Expo 2015 | I musei del cibo tra cultura e industria: anteprima milanese del Luigi Micheletti Award

“I musei del cibo tra cultura e industria” è il titolo del convegno internazionale che si terrà il 7 maggio 2015 dalle 10:00 alle 13:00 presso il Museo della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano.

L’evento, promosso da Fondazione Musil, European Museum Academy, Museimpresa e Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci, rappresenta l’anteprima milanese delle 3 giornate di eventi europei in programma a Brescia per la XX edizione del Luigi Micheletti Award – l’unico premio europeo per musei dell’industria, della scienza e di storia contemporanea – e si pone l’obiettivo di valorizzare i patrimoni culturali, saperi ed esperienze del sistema agroalimentare.

I musei del cibo tra cultura e industria: i temi del convegno internazionale

Tra le tipologie di museo incentrate sui più diversi temi di interesse apparse negli ultimi decenni ritroviamo i musei del cibo e dei prodotti del mondo agrario, il mondo del cosiddetto “agrifood”. A questa categoria sono da ascriversi non solo i classici musei della civiltà contadina, considerati erroneamente per lo più una elegante rimessa di attrezzatura agricola, ma anche quei musei di nuova generazione, che utilizzano quel modo di comunicare così caratteristico del museo contemporaneo, fatto di immagini, parole, oggetti, ambienti multimediali. Come sempre nel museo la innovazione dei modi di comunicare si accompagna a un rinnovamento dei contenuti, dei punti di vista, delle argomentazioni e anche delle informazioni che sono sempre accessibili ma che richiedono anche una crescente capacità di orientamento nella babele della rete e delle altre fonti di conoscenza.

I musei del cibo tra cultura e industria: il programma del convegno internazionale

I lavori comprenderanno una presentazione dei musei iscritti all’edizione 2015 del Luigi Micheletti Award (20 musei da ogni parte d’Europa), un incontro con gli ex vincitori del Premio e la cerimonia di premiazione di Heritage in Motion, contest per l’innovazione digitale applicata al patrimonio.

I lavori saranno introdotti da una presentazione della direttrice dell’Alimentarium di Vevey (Svizzera) realizzato dalla Fondazione Nestlè, successivamente si confronteranno musei di recente apertura come il Museo MUMAC, la Galleria Campari e il Gelato Museum Carpigiani, con archivi di più lunga tradizione come quello della Barilla o la Collezione Branca. Tra i musei invitati, segnaliamo il Museo dell’Era dell’Aringa, creato anni or sono da un gruppo di volontari islandesi e già vincitore del Premio Micheletti nel 2004.

L’incontro, unico nel suo genere e primo in Italia per varietà dei settori rappresentati e novità delle esperienze di comunicazione documentate, sarà inoltre arricchito dalla partecipazione del Museo della produzione industriale dell’Olio di Oliva, situato nell’Isola di Lesbo. Il museo è stato recentemente selezionato dalla CNN tra le 11 eccellenze mondiali nell’ambito dei musei del cibo. Proprio questo museo accoglierà la Cerimonia del Luigi Micheletti Award dell’edizione 2016.

Nel corso della mattinata verrà consegnato uno speciale riconoscimento per l’eccellenza produttiva al Consorzio Grana Padano, una delle massime espressioni dell’alta qualità del Made in Italy che nasce dalla passione per il territorio e dal desiderio di salvaguardare l’esperienza e la competenza unica e irripetibile che si tramanda da generazioni.

#FoodPeople: la mostra sui cambiamenti del nostro modo di mangiare

A seguire la visita alla nuova esposizione #FoodPeople” del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci. #FoodPeople è una grande esposizione dedicata ai cambiamenti che hanno segnato il nostro modo di mangiare e alle prospettive future del sistema alimentare e costituisce una delle iniziative del programma di “Expo in città”, il palinsesto promosso dal Comune di Milano con Camera di Commercio (cliccate qui per maggior informazioni sulla mostra).

Cliccate qui per il programma completo dell’evento I musei del cibo tra cultura e industria




Nasce lo Spazio Amideria per conservare e promuovere la storia della ex Amideria Chiozza di Ruda

La ex Amideria Chiozza di Ruda, sito di archeologia industriale, trova nella comunità locale la forza per tramandare la sua storia. Nasce così lo Spazio Amideria fortemente voluto da chi ha compreso il valore del nostro patrimonio industriale.

La Storia dell’Amideria Chiozza

Nel 1865 Luigi Chiozza avvia in località La Fredda di Perteole nel comune di Ruda (Udine) una piccola attività per l’estrazione dell’amido dal mais, denominata “Industria La Fredda”, dal nome della roggia su cui insisteva il vecchio mulino che verrà utilizzato come forza motrice.

Inizialmente si configurava come un laboratorio dove avveniva sia la ricerca che la produzione. In seguito decise di ampliare l’attività grazie ad un nuovo metodo brevettato da Chiozza per l’estrazione dell’amido dal riso, che garantiva non solo una maggiore resa, ma soprattutto una maggiore qualità del prodotto in termini di purezza e candore.

Nel 1902, con l’entrata in società della “Prima pilatura triestina di riso, società anonima ad azioni”, il complesso viene ampliato raggiungendo la superficie attuale di oltre 10.000 mq coperti, l’intera organizzazione produttiva rinnovata, vengono introdotti nuovi macchinari assumendo l’aspetto che ancor oggi possiamo osservare e garantendo l’occupazione ad oltre 100 lavoratori in un area rurale della Bassa Friulana caratterizzata da una economia Agricola estremamente povera.

L’amido veniva utilizzato nelle confezioni di panni e tessuti per renderli rigidi (colli, pizzi…), ma gli impieghi divengono ben presto molteplici: nelle tessiture di lino e cotone, nelle tintorie e stamperie, nelle cartiere, nella concia dei pellami, nell’industria farmaceutica come eccipiente per pastiglie, nei cosmetici, nelle colle e adesivi, nei leganti per fonderia, nell’industria alimentare.

Il processo di lavorazione messo a punto da Luigi Chiozza per l’estrazione dell’amido, è rimasto inalterato per l’intero arco di attività dell’amideria, oltre un secolo, a testimonianza della sua assoluta validità. Negli anni ’50 inizia la crisi del settore a causa dell’avvento dell’amido sintetico e della sempre maggiore diffusione delle fibre tessili artificiali. Nel 1986 vi erano impiegate 24 persone, di cui 3 nell’amministrazione e 15 nella produzione.

Nel 1991 il Comune di Ruda acquista il complesso produttivo per garantire la tutela di una delle più significative testimonianze legate alla storia dell’industria presenti sul territorio, la prima fabbrica sorta nella Bassa friulana .

 

Guarda il video dell’Amideria Chiozza di Ruda

L’Associazione Amideria Chiozza e lo Spazio Amideria

Nel territorio del Comune di Ruda e nella sua Comunità è profondamente sentita la presenza dell’eredità industriale dell’ Amideria Chiozza, non come un “ reperto archeologico “ da studiare , ma come un’eredità viva. Per questo è nata, nel febbraio 2014, l’Associazione Amideria Chiozza che conta oggi oltre 40 soci: il Comune di Ruda, abitanti di Ruda, ex lavoratori, studiosi; tutti uniti dalla “passione” e dalla “volontà di fare“. Obiettivo dell’Associazione Amideria Chiozza è far rivivere e mantener in vita l’Amideria Chiozza cercando di trasferire non solo le emozioni di chi ha partecipato a questa storia ma la cultura del lavoro.

Il primo progetto che l’Associazione Amideria Chiozza si è prefissata di concretizzare è stato l’apertura dello Spazio Amideria. Lo Spazio Amideria, realizzato grazie all’Amministrazione Comunale di Ruda che ha messo a disposizione gli spazi, ma sopratutto grazie al lavoro dei suoi soci, è un “contenitore aperto al pubblico”, un sistema polifunzionale dove trovano collocazione: il Centro Studi Amideria Chiozza (CSAC), nato in collaborazione con l’Università di Udine, Dipartimento di Storia e Tutela dei Beni Culturali; il Museo Storico, primo nucleo museale che presenta e descrive la storia della fabbrica con video, immagini e testi; l’Archivio dell’Amideria Chiozza, l’archivio della fabbrica che contiene tutta la sua storia dal 1927 al 1976; la Sala Consultazione ed una Sala Conferenze.

Progetto altrettanto ambizioso, per il quale però non sono sufficienti gli sforzi ed i modesti fondi dell’associazione è “Riaccendiamo la macchina a vapore”. Nel 2015 ricorre infatti il 150° anniversario della fondazione della fabbrica, in quest’occasione un atto significativo sarebbe poter aprire parte dell’opificio, ad oggi ancora chiuso per motivi di sicurezza, e rimettere in moto la macchina a vapore, un esemplare unico in Europa ancora nella sua sede dove, dal 1902 alla fine degli anni 80, produceva l’energia che faceva funzionare l’intera fabbrica.

L’evento: Inaugurazione dello Spazio Amideria

Sabato 11 aprile, alle ore 15:00, sarà inaugurato a Saciletto di Ruda lo Spazio Amideria, ovvero un locale, messo a disposizione dall’Amministrazione comunale, nel quale l’associazione che porta il nome della storica fabbrica di amido da riso potrà svolgere e far svolgere tutte le attività connesse alla conoscenza e poi al rilancio del sito produttivo della Fredda. All’inaugurazione, fra gli altri, interverrà il Presidente della regione Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani, che, da sempre impegnata sul sito dell’Amideria Chiozza, non ha voluto far mancare il suo appoggio in primis all’amministrazione comunale e in secondo luogo all’associazione, costituitasi un anno fa, entrambe impegnate nel difficile compito di tramandare la memoria ma anche di rilanciare un luogo che altrimenti rischia l’oblio perenne.

Per maggiori informazioni visitate il sito www.amideriachiozza.it

Evento: Inaugurazione Spazio Amideria
Genere: Inaugurazione di Associazione e della sua sede
Dove e Quando : Sabato 11 aprile, alle ore 15:00 Salacinetto di Ruda – Udine
Contatti: www.amideriachiozza.it
Presentazione a cura di: Associazione Amideria Chiozza
Crediti Fotografici: ph Elido Turco + Associazione Amideria Chiozza




Il Birrificio Menabrea di Biella

La Birra Menabrea Spa è un gioiello di archeologia industriale ancora attivo. Fondata a Biella nel 1846 è la più antica birreria italiana esistente.

 

La storia di Birra Menabrea, esempio di archeologia industriale tutto italiano

Con più di 160 anni di attività, Birra Menabrea ha indubbiamente contribuito a fare la storia della birra in Italia.

La sua fondazione risale infatti al 1846, quando il sig. Welf di Gressoney ed i fratelli Antonio e Gian Battista Caraccio decisero di dar vita ad un laboratorio per la produzione della birra. Nel 1854, la birreria venne affittata a Jean Joseph Menabrea e Antonio Zimmermann, che la acquistano poi nel 1864. A seguito dell’uscita di Zimmermann dalla società, fu proprio Giuseppe Menabrea-non più Jean Joseph, poiché la lingua ufficiale era ormai l’italiano- a costituire, il 6 luglio 1872, la “G. Menabrea e figli”.

L’applicazione della tecnica a bassa fermentazione, all’epoca poco diffusa, e l’utilizzo di materie prime qualitativamente eccellenti, prima su tutte, l’acqua delle fonti biellesi, hanno caratterizzato fin da subito Birra Menabrea e ne hanno decretato il successo.

Con la morte del patriarca, avvenuta nel 1881, gli eredi che si sono succeduti, oltre a contribuire alla diffusione del marchio in Italia, hanno ottenuto importanti onorificenze da parte dei regnanti. Nel 1896, la società passa nelle redini di Emilio Thedy e Agostino Antoniotti, mariti delle sorelle Menabrea. Da quel momento in poi, sarà la famiglia Thedy a guidare l’Azienda.

Con la fine del 1800, arrivano gli attestati di riconoscimento anche a livello internazionale: la Medaglia d’Argento all’esposizione di Torino, il Diploma d’Onore e Croce di Digione in Francia, a Monaco in Germania e a Gand, in Belgio. Nel nuovo secolo, il palmarès di Birra Menabrea si arricchisce di prestigiosi e numerosi premi che si susseguono ininterrottamente. Tra questi si ricordano quattro Gran Premi e Medaglie d’Oro alle esposizioni di Torino, Milano, Roma, Bruxelles e Parigi.

Nel 1991, l’Azienda entra a far parte del Gruppo Birra Forst, azienda birraria dell’Alto Adige nota per la qualità dei suoi prodotti ed il rispetto della natura. L’accordo, siglato da Paolo Thedy, quarto discendente della dinastia, è finalizzato a riaffermare l’orgoglio di una birra tutta italiana ed a rafforzare ulteriormente la presenza commerciale sul territorio. Birra Menabrea mantiene comunque intatta la sua forte identità ed indipendenza, riuscendo a conservare viva la cultura e la tradizione birraria, e ritagliarsi un posto d’onore nel panorama internazionale.

Dal 1997 al 2011, Birra Menabrea sale infatti sui gradini più alti del podio al World Beer Championships di Chicago, autorevole concorso annuale promosso da esperti del settore, ottenendo Medaglie d’Oro e d’Argento. E’ una consacrazione per l’Azienda biellese, che dal 2005, dopo la scomparsa di Paolo Thedy, passa sotto la direzione del figlio, Franco Thedy, quinto discendente della famiglia.

La struttura produttiva del Birrificio Menabrea

Situato nel centro storico di Biella, lo stabilimento in cui viene prodotta la Birra Menabrea mantiene, ancora oggi, intatto il fascino della tradizione di più di 160 anni di attività.

Presso lo stabilimento, che si estende su di una superficie di 7.500 m2, dei quali 4.500 coperti, vengono realizzate tutte le fasi di lavorazione della birra: dalla produzione fino al confezionamento.

Lo stabilimento Menabrea è composto da una sala cottura in grado di lavorare 570 ettolitri al giorno di mosto, da n. 4 cantine di fermentazione, che ospitano fino a 9.500 hl di birra, da cantine di deposito che riescono a contenere fino a 9.000 hl di birra e da un sistema di filtraggio da 150 hl all’ora.
A questi si aggiungono un impianto di infustamento che consente la produzione di 300 fusti/ora ed un innovativo e moderno impianto di imbottigliamento, completato alla fine del 2012, che è in grado di garantire una capacità produttiva di 15.000 bottiglie/ora. Realizzato con le migliori e più moderne tecniche costruttive, rispettando gli standard di compatibilità ambientale, il nuovo impianto di imbottigliamento rappresenta l’ultimo investimento industriale, in termini temporali, realizzato da Birra Menabrea. Una scelta in linea con una strategia aziendale che favorisce lo sviluppo di un processo di produzione efficiente, basato su di un severo controllo dei parametri qualitativi relativi al completo iter produttivo.

Per Birra Menabrea la cura, l’attenzione, la qualità e la naturalità sono prerogative imprescindibili: dalla selezione accurata delle materie prime (prima su tutte l’acqua cristallina delle montagne biellesi, ma anche il malto d’orzo primaverile, il lievito, il mais, il luppolo dell’Hallertau) alla sapiente miscelazione e fermentazione, fino alla filtrazione della birra.
Ad esse, si affianca un processo di produzione che rispetta i tempi della tradizionale: al fine di mantenere intatte le qualità organolettiche ed assicurare una maggiore fragranza del prodotto.
La peculiarità ed il successo di Birra Menabrea risiedono proprio nella capacità di produrre una birra d’élite, che riesce a coniugare il concetto di fatto-a-mano e di rispetto della tradizione ad un ambito produttivo tecnologicamente avanzato

Il Museo Birra Menabrea, la biblioteca della birra ed il Ristorante 

Accanto allo storico stabilimento dell’azienda, a Biella, si trova il Museo della Birra Menabrea, piccola collezione privata  che racchiude un eccezionale patrimonio di cultura e tradizione. All’interno della sede storica, è inoltre presente anche la Biblioteca della birra, che conta più di 300 pubblicazioni e documenti originali in latino, italiano, francese e tedesco, alcuni dei quali risalgono al 1500. Entrambe le strutture sono visitabili su prenotazione.

Annesso alla fabbrica e ricavato dalle vecchie stalle dello stabilimento, si trova inoltre il Ristorante Menabrea, dall’ambiente informale ed accogliente. Presso il locale è possibile cenare abbinando le diverse referenze Menabrea ad una cucina locale tipica e gustosa.

Sito archeologico industriale: Il Birrificio Menabrea
Settore industriale: Settore birraio
Luogo:Biella – Piemonte
Proprietà/gestione: Gruppo Birra Forst www.birramenabrea.com
Testo a cura di:Birrificio Menabrea




Il Molino Stucky a Venezia – ora Hilton Molino Stucky Venice

Il Molino Stucky a Venezia è uno di quei siti di archeologia industriale in Italia nel quale l’efficienza si è sposata con la volontà di erigere una “bella architettura”.

Tra il 1882 ed il 1883, l’imprenditore svizzero Giovanni Stucky scelse l’area estrema dell’isola della Giudecca nella laguna veneziana per dare l’avvio all’attività del primo molino. Con precisione, l’area sul quale sorse era quella della chiesa e convento di S. Biagio e Cataldo, soppresso da Napoleone nel 1809, situati tra il rio di S. Biagio, il canale della Giudecca e il rio dei Lavranieri.

L’iniziativa di Giovanni Stucky fu molto interessante e proficua per la città di Venezia che, per sopperire al fabbisogno della popolazione, è sempre stata strettamente collegata all’attività molitoria dell’entroterra. Il Molino Stucky eliminava cosi una serie di passaggi di trasporto necessari per i molini dell’entroterra.

Il Molino Stucky e la prima fase d’edificazione: efficienza e razionalità

La funzionalità a scopi di efficienza, più che l’ostentazione decorativa , è la caratteristica architettonica del primo molino. Molto presto l’attività produttiva passò da 500 quintali di farina al giorno a 800 e a 1000 e la fabbrica venne ampliata per soddisfare le crescenti richieste. Vennero allargate le fondamenta di S.Biagio e dietro il primo molino fu eretto un edificio a tre piani per il deposito dei prodotti finiti e due case di abitazione per il personale. Nei pressi sorsero anche un edificio per le macchine e l’officina meccanica.

Sul finire degli anni ottanta, vicino al molino principale, dove in precedenza si apriva il campo davanti alla chiesa del convento, venne costruito un secondo molino di simili proporzioni che si affacciava sul canale della Giudecca, formando così una piazza a mo’ di corte. I locali interni del molino erano costituiti da grandi stanzoni senza divisioni, con soffitti a travatura lignea sostenuti da pilastri in ghisa che formavano il tipo di architettura industriale comune ,in questi tempi, alla generalità delle costruzioni adibite a opifici.

Ancora privi di interesse artistico i Molini Stucky si presentavano come una fabbrica a pianta rettangolare dalle rigide linee costruiti su sei piani con finestre ornate da rivestimenti in calcare d’Istria che si snodavano a intervalli regolari lungo le pareti.

Il Molino Stucky e la seconda fase d’edificazione: la bella architettura industriale

La svolta per questo complesso industriale avviene tra il 1895 e il 1897 quando Giovanni Stucky affida la costruzione del silos e della torre d’angolo all’architetto tedesco Ernst Wullekopf di Hannover. Nonostante l’opposizione della Commissione d’ornato, il progetto è rivoluzionario, si rifà infatti ad un modello di sviluppo longitudinale di reminiscenza tedesco- medievale. Uso a vista del cotto, pinnacoli e torricelle desunti da cattedrali e municipi medievali: un vero esempio di eclettismo architettonico. Il complesso Stucky inserisce così, in questa parte di paesaggio veneziano, elementi di indiscussa novità e instaura una vitale dialettica formale e ambientale con il resto della città. Venezia vede dunque sul finire del XIX secolo un’architettura tipicamente nordica in stile neogotico regalando all’archeologia industriale italiana uno dei siti più prestigiosi dell’archeologia industriale italiana.

Nel 1884, all’inizio dell’attività, la possibilità molitoria è di 600 q.ogni 24 ore . Con la costruzione del nuovo silos si raggiungono 2.500 q.al giorno.

Il Molino Stucky dai nuovi ampliamenti alla chiusura

Nei primi anni del ‘900 nuovi ampliamenti interessano il sito del Molino Stucky:

Nel 1903 viene costruzione di un grosso pastificio annesso al molino e nel 1907 vediamo la costruzione del molino autonomo per granoturco dove viene ripreso il repertorio formale del progetto Wullekopf.

Nel 1910 la storia del Molino Stucky si tinge di nero con l’omicidio di Giovanni Stucky per mano di un operaio. Il 22 maggio 1910 La Gazzetta di Venezia diffondeva così la notizia:

“L’orribile assassinio del cav. Giovanni Stucky. Ucciso con un colpo di rasoio a pochi passi dal figlio ingegner Gian Carlo mentre entrava nella stazione ferroviaria. La folla indignata tenta di fare giustizia sommaria. L’enorme luttuosa impressione a Venezia”.

Dopo un rinnovo parziale degli impianti nel 1920-26, ed il passaggio dalla proprietà della famiglia Stucky ad S.p.A. nel 1933, l’attività molitoria chiude definitivamente nel 1955.

Il Molino Stucky oggi Hilton Molino Stucky Venice

Nel 1980 la delibera del Consiglio Comunale stabilisce la ristrutturazione del complesso e la sua trasformazione in centro alberghiero e culturale. Dopo alcuni passaggi di proprietà ,oggi l’edificio del Molino Stucky ospita l’albergo Hilton e centro congressi.

L’Hilton Molino Stucky Venice è stato inaugurato il 1° giugno 2007. L’Hotel a 5 stelle nasce dal sapiente restauro di 13 edifici costituenti dell’antico Mulino Stucky, una delle testimonianze di architettura industriale più note della città di Venezia.

Il mantenimento del nome e della struttura nasce dal desiderio di conservare il ricordo storico e rispettare la volontà del fondatore Giovanni Stucky di “instaurare un rapporto con la città”.

La storia dell’ex-granaio si riflette nelle sue travi imponenti e nei soffitti a forma di silos, nelle torrette appuntite e negli esterni restaurati di mattoni rossi, nei giardini rigogliosi e nelle finestre alte e strette. Il mosaico originale del mulino, rappresentante Demetra, la dea della mietitura, impreziosisce il soffitto della Penthouse Tower.

Un elegante orologio è situato sopra l’ingresso principale di uno degli edifici e la campana originale, che annunciava la fine della giornata lavorativa, è ancora appesa nella lobby.

Il Molino Stucky, composto da 13 edifici distribuiti su nove piani, è una delle costruzioni più alte della città.
L’hotel ospita 379 camere e il più grande centro congressi alberghiero della città, accoglie anche il più grande centro benessere e la prima e unica piscina sul rooftop di Venezia.

Info:
Hilton Molino Stucky, Venice
Giudecca 810, 30133, Venice, Italy Tel: +39 041 2723 311 Fax: +39 041 2723 490
www.molinostuckyhilton.it / vcehi_service_hotline@hilton.com

 

Sito archeologico industriale: Il Molino Stucky
Settore industriale:industria alimentare – macinazione grani e pastificio
Luogo: Venezia – Veneto
Proprietà/gestione: Hotel Hilton
Testo a cura di:Dott.sa Raffaella Giuseppetti .Materiale estratto da “Un castello in laguna. Storia dei molini Stucky” di Raffaella Giuseppetti Edizioni Il Cardo 1995. Per la sezione “Il Molino Stucky oggi : Hilton Molino Stucky Venice” si ringrazia Hilton Molino Stucky Venice




La Fabbrica di liquirizia Amarelli in Calabria

La Fabbrica di liquirizia Amarelli a Rossano, in Calabria, un esempio unico di impresa familiare che ha saputo coniugare tradizione ed innovazione, rappresenta una testimonianza preziosa di archeologia industriale.

 

La pianta della liquirizia, conosciuta ed impiegata da circa 35 secoli, è presente in molti paesi, ma – secondo quanto autorevolmente afferma l’Enciclopedia Britannica – la migliore qualità di liquirizia “is made in Calabria”.

La famiglia dei Baroni Amarelli è legata alla produzione della liquirizia sin dal 1500.
Nel 1731, secondo la tradizione, viene fondato l’attuale “concio”, manifattura di esclusiva proprietà familiare, alla cui attività fu dato particolare impulso nel 1800 con il miglioramento dei trasporti marittimi e con i privilegi e le agevolazioni fiscali concesse dai Borbone a queste industrie tipiche.

Intorno al 1840 abbiamo testimonianza della vasta attività di Domenico – allargata fino alla capitale, Napoli – e di quella dei suoi discendenti, per giungere a Nicola che nel 1907 (come descritto nella Rivista Agraria dell’Università di Napoli) ammodernò la lavorazione con due caldaie a vapore destinate, rispettivamente, a preparare la pasta di radice e ad estrarne il succo, mentre una pompa a motore da 200 atmosfere metteva in azione i torchi idraulici per comprimere di nuovo la pasta e ricavarne altro liquido.

L’azienda Amarelli ha ancor oggi la propria sede in un’antichissima dimora di famiglia, edificio risalente al 1400 almeno per quanto riguarda l’impianto basilare, mentre l’attuale facciata è del 1600 (esclusa un’ala ricostruita duecento anno or sono dopo un incendio). La costruzione, che fa parte dell’Associazione delle Dimore Storiche Italiane, presenta l’aspetto di una struttura di difesa di impronta feudale, con un’imponente corpo di fabbrica al centro di un agglomerato abitativo, costituito dalle case di coloro che operavano nell’azienda.

Il complesso, nella sua interezza, è, purtroppo poco visibile perché la superstrada ha tagliato in due, con un devastante intervento, questo bell’esempio di organizzazione difensivo-lavorativa, ma la mole del palazzo conserva tuttora il suo fascino.

In questo edificio sono alloggiati la Direzione, il Tourist Office, uno shop e il Museum Café; in un’altra ala della stessa struttura è ospitato il Museo della liquirizia “Giorgio Amarelli”, mentre gli uffici amministrativi sono ubicati in un’antica costruzione di recente elegantemente restaurata.

Di fronte, accanto ai capannoni del reparto produzione, svetta la ciminiera della caldaia, museo di se stessa, che porta la data del 1907 e che fu considerata, all’epoca, un impianto modernissimo. Ancora funzionante, anche se non più attiva, veniva alimentata con la sansa, residuo della lavorazione delle olive dopo averne estratto l’olio.

Nei capannoni dove si lavora la liquirizia troviamo ancora una grande macina di pietra del 1700, ovviamente non più utilizzata, che serviva per schiacciare i rami di liquirizia. Qui la lavorazione non è dissimile da quella mirabilmente descritta e illustrata dai grandi viaggiatori del diciottesimo secolo, fra cui l’Abate di Saint-Non, ma ogni processo è adeguato in base alle più esigenti prescrizioni in tema di igiene e sicurezza sul lavoro, tuttavia c’è ancora un “mastro liquiriziaio” che controlla l’esatto punto di solidificazione del prodotto.

Nel centro storico della Rossano antica, vi è, infine, un Palazzo Amarelli risalente alla prima metà dell’Ottocento, dove erano ubicati altri Uffici Amministrativi dell’Azienda, mentre attualmente, al piano terra sul Corso Garibaldi, ci sono ancora le vetrine di un vecchio punto vendita della liquirizia Amarelli allestito con i medesimi arredi di un tempo.

Oggi, la gamma dei prodotti “Amarelli” comprende tutto quanto si può ricavare dalle radici di liquirizia: dal semplice bastoncino di legno grezzo ai prodotti più fantasiosi come il liquore, la birra, la grappa, il cioccolato, i biscotti e altro ancora. Con la sua produzione la Amarelli è presente in tutti i mercati nazionali, in Europa, nell’America del Nord ed in quella meridionale, in Oriente ed in Australia.

Archeologia Industriale: Il Museo della liquirizia Giorgio Amarelli e l’Archivio Amarelli

Il 21 luglio 2001 si è inaugurato il Museo della liquirizia “Giorgio Amarelli”. La famiglia Amarelli ne ha voluto fortemente la realizzazione nel desiderio di presentare al pubblico una singolare esperienza imprenditoriale, nonché la storia di un prodotto unico del territorio calabrese: in mostra preziosi cimeli di famiglia, utensili agricoli, una collezione di abiti antichi da donna, uomo e bambino a testimoniare l’origine familiare dell’azienda e, infine, macchine per la lavorazione della liquirizia, documenti d’archivio, libri e grafica d’epoca.

Il 26 novembre 2011 viene inaugurata una nuova sala del Museo della liquirizia “Giorgio Amarelli”, la galleria della modernità e del presente. Fra antichi tralicci e guidati dalla fascinosa luce di alcune lampade Edison si dipana la storia dell’introduzione dell’energia trasportata e della rivoluzionaria trasformazione avvenuta nell’organizzazione delle imprese e, nello specifico, nel “Concio” Amarelli. Internazionalizzazione, creazione di nuovi prodotti dove la liquirizia si declina con gusto e fantasia, apertura all’alta ristorazione e confezioni rispettose dell’ambiente che riproducono antiche immagini sono in mostra attraverso il filo conduttore dell’elettricità e dell’elettronica con la proiezione verso un futuro sempre più sofisticato e tecnologico.

Con decreto del Ministero per i Beni e le attività Culturali del 20 dicembre 2012 l’Archivio Amarelli è stato dichiarato d’interesse storico particolarmente importante. L’Archivio è conservato presso il Museo della Liquirizia e raccoglie documenti della famiglia e dell’impresa dal 1445 ad oggi.

Il Museo della liquirizia Giorgio Amarelli fa parte dell’Associazione Museimpresa.

Premi e riconoscimenti per la Fabbrica di liquirizia Amarelli

Le liquirizie Amarelli hanno ricevuto, fin dal secolo scorso, una diversi riconoscimenti e premi, tra i quali:

Nel 1987 l’Azienda ha ottenuto la medaglia d’oro della Società Chimica Italiana, per aver saputo coniugare la più avanzata tecnologia con il rispetto della tradizione tipica artigianale.

Nel 1996 l’Azienda è stata cooptata nell’Associazione internazionale “Les Hénokiens”, con sede a Parigi.
Per essere chiamati a far parte di questa associazione è necessario che le Aziende rispondano, contemporaneamente, a tre criteri indispensabili per l’ammissione:

1. antichità, rappresentata da almeno duecento anni di vita aziendale e comprovata da documenti scritti originali;
2. rapporto di filiazione, ovvero che vi sia una discendenza diretta degli attuali proprietari rispetto al fondatore;
3. dinamismo e buon andamento finanziario, nonché le prove di essere un attore del tessuto economico del proprio paese e del proprio mercato.

Il 17 novembre 2001 la Amarelli, ha ricevuto a Venezia il Premio Guggenheim – Premio Speciale Il Sole 24 Ore – assegnato alla migliore azienda debuttante.

Nell’Aprile 2004 le Poste Italiane hanno dedicato un francobollo al “Museo della Liquirizia Giorgio Amarelli” appartenente alla serie tematica “Il Patrimonio Artistico e Culturale Italiano”, emesso in 3.500.000 esemplari.

Nel 2008 l’azienda riceve il premio Leonardo Qualità Italiana e viene chiamata a far parte del Comitato Leonardo, Italian Quality Committee.

Nel 2012 nasce l’Unione Imprese Storiche Italiane, la Amarelli viene invitata ad essere socio fondatore e la vicepresidenza viene affidata a Pina Amarelli la quale, inoltre, ricopre l’incarico di Presidente del Distretto dell’Italia Meridionale.

 

Info:
Museo della Liquirizia Amarelli
SS 106 – Contrada Amarelli 87067 Rossano (CS) Italy
Tel 0983 511 219 www.museodellaliquirizia.it / www.amarelli.it / info@museodellaliquirizia.it
Tutti i giorni è possibile visitare il Museo e di mattina, dal lunedì al venerdì, si può seguire anche il ciclo produttivo dalla radice alla liquirizia.
Le visite sono guidate e vanno prenotate.

 

Sito archeologico industriale: La Fabbrica di Liquirizia Amarelli
Settore industriale: Settore alimentare
Luogo: Rossano – Cosenza -Calabria
Proprietà/gestione: Famiglia Amarelli
Testo a cura di:Museo della Liquirizia Amarelli




Il Pastificio Moro ed il Museo Mulino di Bottonera in Lombardia

Attraverso il libro di Marco Scuffi “Pastificio di Chiavenna. I 145 anni” conosciamo la storia del Pastificio Moro e del Mulino di Bottonera che oggi ospita un interessante museo di archeologia industriale sulla produzione della farina.

Valchiavenna, provincia di Sondrio, tutto è nato per volontà di Carlo Moro (1838-1889). Carlo, che da giovane lavorava come panettiere, cominciò la propria attività fondando un mulino ed un torchio per la macinazione dei cereali a Chiavenna, presso il quartiere della Bottonera, dove sorgevano già da tempo altri opifici, che sfruttavano l’energia motrice fornita dall’acqua di un canale artificiale, la Molinanca, chiuso nella seconda metà del XX secolo.

La costruzione del mulino e del torchio risale al 1867; dopo qualche tempo accanto al nucleo originario fu aggiunto un pastificio che lavorava le farine prodotte. Il mulino Moro funzionava inizialmente a palmenti ma fu successivamente trasformato in un più moderno mulino a cilindri. All’epoca costituiva una delle strutture più avanzate a livello locale dal punto di vista tecnologico, tanto che l’attività di Carlo Moro si impose presto come una delle più importanti del settore nella provincia di Sondrio.
Nel frattempo l’azienda prese i primi contatti con la Svizzera e altri paesi vicini e cominciò ad esportare in Europa il proprio prodotto. Verso la fine del XX secolo l’esportazione raggiunse anche l’America e l’Australia.

Il canale della Molinanca fu chiuso nel 1958, ma i Moro introdussero nel mulino un motore elettrico, in grado di mantenerlo in funzione. Nonostante ciò la necessità di uno stabilimento più moderno spinse l’azienda a trasferire la produzione a Tanno, una frazione del vicino comune di Prata Camportaccio, con la fabbricazione dell’attuale struttura, che aprì i battenti nel 1965. Dopo un periodo intermedio in cui entrambe le strutture funzionarono insieme, nel 1971 il nucleo originario venne abbandonato. Oggi la quinta generazione della famiglia Moro continua a Tanno l´attività iniziata da Carlo.

Il Mulino Moro di Bottonera: Museo della Valchiavenna di Archeologia Industriale

Negli anni ’80 il comune di Chiavenna decise di utilizzare l’area del pastificio Moro per la costruzione di un nuovo polo scolastico: a questo punto però si convenne di conservare il mulino, per il suo valore storico, in vista di una sua futura trasformazione in sezione di archeologia industriale del Museo della Valchiavenna.

Il pastificio fu quindi abbattuto, anche se le scuole che lo sostituirono ne mantennero l’assetto architettonico come vincolo paesaggistico, mentre il mulino fu acquisito dalla provincia di Sondrio e lasciato in comodato alla Comunità Montana della Valchiavenna, che, insieme all’OVVA (Organizzazione Volontari Valchiavenna Anziani e Amici), lo rese nuovamente agibile.

Il 12 settembre del 1997 il museo fu quindi inaugurato, mentre nel 2000 anche la proprietà fu ceduta dalla provincia alla Comunità Montana.  Dopo un ultimo restauro al tetto, del 2012, è nuovamente visitabile.

Descrizione del Museo Mulino di Bottonera

Il mulino si sviluppa su tre piani più un seminterrato. Una struttura simmetrica, che ospita un ampio vano, è destinata alla sala macchine, mentre un vano laterale più piccolo serviva per le operazioni di pulitura e lavaggio dei cereali.

Il seminterrato ospitava la turbina e vi erano collocate alcune macchine per la pulitura. Al primo piano (piano rialzato) sono collocati i laminatoi, mentre al secondo ed al terzo sono i “plansister” e le semolatrici, oltre a vari macchinari per il recupero dei prodotti secondari della lavorazione e per l´insaccaggio. L´aspetto più interessante è costituito dal pregevole lavoro di carpenteria del legno con il quale sono costruite la mescola della farina, le tramogge e l´intero impianto di condutture che consentono, mediante elevatori, il movimento e la selezione dei prodotti semilavorati.

Per informazioni sui giorni ed orari di apertura del Museo della Valchiavenna – Mulino Moro di Bottonera,
contattare il Consorzio per la Promozione Turistica della Valchiavenna al + 39 343 37485

Hanno parlato del Pastificio Moro:

UNESCO Chair Forum University and Heritage – Newsletter clicca qui

Sito archeologico industriale: Il Pastificio Moro ed il Museo Mulino di Bottonera
Settore industriale: Settore Alimentare
Luogo: Chiavenna – Sondrio – Lombardia
Proprietà/gestione: Comunità Montana della Valchiavenna www.cmvalchiavenna.gov.it
Testo a cura di: Marco Scuffi. Per la descrizione del Museo Mulino di Bottonera testo tratto dal sito ufficiale del Consorzio per la Promozione Turistica della Valchiavenna