Industriale e i resti di un’antica cartiera.

Storia della Centrale del Battiferro, esempio di archeologia industriale

La Centrale del Battiferro venne costruita per iniziativa della Ganz, la rinomata industria di Budapest produttrice di materiale elettrico, tra il 1898 e il 1900: venne dotata di 2 coppie di caldaie a vapore e di una turbina che sfruttava un salto di 3 metri del vicino canale Navile; questi macchinari azionavano 3 alternatori Ganz da 400 kW ciascuno. La turbina idraulica venne realizzata dalla Escher Wyss di Zurigo, mentre le caldaie furono prodotte dalla rinomata ditta tedesca Steinmüller; italiani erano i condensatori e le macchine motrici, fabbricati dalla Franco Tosi di Legnano. Si trattava quindi di una centrale che produceva energia sia termo che idroelettrica. La distribuzione dell’elettricità venne affidata a una società cooperativa fondata da Giuseppe Galotti, industriale attivo nei laterizi e proprietario della vicina fornace. Si trattava di una struttura all’avanguardia per l’epoca, che andava a sostituire l’unico l’impianto idroelettrico della città, collocato presso il Molino Poggioli.
La centrale del Battiferro fu la seconda grande “fabbrica” di energia di Bologna, dopo le Officine del Gas, costruite nel 1862 e divenute nel 1900 di proprietà del Comune (la prima azienda municipalizzata del gas nella storia d’Italia). L’elevato livello tecnologico della centrale venne attestato dalla visita che vi condussero nel 1901 i fisici italiani, riuniti a Bologna per il loro V congresso nazionale, alla presenza di Augusto Righi.
Con la costruzione dei laghi artificiali appenninici durante la prima metà del XX secolo, destinati alla produzione di energia idroelettrica, la piccola centrale del Battiferro perse pian piano importanza fino alla sua definitiva chiusura nel 1961.
In oltre 50 anni di abbandono, questo monumento della archeologia industriale ha subito danni molto gravi a causa delle intemperie, dell’usura del tempo e dei vandali. Chi ci è stato dentro negli ultimi tempi racconta che il pavimento è sparito sotto uno spesso strato di sporco e rifiuti, mentre all’interno dei locali vi trovano alloggio senzatetto e attività criminali legate al confezionamento e allo spaccio di stupefacenti. Nonostante tutto questo, sopravvivono ancora alcuni macchinari come un paio di turbine.

Il Comune di Bologna mette in vendita la Centrale del Battiferro

L’11 dicembre il Comune di Bologna ha comunicato la propria volontà di mettere in vendita alcuni dei gioielli del suo patrimonio per ripianare lo stato di crisi del bilancio municipale. Spicca nella lista il nome di Villa Aldini, fatta costruire nel 1811-16 per ospitare Napoleone; ma tra i beni in vendita c’è anche la centrale del Battiferro. Questo avvenimento può essere visto come un’opportunità per chi ha a cuore non solo l’archeologia industriale, ma tutto il patrimonio culturale bolognese. Dopo decenni di incuria, infatti, questo edificio potrebbe essere recuperato e rilanciato.

“Salviamo la Centrale del Battiferro” il nuovo gruppo su Facebook

Per sensibilizzare sulle potenzialità di questa struttura è stato recentemente lanciato il gruppo Facebook Salviamo la Centrale del Battiferro che si propone di creare un gruppo di opinione impegnato sulla rete e sul campo nel creare un progetto di recupero realizzabile e sostenibile. C’è bisogno, oltre che del sostegno della comune cittadinanza, di professionisti ed esperti in vari campi, dalla storia all’architettura, al restauro, alla tecnica, alla cultura, alla progettazione e al fund raising. Tutte queste figure sono necessarie per elaborare un progetto di salvataggio che sia di alto spessore culturale ma allo stesso tempo sostenibile dal punto di vista economico.

Archeologiaindustriale.net invita tutti gli interessati ad aderire al gruppo “Salviamo la Centrale del Battiferro” ed a lasciare il proprio contributo intellettuale affinché la Centrale del Battiferro, qualunque sia la nuova destinazione d’uso, non perda di identità e possa raccontare la propria storia  alle generazioni future.

Il gruppo Facebook “Salviamo la Centrale del Battiferro” è stato lanciato da Jacopo Ibello. Jacopo Ibello, autore del testo di cui sopra, è laureato in Geografia presso l’Università di Bologna. Dopo la laurea  ha conseguito il diploma di Master in Conservazione e Gestione del Patrimonio Industriale presso l’Università di Padova.

Hashtag di riferimento #saveindustrialheritage

Hanno parlato della Centrale del Battiferro:

CILAC Newsletter N° 180 – 31 dicembre 2013 clicca qui

UNESCO Chair Forum University and Heritage – Twitter Account clicca qui

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Sito archeologico industriale: La Centrale del Battiferro
Settore industriale: Settore Energia
Luogo: Bologna- Emilia Romagna
Proprietà/gestione: Comune di Bologna www.comune.bologna.it
Testo a cura di: Jacopo Ibello contatto: jacopo.ibello@gmail.com.
Crediti Fotografici: si ringrazia Massimo Brunelli – Vicepresidente, nonché ricercatore e fotografo, della “Associazione amici delle vie d’acqua e dei sotterranei di Bologna” www.amicidelleacque.org