Anonima Ligure Forniture Acciaio di Tortona – foto di Gianluca Giordano

“Alfa”è per Tortona l’acronimo della azienda Anonima Ligure Forniture Acciaio.

Alfa Tortona paraboloide nervi

Zona Alfa, Tortona – ph Gianluca Giordano

L’Alfa, insieme al cotonificio Dellepiane, è stata la prima “industria” insediatasi a Tortona agli inizi del ‘900, dando il via alla trasformazione urbana aldilà della rete ferroviaria.

Nonostante l’attività dell’originaria ditta genovese sia durata solo una decina d’anni, da oltre un secolo, la sua sigla societaria è riconosciuta nella toponomastica locale come l’appellativo della zona che sta tra la stazione ferroviaria e la circonvallazione, in direzione Castelnuovo Scrivia.

L’ Anonima Ligure Forniture Acciaio di Tortona – L’Alfa di Tortona

L‟Alfa per i Tortonesi è una zona periferica cittadina, aldilà della ferrovia: un tempo un territorio prevalentemente rurale, legato alle coltivazioni orticole e delle fragole, oggi vi prevalgono piccole aziende meccaniche, anche se tra i capannoni trovano ancora spazio esigui fazzoletti di terra accuratamente coltivati. L‟Alfa: fu battezzata così giusto un secolo fa. Ma in realtà si tratta di un acronimo: “Anonima Ligure Forniture Acciaio”. Il nome, quindi, richiama alla mente un‟importante azienda siderurgica che, assieme alla Dellepiane ed al Mulino Torriglia (poi Mulino Fassini), segnò, in quegli anni, un prepotente avvio all‟industrializzazione della città. Portò lavoro (si fabbricava materiale ferroviario) e superò brillantemente gli anni della prima guerra mondiale, durante i quali fu impegnata anche nel preparare materiale bellico: lavorava, infatti, per conto della “Proiettili” di Torino. Nel 1918… continua scaricando l’articolo  Le industrie ed alcune attività tortonesi scomparse – fonte Società storica Pro Iulia Dertona

Acciaio, sale e tabacchi. Storia industriale della zona “Alfa” di Tortona
Mostra documentale a Palazzo Guidobono.

Fotografie di Gianluca Giordano

 

La storia industriale della zona “Alfa” di Tortona torna a rivivere grazie ad una nuova interessante mostra documentale che verrà inaugurata a Palazzo Guidobono il 22 febbraio 2019, alle ore 17,30.

Nei locali della mostra verranno sviluppate le diverse fasi storiche dell’area industriale, in relazione ai principali prodotti trattati dalle aziende che si sono alternate nel corso di un secolo sul sito: acciao, sale e tabacchi.

Dall’acciaio del primo periodo caratterizzato dalla meccanica pesante, passando per lo sconvolgente bombardamento del 1944, fino all’ampliamento coi depositi di tabacchi ed i fabbricati per la lavorazione del sale, voluto dai Monopoli di Stato.

A corollario delle immagini odierne dell’ex sito industriale, saranno esposti diversi documenti d’epoca (disegni, fotografie, video), oltre ad un approfondimento, anche con modelli tridimensionali, dei famosi capannoni del sale, divenuti il simbolo dell’area ed a cui si ispira la grafica della mostra.

Il percorso espositivo si concluderà con l’analisi delle previsioni urbanistiche per la riqualificazione dell’area e la proiezione di un video del sito dismesso realizzato con attrezzature e strumentazioni innovative, ad esempio con l’ausilio dei droni.

“Siamo molto lieti di poter offrire a Palazzo Guidobono un’altra interessante mostra dedicata alla conoscenza della storia e della cultura della nostra Città e del nostro Territorio; in questa occasione i visitatori avranno modo di approfondire interessanti aspetti della tradizione economica tortonese ed ammirare uno straordinario esempio di architettura industriale quali sono i capannoni progettati dall’Ing. Pier Luigi Nervi – dichiara l’Assessore alla Cultura Marcella Graziano. Rivolgo un sentito ringraziamento alla proprietà e a tutti coloro che hanno contribuito all’allestimento, mettendo a disposizione materiale fotografico e documentale che consentirà in particolare ai più giovani di conoscere le caratteristiche di un’area particolarmente significativa di Tortona. Purtroppo, oggi, l’Alfa non è visitabile, per questo ringraziamo il Fai-delegazione di Tortona che le aveva dedicato la Giornata di Primavera 2007, permettendo ai Tortonesi di visitarla ancora una volta”.

La mostra sarà visitabile fino al 31 marzo 2019 nei seguenti orari: il giovedì e venerdì dalle ore 16,00 alle ore 19,00, il sabato e la domenica dalle ore 10,30 alle ore 12,30 e dalle ore 16,00 alle ore 19,00.

Per tutto il periodo espositivo si intende raccogliere contributi fotografici e documentali inediti che potranno contribuire alla futura realizzazione e pubblicazione di un catalogo dedicato alla storia di questa importante area industriale.

Ideazione : Comune di Tortona – Curatore: Arch. Roberto Gabatelli – Coordinamento
generale: Ing. Francesco Gilardone Dott.ssa Luisa Iotti – Allestimento: Amilcare Fossati

Fotografie: Gianluca Giordano Video: Massimiliano Dorigo




La Mappa dell’abbandono: restituire alla comunità il nostro patrimonio

Approvata all’unanimità la relazione sull’Indagine conoscitiva propedeutica alla creazione di una vera propria Mappa dell’abbandono promossa in Commissione Cultura al Senato dalla Senatrice appartenente al Movimento 5 Stelle Michela Montevecchi.

Un promotore, Michela Montevecchi, e più di dieci audizioni, affidate ad esperti del settore e che si sono susseguite da luglio 2015 a gennaio 2016, sono stati indispensabili per portare in Parlamento e dare una prima definizione dello stato attuale del fenomeno del patrimonio culturale in abbandono nella nostra penisola.

Trasformare una problematica in una risorsa, è da questa volontà che l’attività portata avanti dalla senatrice Michela Montevecchi prende forma.

L’Italia, un paese che spicca sopra gli altri per quantità e qualità di beni culturali, presenta tuttavia un lato oscuro: un ingente numero di beni abbandonati o riqualificati e poi destinati nuovamente al degrado poiché privi di una concreta progettazione relativa alla nuova destinazione d’uso.

Recuperare questi beni abbandonati significa non solo riappropriarsi di una parte del patrimonio culturale, ma significa anche agire sulla riqualificazione sociale del territorio, poiché spesso questi siti si trovano collocati in zone periferiche, significa altre sì dare nuove opportunità lavorative ai giovani all’interno delle proprie comunità locali attraverso azioni provenienti dal basso e quindi strettamente legate alle esigenze territoriali.

Per avere un’idea più ampia e chiara possibile del fenomeno, in Commissione hanno partecipato alla realizzazione dell’indagine conoscitiva realtà quali l’Agenzia del Demanio, il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, il FAI – Fondo ambiente italiano, Italia Nostra, Mecenate 90, oltre a docenti universitari, direttori di musei e professionisti del settore.

Incontriamo dunque la Senatrice Michela Montevecchi per approfondire insieme l’argomento.

Intervista alla Senatrice Michela Montevecchi sulla Mappa dell’abbandono

D: Come e perché nasce l’idea di realizzare una Mappa dell’abbandono?
R: L’idea nasce dalla congiunzione fortunata di un omonimo progetto nato nella Regione Toscana, a cui mi sono ispirata tra l’altro per il titolo dell’indagine, e dalla convinzione che sia assolutamente necessario mappare il nostro patrimonio abbandonato se si vuole partire con una seria strategia di recupero, valorizzazione e restituzione alla collettività in termini di fruizione e di creazione di nuove opportunità di lavoro.

D: Quale tipologia di beni comprenderà la Mappa dell’abbandono?
R: Nel corso dell’Indagine Conoscitiva abbiamo “scoperto” che accanto ad un patrimonio culturale materiale ne esiste anche uno immateriale, costituito dai beni etnodemoantropologici. Se consideriamo poi il patrimonio paesaggistico e della cosiddetta archeologia industriale, immagino che la futura mappa dovrà restituire una fotografia il più completa possibile di tutti questi patrimoni.

D: A chi verrà affidato l’incarico di produrre questo documento, ovvero quali realtà e quali competenze sono chiamate in causa per portarlo a compimento?
R: Realizzare una mappatura di questo tipo è un obiettivo tanto ambizioso quanto complesso, sia per la varietà dei patrimoni sia per i vari soggetti interessati e investiti del compito. Un tale lavoro di mappatura la collaborazione a vari livelli istituzionali – Ministeri, Agenzia del Demanio, Regioni, Comuni, Associazioni impegnate nella tutela e nella valorizzazione, Comitati di Cittadini. Solo condividendo le informazioni già in possesso e coordinando le azioni di una strategia comune, sarà possibile ultimare il percorso. È una sfida che deve essere raccolta e vinta.

D: A quali macro categorie possono essere ricondotti i beni individuati perché il lavoro di mappatura presenti una certa omogeneità e possano essere programmate in maniera organica le azioni successive?
R: Se iniziamo l’operazione di mappatura dai beni culturali materiali, le 4 macro aree potrebbero essere: beni demaniali (di proprietà dello Stato); i beni di cui sono responsabili Regioni, Enti locali, Istituzioni o Soggetti pubblici, i beni di proprietà di privati e infine i beni ecclesiastici.

D: Una volta individuati i luoghi della cultura abbandonati, quali sono le azioni e/o gli strumenti che lo Stato offrirà per far si che questi risorgano a nuova vita trasformandosi in motore economico per le realtà territoriali sulle quali insistono?
R: Lo Stato dovrà offrire tutti gli strumenti normativi e le risorse finanziarie a disposizione per favorire le iniziative di recupero e valorizzazione.

D: Quali accorgimenti verranno presi affinché non si ripresentino casi di beni recuperati e nuovamente abbandonati per via della mancanza di un concreto progetto di riutilizzo?
R: Certamente si dovrà procedere con monitoraggi e verifiche programmati.

La Mappa dell’abbandono ed i luoghi dell’archeologia industriale

Tra le audizioni che hanno permesso alla Commissione Cultura del Senato di acquisire importanti informazioni per porre le basi della futura Mappa dell’abbandono, un intervento, per noi che ci occupiamo di archeologia industriale, risulta particolarmente importante: ci stiamo riferendo all’intervento della dottoressa Francesca Santarella, avvenuto in data 27 ottobre 2015, che ha illustrato il progetto «Still alive» condotto dall’arch. Marcello Modica insieme al quale ha pubblicato uno splendido libro su una particolare tipologia di architettura industriale, i Paraboloidi.

D: Ci vuole parlare dunque dell’intervento della dott.ss Santarella e cosa significherà per i beni appartenenti al patrimonio industriale rientrare in questa mappatura?
R: La dott.ssa Santarella ha illustrato il progetto “Still Alive” finalizzato al censimento di edifici appartenenti al patrimonio archeologico industriale che versano in uno stato di accentuato e progressivo degrado. In particolare ha parlato dei cosiddetti paraboloidi, ovvero delle strutture a copertura parabolica tipiche degli anni Venti del secolo scorso. Tale tipologia di architettura rappresenta anche un esempio di come l’originaria natura industriale si possa coniugare con un notevole pregio estetico. Far rientrare questa tipologia di beni nella mappatura significa innanzitutto prendere coscienza dell’esistenza di questo pezzo del nostro patrimonio architettonico e, conseguentemente, ragionare su progetti di recupero che possano dare nuova vita a questi luoghi a beneficio della collettività.

 

Attualmente la Senatrice è in procinto di depositare una Mozione al Governo con la quale chiede allo stesso di dare seguito all’Indagine conoscitiva iniziando a mettere in campo tutte le iniziative utili per intraprendere il percorso che porterà alla realizzazione della mappa.
Archeologiaindustriale.net augura alla Senatrice Michela Montevecchi ed alla sua iniziativa i migliori risultati auspicati.

di Simona Politini
Founder & Project Manager Archeologiaindustriale.net

Note:
L’apparato iconografico è a cura di Marcello Modica (Milano, 1987), architetto urbanista, si occupa di archeologia industriale attraverso un progetto di documentazione fotografica sul territorio italiano ed europeo “Still Alive” (www.st-al.com ). Marcello Modica collabora con università, enti e istituzioni e presenzia a numerose conferenze sul tema. Di recente pubblicazione il suo primo libro “Paraboloidi. Un patrimonio dimenticato dell’architettura moderna” realizzato in collaborazione con la dott.ssa Francesca Santarella (Edifir, 2015).




Paraboloidi. Un patrimonio dimenticato dell’architettura moderna

“Paraboloidi. Un patrimonio dimenticato dell’architettura moderna”, il volume realizzato da Marcello Modica e Francesca Santarella ed edito da Edifir illustra un fenomeno architettonico ancora in gran parte sconosciuto in Italia.

 

I paraboloidi, infatti, nonostante le loro origini ed evoluzione nel corso del Novecento abbiano interessato in modo significativo proprio questo paese, sono delle strutture la cui conoscenza è ancora poco diffusa. Trattasi dei magazzini industriali a copertura parabolica (comunemente detti paraboloidi, sebbene il termine non sia propriamente esatto): maestose volte nervate in cemento armato, unione perfetta tra funzionalità ed estetica, che hanno conquistato una posizione di tutto rispetto nell’architettura industriale legata al Movimento Moderno ed alla produzione seriale – tanto da essere successivamente “esportati” in numerosi paesi europei.

L’obiettivo di questo libro è di fare luce, per la prima volta in Italia, su un patrimonio storico, architettonico e culturale di valore inestimabile che, per la sua natura “industriale”, è costantemente a rischio di estinzione.

I 91 paraboloidi in Italia

Al centro della ricerca vi è un’articolata cronologia che descrive la storia di ognuno dei 91 esemplari realizzati sul territorio italiano tra il 1920 e il 1970 (presenti in tutte le regioni ad esclusione della Valle d’Aosta, Lazio, Molise e Basilicata), con un ricco ed inedito corredo di fotografie d’epoca e attuali, disegni, planimetrie originali, e un cenno ai recuperi effettuati e ai magazzini presenti in territorio europeo.

Tra i numerosi esemplari esistenti alcuni emergono per caratteristiche architettoniche, innovazioni costruttive e dimensioni. In ordine cronologico: il magazzino clinker dello stabilimento Italcementi di Casale Monferrato, primo esemplare di silos parabolico mai realizzato (1922-23); il silos perfosfato della Montecatini di Romano di Lombardia (1924-25); il vasto magazzino fertilizzanti azotati dello stabilimento chimico di Nera Montoro (1929-35); l’insieme dei magazzini del sale progettati da Pier Luigi Nervi, tra cui spiccano gli esemplari di Margherita di Savoia (1933-35), Tortona (1950-51) e Bologna (1954); i “paraboloidi della ricostruzione” della Montecatini presso Crotone (1946-47), Assisi (1948) e Castelfiorentino (1948), poi Legnago (1954-55) quale primo esemplare di paraboloide “tipo Montecatini” – ispirato ai progetti dell’ing. Giulio Borrelli – e Porto Recanati (1955), primo silos parabolico a testata “aperta”; tra le fabbriche consorziali del Nord Italia: Portogruaro (1949, presso la Fabbrica Perfosfati), Mantova (1952, presso la Fabbrica Mantovana Concimi Chimici), Cerea (1953-54, presso la Fabbrica Cooperativa Perfosfati), Piacenza (1954, presso il Consorzio Agrario) e Ravenna (1956-57, presso la Società Interconsorziale Romagnola); il magazzino per solfato ammonico presso lo stabilimento SNIA di Torviscosa (1961); i grandi paraboloidi a copertura continua costruiti dalla Montecatini-Edison a Porto Marghera, in particolare quelli dello stabilimento Fertilizzanti Complessi (1962-67) e del nuovo Petrolchimico (1970-71); i nove paraboloidi gemelli a copertura continua costruiti dalla Edison nel petrolchimico Sincat di Priolo (1956-60); i magazzini per fertilizzanti azotati dell’ANIC di Ravenna (1961-62) e relative riproduzioni di Gela (1962-63) e Manfredonia (1969-70); gli ultimi, enormi silos parabolici costruiti dalla Montedison presso Cirò Marina (1970) e Ferrara (1977).

Tra i pochi edifici recuperati si annoverano i due paraboloidi di Cerea (trasformati in centro congressi nei primi anni Duemila), quelli ex Montecatini di Assisi (recuperati in più fasi tra il 1999 e il 2008, oggi sede di un teatro, spazi espositivi e culturali) e il piccolo pseudo-paraboloide della Cimatoria Campolmi di Prato (interamente restaurato e dal 2009 sede della Biblioteca della città). Notevole anche il recupero a fini di pubblica utilità del paraboloide “Embarcadero” di Caceres, in Spagna, avvenuto nel periodo 2000-2006.

I due paraboloidi della Montecatini di Assisi

I due paraboloidi della Montecatini di Assisi. Il caso di Assisi è tra i più interessanti nel panorama italiano dei paraboloidi, essendo tra l’altro uno dei pochi che ha visto il restauro integrale degli edifici ex industriali. In occasione della ricostruzione post-bellica dello stabilimento di Assisi-Santa Maria degli Angeli la società Montecatini decide di attrezzare la rinnovata fabbrica di perfosfato minerale con un grande silos parabolico con chiave ribassata (intendendo con questa definizione i silos che presentano nastro trasportatore posto in una struttura in c.a. sottostante la chiave di volta) ed estradossi a vista, completato nel 1948 e costituito da due sezioni rispettivamente di 11 e 8 archi parabolici in cemento armato e stazione automatizzata di insacco mediana. Un secondo paraboloide, di dimensioni più ridotte, viene aggiunto poi tra il 1955 e il 1956. La fabbrica di perfosfato cessa l’attività negli anni Settanta e, successivamente, viene acquisita dall’Amministrazione Comunale. Negli anni Novanta si concretizza l’interesse verso il primo dei due silos parabolici. La porzione dell’edificio a nord è riutilizzata a fini ricreativi e ludico sportivi (palestra boxe, bocciofila, bar, piscina), la porzione a sud viene sottoposta ad un recupero conservativo ad opera degli ingg. Roberto Radicchia e Marco Mezzi, per ospitare poi la sede del Teatro Lyrick (inaugurato nel 2000). A distanza di qualche anno anche il secondo paraboloide, in condizioni di grave degrado come il primo, subisce un pregevole restauro (ingg. Giuseppe e Giacomo Ferroni) e si trasforma in spazio polifunzionale per eventi e congressi. In corso la rifunzionalizzazione della torretta centrale del “Morandi”, destinata ad ospitare un museo della boxe ed altre funzioni connesse.

Ai padiglioni di Assisi è dedicata una delle pochissime pubblicazioni italiane riguardanti i silos parabolici, ovvero La ricerca dell’arco perfetto. Da Morandi a Nervi, in ≪Bollettino per i Beni Culturali dell’Umbria≫, III, n. 4, Quaderno 1, 2010.

A proposito dell’origine dei due edifici. I due edifici vengono tradizionalmente fatti risalire a Riccardo Morandi (il più antico) e Pier Luigi Nervi (il secondo), anche se in realtà tali progetti non figurano negli elenchi ufficiali delle opere di costoro. Molto più probabile il coinvolgimento di ingegneri e tecnici interni alla società Montecatini, vista la somiglianza tipologica del primo paraboloide con un altro realizzato precedentemente (1940) dalla stessa società presso lo stabilimento chimico di Crotone. Il cosiddetto “Morandi” presenta caratteristiche di assoluta originalità, come la pensilina costituita da una successione di volte a botte sormontate da aperture a lunetta che si aprono nella volta monolitica in cemento armato. Il “Nervi”presenta invece grandi somiglianze con l’analogo denominato “Nervi”, ex Montecatini, esistente a Porto Recanati.

Gli autori

Marcello Modica, urbanista e fotografo, si occupa da diversi anni di archeologia industriale sul territorio italiano ed europeo. Ha partecipato come guest lecturer a numerose conferenze sul tema (Università degli Studi di Genova, Università Cattolica di Milano, 13° Biennale di Architettura di Venezia, NovarArchitettura) e collabora stabilmente con riviste scientifiche (Urbanistica, Patrimonio Industriale, Industriekultur, Llàmpara Patrimonio Industrial).

Francesca Santarella, studiosa di archeologia industriale, è consigliere comunale a Ravenna dal 2011. Di sua iniziativa la campagna di sensibilizzazione pubblica per la salvaguardia del paraboloide ex SIR.

Titolo: Paraboloidi. Un patrimonio dimenticato dell’architettura moderna
Autore: Marcello Modica, Francesca Santarella – prefazione di Alberto Giorgio Cassani
Casa Editrice: Edifir www.edifir.it
ISBN:978-88-7970-705-3
Lingua:Italiano