Presentazione del libro Schio. Archeologia Industriale

Sassi Editore srl, in collaborazione col Comune di Schio e Banca Alto Vicentino  presenta  il volume “Schio. Archeologia Industriale”, di Bernardetta Ricatti, Dino Sassi, e Luca Sassi.

Schio. Archeologia Industriale” è il racconto attraverso testi ed immagini inedite della storia di Schio, città della lana, e del suo patrimonio di archeologia industriale.

La presentazione si svolgerà il giorno 30 novembre 2013 alle ore 18.00 presso il Lanificio Conte (Piazza Alvise Conte) di Schio (VI). Saranno presenti gli autori del volume e un ospite d’eccezione, Vittorio Mincato, che racconterà a margine la storia della Lanerossi di Schio dal 1957 al 1987.
Modererà la serata Antonio di Lorenzo, redattore del capo del Giornale di Vicenza.

Per info:
Sassi Editore Srl, Viale Roma 122/b 36015 Schio (Vi) , Italy
tel +39 0445 539051, fax +39 0445 539051, cell. +39 349 5006889, e-mail: info@sassieditore.it




Libro: Schio. Archeologia Industriale

“Schio. Archeologia Industriale” novità editoriale che racconta la storia industriale della città di Schio, in provincia di Vicenza, testimonianza eccellente del patrimonio archeologico industriale italiano.

Il volume “Schio. Archeologia Industriale”si propone come un viaggio completo ed esauriente nella città di Schio, alla ricerca delle sue profonde radici di natura industriale che ne fecero, dal medioevo in poi, un centro produttivo di eccezionale qualità e di notevole importanza. Grazie al testo puntuale e preciso, ma allo stesso tempo divulgativo, il lettore è accompagnato attraverso i secoli che portarono Schio al grande sviluppo durante la Rivoluzione Industriale e in particolare all’epopea dell’industria tessile di Alessandro Rossi nell’800. Catalizzato infatti dall’industria Lanerossi, lo sviluppo della produzione fu esponenziale in ogni ramo inserendosi nel tessuto economico-sociale della città e assumendo importanza di statura europea.

Per la prima volta, questo volume pubblica in modo organico l’eccezionale archivio fotografico della Lanerossi di fine 800-inizi 900, attualmente custodito dalle istituzioni cittadine; non mancano inoltre immagini di altre importanti realtà industriali del territorio. Il libro si prefigge di valorizzare questo enorme patrimonio sociale e culturale tutt’ora spesso sottovalutato, che costituisce le radici di una vocazione industriale ancora oggi fortemente presente.

L’autore

Bernardetta Ricatti si è laureata in Lettere a Padova nel 1971 e ha conseguito il diploma di perfezionamento in Storia dell’Arte. Studiosa di Storia dell’Architettura e dell’Urbanistica, ha collaborato con riviste locali e nazionali e hacontribuito alla stesura di molti volumi, come Vicenza. La Provincia Preziosa (2000), Antonio Caregaro Negrin. Scritti sui giardini (2005), e Andrea Palladio e la villa veneta da Petrarca a Carlo Scarpa (2005). Fin dal 1977 ha svolto attività di ricerca nel campo dell’Archeologia Industriale collaborando alla stesura di volumi come Archeologia Industriale e Scuola (1989), Archeologia Industriale nel Veneto (1990), ArcheologiaIndustriale (1992).

Nota “Schio. Archeologia Industriale” sarà presentato sabato 30 novembre, ore 18:00, presso il Lanificio Conte a Schio. Clicca qui per visionare l’evento.

Archeologia Industriale

Libro: Schio. Archeologia Industriale
Autori: Dino Sassi, Bernardetta Ricatti
Casa Editrice: Sassi Editore Srl www.sassieditore.it
Lingua: Testo bilingue italiano/inglese
ISBN: 978-88-96045-96-1




La città di Schio e il Lanificio Rossi in Veneto

La città di Schio, in provincia di Vicenza, è nota per essere divenuta intorno al 1870 la capitale dell’industria tessile nazionale, tanto da meritarsi l’appellativo di Manchester d’Italia.

Grazie alla dirompente personalità dell’imprenditore Alessandro Rossi, che ne costituì la civitas, ossia il modello socio-culturale imperniato su una sorta di capitalismo “paternalistico”, Schio divenne uno dei principali poli produttivi d’Europa.

Il centro abitato si venne organizzando, fin dall’epoca romana e soprattutto medievale, allo sbocco in pianura della pittoresca Val Leogra. La ricchezza d’acqua favorì attraverso il sistema delle canalizzazioni la nascita e lo sviluppo di molteplici attività produttive.

La pagina più gloriosa della rivoluzione industriale della città di Schio e del suo circondario, che già si era distinta nella produzione della seta, è, senza dubbio, segnata dalla vicenda del Lanificio Rossi, fondamentale non solo per la portata storica delle innovazioni introdotte nel tempo nelle tecnologie della lavorazione della lana ma anche nei moduli e stili costruttivi degli stabilimenti legati alle diverse fonti di energia, a partire dalla Francesco Rossi (1817-1849) fino alla Fabbrica Alta (1862), agli innovativi stabilimenti industriali di Pievebelvicino, Torrebelvicino e Piovene Rocchette (1869-1882), ai padiglioni in cemento armato del Novecento e all’organizzazione del lavoro e della società con le istituzioni operaie. Interprete per oltre quarant’anni del pensiero rossiano in termini urbanistico-architettonici è il vicentino Antonio Caregaro Negrin, esperto di architetture industriali, termali e di complessi paesaggistici.

Il Lanificio Rossi
L’avvio della grande impresa tessile si deve a Francesco Rossi (1782-1845), già procuratore di lane nell’Alto Vicentino. La sua lungimiranza nella direzione dell’opificio fu colta dal figlio Alessandro (1819-1898), che nel 1845 divenne direttore del Lanificio. Quando nel 1873 il Lanificio F. Rossi si trasformò in Società Anonima con capitali italiani e stranieri e sede a Milano, egli rimase comunque alla testa dell’azienda, coinvolgendo i figli Giuseppe, Giovanni, Gaetano e Francesco e, nel 1879, garantendo la continuità della presenza familiare nell’impresa con il sistema delle gerenze.

A testimoniare la magnificenza dell’azienda restano i due edifici maggiori, disposti a “elle” rispetto al vasto cortile interno, un tempo occupato dai numerosi reparti del Lanificio Rossi e oggi per lo più piazzale parcheggio in attesa di una nuova destinazione d’uso.

Lo stabilimento Francesco Rossi fu eretto da Alessandro in via Pasubio nel 1849 sulle strutture dell’originario impianto manifatturiero (1817), davanti al settecentesco Lanificio Tron-Rubini (demolito nel 1878). Sul fronte strada esibisce un’elegante facciata ispirata ai palazzi di città del neoclassicismo vicentino, dove domina la rigorosa simmetria delle parti, la chiarezza degli elementi architettonici, il simbolismo della decorazione plastica. Lo slancio verticale dell’edificio è sottolineato dai numerosi fori rettangolari graduati in altezza che segnano la scansione di quattro piani, già occupati dalle diverse fasi di lavorazione, quindi svuotati e adibiti a uffici, ora inutilizzati. Da notare sono il maestoso portale tuscanico fregiato dal nome del fondatore e dalla data di nascita dell’impresa “Francesco Rossi 1817”, le finestre del pianterreno contornate da bugne leggere e distanziate e, soprattutto, i rilievi inseriti nei parapetti delle aperture del primo piano che celebrano l’industria laniera. Realizzata dall’architetto Auguste Vivroux di Verviers in Belgio, viene così descritta dallo stesso Alessandro Rossi “«In nove mesi ho eretta una fabbrica di 80 metri di lunghezza sopra 13,90 di larghezza con 6 piani oltre il terreno, 125 colonne di ghisa, 330 finestre con tutte le comodità di acqua e di vapore per servizio e riscaldamento col vapore perduto.

Oltrepassato il breve portico d’ingresso, restaurato e rimodernato nel 1980, ci s’inoltra nell’ampio cortile dominato a Nord dal colossale volume della Fabbrica Alta (1862-63). La Fabbrica Alta conserva tuttora il suo eccezionale valore monumentale e il significato dirompente nel contesto urbano circostante. È uno dei simboli della città. In particolare spiccano la compatta stesura dell’enorme parete rossastra per la prevalenza del laterizio sul pietrame locale, le testate delle putrelle di ferro in forma di rosoni sfogliati, il diverso impiego del cotto nel contorno delle finestre rettangolari, nel motivo romboidale del fregio e nel fastigio della ciminiera, a sezione quadrata, con la data 1862, l’impiego della pietra nei davanzali e nei dentelli che reggono il cornicione. L’armonica combinazione dei materiali, la sobrietà e l’eleganza del linguaggio artistico indicano la mano esperta dell’esecutore, individuato in Antonio Caregaro Negrin (Vicenza 1821-1898), amico del collega belga e architetto di fiducia di Alessandro Rossi. Gli interni furono liberati dal relativo corredo di macchinari per adattarli agli usi amministrativi della Lanerossi, che nel 1966-67 aveva trasferito nella nuova zona industriale i reparti dell’intero ciclo produttivo. Solo il piano sottotetto conserva la primitiva struttura lignea. Le colonnine in ghisa delle lunghe sale sono state murate, le soffittature abbassate e le antiche pavimentazioni ricoperte.

Il Giardino Jacquard
Nel processo di rinnovamento e ampliamento del Lanificio Rossi rientra la realizzazione dell’annesso Giardino (1858-1878), detto poi Jacquard, pregevole brano di archeologia industriale oltre che splendida architettura di paesaggio, che si apre al lato opposto di via Pasubio, in corrispondenza del monumentale ingresso dell’opificio. Esso si sviluppa in un’area di circa 5000 mq., acquistata da Alessandro Rossi nell’arco di cinque anni (1852-1857) per collocarvi nuovi impianti industriali.

Il Teatro Jacquard
Il 2 ottobre 1869 viene inaugurato il Teatro Jacquard, progettato dall’architetto Antonio Caregaro Negrin capace di 800 posti. La facciata originaria del fabbricato era particolarmente elegante, tutta traforata da monofore, bifore, trifore e da sei ingressi ad arco, tra cui il grande portale centrale. In stile lombardesco è tuttora impreziosita dai dodici medaglioni in cotto, opera dello scultore milanese Giambattista Boni, che rappresentano illustri personaggi che hanno reso celebre la città di Schio. L’interno del teatro aveva la tipica forma a ferro di cavallo sottolineata dall’andamento della loggetta lignea poggiante su colonnine in ghisa, mentre il soffitto era a capriate. Decorazioni floreali incorniciavano il palcoscenico, dove si rappresentavano operette e melodrammi ispirati alla vita degli operai. Al pianterreno furono ricavati locali per il caffè e la biglietteria.

Il Nuovo Quartiere Operaio
Il Nuovo Quartiere Operaio, detto la “Nuova Schio”, anch’esso progettato dell’urbanista-architetto Antonio Caregaro Negrin, rappresenta il tentativo di concretizzare l’utopia di una “città ideale. La planimetria generale del 28 luglio 1872 configura una romantica “città giardino” con palesi riferimenti alle esperienze di Owen e alle città industriali belghe e francesi. Via via però che il progetto prendeva forma si andava perdendo l’originaria impostazione paesista per assumere sempre più la consolidata fisionomia a scacchiera dei villaggi industriali d’oltralpe. In esso i villini, destinati a dirigenti e tecnici, e le case operaie, la scuola comunale e l’asilo, la chiesa, il teatro ed altri servizi  di interesse pubblico oggi per lo più scomparsi o rimodernati per altre attività, pur rimanendone memoria nella documentazione storica come la Ghiacciai Comune, lo Stabilimento bagni, piscina e lavatoi pubblici

L’istruzione e gli edifici scolastici
Grande importanza nel programma sociale del Rossi assunse l’istruzione, fondamentale per la preparazione dei futuri artieri, ma anche dei capi tecnici e dei moderni agricoltori. Ne sono testimonianza gli edifici scolastici eretti non solo a Schio, ma anche nei quartieri industriali dei paesi limitrofi, nel Podere Modello di Santorso e a Vicenza.

Nel 1990 la Lanerossi è stata acquistata dal Gruppo Marzotto con tutti gli stabilimenti di Schio e di Piovene Rocchette, recentemente chiusi. Il complesso della “Francesco Rossi” con la Fabbrica Alta e il Giardino Jacquard, dopo varie vicissitudini, è ora proprietà del Comune di Schio.

Parallelamente alla vicenda tessile rossiana si ricordano le tappe più salienti della storia dei Lanifici Conte e Cazzola, soprattutto per lo spazio che ancora occupano con i loro diversi volumi architettonici, ora restaurati e riusati, nell’economia del tessuto urbano della città di Schio.

Alessandro Rossi e dei suoi figli, sono anche responsabili della promozione delle comunicazioni ferroviarie dell’Alto Vicentino per velocizzare il trasporto delle materie prime e dei prodotti dei vari stabilimenti tessili della Val Leogra e della Val d’Astico e quelli della Cartiera di Arsiero. Altre imprese rientrano nelle sfera rossiana, come la Fabbrica di Birra Summano (1873) di Rocchette, lungo la vecchia strada per Velo d’Astico, un tempo servita pure dalla linea ferroviaria Schio-Arsiero, e tuttora luogo di ristoro della popolazione locale e dei turisti.

Sito archeologico industriale: Città di Schio
Settore industriale: Industria tessile – Lanificio
Luogo: Schio – provincia di Vicenza – regione Veneto
Proprietà/gestione: Comune di Schio www.comune.schio.vi.it
Testo a cura di: Dott.sa Bernardetta Ricatti.
Testi tratti dal volume Schio. Archeologia Industriale di Dino Sassi e Bernardetta Ricatti edito da Sassi Editore Srl.




Libro: Cento Anni di Vita al Villaggio Leumann

Cento Anni di Vita al Villaggio Leumann. Racconti per Immagini, Didascalie, Aneddoti”, il nuovo libro per scoprire attraverso le immagini la storia del Villaggio Operaio Leumann in Piemonte, una delle perle del patrimonio archeologico industriale in Italia.

Le foto d’epoca costituiscono un patrimonio culturale, di tradizione e di storia. Oltre ad incuriosire l’utente giovane, permettono di riscoprire il nostro passato, l’arredo urbano della nostra cittadina, gli usi ed i costumi locali dei nostri genitori e dei nostri nonni.

L’Associazione Amici della Scuola Leumann, nata nel 1992 con lo scopo di ricostruire la storia del Villaggio Leumann, di preservarne la memoria e di valorizzarlo quale raro esempio di archeologia industriale, ha costituito, negli anni, un ricco archivio fotografico e ha raccolto aneddoti e testimonianze di un passato molto caro ai soci che qui sono nati ed hanno trascorso parte della loro vita. Ad un certo punto nell’Associazione si è fatta strada l’idea di mettere a disposizione di un pubblico più vasto queste immagini e questi ricordi.

Ne è nato il libro “Cento Anni di Vita al Villaggio Leumann. Racconti per Immagini, Didascalie, Aneddoti” che, nella prima parte, copre un periodo che va dall’inizio del ‘900 fino al 1972, anno che ha visto la chiusura del Cotonificio Leumann e l’inizio di un progressivo impoverimento di energie e di idee, essendo venuto a mancare il motore trainante della “fabbrica”. La seconda parte illustra, per immagini, il rivitalizzarsi del Villaggio, la socializzazione, la trasformazione da luogo spento a crogiolo di attività culturali e ricreative.

Oggi, infatti, per l’impegno e la volontà di alcune persone, riunitesi in Associazione,  il Villaggio Leumann è luogo da visitare, da studiare, da vivere con iniziative sempre apprezzate dal pubblico che accorre numeroso a riscoprire questo borgo di fine ’800. Questo impegno e questa volontà proseguono e, giunta al compimento del 20° anno, l’Associazione Amici della Scuola Leumann è più attiva che mai. Da qualche anno il Villaggio Leumann è Ecomuseo Provinciale e vede la presenza di circa cento famiglie, formate in buona parte da ex dipendenti della ditta Leumann.

Il volume intende essere un omaggio all’imprenditore illuminato Napoleone Leumann che il villaggio l’ha fatto costruire, al sindaco di Collegno, Ruggero Bertotti, che, nel 1976, ha fatto sì che continuasse ad esistere e a tutte le persone che lo hanno abitato.

Vuole anche essere di stimolo alle nuove generazioni ad averne cura e a continuare l’azione di valorizzazione finora portata avanti dagli “Amici della Scuola Leumann” e, dall’interesse riscontrato in questa sua prima apparizione, ci sono ottime prospettive per il futuro.

Prossimamente in uscita.

Libro: Cento Anni di Vita al Villaggio Leumann. Racconti per Immagini, Didascalie, Aneddoti
A cura di: Alessandro Zerbi
Casa Editrice: Editrice Il Punto – Piemonte in Bancarella www.piemonteinbancarella.it
Note: Realizzato grazie all’attività dell’Associazione Amici della Scuola Leumann www.villaggioleumann.it

Archeologia Industriale




Il Villaggio Leumann in Piemonte

Il Villaggio Operaio Leumann è uno dei fiori all’occhiello dell’Archeologia Industriale in Italia. Situato in provincia di Torino è una delle poche edificazioni filantropiche volute da imprenditori illuminati a supporto della classe operaia. 

 

Il Villaggio Leumann di Collegno insieme al Cotonificio fu edificato tra il 1876 e il 1912 dall’imprenditore svizzero Napoleone Leumann per dare lavoro, sistemazione e servizi gratuiti alle maestranze qui impiegate che provenivano sia dalla precedente tessitura di Voghera, nell’Oltrepò pavese, sia dai comuni limitrofi a Collegno. Il complesso costruttivo, a pianta triangolare, è formato dal Cotonificio e da due comprensori laterali, per una superficie complessiva di 72.000 mq. Entrambi i comprensori sono attraversati da una via principale, che si stacca dallo stradale di Rivoli, penetra all’interno di ciascun area di costruzione e si conclude in una graziosa piazzetta. A far da cornice agli slarghi sono rispettivamente due edifici fulcro: il Convitto nel comprensorio est e la Chiesa di Sant’Elisabetta nel comprensorio ovest, edifici questi costruiti per essere punti di aggregazione a uso collettivo. Il progetto architettonico fu affidato in parte all’ing. Pietro Fenoglio, artefice delle più significative opere in stile liberty a Torino. Il luogo, a nord della città sabauda, fu scelto dalla famiglia svizzera per la presenza di corsi d’acqua, per la vicina ferrovia e per il costo relativamente basso dei terreni rispetto a quelli di Torino. Tale fu l’importanza del Cotonificio svizzero che, nel 1896, il Comune di Collegno intitolò la zona Borgata Leumann, frazione del Comune di Collegno.

Il Villaggio Leumann venne concepito per essere del tutto autonomo. Le villette per gli operai e gli impiegati sono costruite in laterizio con due piani fuori terra e orto-giardino, ispirate alla tradizione edilizia padana del tempo, miscelata, specie nei tagli volumetrici dei tetti, con imprestiti di derivazione svizzera, riferibili all’origine elvetica del committente. Accanto alle abitazioni una serie di strutture assistenziali gratuite supportate da iniziative assistenziali (cassa malattia, cassa nuziale, cassa pensioni, liquidazione) facilitavano la vita e il lavoro alla Borgata. Nel comprensorio est trovano spazio il Convitto per le Operaie (1890-1906), il Refettorio (1890-1909), poi trasferito nell’area dello stabilimento e ora non più visibile, l’edificio dei Bagni (1902), il Teatro (1890) e l’Albergo Il Persico (1891). Nel comprensorio ovest, l’Ufficio Postale (1911), la Scuola Materna (1900) la Scuola Elementare (1906), la Palestra (1906), la Chiesa di Santa Elisabetta (1907), il Circolo per gli Impiegati e uno Spaccio Alimentare. L’Asilo Nido (1890), un tempo ubicato all’interno dello stabilimento, fu poi trasferito in una graziosa palazzina accanto alla fabbrica, l’Ambulatorio medico (1891) era in prossimità dell’entrata all’opificio, mentre la stazionetta (1903) trova collocazione di fronte all’ingresso. L’entrata al Cotonificio è ancora oggi caratterizzata da due piccole costruzioni similari del 1880 in litocemento con decorazioni in legno munite di torrette angolari, loggia e balconi e poste l’una di fronte all’altra sul corso Francia. Qui l’architettura vernacolare svizzera diventa il modello di importazione per eccellenza: l’immagine idilliaca e pittorica degli chalet montani si traduce nell’uso smodato del legno e dei tetti cuspidati.

Il cotonificio ha continuato la propria attività produttiva fino al 1972 quando chiuse in parte i battenti (Tessitura) a seguito della grave crisi del settore tessile e definitivamente nel 2007 (Nobilitazione del tessuto e tintoria). Il Comune di Collegno, con l’intento di salvaguardare e valorizzare un patrimonio culturale, riuscì ad acquistare praticamente tutte le case del Villaggio.

Oggi il Villaggio è sotto la tutela della Soprintendenza dei Beni architettonici e paesaggistici del Piemonte.

 

Il Villaggio Leumann oggi

Il Villaggio Operaio Leumann è oggi un importante documento di carattere storico e architettonico, indiscutibilmente uno degli esempi più prestigiosi del patrimonio archeologico industriale italiano, che continua a vivere e fa parte della rete ecomuseale della provincia di Torino.

L’Ecomuseo copre tutta l’area del Villaggio Leumann. Sono stati recuperati o ristrutturati molti edifici: il Convitto, l’Albergo, l’Ufficio Postale, la Stazionetta e una parte del Cotonificio. Di recente sono stati rimessi a nuovo i lavatoi ed è stata allestita una segnaletica interna. E’ stata ristrutturata anche la Scuola che, oltre a continuare ad ospitare cinque classi di scuola elementare, è sede dell’Ecomuseo.

Le abitazioni sono ancora utilizzate come tali e gli edifici che ospitavano servizi hanno ancora una funzione pubblica. Il Convitto delle Operaie ospita la Biblioteca Civica, l’Albergo è sede di associazioni, la Stazionetta, ristrutturata nel 1998 su iniziativa dell’Associazione Amici della Scuola Leumann,  ha svolto fino a fine 2012 un servizio di informazioni culturali, sociali e turistiche, il locale dei Bagni ospita il Centro Anziani. L’Ufficio Postale, la Scuola e la Chiesa mantengono invece la funzione originaria. A breve verrà allestito il Centro di Documentazione della Storia del Villaggio Leumann e un Laboratorio di Storia per le scuole.

Un ulteriore passo è stato fatto con l’allestimento realizzato dall’Arch. Alessandro Mazzotta e con gli arredi forniti dai soci dell’Associazione suddetta, della Casa-Museo nei locali messi a disposizione dal comune di Collegno. Si tratta di un “progetto pilota” e della prima esperienza di questo genere in un villaggio operaio.

L’Associazione Amici della Scuola Leumann

A prendersi cura della valorizzazione e della promozione del Villaggio Operaio Leumann attraverso l’organizzazione di visite guidate, attività culturali di vario genere, iniziative di ristrutturazione ed altro,  è l’Associazione Amici della Scuola Leumann.

Informazioni e prenotazioni visite guidate: Associazione Amici della Scuola Leumann
Corso Francia 345 – 10093 Collegno – Tel. 011 4159543 – 349 7835948
e-mail: info@villaggioleumann.it – sito web: www.villaggioleumann.it

 

Sito archeologico industriale: Villaggio Operaio Leumann
Settore industriale: Industria tessile – Cotonificio
Luogo: Collegno – provincia di Torino – regione Piemonte
Proprietà/gestione: Comune di Collegno www.comune.collegno.gov.it
Testo a cura di: dott.sa Carla F. Gütermann per la parte storica; Rosalbina Miglietti Presidente dell’Associazione Amici della Scuola Leumann .

Archeologia Industriale




La miniera Floristella in Sicilia

La miniera Floristella è sicuramente tra le miniere di zolfo più importanti della Sicilia, che tra il 1800 ed il 1900 raggiunse il primato mondiale in questo settore industriale.

Il 10 novembre 1781 il feudo di Floristella, situato nei pressi di Valguarnera (Enna), a seguito dell’espulsione della Compagnia di Gesù titolare del fondo, viene acquistato da un certo don Camillo Caruso per conto e col denaro del barone Salvatore Pennisi.

L’11 aprile 1825, sebbene l’attività estrattiva fosse già avviata da tempo, la Direzione Generale de’ Rami e Diritti Diversi accorda al barone D. Venerando Salvatore Pennisi il permesso di apertura di una zolfara nell’ex feudo Floristella, previo deposito di 10 onze al Regio Erario, come in uso in quel periodo.

La miniera Floristella rimane nella titolarità della famiglia Pennisi sino a quando ne viene revocata la concessione con Decreto presidenziale del 12 luglio 1967, passando poi all’Ente minerario siciliano, presieduto da Don Graziano Verzotto.

L’attività estrattiva prosegue ancora per circa una ventina d’anni sino a che, l’1 dicembre 1986, viene redatto il piano di chiusura delle vie d’accesso al sotterraneo della miniera.
La legge della Regione Siciliana 15 maggio 1991 n° 17 (art. 6) istituisce l’Ente Parco Minerario Floristella – Grottacalda con lo scopo di tutelare uno dei siti di archeologia industriali più importanti del meridione e recuperare il palazzo Pennisi sito nell’aria mineraria di Floristella.

La miniera Floristella: Il sito archeologico industriale

La miniera Floristella occupa una superficie superiore ai 425 ettari.
In cima alla collina, che domina la vallata disegnata dal rio Floristella, si erge il Palazzo Pennisi.
Il palazzo si sviluppa in altezza su due piani  separati in parte da un piano mezzano, un solaio e, al di sotto del livello della strada, un grandissimo scantinato; in lunghezza si compone di tre corpi con quello centrale sensibilmente rientrato nella facciata esposta a Sud-Est di modo da costituire un cortile d’invito all’accesso. Sui quattro prospetti, pietra bianca riveste le lesene che scandiscono verticalmente il palazzo e tutte le aperture comprese le feritoie, indispensabili in caso di rivolta.
Il piano terra ospitava gli uffici amministrativi e, nell’ala Sud-Ovest, la cappella ottagonale sormontata da cupola.
I piani superiori costituivano la residenza della famiglia Pennisi che si recava lì nel periodo pasquale nonché gli alloggi dei direttori che via via si avvicendavano.
Il palazzo fu edificato in due fasi: si ritiene di poter datare la realizzazione del piano terra intorno al 1860, essendo stato ospitato al suo interno l’ing. Piemontese Sebastiano Mottura, mandato in Sicilia nel 1862 dal Ministero per L’Agricoltura Industria e Commercio per presiedere alla nuova scuola mineraria di Caltanissetta; il piano sopraelevato fu invece realizzato tra il 1880 ed il 1885. Dirigendosi giù per la valle ci si imbatte in tutte le più tipiche edificazioni delle miniere zolfifere.

Tre gli imponenti pozzi nella miniera Floristella per l’estrazione del minerale.

Il pozzo n. 1, nella Sezione Sant’Agostino, edificato direttamente in pietra intorno al 1919. Il pozzo n. 2, provvisoriamente edificato in legno, passerà ad una struttura in muratura nel 1945, per poi essere sostituito da un castelletto in ferro nel 1965.
Il pozzo n. 3, a pochi passi dal palazzo in direzione Sud-Ovest, costruito interamente in ferro tra il 1970 ed il 1971, dal quale transitavano sia carrelli carichi di materiale che persone; numeri diversi di tocchi di campana avvertivano cosa stesse percorrendo il pozzo.

Ma è nella parte più antica della miniera, in quel susseguirsi di sezioni denominate Calì, Pecoraro, San Giuseppe ed altre ancora, che è possibile ammirare le primissime discenderie composte da un’apertura principale per il passaggio degli operai e da una secondaria ed un pozzo verticale per il reflusso dell’aria. Tali discenderie sono tutte esposte verso Sud Sud-Est per sfruttare il più possibile la luce solare, che flebile faceva da guida alla risalita dei carusi, spesso sprovvisti di lampada.

Sistemi per la fusione dello zolfo: calcarelle, calcaroni, forni Gill sono sparsi per tutta la vallata, a volte singolarmente, a volte in batteria. Nella Statistica mineraria del 1956 risultano attivi 17 apparecchi Gill gemelli e 19 calcaroni.

Ed ancora altri edifici : capannoni, piccole costruzioni funzionali all’attività estrattiva, caseggiati come la Direzione, il dormitorio operai – conosciuto anche come “Case Mottura”, la sala riunione operai, la sede dell’I.N.A.I.L., una città dello zolfo a tutti gli effetti.

Oggi la vallata appare ricca di vegetazione, ma in realtà si tratta di un rimboscamento avvenuto in tempi recenti. Originariamente il paesaggio doveva esser tinto esclusivamente del giallo dello zolfo e del biancastro del gesso.

 

Sito archeologico industriale: Miniera Floristella
Settore industriale: Minerario – Le miniere di zolfo in Sicilia
Luogo: Valguarnera – provincia di Enna – Regione Sicilia
Proprietà/gestione: Ente Parco Minerario Floristella Grottacalda www.enteparcofloristella.it
Testo a cura di: Dott.sa Simona Politini contatto simona.politini@archeologiaindustriale.net
Tratto dalla tesi di laurea “L’oro di Sicilia. L’industria zolfifera siciliana e la miniera Floristella 1825-1987” di Simona Politini. Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa – Napoli. Anno accademico 2000-2001. Relatore prof. Gregorio Rubino

Archeologia Industriale