La Fabbrica di liquirizia Amarelli in Calabria

La Fabbrica di liquirizia Amarelli a Rossano, in Calabria, un esempio unico di impresa familiare che ha saputo coniugare tradizione ed innovazione, rappresenta una testimonianza preziosa di archeologia industriale.

 

La pianta della liquirizia, conosciuta ed impiegata da circa 35 secoli, è presente in molti paesi, ma – secondo quanto autorevolmente afferma l’Enciclopedia Britannica – la migliore qualità di liquirizia “is made in Calabria”.

La famiglia dei Baroni Amarelli è legata alla produzione della liquirizia sin dal 1500.
Nel 1731, secondo la tradizione, viene fondato l’attuale “concio”, manifattura di esclusiva proprietà familiare, alla cui attività fu dato particolare impulso nel 1800 con il miglioramento dei trasporti marittimi e con i privilegi e le agevolazioni fiscali concesse dai Borbone a queste industrie tipiche.

Intorno al 1840 abbiamo testimonianza della vasta attività di Domenico – allargata fino alla capitale, Napoli – e di quella dei suoi discendenti, per giungere a Nicola che nel 1907 (come descritto nella Rivista Agraria dell’Università di Napoli) ammodernò la lavorazione con due caldaie a vapore destinate, rispettivamente, a preparare la pasta di radice e ad estrarne il succo, mentre una pompa a motore da 200 atmosfere metteva in azione i torchi idraulici per comprimere di nuovo la pasta e ricavarne altro liquido.

L’azienda Amarelli ha ancor oggi la propria sede in un’antichissima dimora di famiglia, edificio risalente al 1400 almeno per quanto riguarda l’impianto basilare, mentre l’attuale facciata è del 1600 (esclusa un’ala ricostruita duecento anno or sono dopo un incendio). La costruzione, che fa parte dell’Associazione delle Dimore Storiche Italiane, presenta l’aspetto di una struttura di difesa di impronta feudale, con un’imponente corpo di fabbrica al centro di un agglomerato abitativo, costituito dalle case di coloro che operavano nell’azienda.

Il complesso, nella sua interezza, è, purtroppo poco visibile perché la superstrada ha tagliato in due, con un devastante intervento, questo bell’esempio di organizzazione difensivo-lavorativa, ma la mole del palazzo conserva tuttora il suo fascino.

In questo edificio sono alloggiati la Direzione, il Tourist Office, uno shop e il Museum Café; in un’altra ala della stessa struttura è ospitato il Museo della liquirizia “Giorgio Amarelli”, mentre gli uffici amministrativi sono ubicati in un’antica costruzione di recente elegantemente restaurata.

Di fronte, accanto ai capannoni del reparto produzione, svetta la ciminiera della caldaia, museo di se stessa, che porta la data del 1907 e che fu considerata, all’epoca, un impianto modernissimo. Ancora funzionante, anche se non più attiva, veniva alimentata con la sansa, residuo della lavorazione delle olive dopo averne estratto l’olio.

Nei capannoni dove si lavora la liquirizia troviamo ancora una grande macina di pietra del 1700, ovviamente non più utilizzata, che serviva per schiacciare i rami di liquirizia. Qui la lavorazione non è dissimile da quella mirabilmente descritta e illustrata dai grandi viaggiatori del diciottesimo secolo, fra cui l’Abate di Saint-Non, ma ogni processo è adeguato in base alle più esigenti prescrizioni in tema di igiene e sicurezza sul lavoro, tuttavia c’è ancora un “mastro liquiriziaio” che controlla l’esatto punto di solidificazione del prodotto.

Nel centro storico della Rossano antica, vi è, infine, un Palazzo Amarelli risalente alla prima metà dell’Ottocento, dove erano ubicati altri Uffici Amministrativi dell’Azienda, mentre attualmente, al piano terra sul Corso Garibaldi, ci sono ancora le vetrine di un vecchio punto vendita della liquirizia Amarelli allestito con i medesimi arredi di un tempo.

Oggi, la gamma dei prodotti “Amarelli” comprende tutto quanto si può ricavare dalle radici di liquirizia: dal semplice bastoncino di legno grezzo ai prodotti più fantasiosi come il liquore, la birra, la grappa, il cioccolato, i biscotti e altro ancora. Con la sua produzione la Amarelli è presente in tutti i mercati nazionali, in Europa, nell’America del Nord ed in quella meridionale, in Oriente ed in Australia.

Archeologia Industriale: Il Museo della liquirizia Giorgio Amarelli e l’Archivio Amarelli

Il 21 luglio 2001 si è inaugurato il Museo della liquirizia “Giorgio Amarelli”. La famiglia Amarelli ne ha voluto fortemente la realizzazione nel desiderio di presentare al pubblico una singolare esperienza imprenditoriale, nonché la storia di un prodotto unico del territorio calabrese: in mostra preziosi cimeli di famiglia, utensili agricoli, una collezione di abiti antichi da donna, uomo e bambino a testimoniare l’origine familiare dell’azienda e, infine, macchine per la lavorazione della liquirizia, documenti d’archivio, libri e grafica d’epoca.

Il 26 novembre 2011 viene inaugurata una nuova sala del Museo della liquirizia “Giorgio Amarelli”, la galleria della modernità e del presente. Fra antichi tralicci e guidati dalla fascinosa luce di alcune lampade Edison si dipana la storia dell’introduzione dell’energia trasportata e della rivoluzionaria trasformazione avvenuta nell’organizzazione delle imprese e, nello specifico, nel “Concio” Amarelli. Internazionalizzazione, creazione di nuovi prodotti dove la liquirizia si declina con gusto e fantasia, apertura all’alta ristorazione e confezioni rispettose dell’ambiente che riproducono antiche immagini sono in mostra attraverso il filo conduttore dell’elettricità e dell’elettronica con la proiezione verso un futuro sempre più sofisticato e tecnologico.

Con decreto del Ministero per i Beni e le attività Culturali del 20 dicembre 2012 l’Archivio Amarelli è stato dichiarato d’interesse storico particolarmente importante. L’Archivio è conservato presso il Museo della Liquirizia e raccoglie documenti della famiglia e dell’impresa dal 1445 ad oggi.

Il Museo della liquirizia Giorgio Amarelli fa parte dell’Associazione Museimpresa.

Premi e riconoscimenti per la Fabbrica di liquirizia Amarelli

Le liquirizie Amarelli hanno ricevuto, fin dal secolo scorso, una diversi riconoscimenti e premi, tra i quali:

Nel 1987 l’Azienda ha ottenuto la medaglia d’oro della Società Chimica Italiana, per aver saputo coniugare la più avanzata tecnologia con il rispetto della tradizione tipica artigianale.

Nel 1996 l’Azienda è stata cooptata nell’Associazione internazionale “Les Hénokiens”, con sede a Parigi.
Per essere chiamati a far parte di questa associazione è necessario che le Aziende rispondano, contemporaneamente, a tre criteri indispensabili per l’ammissione:

1. antichità, rappresentata da almeno duecento anni di vita aziendale e comprovata da documenti scritti originali;
2. rapporto di filiazione, ovvero che vi sia una discendenza diretta degli attuali proprietari rispetto al fondatore;
3. dinamismo e buon andamento finanziario, nonché le prove di essere un attore del tessuto economico del proprio paese e del proprio mercato.

Il 17 novembre 2001 la Amarelli, ha ricevuto a Venezia il Premio Guggenheim – Premio Speciale Il Sole 24 Ore – assegnato alla migliore azienda debuttante.

Nell’Aprile 2004 le Poste Italiane hanno dedicato un francobollo al “Museo della Liquirizia Giorgio Amarelli” appartenente alla serie tematica “Il Patrimonio Artistico e Culturale Italiano”, emesso in 3.500.000 esemplari.

Nel 2008 l’azienda riceve il premio Leonardo Qualità Italiana e viene chiamata a far parte del Comitato Leonardo, Italian Quality Committee.

Nel 2012 nasce l’Unione Imprese Storiche Italiane, la Amarelli viene invitata ad essere socio fondatore e la vicepresidenza viene affidata a Pina Amarelli la quale, inoltre, ricopre l’incarico di Presidente del Distretto dell’Italia Meridionale.

 

Info:
Museo della Liquirizia Amarelli
SS 106 – Contrada Amarelli 87067 Rossano (CS) Italy
Tel 0983 511 219 www.museodellaliquirizia.it / www.amarelli.it / info@museodellaliquirizia.it
Tutti i giorni è possibile visitare il Museo e di mattina, dal lunedì al venerdì, si può seguire anche il ciclo produttivo dalla radice alla liquirizia.
Le visite sono guidate e vanno prenotate.

 

Sito archeologico industriale: La Fabbrica di Liquirizia Amarelli
Settore industriale: Settore alimentare
Luogo: Rossano – Cosenza -Calabria
Proprietà/gestione: Famiglia Amarelli
Testo a cura di:Museo della Liquirizia Amarelli




Mondi Industriali 014 – in mostra alla Fondazione MAST di Bologna

La fondazione MAST di Bologna, giovedì 23 gennaio, inaugura la mostra fotografica “Mondi Industriali 014”, che affronta l’evoluzione dell’industria negli ultimi 150 anni.

L’esposizione, curata da Urs Stahel, nata da una selezione di opere della collezione di fotografia industriale della Fondazione MAST, è suddivisa in cinque sezioni tematiche: il ritratto dei lavoratori, l’immagine del paesaggio industriale, il teatro della produzione industriale, la visibilità rispetto all’invisibilità di oggi e, a concludere l’itinerario, ciò di cui nessun processo produttivo industriale può fare a meno: energia, trasporti e comunicazioni, l’odierno flusso di dati.

In mostra 243 opere di 46 fotografi internazionali di grande notorietà come Margaret Bourke-White, Robert Doisneau, Walker Evans, Harry Gruyaert, Naoya Hatakeyama, Lewis Wickes Hine, William Eugene Smith, Walter Vogel.

“Mondi Industriali 014”, secondo mostra della fondazione, è inserita nel circuito Art City organizzato in occasione dell’evento Arte Fiera – Fiera Internazionale d’Arte Contemporanea, giunta alla sua 38ᵃ edizione.

Info
Fondazione MAST
Via Speranza 40/42 – 40133 Bologna www.mast.org
La mostra resterà aperta fino a domenica 30 marzo, dal martedì al sabato dalle 10:00 alle 19:00




La Colibri Press a Londra da stamperia a hub creativo

La Colibri Press di Londra, rappresenta un esempio di riqualificazione del patrimonio industriale: da stamperia e hub creativo.

 

La Colibri Press fu creata nel 1949 e divenne subito un punto di riferimento per la produzione di stampe artistiche che esponevano nelle diverse gallerie Londinesi. In seguito si specializzò nella produzione di litografie e stampe commerciali tanto per il settore pubblico che privato. L’impresa fu smantellata nel 2010 e dopo pochi mesi gli stabili vennero dati in affitto per 15 anni ad una compagnia – Creative Network Partners – che si occupa nello specifico di rivitalizzare edifici industriali obsoleti trasformandoli in spazi di lavoro ed eventi per la comunità creativa londinese, notoriamente radicata ad est della capitale.

La Colibri Press a Londra – L’area

La fabbrica si trova nel quartiere di Hackney – nel distretto di Dalston – che, sebbene sia una delle zone più povere e svantaggiate non solo di Londra ma di tutta l’Inghilterra, si sta trasformando in uno dei poli creativi della capitale. Questo anche a seguito dell’avvenuta gentrificazione del limitrofo quartiere di Shoreditch che ha portato ad una graduale localizzazione delle piccole imprese creative sempre più verso Nord-Est. La stessa amministrazione locale sta puntando a livello economico sullo sviluppo di questo settore, che sta velocemente portando i suoi benefici, grazie anche all’introduzione di nuove infrastrutture, vedi il servizio metro-ferroviario London Overground. Inoltre, il progetto di recupero ben si allinea con le nuove (seppur talvolta discutibili) politiche urbane londinesi che cercano di sfruttare la cosiddetta knowledge-based economy e le industrie creative (Florida: 2004) come motore per lo sviluppo di aree industriali in declino.

La Colibri Press a Londra – Lo stabile

La zona industriale ricopre un’area totale di circa 1000 metri quadrati. Su di questi si trovano l’edificio principale, risultato della giustapposizione storica – a partire dagli inizi dell’ ottocento sino agli anni ’70 – di diversi fabbricati industriali, per un totale di circa 8000 metri quadri sviluppati su diversi piani; un ampio parcheggio privato affiancato da un passaggio pedonale pubblico ed un altro piccolo fabbricato industriale di 700 metri quadrati anch’esso a ridosso dello stesso parcheggio. Lo stabile non era vincolato, perché non considerato di pregio o valore storico dall’amministrazione locale. Ne deriva che il progetto di trasformazione fosse più immediato e scorrevole, soprattutto a livello burocratico. L’unico vincolo posto dall’amministrazione in questo caso, secondo il “Piano di sviluppo locale del quartiere di Hackney”, era che il sito industriale non perdesse la sua funzione di produzione economica. Questo per evitare che la speculazione residenziale edilizia, potesse smantellare quei pochi centri di produzione industriale-economica rimasti tuttavia all’interno del tessuto urbano.

La Colibri Press a Londra – Il progetto

Il progetto prevedeva la trasformazione dello spazio industriale in un hub innovativo che potesse ospitare imprese creative, con relativi studi, spazi comuni e spazi per eventi, affiancati da servizi, come un centro benessere ed un café fruibili tanto dalla comunità creativa che dalla comunità locale. Il parcheggio che fa da collante tra le diverse strutture è stato trasformato in uno spazio pedonale, una piccola plaza su cui si affacciano una serie di negozi, laboratori artigianali ed il cafè, con l’obiettivo di animare e rendere più sicura un’area pubblica in stato di abbandono ritenuta pericolosa. Il progetto di ristrutturazione, suddiviso in differenti fasi temporali, è realizzato attraverso interventi low-cost che massimizzino l’utilizzo degli spazi minimizzando le spese, lasciando intatto per quanto possibile l’involucro esterno dell’edificio. Da ciò è derivato un approccio progettuale basato sull’utilizzo di materiali semplici, talvolta riciclati, talvolta smantellati all’interno dello stesso edificio e riutilizzati. I creativi poi, si sa, mettono il resto.

Info:
Colibri Press Limited
13-15 Amhurst Terrace London E8 2BT
Phone: 0044 020 7254 1345 Fax: 0044 020 7249 8494
Email: info@colibripress.co.uk

Sito archeologico industriale: Colibri Press
Settore industriale: Stamperia -Tipografia – Litografia
Luogo: Londra – Inghilterra
Proprietà/gestione: Creative Network Partners www.creativenetworkpartners.com
Testo a cura di:Arch. Iolanda Bianchi – Architetto responsabile del progetto di riconversione insieme a Robert Jamison e Mirko Lupo fino al Novembre 2013. Contatto: iolebianchi@gmail.com




A rischio il Follone di Pinerolo – Ex Merlettifico Turck – in Piemonte

A rischio il complesso del Follone di Pinerolo, in provincia di Torino. Situato in una porzione di territorio compresa tra il canale Moirano ed il torrente Lemina, a poche centinaia di metri dal centro della città, è un esempio di archeologia industriale.

L’edificio del Follone, antica fabbrica laniera, si affaccia sul Rio Moirano, da cui traeva la forza motrice, e si presenta come un grosso corpo di fabbrica di notevoli dimensioni (144 m. di lunghezza, 9,6 m. di larghezza e 16,3 di altezza); la facciata, in muratura di mattoni intonacata, è caratterizzata dalla ritmicità delle aperture che, ripetute per i quattro piani, segnano l’intero volume.
La fabbrica è sprovvista di qualsiasi elemento decorativo, e rispecchia la tipologia edilizia che si andava affermando alla fine del Seicento: edifici stretti e lunghi, le cui dimensioni erano dettate dal numero dei macchinari che vi venivano disposti. Nel cortile interno, capannoni e sheds, bassi magazzini, tettoie e una ciminiera; a est del fabbricato, l’edificio per gli uffici (caratterizzato da ingresso decorato da una lunetta a vetri cattedrali). A Pinerolo, la lavorazione della lana è l’attività economica più antica, risalente al XI secolo, ma fu a partire dal XV secolo che divenne un’attività prospera in città .

Ecco come il FAI definisce l’Ex Merlettificio Turck  su “I Luoghi del Cuore“:

Uno dei primissimi insediamenti industriali della città, sopravvissuto e rimaneggiato nei secoli, sorge sul sito dell’antico paratore comunale di epoca settecentesca e sull’antichissimo canale artificiale che attraversa la città (il Moirano) le cui sponde nel tempo hanno ospitato laboratori artigiani e mulini prima e industrie poi che ne sfruttavano l’energia idraulica. L’attuale edificio, oggi dismesso, risale al IX secolo e rimane una delle poche testimonianze del passato industriale della città.

Storia del Follone di Pinerolo – Ex Merlettificio Turck, parte del patrimonio industriale italiano

L’edificio denominato Follone venne progettato e costruito nel Quattrocento e posto lungo il rio Moirano, dove si trovavano gli antichi paratori di stoffe. La deliberazione per la costruzione del Follone venne firmata dal Comune di Pinerolo (proprietario del terreno) l’11 aprile 1440, ma l’edificio venne subito dato in concessione a mercanti, che ne ebbero l’affidamento fino al 1614, detenendo il monopolio dell’arte della lana in città.

Il Follone venne ampliato nel 1723 e in esso venne impiantata una fabbrica di falci, una di panni e rattine (panni di lana dalla superficie pelosa ed arricciata), ed infine una fabbrica di calze denominata San Manzo. Questo primo ampliamento consistette nella costruzione di un nuovo follone a fianco dell’antico paratore e permise la concentrazione di tutta la lavorazione della lana in un unico complesso.

Nel 1765 il Follone aveva alle dipendenze già trecento persone, ed il Re lo intitolò Lanificio di Pinerolo e lo pose sotto la sua regia protezione; ciò comportò svariati privilegi, che sommati all’atteggiamento favorevole della città, fecero decollare l’industria laniera rendendo necessaria una nuova espansione.
Il Comune espropriò alcuni edifici adiacenti e incaricò del progetto l’ing. Gerolamo Buniva ed il tecnico
meccanico Giacomo Marletto. Venne costruito un edificio a manica semplice a tre piani; il complesso aveva imponenti opere di presa che alimentavano cinque ruote idrauliche, tre delle quali destinate al nuovo follone, mentre le restanti due alla frisa.

Negli anni successivi la ditta Arduin, locataria, propose l’acquisto della fabbrica, ma il Comune decise che l’industria era troppo utile alla città per venderla, pertanto venne rinnovato il contratto d’affitto.

Durante il periodo Napoleonico la fabbrica raggiunse i 1500 dipendenti, ma dopo questo periodo di crescita esponenziale si arrivò alle prime crisi: il numero degli operai scese a 400, ma il Follone rimase una delle prime industrie del pinerolese.

Verso gli anni trenta dell’Ottocento vi fu un rinnovamento delle tecniche di produzione grazie all’introduzione di nuovi macchinari, che però necessitavano di spazi e quantità di energia idraulica adeguati. Pertanto, venne commissionato all’ing. Filippo Ghigliani un progetto d’innalzamento ed ampliamento del Follone, e la successiva installazione di una moderna turbina idraulica del tipo Fourneyron da 40 cavalli e dopo il 1938 si attrezzò un reparto di filatura a pettine, il primo di tutto lo Stato.

Nel 1820 vennero introdotte la pettinatura e la filatura con macchinari importati dall’Inghilterra, e nel 1829 le due famiglie a capo del Follone (Ditta Fratelli Arduin e Brun) furono premiate con una medaglia d’argento e nel 1832 e nel 1838 con l’oro. Inoltre, la ditta si prodigò per la crescita professionale dei suoi
dipendenti, istituendo corsi di chimica, meccanica e geometria.
Nel 1844 le famiglie ottennero un attestato di benemerenza pubblica per alcune loro iniziative, tra le
quali: ammodernamento nella tintura della lana, introduzione della pettinatura e della filatura secondo
l’uso inglese, filatura e tintura della lane da ricami che ridussero le importazioni da Francia e Russia.

A partire dal 1853 però l’azienda fu colpita da una grave crisi finanziaria che portò alla scissione della
società nel 1858; nel 1881 il fabbricato venne alienato dal municipio, e dal 1895 una parte della fabbrica fu
destinata alla lavorazione tessile, mentre la restante parte venne affittata alla Fabbrica di Pizzi e Merletti, sotto la direzione di Ugo Turck, primo ad introdurre in Italia la fabbricazione di pizzi a macchina.

Dal 1930, passata alla casa tedesca Henkels, la fabbrica venne denominata Merlettificio Turck e continuò la
sua attività fino agli anni settanta, negli anni ottanta i cortili della fabbrica ospitarono le autorimesse
dell’Acea.

A rischio il Follone di Pinerolo, uno degli esempi di archeologia industriale in Italia

Negli anni Settanta tutta l’area è stata acquistata dalla società Moirano, intenzionata a riqualificarne i siti: si prevedeva la demolizione completa o parziale delle preesistenze con costruzione di condomìni che arriverebbero fino al torrente Lemina, alti dai cinque ai sette piani; il progetto rimase in sospeso.

Domenica 13 ottobre 2013 l’ex merlettificio Turck viene devastato da un incendio, al seguito del quale il sindaco di Pinerolo Eugenio Buttiero ha firmato l’ordinanza per la messa in sicurezza della fabbrica e la sua prossima demolizione, primo passo che si concretizzerà poi con l’analisi del progetto presentato dai proprietari nei mesi scorsi e che prevede di realizzare qui un nuovo quartiere di Pinerolo.

Le norme del Piano Regolatore (sovradimensionate sotto il profilo quantitativo, 800 nuovi alloggi in una zona già congestionata dal traffico) omettono la valutazione del valore documentale e storico dell’ex Merlettificio che andrebbe, invece, valorizzato quale importante brano di archeologia industriale e quale ideale contenitore per numerose funzioni pubbliche e private, riuscendo a riproporlo come luogo da cui vengano nuove occasioni di sviluppo e crescita civile, come già evidenziarono i contributi resi dalla Soprintendenza e dalla Prof.ssa Chierici a supporto del Convegno sul Turck promosso da Italia Nostra nel 2010.

Hashtag di riferimento #saveindustrialheritage

Sito archeologico industriale: Il Follone
Settore industriale:Industria Tessile
Luogo: Pinerolo – Torino – Piemonte
Proprietà/gestione: Privati
Testo a cura di: Veronica Polia e-mail  veronica.polia@libero.it
Crediti fotografici:Emanuele Basile

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In mostra The Factory Photographs di David Lynch – immagini di archeologia industriale

Il patrimonio industriale ispira i grandi artisti. The Factory Photographs, progetto fotografico del regista plurinominato agli Oscar David Lynch, raffigura fabbriche e luoghi dell’archeologia industriale. Evocazioni surreali di metamondi immaginari.

The Factory Photographs, curata da Petra Giloy-Hirtz e prima vetrina europea di questo progetto, inaugura il 17 gennaio presso la The Photographers’ Gallery di Londra  “the largest public gallery in London dedicated to photography” , per concludersi il 30 di marzo.

80 Scatti in bianco e nero, realizzati tra il 1980 e il 2000 in vari paesi – Germania, Polonia , New York , New Jersey e Inghilterra – ci restituiscono, attraverso la visione surreale di Lynch fatta di un sovrapporsi di fumi, linee definite e ombre, i luoghi dell’archeologia industriale. Immagini enigmatiche trasalgono la sfera più profonda dell’inconscio turbandolo.

Un libro completamente illustrato “David Lynch: The Factory Photographs”, edito da Prestel , sarà disponibile presso il Bookshop della galleria e online.

Info:
The Photographers’ Gallery, 16 – 18 Ramillies St, London W1F 7LW
Phone +44 (020) 7087 9300
Sito web: www.thephotographersgallery.org.uk e-mail info@tpg.org.uk




Sass Muss – L’ex Chimica Montecatini in Veneto

L’ex Chimica Montecatini di Sospirolo, località Sass Muss, in provincia di Belluno, grazie ad un’imponente azione di restauro e riqualificazione,  rappresenta una delle realtà più interessati dell’archeologia industriale delle Dolomiti.

Lo stabilimento di Sass Muss, destinato alla produzione dell’ammonica e realizzato sulla base del progetto elaborato dall’ingegner Giacomo Fauser, era ubicato vicino al fiume Cordevole. L’intero complesso era costituito dalla fabbrica vera e propria (edificio Sass de Mura: uno spazioso edificio a pianta rettangolare provvisto di vetrate e di grandi portoni d’accesso), un altro dedicato alla produzione di energia (Padiglione Pavione) e da un fabbricato adibito ad uffici e ad abitazione del direttore (edificio Pizzocco).

All’esterno erano collocati i due gasometri: uno grande per l’idrogeno ed uno più piccolo per l’azoto. Lo stabilimento,  costruito nel solo spazio di una anno e dotato di macchinari di fabbricazione italiana,  entrò in produzione nel 1924, occupando all’inizio una ventina di persone. Vi si produceva, col processo Fauser, solo ammoniaca.

La corrente elettrica necessaria al funzionamento  (un milione di chilowattore al mese) era fornita dalla vicina centrale (situata a pochi metri di distanza). Nel 1928 lo stabilimento contava 39 dipendenti.

Durante la Seconda Guerra Mondiale gli aerei americani mitragliarono, danneggiandoli gravemente, i due gasometri dell’idrogeno e dell’azoto e i serbatoi dell’ammoniaca, che si riversò tutta nel Cordevole. Lo stabilimento restò anche fermo a causa di altri eventi bellici che danneggiarono la condotta forzata della centrale elettrica.

Nel  1964 i dipendenti erano scesi a 24/25. Qualche anno dopo la fabbrica smise l’attività. Negli anni Ottanta, venne acquistata da un’industria chimica milanese, ma mai impiegata per usi produttivi o di altro genere.

Oggi il sito comprende l’insieme dei recuperati edifici di pregio architettonico in termini di archeologia industriale e quello dei nuovi corpi di fabbrica progettati da Attiva spa. La nuova area consiste in quattro blocchi contigui ed indipendenti, realizzati a schiera, e con un’unica copertura verde, per un totale di circa 8.000 metri quadri. In uno dei corpi di fabbrica appartenenti all’ampliamento produttivo  nel 2012 si è insediata l ’azienda produttrice di cioccolato Mirco Della Vecchia .

A partire dal 2012, in seguito all’azione di Dolomiti Contamporanee, i restanti edifici sono stati saltuariamente affittati come spazi espositivi, residence, feste, conferenze ed altro. Attualmente, col recente fallimento della Attiva Spa, tali edifici sono stati messi in vendita.

Il recupero dell’area di archeologia industriale Sass Muss, Sospirolo, Belluno

Attraverso il contributo del Fondo Europeo Sviluppo Regionale, la Attiva Spa – Agenzia Trasformazione Territoriale in Veneto ha realizzato il recupero del sito di archeologia industriale, articolato in 3 edifici originari e 2 edificati ex novo, su progetto dell’Architetto Manlio Olivotto.

Per il restauro dei fabbricati di archeologia industriale si è dovuto provvedere al loro consolidamento strutturale, oltre che all’inserimento di nuove strutture in acciaio, al rifacimento di massetti e pavimenti, della copertura e degli elementi di collegamento verticale. La scelta delle finiture esterne, dei nuovi serramenti e di restaurare gli esistenti è stata particolarmente finalizzata al mantenimento del caratteristico ed originario aspetto dell’antica fabbrica industriale.

Due  nuovi corpi di fabbrica integrano l’area, inserendosi in maniera armoniosa, seppur non mimetica, nel contesto dal punto di vista naturalistico, rispettando il vincolo idrogeologico cui è soggetto il territorio, caratterizzato da diverse componenti ambientali. Dal punto di vista architettonico, il confronto con la forte presenza degli edifici di archeologia industriale avviene in maniera decisa, ma non senza cercare un accordo formale: prospetti vetrati e coperture con manto vegetale si modulano osservando i volumi e lo spazio circostante.

Dolomiti Contemporanee –  Sass Muss un esempio di riqualificazione del patrimonio industriale

Dolomiti Contemporanee,  nato ad agosto 2011, è un riconfiguratore spaziale, e concettuale. Attraverso l’arte e la cultura, Dolomiti Contemporanee individua e riattivata una serie di siti dal forte potenziale: siti industriali, fabbriche abbandonate, ai piedi delle guglie dolomitiche.

Il programma di riqualificazione ideato da Dolomiti Contemporanee prevede l’occupazione temporanea dei complessi individuati, che vengono trasformati in centri espositivi. Al loro interno, si attivano le Residenze, in cui vengono ospitati gli artisti. Oltre 100 nei primi due anni di attività. La fabbriche, chiuse da anni o decenni, riaprono dunque come centri di produzione culturale ed artistica.

Sass muss è il sito-origine del progetto Dolomiti Contemporanee. il primo complesso riattivato e recuperato attraverso un modello in cui cultura ed arte divengono elementi produttivi di spinta, leve concrete per l’azione sul territorio.

Il sito di archeologia industriale di Sass Muss è stato utilizzato da Dolomiti Contemporanee  tra giugno 2011 e giugno 2012, ed ha inaugurato la stagione delle “migrazioni artistiche”. Dolomiti Contemporanee all’interno dell’edificio Pizzocco ha realizzato i propri uffici, un bar-ristoro, e utilizzando gli appartamenti ai piani superiori per la Residenza degli artisti; i Padiglioni Pavione (750 metri quadri) e Sass de Mura (1.000 metri quadri), sono stati utilizzati come spazi espositivi, insieme a due degli edifici che fanno parte dell’ampliamento produttivo. Oltre 10.000 persone sono giunte in questo sito, formidabile e delocalizzato, riscoprendolo, dopo decenni d’oblio, e inaugurando una nuova stagione per il complesso. In seguito, altri siti, complessi d’archeologia industriale, fabbriche abbandonate, sono state riavviate grazie all’azione di Dolomiti Contemporanee (Blocco di Taibon, estate 2012) che attualmente lavora ai prossimi cantieri.

Ecco alcuni dei video realizzati da Dolomiti Contemporanee e visionabili sul loro canale YouTube che ci accompagnano alla scoperta del sito di archeologia industriale Sass Muss:

Dolomiti Contemporanee – Sass Muss #1

Dolomiti Contemporanee – Sass Muss 30 luglio 2011 – video start

Info:

Dolomiti Contemporanee Tel Belluno +39 0437 30685  Casso +39 0427 666068 +39 338 1492993
Web site www.dolomiticontemporanee.net e-mail  info@dolomiticontemporanee.net

Sito archeologico industriale: L’ex Chimica Montecatini Sass Muss
Settore industriale:Industria Chimica
Luogo: Sass Muss – Sospirolo – Belluno – Veneto (Sospirolo è all’interno del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi, Patrimonio UNESCO)
Proprietà/gestione: Attiva Spa e Mirco Della Vecchia – Artigiano del Ciccolato
Testo a cura di: Dolomiti Contemporanee

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Libro: Ceramica Ligure Vaccari. Storia, archivio, produzione

Il libro “Ceramica Ligure Vaccari, storia, archivio, produzione” ci accompagna all’interno della fabbrica, della produzione e del villaggio operaio di una delle più importanti realtà produttive nel settore della ceramica del XX secolo.

Attraverso la consultazione e catalogazione dei documenti conservati nell’archivio della fabbrica nonché l’analisi di documenti inediti e la raccolta delle testimonianze dirette degli eredi della famiglia, il volume ricostruisce la storia della Ceramica Ligure Vaccari di Ponzano Magra, frazione di Santo Stefano Magra in provincia di La Spezia, Liguria, oggi parte del nostro patrimonio industriale.

Nel libro si mette in luce i rapporti che la fabbrica ha avuto con artisti del periodo futurista, quali Prampolini e Fillia, e di fama mondiale come Giò Ponti e Guido Galletti.

Il progetto Nova, Nuovo Opificio Vaccari per le Arti, ideato dal comune di Santo Stefano Magra, è nato con l’intento di salvare il complesso e la sua memoria, per far tornare l’area motore di sviluppo per il territorio e la sua comunità, così come un tempo.

La Ceramica Ligure Vaccari, storia del sito di archeologia industriale

Il sito della Ceramica Ligure Vaccari comprende 140.000 mq di superficie territoriale corrispondenti ai capannoni della fabbrica e ai vari edifici del villaggio operaio.

La fabbrica nacque alla fine dell’Ottocento come fabbrica di laterizi, ma fu grazie all’imprenditore genovese Carlo Vaccari, il quale intuì le proprietà dell’argilla locale, che iniziò il suo grande sviluppo con la produzione dei grès ceramico, fiore all’occhiello dell’industria ponzanese ed esportato in tutto il mondo.

Il periodo di maggiore produzione si ebbe nel dopoguerra ma una crisi di liquidità e una cattiva gestione porterà alla chiusura per fallimento nel 1972. Dopo questa data si susseguirono varie proprietà che non riusciranno a risollevare le sorti della Ceramica Ligure e l’ultimo proprietario, l’azienda austriaca Lasselsberger, fu costretto a chiudere l’attività nel 2006.

Il Villaggio operaio della Ceramica Ligure Vaccari

Una delle più importanti caratteristiche del sito industriale di Ponzano Magra è sicuramente il villaggio operaio. Questo si sviluppò a partire dai primi anni del Novecento con una struttura a ferro di cavallo dove risiedevano gli operai, chiamata la Corte, e venne anche costruita la villa padronale. Con l’aumento della produzione fu necessario espandere il sito e quindi negli anni Trenta vennero edificate nuove case operaie, lo spaccio aziendale, la casa dell’operaio che fungeva da mensa, lo spogliatoio, il deposito di biciclette, la chiesa e la palazzina della dirigenza.

Titolo: La Ceramica Ligure Vaccari. Storia, archivio, produzione.
Settore industriale: Industria della ceramica
Luogo: Ponzano Magra frazione di Santo Stefano Magra – La Spezia – Liguria
Proprietà/gestione: Il Comune di Santo Stefano Magra possiede il capannone più antico e ne ha in comodato d’uso altri, il resto appartiene all’azienda austriaca Lasselsberger. www.lasselsberger.com www.comune.santostefanodimagra.sp.it
Testo a cura di: Alice Cutullè contatto: alice.cutulle@gmail.com Alice Cutullè, nata a La Spezia, si è laureata in Scienze dei Beni Culturali all’Università di Pisa e successivamente ha conseguito la laurea specialistica con il massimo dei voti in Storia dell’arte e valorizzazione del patrimonio artistico all’Università di Genova con la tesi in archeologia industriale dal titolo “Ceramica Ligure Vaccari: l’archivio e la produzione della fabbrica di Ponzano Magra”.
Casa Editrice: Sagep Editore www.sagep.it




La Centrale del Battiferro a Bologna è in vendita

Il Comune di Bologna mette in vendita la Centrale idrotermoelettrica del Battiferro, una delle testimonianze più importanti della storia industriale del capoluogo dell’Emilia Romagna.

La Centraledel Battiferro è situata lungo il canale Navile, che fu per secoli uno dei cuori pulsanti dell’attività produttiva in città: l’area dove si trova, il Battiferro, deriva il nome dalla presenza nel passato di opifici legati alle lavorazioni metallurgiche. Si tratta di una zona che potremmo definire “strategica” dal punto di vista dell’archeologia industriale: nelle immediate vicinanze della centrale si trovano, infatti, il principale sostegno (così si chiamano le chiuse) del canale, la Fornace Galotti che ospita il Museo del Patrimonio Industriale e i resti di un’antica cartiera.

Storia della Centrale del Battiferro, esempio di archeologia industriale

La Centrale del Battiferro venne costruita per iniziativa della Ganz, la rinomata industria di Budapest produttrice di materiale elettrico, tra il 1898 e il 1900: venne dotata di 2 coppie di caldaie a vapore e di una turbina che sfruttava un salto di 3 metri del vicino canale Navile; questi macchinari azionavano 3 alternatori Ganz da 400 kW ciascuno. La turbina idraulica venne realizzata dalla Escher Wyss di Zurigo, mentre le caldaie furono prodotte dalla rinomata ditta tedesca Steinmüller; italiani erano i condensatori e le macchine motrici, fabbricati dalla Franco Tosi di Legnano. Si trattava quindi di una centrale che produceva energia sia termo che idroelettrica. La distribuzione dell’elettricità venne affidata a una società cooperativa fondata da Giuseppe Galotti, industriale attivo nei laterizi e proprietario della vicina fornace. Si trattava di una struttura all’avanguardia per l’epoca, che andava a sostituire l’unico l’impianto idroelettrico della città, collocato presso il Molino Poggioli.
La centrale del Battiferro fu la seconda grande “fabbrica” di energia di Bologna, dopo le Officine del Gas, costruite nel 1862 e divenute nel 1900 di proprietà del Comune (la prima azienda municipalizzata del gas nella storia d’Italia). L’elevato livello tecnologico della centrale venne attestato dalla visita che vi condussero nel 1901 i fisici italiani, riuniti a Bologna per il loro V congresso nazionale, alla presenza di Augusto Righi.
Con la costruzione dei laghi artificiali appenninici durante la prima metà del XX secolo, destinati alla produzione di energia idroelettrica, la piccola centrale del Battiferro perse pian piano importanza fino alla sua definitiva chiusura nel 1961.
In oltre 50 anni di abbandono, questo monumento della archeologia industriale ha subito danni molto gravi a causa delle intemperie, dell’usura del tempo e dei vandali. Chi ci è stato dentro negli ultimi tempi racconta che il pavimento è sparito sotto uno spesso strato di sporco e rifiuti, mentre all’interno dei locali vi trovano alloggio senzatetto e attività criminali legate al confezionamento e allo spaccio di stupefacenti. Nonostante tutto questo, sopravvivono ancora alcuni macchinari come un paio di turbine.

Il Comune di Bologna mette in vendita la Centrale del Battiferro

L’11 dicembre il Comune di Bologna ha comunicato la propria volontà di mettere in vendita alcuni dei gioielli del suo patrimonio per ripianare lo stato di crisi del bilancio municipale. Spicca nella lista il nome di Villa Aldini, fatta costruire nel 1811-16 per ospitare Napoleone; ma tra i beni in vendita c’è anche la centrale del Battiferro. Questo avvenimento può essere visto come un’opportunità per chi ha a cuore non solo l’archeologia industriale, ma tutto il patrimonio culturale bolognese. Dopo decenni di incuria, infatti, questo edificio potrebbe essere recuperato e rilanciato.

“Salviamo la Centrale del Battiferro” il nuovo gruppo su Facebook

Per sensibilizzare sulle potenzialità di questa struttura è stato recentemente lanciato il gruppo Facebook Salviamo la Centrale del Battiferro che si propone di creare un gruppo di opinione impegnato sulla rete e sul campo nel creare un progetto di recupero realizzabile e sostenibile. C’è bisogno, oltre che del sostegno della comune cittadinanza, di professionisti ed esperti in vari campi, dalla storia all’architettura, al restauro, alla tecnica, alla cultura, alla progettazione e al fund raising. Tutte queste figure sono necessarie per elaborare un progetto di salvataggio che sia di alto spessore culturale ma allo stesso tempo sostenibile dal punto di vista economico.

Archeologiaindustriale.net invita tutti gli interessati ad aderire al gruppo “Salviamo la Centrale del Battiferro” ed a lasciare il proprio contributo intellettuale affinché la Centrale del Battiferro, qualunque sia la nuova destinazione d’uso, non perda di identità e possa raccontare la propria storia  alle generazioni future.

Il gruppo Facebook “Salviamo la Centrale del Battiferro” è stato lanciato da Jacopo Ibello. Jacopo Ibello, autore del testo di cui sopra, è laureato in Geografia presso l’Università di Bologna. Dopo la laurea  ha conseguito il diploma di Master in Conservazione e Gestione del Patrimonio Industriale presso l’Università di Padova.

Hashtag di riferimento #saveindustrialheritage

Hanno parlato della Centrale del Battiferro:

CILAC Newsletter N° 180 – 31 dicembre 2013 clicca qui

UNESCO Chair Forum University and Heritage – Twitter Account clicca qui

UNESCO Chair Forum University and Heritage – Newsletter clicca qui

Sito archeologico industriale: La Centrale del Battiferro
Settore industriale: Settore Energia
Luogo: Bologna- Emilia Romagna
Proprietà/gestione: Comune di Bologna www.comune.bologna.it
Testo a cura di: Jacopo Ibello contatto: jacopo.ibello@gmail.com.
Crediti Fotografici: si ringrazia Massimo Brunelli – Vicepresidente, nonché ricercatore e fotografo, della “Associazione amici delle vie d’acqua e dei sotterranei di Bologna” www.amicidelleacque.org




Libro: Leumann storia di un imprenditore e del suo villaggio modello

In “Leumann, storia di un imprenditore e del suo villaggio modello” Carla Federica Gütermann, non solo studiosa della materia ma diretta discendente dell’imprenditore Napoleone Leumann, ci porta per mano attraverso la storia e le vicende del Villaggio Leumann.

Presentazione del libro a cura del giornalista Andrea Sottero:

Leggere il frutto del lavoro di una lunga e dettagliata ricerca di tipo storico, sociale e, nel caso specifico, urbanistico ed architettonico, per quanto per fini prevalentemente divulgativi, è sempre curioso, perché, al di là dell’eleganza stilistica con cui il discorso si dipana tra le pagine, si finisce col percepire abbastanza chiaramente il livello di passione con cui l’autore ha condotto i suoi studi e le sue ricerche.

Sapere che l’autrice di “Leumann, storia di un imprenditore e del suo villaggio modello”, Carla Federica Gütermann, ha studiato le vicissitudini e le opere di un suo antenato e si è occupata, di conseguenza, di un pezzo di storia significativo della sua famiglia, potrebbe indurre a credere che il suo coinvolgimento emotivo si palesi da subito tra le righe del discorso. Invece, di fronte a queste aspettative, si rimane delusi perché la prima impressione è che il testo scorra come una sterile relazione degli studi fatti. Solo dopo qualche decina di pagine, quando ormai si intuisce un quadro più completo del tipo di lavoro svolto, si inizia ad avere la piacevole sensazione di trovarsi di fronte al racconto di chi ha avuto modo di conoscere fatti e aneddoti che vanno al di là di ciò che può essere trovato in documenti e annali dell’epoca; un racconto, per altro, arricchito da una miriade di informazioni più dettagliate, spesso anche di carattere tecnico, che, non solo non appesantiscono la narrazione, ma la rendono persino più viva e appetibile.

Il pregio dell’opera sono le notizie sui modelli urbanistici e industriali italiani ed europei che vengono via via descritti e comparati, in modo semplice, ma straordinariamente chiaro. Senza contare le informazioni sui piani regolatori e sullo sviluppo viario della città di Torino, che insieme alla spiegazione del funzionamento di un villaggio industriale satellite quale il Leumann, quasi piccolo centro urbano nella città, ci regalano un quadro dell’evoluzione urbanistica del capoluogo piemontese.

Il libro è integrato da una sezione curata dal fotografo torinese Renzo Miglio che raccoglie più di cento scatti. Questi mostrano a chi non conoscesse la realtà del sobborgo torinese lo splendore e l’originalità delle sue architetture e somministrano quella buona dose di curiosità che dovrebbe indurre i lettori più esigenti a sincerarsi di persona dello stato attuale delle villette e palazzine.

 

Libro: Leumannm storia di un imprenditore e del suo villaggio modello
Autore: dott.sa Carla Federica Gütermann guter@inwind.it
Casa Editrice: Daniela Piazza Editore www.danielapiazzaeditore.com
Anno di pubblicazione : 2006




Riapre il Civico Museo della Seta Abegg di Garlate

Il Civico Museo della Seta Abegg di Garlate, il primo museo di Archeologia Industriale dedicato al settore della seta, riapre sabato 30 novembre 2013 dopo una complessa opera di restituzione e recupero.

L’evento coincide coi 60 anni dell’istituzione. Realizzato per volontà della società svizzera Abegg, proprietaria dall’Ottocento dei Setifici Abegg, sull’idea di Carlo Job, loro direttore generale per l’Italia, di costituire un Museo Tecnico Scientifico con la storia dell’industria serica. Carlo Arter Abegg lo inaugurò il 28 novembre 1953 e lo donò successivamente al Comune di Garlate nel 1976.

Il museo, collocato nella filanda bicentenaria, si presenta oggi con ambienti e percorsi completamente rinnovati, con l’auspicio che diventi presto uno stimolante polo di attrazione culturale per visitatori di ogni provenienza.

Per visionare il programma dell’inaugurazione clicca qui

Per info:
Civico Museo della Seta Abegg di Garlate via Statale, 490 23852 Garlate, Lecco, Italia
tel +39 331 996 08 90, web site www.museosetagarlate.it, e-mail info@museosetagarlate.it

Archeologia Industriale




Mostra. Ritratto di quartiere: dallo stabilimento Birra Peroni al MACRO

“Ritratto di quartiere. Dallo stabilimento Birra Peroni al Macro”  è la mostra fotografica a cura dell’Archivio Storico e Museo Birra Peroni presente al MACRO, Museo d’Arte Contemporanea di Roma, sino all’8 dicembre – XII edizione del Festival Internazionale della Fotografia.

Birra Peroni espone una selezione di foto provenienti dal suo Archivio Storico,  in un’apposita sezione del festival dal titolo “Ritratto di quartiere. Dallo stabilimento Birra Peroni al Macro”.  La mostra ripercorre visivamente la storia della struttura industriale che ospita il MACRO, con immagini d’epoca affiancate da foto donate da esercenti storici ed abitanti del quartiere.

L’intero quartiere ed ex area industriale, oggi riqualificato dalla presenza di un luogo cosmopolita di interazione culturale come il MACRO, porta i segni e la memoria di un forte legame con Birra Peroni, che dal 1901 ai primi anni Settanta ha avuto lì il suo quartier generale. Andando oltre quel luogo, la mostra racconta il rapporto storico che Birra Peroni ha con il territorio romano, in cui opera dal lontano 1864.

La mostra è dunque un’occasione per ricordare la storia, le origini e la tradizione di Birra Peroni a Roma. Una Roma ‘sparita’, la cui vacatio – riprendendo il tema della XII edizione del Festival Internazionale della Fotografia che ospita la Mostra – è stata colmata da nuovi punti di riferimento ma i cui luoghi portano ancora il ricordo dei cavalli, dei carri e del profumo delle cotte di birra.

L’ingresso alla mostra di Birra Peroni è gratuito negli orari di apertura del MACRO

Archeologia Industriale