Convegno Il distretto minerario Riso – Parina. Studi, valorizzazione e sviluppo 22 marzo 2014

Si terrà sabato 22 marzo il Convegno “Il distretto minerario Riso-Parina. Studi, valorizzazione e sviluppo” presso la Sala della Comunità Arcobaleno – Gorno (BG).

Per secoli l’attività mineraria ha caratterizzato le alte vallate bergamasche. In particolare le miniere di piombo e di zinco hanno rappresentato una delle più importanti fonti di lavoro per gli abitanti. Presenti fin dall’epoca preistorica, le miniere erano ben conosciute anche al tempo dei Romani; nei secoli successivi l’attività estrattiva assunse dimensioni industriali con l’arrivo a metà Ottocento di società inglesi, belghe e austriache. Durante la Seconda Guerra Mondiale le miniere passarono in gestione a società italiane a capitale pubblico fino alla loro chiusura nel dicembre 1982.

I ritmi delle giornate delle famiglie di questi luoghi sono stati scanditi dalla presenza dell’attività mineraria che si è integrata nell’altra attività altrettanto secolare rappresentata dall’allevamento di animali e dalla coltivazione della terra.
Il distretto minerario prende il nome della immensa rete di gallerie scavate nel corso degli anni e che si estendono da Riso sul versante Seriano fino alla località Parina sul versante Brembano. Lo sviluppo della coltivazione è di oltre 250 km disposta su 6 diversi livelli.

Il convegno si propone di presentare nuove iniziative e progetti in ambito storico archivistico e imprenditoriale, fra cui la convenzione con lo stato per il deposito e la valorizzazione dell’archivio minerario, una proposta di progetto per una rete degli archivi minerari, lo stato degli studi geologici, la normativa di riferimento ed il programma industriale di ripresa dell’attività mineraria da parte della società australiana Energia Minerals Limited.

Il Convegno “Il distretto minerario Riso-Parina. Studi, valorizzazione e sviluppo”
è promosso e organizzato da:
Comune di Gorno, Comune di Oneta, Comune di Oltre il Colle, Promoserio, Ecomuseo Miniere di Gorno.

Con il patrocinio di:
Provincia di Bergamo, Regione Lombardia, Comunità Montana Valle Seriana, Ordine dei Geologi della Lombardia, Parco delle Orobie Bergamasche.

Con la collaborazione di:
Archivio di Stato di Bergamo, Consorzio Minerario Valle del Riso – Val Parina, Promoserio, ASSOMINERARIA, ANIM, AIPAI, Associazione Minatori Orobici

Per visionare il programma completo del convegno clicca qui

Segreteria
Ecomuseo delle Museo di Gorno (municipio) –
Website www.ecomuseominieredigorno.it/info@ecomuseominieredigorno.it – tel. 035-707145
Fabio Varischetti – fabiovarischetti@alice.it – mobile 338.8613738
Sergio P. Del Bello – spdelbello@yahoo.it – mobile 339.85596959

Presentazione a cura di: Dario Roggerini Coordinatore Ecomuseo Miniere Gorno

 




Libro Officine del Volo: un progetto di Nicola Gisonda

“Officine del Volo: un progetto di Nicola Gisonda” è un libro che attraverso splendide fotografie e testi accurati racconta del recupero di uno degli esempi più significativi del patrimonio industriale della città di Milano.

Edito da Silvana Editoriale, casa editrice storica specializzata in storia dell’arte, il libro “Officine del Volo: un progetto di Nicola Gisonda” è stato realizzato grazie alla collaborazione della prof.sa Maria Antonietta Crippa, del prof. Ferdinando Zanzottera (docenti del Politecnico di Milano), dell’Ing. Gian Luca Lapini e dell’Arch. Carlo Capponi che hanno curato i testi dando corpo alle ragioni e all’acuta sensibilità critica con la quale l’Arch. Nicola Gisonda ha attuato il moderno restauro e ha avviato l’attività delle Officine del Volo.

Le Officine del Volo in fatti, sono il frutto dell’attento lavoro di recupero e ripristino delle “Officine Aeronautiche Caproni di Taliedo” attuato dall’Arch. Nicola Gisonda. Questo intervento di restauro trova la sua naturale e propria collocazione nel contesto dell’archeologia industriale che negli ultimi decenni ha consentito la rivalutazione del patrimonio urbano periferico di Milano, permettendo di omogeneizzare elementi storici, urbanistici e ambientali in una realtà nuova e funzionale per la città.

Il volume si avvale di un corredo d’immagini elaborato da due professionisti della fotografia, Gabriele Basilico e Matteo Piazza, che dà un contributo fondamentale alla comprensione visiva dell’estensione e della qualità del complesso, ormai di carattere nettamente urbano, in cui le Officine del Volo si inseriscono, contribuendo alla percezione del valore dell’ampliamento della città compatta attraverso il rigoroso rispetto e valorizzazione dei tessuti edilizi periferici.

Il libro è stato realizzato col patrocinio della Provincia di Milano.

Titolo: Officine del Volo: un progetto di Nicola Gisonda
Curatore: Maria Antonietta Crippa e Ferdinando Zanzottera
Casa Editrice: Silvana Editoriale www.silvanaeditoriale.it/
Lingua: Edizione Bilingue: italiano e inglese




Le Officine Aeronautiche Caproni di Taliedo – Officine del Volo a Milano

Le Officine Aeronautiche Caproni di Taliedo di via Mecenate a Milano sono una delle testimonianze più significative della grande Milano industriale. Oggi recuperate, regalano spazi unici per caratteristiche e storia.

Storia delle Officine Aeronautiche Caproni di Taliedo, bene di archeologia industriale

Oltre le mura della città, dalla parte di Porta Vittoria, ad est del fiume Lambro, sorgeva l’area denominata “Cascina Taliedo” che, sino alla prima decade del 1900, si caratterizzava per l’attività agricola. Grazie però ai sui ampi spazi disponibili a ridosso della la città, nel 1910 tale area venne selezionata per ospitare la competizione aeronautica “Circuito Aereo Internazionale di Milano”. Nasce così il primo campo di volo cittadino.

Successivamente, il Ministero della Guerra, decise di impiantare nell’area del Circuito Aereo un insediamento militare permanete che crebbe notevolmente a cavallo della Prima Guerra Mondiale attraverso la realizzazione di nuovi hangar. È in questo periodo che entra in scena l’ing. Giovanni Caproni, legando per sempre il proprio nome alla zona di Taliedo.

L’ingegnere Gianni Caproni fu uno dei più grandi pionieri dell’aviazione mondiale. Iniziò la sua attività di costruttore e sperimentatore nel 1909 e nel maggio 1910 fece volare il suo primo aeroplano.
Si stabilì prima a Malpensa poi a Vizzola Ticino producendo molti tipi di aeroplani che si aggiudicarono numerosi successi e primati. Per avvicinarsi alla città e reperire così manodopera più facilmente, l’ing. Caproni decise di spostare le sue officine nella zona di Taliedo avvantaggiandosi della presenza del campo di volo militare per il decollo e l’atterraggio dei suoi aeromobili.

Dal 1915 al 1918 lo stabilimento di Taliedo produsse un ingente numero di biplani e triplani. Dopo una battuta d’arresto fisiologica nel periodo durante le due guerre, con l’arrivo del Fascismo la produzione civile e militare riprese a tutto regime. La fabbrica venne ampliata sino ad estendersi dall’altro lato di via Mecenate, un sottopasso congiungeva le due parti dello stabilimento.

Agli inizi degli anni ’40 lo stabilimento si avvantaggiò di una nuova schiera di capannoni in parte affacciati su via Fantoli, questi i nomi delle nuovi grandi edifici: Duralluminio, Re 2000, Nuova aviorimessa montaggio duralluminio, Montaggio C. Durante la Seconda Guerra Mondiale la società Aeroplani Caproni raggiunse i 50.000 dipendenti.

Alla fine della guerra, con la drastica diminuzione delle commesse militari, nonostante gli svariati tentativi di riconversione verso la produzione di carrozzerie, veicoli ferrotranviari, elettrodomestici, ecc. , l’azienda fu costretta a chiudere per bancarotta nel 1950. L’intera area di Taliedo perse così la sua vocazione aeronautica trasformandosi in zona residenziale. Per far fronte ai debiti, i capannoni della Caproni non furono demoliti, ma gradualmente venduti o affittati salvandoli dall’abbandono.

Officine del Volo  e il recupero di archeologia industriale delle ex Officine Aeronautiche Caproni 

A seguito della chiusura delle Officine Aeronautiche Caproni di Taliedo, gli spazi, pregevole esempio di archeologia industriale, sono stati via via acquistati e ristrutturati per svolgere svariate funzioni.

Tra tutti gli interventi di recupero, uno in particolare merita la nostra attenzione grazie all’ottima riuscita dell’intervento di restauro. Stiamo parlando dei capannoni corrispondenti ai numeri civici 76/5 di via Mecenate. La coppia formata dai due edifici, distribuiti su due piani in altezza, è caratterizzata dall’utilizzo dei tipici mattoni rossi e da finestre ogivali, inoltre uno dei due presenta una bella copertura a capriate in legno. Stiamo parlando degli edifici che ospitano oggi le Officine del Volo

Nate dal desiderio dell’architetto Nicola Gisonda di effettuare un vero e proprio intervento di restauro di un segmento delle ex Officine Aeronautiche Caproni, le Officine del Volo recuperano e mantengono il fascino di una storica architettura industriale milanese dei primi del ‘900, trasformandosi in un luogo attuale e dinamico, sempre in divenire.

L’architetto Gisonda, passando davanti a questi luoghi, capì che la ex Fabbrica Caproni poteva passare idealmente il testimone alla Milano del lavoro di oggi. Ovvio che la ristrutturazione non potesse essere un semplice lavoro di progettazione e muratura. Non si doveva ricostruire, ma far rinascere. Così è stato. Tutto ciò che è stato possibile recuperare è stato recuperato.
I legni del parquet, delle capriate del tetto, i mattoni delle facciate, le pietre, gli intonaci dei muri e le vetrate sono state restaurati e ripuliti mediante particolari tecniche che ne hanno riportato alla luce le caratteristiche di originalità salvaguardando i segni del tempo.

Il progettista inoltre seguendo sempre il suo iniziale obiettivo “non ricostruire ma far rinascere”, ha utilizzato per la realizzazione dei nuovi elementi i tre materiali originari dell’intero fabbricato: cemento, legno e ferro. Ha disegnato inoltre elementi di design leggibili in tutto lo spazio: la grande scala esterna in ferro è quasi una passerella sospesa; la recinzione, in lamiera piegata di acciaio corten, disegna il profilo alare di un aereo investito e sospinto dal vento; l’ascensore, elemento modernissimo, è realizzato in cristallo e acciaio. Tutto questo ha comportato un impegno che nessun altro luogo della Milano del lavoro oggi può vantare.
Il complesso delle Officine del Volo risulta così composto di tre sale, ognuna con caratteristiche architettoniche e decorative proprie (la sala Monoplano, la sala Biplano e la sala Eliche) per un totale di 1.500 mq, dotate di attrezzature tecnologiche e moderne; il risultato è un’unione sofisticata che unisce passato e presente.

Grazie a una spiccata abilità imprenditoriale e a una gestione accurata e attenta ai dettagli, Officine del Volo è oggi uno spazio iconico, riconosciuto a livello nazionale e internazionale.

Tra le tante attività che vi si sono svolte in particolare segnaliamo le riprese dei film Chiedimi se sono felice di Aldo, Giovanni e Giacomo e Happy Family di Gabriele Salvatores, le riprese di programmi come Masterchef e Fashion Style, spot pubblicitari tra cui Fiat e Acqua Vitasnella, eventi di Swarovski, Eni, BMW, Estee Lauder, il cinquantesimo anniversario di GQ AMERICA ed eventi moda di Jacob Cohen, Dsquared, Calvin Klein, Versace e Armani.

10 Anni di Officine del Volo – Storia per immagini di uno spazio di successo

mostra noinaugurazione

#SaveTheDate

Officine del Volo festeggia quest’anno i suoi 10 anni di attività attraverso una mostra che ripercorre la storia del sito attraverso un racconto per immagini, inserito in un’originale installazione allestita presso il bistrot Corsia del Giardino.

La mostra sarà visitabile fino al 3 marzo 2014
Corsia del Giardino – Via Manzoni 16, Milano
Tutti i giorni dalle 9.00 alle 20.30

 

Sito archeologico industriale: Le Ex Officine Aeronautiche Caproni di Taliedo
Settore industriale:aereonautica
Luogo: Milano-Lombardia
Proprietà/gestione:Officine del Volo
Testo a cura di:Officine del Volo
www.officinedelvolo.it




Il Villaggio operaio di Crespi d’Adda – sito Unesco

Il villaggio di Crespi d’Adda, in provincia di Bergamo in Lombardia, racconta di un villaggio ideale del lavoro: un piccolo feudo dove il castello del padrone era simbolo sia dell’autorità che della benevolenza, verso i lavoratori e le loro famiglie.

Sito UNESCO, il Villaggio operaio di Crespi d’Adda rappresenta la più importante testimonianza in Italia del fenomeno dei villaggi operai e, insieme al Villaggio Leumann, alla città di Schio, è uno dei più mirabili esempi di archeologia industriale in Italia.

L’UNESCO ha accolto nel 1995, Crespi d’Adda nella Lista del Patrimonio Mondiale Protetto in quanto “Esempio eccezionale del fenomeno dei villaggi operai, il più completo e meglio conservato del Sud Europa”.

Crespi d’Adda: un luogo fuori dal tempo

Crespi d’Adda è una città dove bisogna orientarsi non con un libro o una mappa, ma con lo stesso camminare a piedi, con la vista, l’abitudine e l’esperienza. Qui, spazio, tempo e architettura sono un tutt’uno. Quello che state per conoscere è molto di più di un esempio insigne della storia architettonica. Il villaggio industriale di Crespi d’Adda è un prodotto dell’opinione eccessivamente raffinata dell’Ottocento secondo cui le cose utili potevano e dovevano essere anche belle, e ciascuno aveva l’assoluto dovere di fare ogni cosa nel modo più elegante possibile. È un viaggio dentro una aspirazione industriale e alle origini di una utopia, in fondo ad una storia di macchine e di formiche, di ostinazione e di illusioni, di presunzione e di fatiche disumane. È il resoconto della testarda volontà di un uomo ricco, autoritario, ostinato a portare avanti i suoi sogni e di suo figlio che cercherà di realizzarli compiutamente. È la vicenda del luogo che doveva diventare, all’inizio di questa storia, nel 1876, un modello ideale ma che si è trasformato in una miraggio irraggiungibile, nel segno evidente di una decadenza prematura e ineluttabile. È l’appassionante cronaca dell’ascesa di un sogno e del declino di una ambizione.

Il villaggio industriale di Crespi d’Adda è la città che cambia al ritmo del lavoro.
È la dimostrazione della smisurata fiducia nel progresso, nel lavoro e nell’industria.
Marco Iannucci dettaglia che “Crespi d’Adda non è stato modellato dalla vita ma da un’idea. La vita è un miscuglio di esigenze disordinate e contraddittorie. Qui l’atmosfera è diversa: da un lato più nitida, dall’altro è come se mancassero alcuni segni della vita a cui siamo abituati. E tutto ha qualcosa di sospeso e un po’ irreale”.

La storia della Fabbrica e del Villaggio di Crespi d’Adda, perla dell’archeologia industriale

Il Villaggio prende il nome dai Crespi, famiglia di industriali cotonieri lombardi che a fine Ottocento realizzò un moderno “Villaggio ideale del lavoro” accanto al proprio opificio tessile, lungo la riva bergamasca del fiume Adda.

Autentico modello di città ideale, il Villaggio di Crespi d’Adda ha costituito una delle realizzazioni più complete ed originali nel mondo e si è conservato perfettamente integro – mantenendo pressoché intatto il suo aspetto urbanistico e architettonico.

Il Villaggio Crespi d’Adda è una vera e propria cittadina completa costruita dal nulla dal padrone della fabbrica per i suoi dipendenti e le loro famiglie. Ai lavoratori venivano messi a disposizione una casa con orto e giardino e tutti i servizi necessari. In questo piccolo mondo perfetto il padrone “regnava” dal suo castello e provvedeva come un padre a tutti i bisogni dei dipendenti: dentro e fuori la fabbrica e “dalla culla alla tomba”, anticipando le tutele dello Stato stesso. Nel Villaggio potevano abitare solo coloro che lavoravano nell’opificio, e la vita di tutti i singoli e della comunità intera “ruotava attorno alla fabbrica stessa”, ai suoi ritmi e alle sue esigenze; una città-giardino a misura d’uomo, al confine tra mondo rurale e mondo industriale.

Fabbrica e villaggio di Crespi d’Adda furono realizzati a cavallo tra Otto e Novecento dalla famiglia di industriali cotonieri Crespi, quando in Italia nasceva l’industria moderna. Era questa l’epoca dei grandi capitani d’industria illuminati, al tempo stesso padroni e filantropi, ispirati a una dottrina sociale che li vedeva impegnati a tutelare la vita dei propri operai dentro e fuori la fabbrica, colmando in tal modo i ritardi della legislazione sociale dello Stato stesso. L’idea era di dare a tutti i dipendenti una villetta, con orto e giardino, e di fornire tutti i servizi necessari alla vita della comunità: chiesa, scuola, ospedale, dopolavoro, teatro, bagni pubblici… Nato nel 1878 sulla riva dell’Adda, in provincia di Bergamo, anche questo esperimento paternalista ebbe inesorabilmente termine – alla fine degli anni Venti – con la fuoriuscita dei suoi protagonisti e a causa dei mutamenti avvenuti nel XX secolo. Oggi il villaggio di Crespi ospita una comunità in gran parte discendente degli operai che vi hanno vissuto o lavorato; e la fabbrica stessa è rimasta in funzione fino al 2003, sempre nel settore tessile cotoniero.

Il Villaggio Crespi d’Adda ed il paesaggio

Il paesaggio che ospita Crespi d’Adda è davvero singolare: il villaggio è inserito in una sorta di culla, un bassopiano dalla forma triangolare che è delimitato da due fiumi confluenti e da un dislivello del terreno, una lunga costa che lo cinge da nord. I due fiumi sono l’Adda e il Brembo, che formano una penisola chiamata “Isola Bergamasca”, alla cui estremità si trova appunto il villaggio; mentre lungo la citata costa correva anticamente il “Fosso Bergamasco”, linea di confine tra il territorio del Ducato di Milano e quello della Repubblica di Venezia. L’isolamento geografico è poi accentuato dal fatto che il villaggio è collegato all’esterno soltanto in direzione Nord. Oggi queste caratteristiche geografiche e il grado di emarginazione che esse hanno implicato ci aiutano a capire come Crespi d’Adda si sia potuta conservare in modo così straordinario, nascosta ed estranea allo sviluppo caotico dell’area circostante.

Il Villaggio Crespi d’Adda è l’aspetto urbanistico

L’aspetto urbanistico del villaggio è straordinario. La fabbrica è situata lungo il fiume; accanto il castello della famiglia Crespi, simbolo del suo potere e monito per chi vi giunge da fuori. Le case operaie, di ispirazione inglese, sono allineate ordinatamente a est dell’opificio lungo strade parallele; a sud vi è un gruppo di ville più tarde per gli impiegati e, incantevoli, per i dirigenti. Le case del medico e del prete vigilano dall’alto sul villaggio, mentre la chiesa e la scuola, affiancate, fronteggiano la fabbrica. Segnano la presenza e l’importanza dell’opificio le sue altissime ciminiere e i suoi capannoni a shed che si ripetono in un’affascinante prospettiva lungo la via principale, la quale, quasi metafora della vita operaia, corre tra la fabbrica e il villaggio, giungendo infine al cimitero.

Il Villaggio Crespi d’Adda è l’architettura

A Crespi d’Adda si annovera notevole diversità di stili, oscillante tra classicismo e romanticismo. La villa padronale ripropone lo stile medioevale trecentesco mentre la chiesa è copia esatta della rinascimentale S.Maria di Busto Arsizio, paese d’origine dei Crespi. Le altre costruzioni sono tutte di gusto neomedioevale, con preziose decorazioni in cotto – care al romanticismo lombardo – e finiture in ferro battuto. Neomedioevale anche l’opificio, che esprime la massima celebrazione dell’industria nell’ingresso centrale, tra le fastose palazzine degli uffici dirigenziali. Il cimitero, di gusto esotico e di stile eclettico, è monumento nazionale: al suo interno la cappella Crespi, una torre-piramide di ceppo e cemento decorata si erge ad abbracciare le tombe operaie, piccole croci disposte ordinate nel prato all’inglese.

Scopriamo il Villaggio di Crespi d’Adda insieme a chi lo vive

Non soltanto la piacevole passeggiata della domenica ma dei meravigliosi tour originali a Crespi d’Adda.
Dalle percorsi guidati della domenica alle visite guidate in notturna con animazione teatrale… questo e molto altro per scoprire la storie e le storie di questo villaggio industriale dell’Ottocento.
A piedi o in bici, da soli o in compagnia della famiglia o degli amici, l’Associazione Crespi d’Adda accompagna il visitatore all’interno tra la storia del Villaggio Operaio di Crespi d’Adda.

Da diversi anni l’Associazione Crespi Cultura, realtà locale con sede nel Villaggio, indirizza lo sviluppo turistico verso un modello sostenibile e a valenza culturale: i depositari della storia locale, residenti e discendenti degli ex dipendenti del cotonificio, accompagnano i visitatori, in particolare scolaresche, alla scoperta di Crespi e delle sue chiavi di lettura. Essere abitanti e, allo stesso tempo, operatori culturali consente di raccogliere e fare propria la molteplicità di sguardi sul significato, sul valore e sulle opportunità del sito. Grazie soprattutto alle visite guidate il Villaggio è divenuto nell’immaginario un bene collettivo da conservare e valorizzare, luogo caro alla comunità locale ed a migliaia di visitatori.

 

Informazioni e prenotazioni visite guidate:

Associazione Crespi d’Adda www.crespidadda.it / info@crespidadda.it /
tel.0039 331 2935312

Associazione Crespi Cultura – www.villaggiocrespi.it / info@villaggiocrespi.it
tel: 0039 02 90987191

Hanno parlato del Villaggio Operaio di Crespi d’Adda – Sito Unesco:

UNESCO Chair Forum University and Heritage – Newsletter n. 99 clicca qui

Sito archeologico industriale: Villaggio Operaio di Crespi d’Adda
Settore industriale: Settore tessile
Luogo: Crespi d’Adda – frazione del comune di Capriate S. Gervasio – Bergamo – Lombardia
Proprietà/gestione: mausoleo, abitazioni, fabbrica e castello sono di proprietà privata (fabbrica e castello sono stati acquistati da Antonio Percassi, titolare dell’omonimo Gruppo Percassi) ; chiesa, ambulatorio medico e casa del prete sono di proprietà della parrocchia; scuole/asilo, teatro, strade, pineta e cimitero sono di proprietà del comune.
Testo a cura di: Introduzione “Crespi d’Adda: un luogo fuori dal tempo” a cura di Associazione Crespi d’Adda. Testo a seguire a cura di Associazione Crespi Cultura

 




Il Pastificio Moro ed il Museo Mulino di Bottonera in Lombardia

Attraverso il libro di Marco Scuffi “Pastificio di Chiavenna. I 145 anni” conosciamo la storia del Pastificio Moro e del Mulino di Bottonera che oggi ospita un interessante museo di archeologia industriale sulla produzione della farina.

Valchiavenna, provincia di Sondrio, tutto è nato per volontà di Carlo Moro (1838-1889). Carlo, che da giovane lavorava come panettiere, cominciò la propria attività fondando un mulino ed un torchio per la macinazione dei cereali a Chiavenna, presso il quartiere della Bottonera, dove sorgevano già da tempo altri opifici, che sfruttavano l’energia motrice fornita dall’acqua di un canale artificiale, la Molinanca, chiuso nella seconda metà del XX secolo.

La costruzione del mulino e del torchio risale al 1867; dopo qualche tempo accanto al nucleo originario fu aggiunto un pastificio che lavorava le farine prodotte. Il mulino Moro funzionava inizialmente a palmenti ma fu successivamente trasformato in un più moderno mulino a cilindri. All’epoca costituiva una delle strutture più avanzate a livello locale dal punto di vista tecnologico, tanto che l’attività di Carlo Moro si impose presto come una delle più importanti del settore nella provincia di Sondrio.
Nel frattempo l’azienda prese i primi contatti con la Svizzera e altri paesi vicini e cominciò ad esportare in Europa il proprio prodotto. Verso la fine del XX secolo l’esportazione raggiunse anche l’America e l’Australia.

Il canale della Molinanca fu chiuso nel 1958, ma i Moro introdussero nel mulino un motore elettrico, in grado di mantenerlo in funzione. Nonostante ciò la necessità di uno stabilimento più moderno spinse l’azienda a trasferire la produzione a Tanno, una frazione del vicino comune di Prata Camportaccio, con la fabbricazione dell’attuale struttura, che aprì i battenti nel 1965. Dopo un periodo intermedio in cui entrambe le strutture funzionarono insieme, nel 1971 il nucleo originario venne abbandonato. Oggi la quinta generazione della famiglia Moro continua a Tanno l´attività iniziata da Carlo.

Il Mulino Moro di Bottonera: Museo della Valchiavenna di Archeologia Industriale

Negli anni ’80 il comune di Chiavenna decise di utilizzare l’area del pastificio Moro per la costruzione di un nuovo polo scolastico: a questo punto però si convenne di conservare il mulino, per il suo valore storico, in vista di una sua futura trasformazione in sezione di archeologia industriale del Museo della Valchiavenna.

Il pastificio fu quindi abbattuto, anche se le scuole che lo sostituirono ne mantennero l’assetto architettonico come vincolo paesaggistico, mentre il mulino fu acquisito dalla provincia di Sondrio e lasciato in comodato alla Comunità Montana della Valchiavenna, che, insieme all’OVVA (Organizzazione Volontari Valchiavenna Anziani e Amici), lo rese nuovamente agibile.

Il 12 settembre del 1997 il museo fu quindi inaugurato, mentre nel 2000 anche la proprietà fu ceduta dalla provincia alla Comunità Montana.  Dopo un ultimo restauro al tetto, del 2012, è nuovamente visitabile.

Descrizione del Museo Mulino di Bottonera

Il mulino si sviluppa su tre piani più un seminterrato. Una struttura simmetrica, che ospita un ampio vano, è destinata alla sala macchine, mentre un vano laterale più piccolo serviva per le operazioni di pulitura e lavaggio dei cereali.

Il seminterrato ospitava la turbina e vi erano collocate alcune macchine per la pulitura. Al primo piano (piano rialzato) sono collocati i laminatoi, mentre al secondo ed al terzo sono i “plansister” e le semolatrici, oltre a vari macchinari per il recupero dei prodotti secondari della lavorazione e per l´insaccaggio. L´aspetto più interessante è costituito dal pregevole lavoro di carpenteria del legno con il quale sono costruite la mescola della farina, le tramogge e l´intero impianto di condutture che consentono, mediante elevatori, il movimento e la selezione dei prodotti semilavorati.

Per informazioni sui giorni ed orari di apertura del Museo della Valchiavenna – Mulino Moro di Bottonera,
contattare il Consorzio per la Promozione Turistica della Valchiavenna al + 39 343 37485

Hanno parlato del Pastificio Moro:

UNESCO Chair Forum University and Heritage – Newsletter clicca qui

Sito archeologico industriale: Il Pastificio Moro ed il Museo Mulino di Bottonera
Settore industriale: Settore Alimentare
Luogo: Chiavenna – Sondrio – Lombardia
Proprietà/gestione: Comunità Montana della Valchiavenna www.cmvalchiavenna.gov.it
Testo a cura di: Marco Scuffi. Per la descrizione del Museo Mulino di Bottonera testo tratto dal sito ufficiale del Consorzio per la Promozione Turistica della Valchiavenna




Riapre il Civico Museo della Seta Abegg di Garlate

Il Civico Museo della Seta Abegg di Garlate, il primo museo di Archeologia Industriale dedicato al settore della seta, riapre sabato 30 novembre 2013 dopo una complessa opera di restituzione e recupero.

L’evento coincide coi 60 anni dell’istituzione. Realizzato per volontà della società svizzera Abegg, proprietaria dall’Ottocento dei Setifici Abegg, sull’idea di Carlo Job, loro direttore generale per l’Italia, di costituire un Museo Tecnico Scientifico con la storia dell’industria serica. Carlo Arter Abegg lo inaugurò il 28 novembre 1953 e lo donò successivamente al Comune di Garlate nel 1976.

Il museo, collocato nella filanda bicentenaria, si presenta oggi con ambienti e percorsi completamente rinnovati, con l’auspicio che diventi presto uno stimolante polo di attrazione culturale per visitatori di ogni provenienza.

Per visionare il programma dell’inaugurazione clicca qui

Per info:
Civico Museo della Seta Abegg di Garlate via Statale, 490 23852 Garlate, Lecco, Italia
tel +39 331 996 08 90, web site www.museosetagarlate.it, e-mail info@museosetagarlate.it

Archeologia Industriale