Torviscosa, città del Novecento: il libro sulla company town

Torviscosa, città del Novecento è un libro di semplice lettura, ricco di immagini e di documenti, che raccontano la storia di Torviscosa, la città della cellulosa nata dalla volontà imprenditoriale della SNIA Viscosa.

Il libro sulla storia della company town Torviscosa

La storia di Torviscosa comincia negli anni ’30 del secolo scorso con l’autarchia, che induce la SNIA Viscosa, all’epoca la più grande azienda italiana del settore dei tessili artificiali, a cercare il modo di produrre cellulosa a partire da materie prime nazionali. Nasce così questa città aziendale “di fondazione”, rigorosamente organizzata per categorie professionali, ma caratterizzata dagli stili architettonici tipici del regime e con una piazza ispirata a quelle metafisiche di De Chirico.

Tra il 1937 e il 1942 la SNIA Viscosa acquista e mette a coltura 6.000 ettari di terreno, costruisce e porta a pieno regime la fabbrica, fa edificare le principali strutture civili e poi, fino ai primi anni Sessanta, continua ad ampliare il centro civico con nuovi edifici e abitazioni. Fino alla fine degli anni Settanta, Torviscosa rimane quasi completamente di proprietà della SNIA Viscosa.

Il libro è un racconto ricchissimo di informazioni sulla storia di Torviscosa e del suo territorio, in cui sono sintetizzati i risultati di una ricerca storica ventennale. Facile da leggere, è però puntuale e preciso nelle descrizioni e inoltre ricco di immagini, curiosità e approfondimenti.

Titolo: Torviscosa, città del Novecento
Testi: Lorena Zuccolo
Ricerca storica: Mareno Settimo e Lorena Zuccolo
Disegni e grafica: Dario Ontani
Casa Editrice: Pro Torviscosa APS – Pagina Facebook
ISBN: 978-88-944233-0-3
Lingua: italiano




Rosignano Solvay. La fabbrica che si fece giardino – il Film

Scopriamo Rosignano Solvay, frazione più popolata del comune di Rosignano Marittima in provincia di Livorno in Toscana, uno dei più significativi esempi di company town.

Rosignano Solvay. La fabbrica che si fece giardino è il progetto video che racconta storia e storie della cittadina toscana cresciuta attorno alla fabbrica chimica Solvay, tanto da prenderne il nome nel 1917.

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Venerdì 6 ottobre alle 14:30 presso l’Unicredit Pavilion di Piazza Gae Aulenti a Milano, nel contesto del Festival Visioni dal Mondo, ci sarà la proiezione del film Rosignano Solvay. La fabbrica che si fece giardino (55 minuti). Al termine un breve incontro con i registi. Ingresso libero.


Rosignano Solvay – La fabbrica che si fece giardino (Trailer 30”) from PONGOFILMS on Vimeo.

 

Storia della company town Rosignano Solvay

All’inizio del Novecento, il famoso inventore e industriale belga Ernest Solvay si interessa ad un piccolo tratto di costa in Toscana, sotto Livorno. La presenza delle materie prime necessarie alla fabbricazione della soda inducono Solvay a costruire un grande stabilimento, cambiando per sempre il destino di quelle zone.

Sul modello di altre città europee dove erano presenti altri stabilimenti, Solvay decide di mettere in atto una grande operazione che non è solo industriale ma anche urbanistica e architettonica. Consapevole però di essere in Toscana, nella culla dell’arte e del Rinascimento, vi si dedica con particolare impegno, coinvolgendo grandi architetti e pianificatori.

Il risultato è una straordinaria company town, una cittadina pensata per i bisogni dell’azienda ma allo stesso tempo attenta a tutte le necessità della comunità che è in gran parte formata dai lavoratori Solvay e dalle loro famiglie. Un legame talmente forte che nel 1917, quello che inizialmente era solo un agglomerato urbano diventa Rosignano Solvay.

Ai piedi dello stabilimento case fatte di mattoncini, eleganti architetture, tutto rigorosamente Solvay e poi tanto verde. Viali alberati, palme, giardini che vanno a creare il cosiddetto Villaggio Solvay, con uno stile unico che lo rendono un luogo atipico e affascinante.

Rosignano Solvay. La fabbrica che si fece giardino: il Film

Un secolo dopo tante cose sono cambiate: cos’è rimasto di quel modello?

Il film Rosignano Solvay. La fabbrica che si fece giardino racconta Rosignano Solvay da vari punti di vista: storico, architettonico, urbanistico e sociale, con interviste ad esperti ma soprattutto a chi Rosignano la vive tutti i giorni e che magari ha lavorato nella fabbrica. Ne esce il ritratto sfaccettato di una città al bivio, fatto da un passato glorioso che riempie di orgoglio i cittadini, un presente incerto che vive una profonda transizione e un futuro tutto da pensare.

Cast artistico e tecnico
Regia: Gabriele Veronesi, Federico La Piccirella
DOP: Marco Brandoli
Editing: Gabriele Veronesi
Sound editor: Demis Bertani
Graphics & animation: Stefano Villani
Produzione: Taiga srl

Gabriele Veronesi (Modena, 1985) è un filmaker e giornalista modenese, lavora nel settore della produzione audiovisiva dal 2009 dedicandosi a reportage, documentari e advertising.

Federico La Piccirella (Bologna, 1986). Si laurea in Ingegneria-Architettura, formandosi tra l’Ateneo di Bologna e il Dessau Institute of Architecture, Bauhaus (Germania). Dal 2013 collabora presso lo studio di Mario Cucinella Architects (Italia).




Dalmine dall’impresa alla città. Storia di una company town

Scopriamo Dalmine, la company town alle porte della città di Bergamo in Lombardia.

 

 

L’insediamento urbano di Dalmine, sorto nei primi anni del secolo scorso attorno allo stabilimento siderurgico, vive un rapido e intenso sviluppo architettonico e urbanistico fra gli anni ’20 e ‘40, quando, per iniziativa diretta dell’impresa e per la gran parte sotto la regia dell’architetto milanese Giovanni Greppi, vengono realizzate infrastrutture, quartieri residenziali, edifici pubblici e un fitto insieme di interventi che vanno via via a definire e caratterizzare una vera e propria città industriale. L’impresa costruisce e consolida inoltre una fitta trama di relazioni con le istituzioni locali e con il territorio, attraverso iniziative ed interventi di carattere sociale, assistenziale, ricreativo, rivolti in primo luogo ai propri dipendenti e alle loro famiglie. Interventi che sono parte integrante di un sistema di welfare aziendale di cui i manufatti architettonici, tracce materiali, sono oggi il sedimento più visibile.

Dalmine – Le origini dell’impresa

Lo stabilimento sorge nel 1906, in una località denominata Dalmine, per iniziativa della Società Mannesmann, titolare del brevetto per la produzione di tubi in acciaio senza saldatura. La conformazione pianeggiante del terreno, il prezzo relativamente favorevole, la disponibilità di energia e acqua e, non ultimo fattore rilevante, l’ampio bacino di manodopera non specializzata a basso costo, favoriscono l’insediamento dell’attività in un’area agricola e priva di impianti industriali.

Fin dal principio l’impresa stabilisce un complesso sistema di relazioni e negoziazioni con i Comuni di Mariano, di Sforzatica e in particolare di Sabbio, sotto la cui giurisdizione si trova la allora frazione di Dalmine. Rapporti, che trovano una prima importante definizione nella firma di una convenzione del 1909, che insieme all’insediamento dell’impianto regolamenta la realizzazione di vie di trasporto, di una rete idrica ed elettrica e di servizi minimi per la popolazione. Accanto alle infrastrutture industriali sorge così un primo apparato di alloggi e servizi per il personale trasferitosi nell’area di Dalmine dalla Germania, nel caso di dirigenti e tecnici, e dai comuni limitrofi nel caso di manodopera generica.

Nel 1911, con le lavorazioni di laminazione ormai a regime, e la nuova acciaieria elettrica avviata da un anno, la Mannesmann impiega 700 addetti, quando gli abitanti complessivi dei tre Comuni di Sabbio, Mariano e Sforzatica ammontano complessivamente a 3.200.
Lo scoppio della prima guerra mondiale, l’allontanamento della proprietà tedesca, le difficoltà della riconversione ad una economia di pace e l’insorgere di tensioni sociali – che conducono all’occupazione dello stabilimento nel marzo del 1919 – contribuiscono a frenare lo sviluppo dell’impresa e di conseguenza la sua capacità di azione sul territorio.

La città industriale di Dalmine – Impresa e città

Soltanto dopo la metà degli anni ‘20 si presentano una serie di condizioni che conducono alla nascita e sviluppo di un progetto urbanistico e sociale. Un progetto che si realizza anche con la costruzione, da parte della nuova Società, ora di proprietà dello Stato e denominata Stabilimenti di Dalmine, di una solida rete di relazioni istituzionali e territoriali con le locali autorità ecclesiastiche e politiche, nell’ambito di un controllo sempre più stretto imposto dal regime fascista. Ma anche le condizioni interne all’impresa si sono stabilizzate: un netto miglioramento dei conti della Dalmine grazie all’incremento delle commesse unite ad un intenso ammodernamento degli impianti, compongono un quadro complessivamente favorevole nel quale il rapporto di committenza che lega l’impresa all’architetto Greppi, trova una concreta, articolata e sistematica realizzazione.

A partire dal 1924 nascono così il Quartiere operaio, il Quartiere impiegati, la Pensione privata, gli impianti sportivi, il Quartiere centrale, una fitta serie di edifici collettivi direttamente o indirettamente legati alle funzioni non strettamente produttive dell’impresa, edifici di rappresentanza, edifici religiosi, piazze, scuole, colonie e aziende agricole. Con la seconda metà degli anni ‘30, parallelamente alla crescita dell’impresa, che giunge ad occupare un’area di 650.000 metri quadrati e ad impiegare 3.850 addetti nel 1935 e circa 5.500 nel 1940, cresce anche la popolazione residente: dai circa 6.000 abitanti del 1931 ai circa 7.300 del 1941. La dichiarazione di notevole importanza industriale, ottenuta dal Comune di Dalmine nel 1941 per decreto del capo del Governo, sancisce formalmente il completamento del processo di formazione della company town. Questo secondo periodo di vita della Dalmine, ormai parte dell’industria di Stato, è quindi quello della costruzione della piena identificazione fra impresa-fabbrica-territorio.

La company town di Dalmine – “Il villaggio modello”

La città industriale trova una significativa riorganizzazione nel 1927, con la nascita del Comune di Dalmine, che accorpa – sotto una denominazione che coincide sì con quella originaria dell’area, ma soprattutto con quella attuale dell’impresa – i tre paesi di Sabbio, Mariano e Sforzatica. La creazione del nuovo Comune sancisce di fatto lo spostamento del baricentro di una serie di funzioni ed edifici pubblici dal loro insediamento originario, al nuovo spazio antistante gli stabilimenti, che si pone come polo della riorganizzazione del territorio, e quindi sede delle istituzioni che lo governano. In quest’area sorge così nel 1931 la nuova Chiesa di San Giuseppe, donata alla Parrocchia e inaugurata solennemente il 19 marzo, giorno di festa del patrono dei lavoratori. La nuova sede del Comune è inaugurata nel 1938 nel nuovo centro della città, progettato su disegno di Greppi, dove hanno sede anche la Casa del Fascio, il Dopolavoro aziendale e l’asta alzabandiera (l’”antenna”), costituita da un unico tubo senza saldatura prodotto nello stabilimento di Dalmine, e di fatto simbolo della città.

Al vertice del nuovo Comune di Dalmine, in veste di Podestà, siede il Direttore amministrativo della Dalmine, nonché amministratore delegato de La Pro Dalmine, la Società costituita nel 1935 con lo scopo di gestire il patrimonio non industriale della Dalmine. In questi anni la company town di Dalmine si realizza non solo e non tanto attraverso le pur numerose costruzioni di edifici destinati ad abitazione o ad usi pubblici, ma anche attraverso l’esercizio e il controllo di una serie di altre funzioni legate alla gestione ed organizzazione del tempo e dello spazio esterno a quello lavorativo o abitativo. Un articolato sistema di attività che costituisce il vero tessuto connettivo di una strategia di costruzione del consenso e di creazione di una comunità, ovvero quel “villaggio modello” che la propaganda cinematografica fascista del 1940 illustra con riferimento alla città di Dalmine.

“Dare la possibilità di risiedere in luogo”: il sistema abitativo della città-impresa di Dalmine

“Dare la possibilità di risiedere in luogo” è uno degli obiettivi perseguiti dall’impresa fin dai suoi primi anni di attività per ospitare personale proveniente dalla Germania e dall’Austria, attrarre manodopera, che i ritmi del lavoro di fabbrica richiedono risieda nelle vicinanze degli impianti produttivi e interrompere – se possibile – quel legame con il mondo rurale che comporta picchi di assenteismo nei periodi dei più importanti lavori agricoli. La casa rappresenta inoltre un importante elemento di riduzione del rischio di turn over della manodopera, soprattutto di quella specializzata, poiché il passaggio del posto di lavoro di padre in figlio, pratica assai diffusa, implica il rinnovo del contratto d’affitto. Contratti che, essendo assai restrittivi nella durata (solitamente annuale) e vincolati al mantenimento del posto di lavoro, sono in definitiva, totalmente sottoposti al potere e alle strategie dell’impresa. Nel 1935, all’inizio della sua attività, la Pro Dalmine gestisce circa 70 edifici, che danno alloggio a più di 150 famiglie impiegati e di operai, per un totale di oltre 800 persone. Negli anni ‘40 i fabbricati sono quasi 90, con un numero di locali che è quasi raddoppiato (1.460 al posto di 878).

VIDEO: Cronistoria TenarisDalmine

Dalmine company town: salute, previdenza e assistenza

La Società, fin dall’inizio dell’attività, tenta di porre rimedio alle precarie condizioni igienico-sanitarie e di garantire la salute dei propri dipendenti. Nei primi anni ‘10 favorisce così la nascita di una farmacia comunale e provvede inoltre a ospitare l’ambulatorio comunale nei locali dell’abitazione del medico aziendale, la cui attività si estende anche al di fuori dell’area industriale.

Già nei primi anni ‘20 nascono inoltre una Cassa mutua operai, che sussidia i soci in malattia con il 60% della paga giornaliera, e la Cassa di previdenza per impiegati, che, attraverso il versamento di un contributo sulla paga mensile, di contributi volontari e di erogazioni liberali della Società, assicura un fondo di previdenza dal momento della loro cessazione in servizio. Entrambe le casse si occupano inoltre del pagamento delle convalescenze di particolare gravità e delle cure speciali sia per i dipendenti che per i loro figli.A questo fine la Dalmine può contare fin dagli anni ‘20 su di una colonia elioterapica, gestita della Direzione sanitaria dello stabilimento. A questa seguono, nel 1931, la Colonia montana di Castione della Presolana, nel 1938 quella marina di Riccione, e dal 1941 quella di Trescore Balneario, dotata di un padiglione per le cure termali. Le attività di welfare nell’ambito sanitario culminano negli anni ‘40 con la costruzione di un Poliambulatorio.

Dalmine company town: istruzione e formazione

Altro ambito cruciale di sviluppo del welfare aziendale è senza dubbio quello dell’organizzazione e controllo del sistema formativo, ovvero dell’istruzione primaria e tecnica. Già nel 1909 la Mannesmann contribuisce alla maggior parte delle spese per il mantenimento dell’istruzione di base nella frazione di Dalmine. E se la scuola elementare di Stato nasce a Dalmine solo nel 1928, già tre anni prima è invece attiva la scuola elementare fondata dall’impresa, composta da cinque classi miste. Nel 1916 nasce la prima Scuola popolare operaia e nel 1922 una Scuola professionale serale. Nel 1929 prendono invece avvio alcuni corsi serali domenicali per capi operai, che anticipano la nascita, nel 1937, della Scuola apprendisti, che forma, nei primi 11 anni di attività, oltre 200 operai specializzati. Si tratta di una istituzione formativa che fonda la propria attività sull’integrazione fra teoria e pratica, sulla didattica del lavoro. Una scuola in cui al tradizionale apprendistato fondato sul rapporto con operai più anziani si preferiscono, da un lato, i nuovi metodi di organizzazione del lavoro, e, dall’altro, una disciplina di tipo militare (alzabandiera, adunata, giochi ginnici, campeggio estivo).

Dalmine: industria e agricoltura in un sistema integrato

In quel 1941 in cui Dalmine riceve il riconoscimento di comune di notevole interesse industriale l’impresa risulta essere, dalla documentazione conservata presso l’Archivio comunale, anche uno dei maggiori produttori agricoli. Nel 1946 l’azienda agricola della Pro Dalmine coordina infatti 14 gruppi colonici, che ospitano 140 persone e danno lavoro a oltre 60 contadini. Le Cascine, significativamente denominate con nomi dell’impero fascista (Macallè, Adua, Asmara, Addis Abeba), sono insediate su terreni appartenenti alla Società e riforniscono l’impresa e la città con i loro prodotti, secondo il modello “autarchico” del regime fascista. I principali clienti dell’azienda agricola sono infatti la la Mensa aziendale e la Cooperativa di consumo, che offrono così prodotti agricoli, latte e carne a prezzi calmierati. Ma al di là degli aspetti ideologici – intensificati negli anni della battaglia del grano – nella strategia della Pro Dalmine vi è una continua attenzione a una gestione moderna, quasi industriale dei terreni non occupati dall’attività produttiva. Vengono investite cospicue risorse per rendere ogni singolo gruppo colonico maggiormente produttivo, applicando criteri moderni di rotazione dei raccolti e di selezione delle sementi. Anche la progettazione degli spazi rientra nel più ampio incarico affidato all’architetto dell’impresa, Giovanni Greppi.

Dalmine, anni ’50: il welfare cambia

Nei primi anni del dopoguerra, pur in un quadro politico-istituzionale e di relazioni industriali totalmente rinnovato, la Società mantiene e rafforza il proprio apparato assistenziale sorto nei decenni precedenti ma ancora efficace nell’affrontare le necessità e i problemi postbellici. Ma negli anni delle lotte sindacali e del boom economico l’impresa promuove un nuovo sistema salariale, che tende a trasformare in retribuzione, o meglio in incentivi alla produzione, parte di quelle elargizioni in beni materiali o in servizi nate negli anni ‘20, legando così alla disciplina sul posto di lavoro la possibilità di usufruire dei vantaggi di appartenere alla “grande famiglia” di Dalmine.
Se quindi è vero che, a partire da questi anni, prende avvio il processo di progressiva riduzione da parte dell’impresa del proprio potere di governo diretto del territorio, è altrettanto vero che il tessuto connettivo della company town, ovvero quel sistema di relazioni fondato fra l’altro sulla comunicazione interna, sulle provvidenze, sui servizi al personale, sui servizi di assistenza e ricreazione, continua pressoché invariato nella sostanza.

Sito archeologico industriale: Dalmine Company Town
Settore industriale:Industria metallurgica
Luogo: Dalmine – Bergamo – Lombardia – Italia
Proprietà/gestione: TenarisDalmine – sede operativa di Tenaris in Italia – è il primo produttore italiano di tubi di acciaio senza saldatura per l’industria energetica, automobilistica e meccanica. Tenaris è il maggior produttore e fornitore globale di tubi in acciaio e servizi per l’industria energetica mondiale e per altre applicazioni industriali.www.tenaris.com
Testo a cura di: Fondazione Dalmine www.fondazionedalmine.org
Fonti: Carolina Lussana, Manuel Tonolini, Dalmine: dall’impresa alla città, in Dalmine dall’impresa alla città. Committenza industriale e architettura, a cura di Carolina Lussana, Fondazione Dalmine, Dalmine, 2003.

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