La Miniera di Cogne in Valle d’Aosta e il suo Cuore di Ferro

La miniera di magnetite di Cogne nel Parco Nazionale del Gran Paradiso è stata per decenni fonte di materia prima per l’impianto siderurgico di Aosta. Chiusa nel 1979, la miniera è in attesa di diventare un museo di archeologia industriale.

L’insediamento minerario di Cogne, il più importante della Valle d’Aosta, è uno dei più importanti siti di estrazione di minerali di ferro del nostro paese, luogo di lavoro di generazioni di Cognens e di emigrati da provenienti da tutta Italia, cuore pulsante della valle prima che il turismo diventasse la prima risorsa economica, venne sfruttato sin dall’antichità.

Il primo documento relativo al sito risale al 1432. Da quell’anno l’attività di estrazione della magnetite è stata praticamente ininterrotta, ma è con l’inizio del 900 che si avvia l’estrazione su scala industriale, con la costruzione di una filiera che va dalla coltivazione del minerale, alla prima lavorazione del grezzo in loco, al trasporto a valle tramite teleferiche e un trenino fino alla trasformazione in acciaio nell’impianto “Cogne”, ad Aosta. Il villaggio minerario di Colonna, a 2500 metri sul livello del mare, abbarbicato alla montagna come un monastero tibetano, ospitava mensa, dormitori, una chiesa e persino un cinema.

È soprattutto nel periodo dell’autarchia che vengono effettuati i maggiori investimenti, con il passaggio dell’impianto dall’Ansaldo allo Stato. La società rimase pubblica sino alla sua dismissione. Le due guerre Mondiali e l‘intervento statale diedero una forte spinta allo sfruttamento della miniera, dove lavoravano centinaia di operai, provenienti non solo da Cogne, ma da tutte le parti d’Italia. Nel 1940 vennero estratte 350 mila tonnellate di minerale e il personale impiegato alle miniere superò le mille unità.

La crisi degli anni 70 portò alla cessazione dell’estrazione. Formalmente la concessione mineraria rimase attiva: per 34 anni, alcuni dipendenti hanno continuato a lavorare in miniera, per tenere in efficienza e sicurezza gli impianti e fare un minimo di manutenzione ma nemmeno un grammo di minerale è stato più estratto da allora.

Nel maggio del 2014 è avvenuto il passaggio di proprietà. A poco più di cento anni dalla nascita della Società Anonima per Azioni Miniere di Cogne, con la definitiva cessazione della concessione mineraria, si è chiuso formalmente il sipario. Fintecna (la società pubblica ultima detentrice della concessione) ha ceduto la proprietà del sito al Comune di Cogne, restituendo in qualche modo alla comunità la proprietà di questo loro pezzo di storia.

La miniera di Cogne e il Comitato Cuore di Ferro: un museo di archeologia industriale a cielo aperto

Salviamo le miniere di Cogne! Firma l’appello di Legambiente

Salviamo le miniere di Cogne! Firma l’appello di Legambiente

La miniera oggi è una bella testimonianza di archeologia industriale, raggiungibile con un trekking di un paio d’ore non

particolarmente impegnativo: sono ben visibili i resti delle teleferiche per il trasporto del materiale, la funivia per i passeggeri e i tanti edifici. Ma le transenne impediscono l’entrata.

Trasformare quell’enorme complesso fatto di gallerie, impianti di trasformazione, teleferiche e piani inclinati, trenini che si inoltrano nella montagna, terrazze con vista su una corona mozzafiato di montagne non sarà facile e richiede massicci investimenti. C’è chi, a Cogne, si batte da anni per questo obiettivo e si dice convinto che per un progetto del genere possano arrivare facilmente i Fondi europei. Si tratta del Comitato Cuore di Ferro, un comitato spontaneo per la Difesa del Bacino minerario di Cogne e della Ferrovia del Drinc, che ha come obiettivo la riconversione in parco minerario, che condurrebbe i visitatori nel villaggio minerario più alto d’Europa, a 2.500 metri, con gallerie e impianti visitabili, un panorama che va dal Monte Bianco al Gran Paradiso, sulle tracce di generazioni di Cognens e di immigrati. Ma nessun progetto è mai andato oltre il pourparler.

Adesso il sito è perfettamente in sicurezza: Fintecna, prima di abbandonarlo definitivamente, ha dovuto mettere in atto una serie di interventi (raccolta acque all’interno della miniera, messa in sicurezza delle vie d’accesso e delle gallerie interne, messa in sicurezza delle zone esterne).

Il Comitato Cuore di Ferro, animato – tra gli altri – da due discendenti di Franz Elter, mitico direttore-partigiano dell’impianto, ha presentato un piano di fattibilità finalizzato alla creazione di un parco minerario dall’enorme potenziale, una via del ferro che da Aosta conduce i visitatori sino alla miniera, rimettendo in funzione il trenino che trasportava il minerale a valle.

Il trenino in questione in realtà è già stato sottoposto a una serie di interventi per essere adibito al trasporto persone, intorno agli anni 90, ma non è mai stato attivato, a causa di una serie di magagne saltate fuori in sede di collaudo. Il direttore dei lavori è stato condannato a risarcire la cifra record di 13 milioni e la Regione ha stabilito che la ferrovia non potrà mai essere attivata, destinandola allo smantellamento. Anche in questo caso, il Comitato Cuore di ferro non ci sta, perché è convinto che il museo minerario abbia senso solo in una logica di sistema, che parta dall’acciaieria di Aosta e arriva sino alla miniera.

Il Comune di Cogne si è impegnato, nel momento in cui ha rilevato la proprietà del sito, di destinarlo ad attività socio-culturali.

La vicenda della miniera è raccontata – oltreché in un piccolo museo ai piedi dell’insediamento, nel villaggio Anselmetti – anche da un film, “Questa miniera”, realizzato dalla regista Valeria Allievi, che racconta il desiderio della comunità di Cogne, dove ogni famiglia ha avuto un minatore in casa, di mantenere saldo il filo della memoria del suo “cuore di ferro”

Questa miniera di Valeria Allievi | Trailer del 61° Trento Film Festival

 

Informazioni: Fondation Grand Paradis
Villaggio Minatori, 11012 Cogne (Ao) – Tel: +39-0165-75301

Sito archeologico industriale:Miniera di magnetite di Cogne
Settore industriale: Industria mineraria
Luogo: Cogne, Aosta, Valle d’Aosta, Italia
Proprietà e Gestione: Comune di Cogne www.comune.cogne.ao.it
Testo a cura di:Silvano Rubino, giornalista – tratto in parte da articoli pubblicati dal Fatto Quotidiano
Crediti fotografici: Silvano Rubino




Riusiamo l’Italia : da spazi vuoti a startup culturali e sociali

“Riusiamo l’Italia. Da spazi vuoti a start-up culturali e sociali” di Giovanni Campagnoli e postfazione a cura di Roberto Tognetti ci parla della possibilità concreta di riutilizzare gli spazi vuoti nel nostro paese per generare valore culturale e sociale.

Per la prima volta i territori vivono un fenomeno nuovo, quello di trovarsi “pieni di vuoti”: significa cioè che sono diventati molti luoghi abbandonati quali ex-scuole, caserme, fabbriche e capannoni industriali dismessi, cinema chiusi, stazioni, negozi, abitazioni,, uffici vuoti, così come gli spazi finiti e mai aperti… Tutti questi luoghi non abitati dalle persone pongono la questione di individuare nuove funzioni d’uso (anche temporanee) e nuove progettazioni.
La sfida è ricercare le condizioni affinché questi spazi tornino ad essere luoghi significativi per la comunità locale, per fare occasione di sviluppo a partire dai giovani.

Riusiamo l’Italia approfondisce le condizioni facilitanti la gestione di questi luoghi da parte di “startup culturali e sociali” in grado di generare risorse autonomamente al fine dell’equilibrio economico.

I contenuti del libro Riusiamo l’Italia permettono di acquisire conoscenze per l’avvio e la gestione delle startup quali imprese culturali, sociali giovanili che abbiano anche un ritorno (etico) sul capitale investito. Nel testo viene quindi illustrato anche come raccogliere il capitale necessario. Oltre a ciò, tre capitoli sono dedicati alla descrizione dei processi organizzativi che possono portare alla gestione efficace ed efficiente di queste startup.

Il sito www.riusiamolitalia.it affianca il testo per promuoverne le tematiche e raccogliere esperienze di chi sta già lavorando su questi argomenti

Giovanni CAMPAGNOLI

Giovanni Campagnoli lavora in spazi ‘non convenzionali’ di incubazione di start up giovanili innovative, a vocazione creativa, sociale, culturale e di sviluppo locale. Docente di economia dai Salesiani, bocconiano, si occupa di ricerca come direttore e blogger della Rete Informativa Politichegiovanili.it e su questi temi opera anche come consulente e formatore per Enti Pubblici e Organizzazioni No Profit. Lavora a Enne3network ed in Vedogiovane.

Roberto TOGNETTI

Architetto novarese, si laurea con lode nel 1986 con Franca Helg. Negli anni successivi si specializza in ‘Museografia e Museologia’ ed è docente di Architettura d’Interni allo IED di Milano. Lavora presso studi e società d’ingegneria milanesi (Austin Italia Spa, Studio G14 Progettazione) e fonda poi a Novara nel 1990, lo Studio associato architetti FGMT. Negli ultimi vent’anni si occupa però prevalentemente di sviluppo locale attraverso l’ideazione e la conduzione di progetti e piani di azione locale in svariati territori italiani ed europei. Nel 2008 fonda con Giovanni Alifredi Federico Morchio e Gianpiero Oliva iperPIANO che ha costituito il Centro studi horrorVACUI.

Per saperne di più su Il Giornale dell’Arte – Arte e Imprese sezione Spazi Mutanti Spazi Mutati intervista a Giovanni Campagnoli

Acquista online Riusiamo l'Italia

Titolo: Riusiamo l’Italia. Da spazi vuoti a start-up culturali e sociali
Autore: Giovanni Campagnoli – postfazione a cura di Roberto Tognetti
Casa Editrice: Il Sole 24 Ore
ISBN:978-88-6435-578-6
Lingua: Italiano




Il Villaggio Eni di Borca di Cadore in Veneto | Progetto Borca di Dolomiti Contemporanee

Il Villaggio Eni di Borca di Cadore ai piedi del monte Antelao nelle Dolomiti bellunesi nasce per volontà di Enrico Mattei, presidente Eni, agli inizi degli anni ’50 su progetto dell’architetto Edoardo Gellner.

 

Il Villaggio Eni nasce come villaggio turistico per ospitare esclusivamente i dipendenti dell’Eni ad ognuno dei quali, perseguendo la visione di Mattei, spettava la possibilità di soggiornarvi. Elevati standard architettonici, servizi accessibili a tutti, nessuna distinzione gerarchica (le villette venivano assegnate tramite sorteggio) gli conferiscono il nome di “Villaggio Sociale ENI”

VIDEO: Un villaggio per le vacanze – G. Taffarel, 1963, video promo

Il Villaggio Eni di Borca di Cadore, che  si estende su un’area boschiva di circa 130 ettari per un totale di 100.000 mq edificati, caratterizzato da un’ottima esposizione solare e da logisticamente strategico (la famosa località di Cortina d’Ampezzo dista appena 15 km) è  costituito da diverse strutture:

La Colonia , costruita tra il 1955 ed il 1962 per ospitare 600 bambini,  per via della conformazione del terreno, non è costituita da un corpo unico bensì da 17 edifici uniti fra loro da un sistema di collegamenti a rampe coperte che gravitano attorno al grande padiglione centrale.

La Chiesa Nostra Signora del Cadore, iniziata nel 1956 e consacrata nel 1961, vanta della collaborazione di Carlo Scarpa, maestro nell’utilizzo del cemento armato e dell’acciaio. Fulcro dell’intero progetto, essa si colloca su un’altura raggiungibile mediante rampe coperte. Le sue linee verticali, le ampie vetrate sulle falde del tetto a doppi spioventi e l’alta guglia in acciaio ne fanno della Chiesa Nostra signora del Cadore un gioiello dell’architettura sacra contemporanea.

L’Albergo Boite ed il residence Corte, terminati nel 1962, rappresentano solo una parte delle strutture destinate a servizi per gli ospiti della località progettati da  Gellner poi però incompiuti. Il residence era destinato ad accogliere il personale di servizio, mentre l’albergo era costituito da 78 camere distribuite su 6 livelli, cemento e legno i materiali utilizzati per la struttura, rame e pietra per la copertura. Le stanze luminose dotate di terrazzo sono anch’esse caratterizzate da un design elegante e funzionale.

Il Campeggio a tende fisse, ovvero capanne in legno, realizzato tra il 1958 ed il 1961 per ospitare 200 ragazzi.

280 Villette monofamiliari. Originariamente previste in numero doppio,  le villette con tetto a falda unica, sono progettate su piattaforme a mo’ di palafitte che lasciano il piano terra, fortemente inclinato, libero a vista e utilizzabile così  come autorimessa. Le villette, sparse nel bosco, sono pensate per al tempo stesso garantire la privacy familiare e consentire momenti di aggregazione.

Oltre ai servizi satellite realizzati tra  il 1956 ed il 1957,

La firma di Gellner è apposta su ogni singolo aspetto del Villaggio Eni di Borca di Cadore: dall’urbanistica la design  dalla sistemazione delle strade, alla piantumazione degli alberi, al progettazione degli arredi.

Poco dopo la tragica scomparsa di Enrico Mattei (27 ottobre 1962) la realizzazione del villaggio venne interrotta e nonostante successive aperture per un completamento del centro servizi che portano Gellner a elaborare sei progetti tra il 1974 e il 1990, i lavori del Villaggio Eni di Borca di Cadore non ripresero  più.

Dolomiti Contemporanee e il Progetto Borca  per la valorizzazione del Villaggio Eni di Borca di Cadore

Dal 2000, il VillaggioEni di Borca di Cadore  è proprietà del Gruppo Minoter-Cualbu, con cui Dolomiti Contemporanee ha iniziato nel 2014 una collaborazione, sulla base di un progetto di valorizzazione culturale e funzionale dell’insediamento, denominato Progetto Borca.

Oggi infatti, alcune delle strutture del Villaggio (la Colonia in particolare) sono defunzionalizzate, ed è necessario trovare per esse una nuova destinazione d’uso sostenibile, pena l’abbandono ed il degrado di quest’architettura sorprendente e dal potenziale intatto.

In generale, oltre alla Colonia, diverse altre strutture del complesso risultano  oggi sottoutilizzate.
Progetto Borca, inaugurato a luglio 2014, è una piattaforma culturale e strategica che opera al ripensamento e alla rigenerazione del sito nel suo complesso.

L’arte contemporanea è uno dei metodi attraverso cui si è avviato questo processo di ridefinizione funzionale dell’identità del sito. Una Residenza internazionale è ora attiva nel Villaggio, nel quale gli artisti vivono e lavorano.

Per maggiori informazioni sul Progettoborca, programmi e calendari visitate www.progettoborca.net

VIdeo: progettoborca – early glimpses

Sito archeologico industriale:Villaggio Eni di Borca di Cadore
Settore industriale: Villaggio turistico per i dipendenti Eni
Luogo: Borca di Cadore, Belluno, Veneto, Italia
Proprietà e Gestione: Gruppo Minoter-Cualbu
Testo a cura di:per la parte storica Archivio Storico Eni Roma – per il Progetto Borca Dolomiti Contemporanee www.dolomiticontemporanee.net
Crediti fotografici: per le immagini storiche si ringrazia l’Archivio Storico Eni Roma – per le immagini del Villaggio Eni oggi si ringrazia Giacomo De Dona¦Ç2




Il Setificio di Tomioka in Giappone – Patrimonio UNESCO

Il Setificio di Tomioka, nella prefettura di Gunma, a nord-ovest di Tokio, è uno dei più begli esempi di archeologia industriale in Giappone

 

Il Setificio di Tomioka fu costruito dal governo nel tentativo di modernizzare l’industria della seta in Giappone nel 1872, a soli 4 anni dalla Restaurazione Meiji.

Il Setificio era un complesso di fabbrica a larga scala incentrata sul procedimento di lavorazione del filo da seta voluto dal governo Meiji per consentire la produzione in serie di seta grezza di alta qualità. Nel XIX secolo infatti, a seguito dell’apertura del Giappone verso l’Occidente, la domanda di esportazione di seta grezza cominciava a crescere, ma, poiché essa era prodotta artigianalmente, non si era in grado di soddisfare tale domanda.

Il governo decise allora di assumere ingegneri francesi per fondare la fabbrica ed introdurre le tecnologie meccaniche più avanzate per il procedimento di trattura e filatura della seta. Il Setificio di Tomioka ebbe un ruolo importante come modello di fabbrica per diffondere la moderna tecnologia per la trattura della seta in tutto il paese. Il governo reclutò le donne come forza lavoro ed insegnò loro le nuove tecnica in modo da poter diventare leader in quest’attività.

Anche dopo esser stato venduto al settore privato nel 1893, il setificio ha continuato la sua attività mantenendo la propria leadership nella produzione di seta grezza in Giappone fino al 1987. L’attività cesso infine a causa della concorrenza della più economica seta grezza importata da altri paesi asiatici.

Il complesso industriale è formato da diversi edifici storici e strutture. I principali edifici originali sono l’impianto per la trattura della seta, i due magazzini per la produzione di bozzoli, sale macchine, la casa del direttore ed i dormitori per gli ingegneri francesi costruiti nel 1872 e 1873. Si tratta di costruzione di mattoni in legno e muratura, una tecnica introdotta dagli ingegneri francesi.

Dal 2005, il Setificio di Tomioka è stato gestito dalla città ed è stato aperto al pubblico. La fabbrica è un simbolo della modernizzazione dell’industria della seta in Giappone, per questa ragione è conservata come esempio importante del patrimonio industriale.

Dal mese di giugno 2014, Il Setificio di Tomioka è stato iscritto nella UNESCO World Heritage List come “Tomioka Silk Mill and Related Sites””. Questo pezzo del patrimonio mondiale è valutato per il suo contributo allo sviluppo e gli scambi internazionali nel campo della tecnologia della sericoltura e della filatura. Oggi tante persone visitano Il Setificio di Tomioka ogni giorno.

Sito archeologico industriale:Setificio di Tomioka
Settore industriale: Industria tessile
Luogo: Tomioka City, prefettura di Gunma, Giappone
Proprietà e Gestione: Tomioka City
Testo a cura di:
The Tomioka Silk Mill department, Tomioka City email worldheritage@city.tomioka.lg.jp




Nasce la nuova collana Industrial Heritage

Un nuovo progetto editoriale indaga sull’archeologia industriale: Industrial Heritage è il nome della collana diretta dal prof. Massimo Preite ed edita da Edizioni Effigi.

Towards a European Heritage of Industry

Towards a European Heritage of Industry è il primo volume della collana a cura del prof. Massimo Preite con prefazione del prof. Giovanni Luigi Fontana.

Con la pubblicazione del primo numero di “Patrimonio Industriale”, la rivista dell’Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico Industriale (AIPAI), abbiamo visto l’inizio di una rubrica – Forum Heritage – che mirava a fare il punto sulle pratiche di conservazione e la l’avanzamento del patrimonio industriale in Europa.
La rubrica, edita regolarmente da aprile 2010 (numero 5) ad aprile 2014 (numero 12/13), ha ospitato una serie di contributi di alto livello di esperti stranieri, che hanno dato un’ampia panoramica dei problemi e delle prospettive sulla salvaguardia e il riutilizzo di beni archeologici industriali in paesi diversi (Croazia, Spagna, Francia, Germania, Gran Bretagna e Repubblica Ceca).
Agli esperti che sono stati invitati a contribuire è stata data una lista schematica dei problemi da esplorare: una panoramica delle associazioni attive nella difesa del patrimonio industriale, sistemi per la catalogazione e la documentazione di siti di archeologia industriale, il quadro legislativo e normativo per la loro protezione, una selezione di buone pratiche per il riutilizzo e la riconversione delle strutture industriali dismesse, etc.
I loro contributi offrono un quadro molto ampio e di grande attualità, sullo stato di avanzamento per quanto riguarda il patrimonio industriale nei paesi coinvolti. Questo ci permette di vedere fino a che punto le politiche volte a proteggere e salvaguardare questo patrimonio convergono su un nucleo comune di principi, pratiche e teoriche.

Massimo Preite
Massimo Preite è docente di urbanistica presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze. Il suo principale campo di ricerca riguarda la conservazione del patrimonio industriale e il riutilizzo. È vice presidente dell’Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico Industriale (AIPAI). Egli è un membro del consiglio del Comitato Internazionale per la Conservazione del Patrimonio Industriale (TICCIH) e membro del consiglio della European Route for the Industrial Heritage (ERIH). Ha ideato (con Riccardo Francovich) il Masterplan per il Parco Minerario Nazionale delle Colline Metallifere (Toscana).

Towards a European Heritage of Industry

With the publication of the first issue of “Patrimonio Industriale”, the magazine of the Italian Association for the Industrial Archeological Heritage (AIPAI), we saw the start of a column – Heritage Forum – that was aimed at taking stock of conservation practices and the advancement of the industrial heritage in Europe.
The column, which appeared regularly and covered the period April 2010 (issue 5) to April 2014 (issue 12/13), played host to a series of contributions from senior foreign experts, who have given a broad overview of the problems and prospects for safeguarding and reusing industrial archeological assets in
their own countries (Croatia, Spain, France, Germany, Britain, and the Czech Republic).
The experts who were invited to contribute were given a schematic list of the issues to be explored: an overview of the associations active in defending the industrial heritage, systems for listing and documenting industrial archeological sites, the legislative and regulatory framework for their protection, a selection of best practices for the reuse and conversion of abandoned industrial structures, etc.
their contributions offer a very wide-ranging picture, and a very topical picture, of the state of play as regards the industrial heritage in their own countries. This allows us to see how far policies aimed at protecting and safeguarding this heritage converge on a common core set of principles, both practical and theoretical.

Massimo Preite (editor)
He is professor of urban planning at the Department of Architecture at the University of Florence. His main field of research concerns industrial heritage conservation and reuse. He is vice president of the Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico Industriale (AIPAI). He is a board member of The International Committee for the Conservation of Industrial Heritage (TICCIH) and board member of the European Route for the Industrial Heritage (ERIH). He devised (with Riccardo Francovich) the Masterplan for the National Mining Park of the Metalliferous Hills (Tuscany).

 

Il primo volume della collana “Industrial Heritage” può essere ordinato presso qualunque libreria, oppure acquistato con il 15% di sconto sul sito di Edizioni Effigi

Titolo: Towards a European Heritage of Industry
Curatore: Prof. Massimo Preite
Casa Editrice: Edizioni Effigi
ISBN:978-88-6433-470-7
Lingua: inglese




Trekking Urbano: OSTalgie – Il Passato industriale della Bolognina Est

Il 1° novembre, in occasione della XI Giornata Nazionale del Trekking Urbano, l’associazione Save Industrial Heritage propone OSTalgie:  un itinerario lungo la pista ciclabile che copre l’antica tranvia Bologna-Malalbergo.

 

L’antica tranvia Bologna-Malalbergo, che per decenni ha alimentato le industrie della Bolognina Est, oggi è la spina dorsale di un lento ma inesorabile rinnovamento urbano. Un pomeriggio tra il Dopolavoro Ferroviario e la Manifattura Tabacchi, alla scoperta della Bologna dell’industria e del lavoro.

Riscoprendo la Bolognina Est

La Bolognina è stata per tutto il XX secolo il cuore industriale di Bologna, andando a sostituire l’area del vecchio porto all’interno delle mura. Nacque sulla carta nel 1889, quando il piano regolatore definì lo sviluppo di un’intera nuova area urbana oltre la stazione ferroviaria, soprannominata “incipiente Manchester”, a stabilire fin da subito qual era il destino di quel nuovo quartiere e delle migliaia di persone che lo avrebbero abitato. In realtà le cose non andarono subito come previsto, poiché la Bolognina divenne un quartiere dormitorio per ferrovieri e famiglie povere, ospitando il primo nucleo di case popolari edificate a Bologna.
Mentre nell’area a nord della ferrovia si andava formando il bastione operaio di una città che diventava sempre più rossa non solo per il colore dei suoi tetti, a est della Bolognina, lungo la ferrovia che collegava lo zuccherificio ai campi di barbabietole della pianura, si addensavano grandi stabilimenti industriali. All’imponente opificio militare di Casaralta, nato nella seconda metà dell’Ottocento, si aggiunsero negli anni del Fascismo alcuni dei nomi che avrebbero fatto la fortuna economica di Bologna negli anni del miracolo economico. Alla Minganti (macchine utensili) e la Casaralta (treni) si aggiunse negli anni ’50 la maestosa Manifattura Tabacchi progettata da Pier Luigi Nervi, uno dei capolavori dell’architettura industriale italiana.
Oltre a questi tre nomi di rilevanza nazionale e allo storico stabilimento militare vi erano numerose piccole e medie aziende, principalmente metalmeccaniche, che segnarono non solo la storia della Bolognina, ma di un’intera città che visse una nuova rinascita industriale dopo il glorioso periodo della seta nel Medioevo e nel Rinascimento. Tra gli anni ’90 e 2000, una storia fatta non solo di manifattura di livello internazionale, ma anche di lotte operaie, conflitti sociali, Resistenza e morti per amianto viene progressivamente smantellata, lasciando sul terreno fabbriche e infrastrutture abbandonate.

Dati dell’itinerario:
Punto di ritrovo: Locomotiva del Dopolavoro Ferroviario, via S. Serlio 25, Bologna
Data e ora della partenza: 1 novembre, ore 15:00
Durata e lunghezza: 1 ora e mezza, 3 km

Per info:
Save Industrial Heritage Facebook Fan Page

 




MUSEUM Master Specialistico in Museologia Europea – IULM

L’università IULM organizza la V edizione del MUSEUM – Master specialistico in Museologia Europea: apprendimento sul campo presso realtà europee d’eccellenza e lezioni tenute da esperti del settore italiani e stranieri caratterizzano il percorso formativo.

Le lezioni frontali saranno integrate da visite di studio in Italia e 2 viaggi di studio all’estero, che comprenderanno incontri con esperti del settore delle istituzioni ospitanti. Le visite di studio si svolgeranno in diversi musei italiani, mentre i due viaggi in Europa avranno le seguenti possibili destinazioni: Alicante, Dortmund, Barcellona, Basilea, Pirano, Valencia, Glasgow, Tampere. Le spese di viaggio e soggiorno sono comprese nella quota di iscrizione (pasti e altre spese locali sono esclusi). Il programma potrà essere soggetto a modifiche in corso.

Il Master specialistico in Museologia Europea fornirà strumenti e conoscenze per:

• acquisire metodologie e tecniche di progettazione incentrate su spazi espositivi temporanei e permanenti
• apprendere nuove modalità organizzative attraverso l’analisi di casi innovativi nel panorama europeo
• affinare le abilità di analisi e di sviluppo di progetti (museum planning and project enrichment
• conoscere per esperienza diretta istituzioni ed esperti del settore in diversi contesti europei
• familiarizzare con le organizzazioni europee del settore e il relativo linguaggio professionale.

Il Master specialistico in Museologia Europea avrà inizio il 23 gennaio 2015, per terminare il 14 novembre 2015. Le lezioni di didattica frontale si terranno presso l’università IULM, mentre la didattica dislocata e l’addestramento professionale saranno presso strutture museali ed espositive italiane e straniere. Le lezioni, parte delle quali saranno in lingua inglese, si terranno di norma il venerdì e il sabato (anche la domenica in occasione dei viaggi). La frequenza e la partecipazione alle attività didattiche deve coprire almeno l’80% del totale delle ore ai fini del rilascio del diploma.

A completamento del percorso formativo vi è la possibilità di svolgere uno stage con istituzioni italiane e straniere del settore.

Direttore Scientifico: Massimo Negri
Coordinatore Didattico: Matteo G. Brega

Il Master specialistico in Museologia Europea è organizzato in collaborazione con :
EMA – European Museum Academy Foundation (NL)
LEM – The Learning Museum Network Project
FSK– Forum of Slavic Cultures, Ljubljana (SLO)
MUSIL – Museo dell’Industria e del Lavoro-Fondazione Micheletti, Brescia

Per maggiori informazioni clicca qui




La centrale idroelettrica di Fies in Trentino – Alto Adige

La centrale idroelettrica di Fies, frazione del comune di Dro in provincia di Trento, è un dei luoghi della archeologia industriale che oggi rivivono attraverso l’arte contemporanea. 

 

 

Lo sviluppo dell’industria idroelettrica in Trentino Alto Adige

Edificata sulla riva del fiume Sarca, la centrale di Fies iniziò la produzione nel 1909 al fine di coprire il fabbisogno energetico del Comune di Trento, delle utenze industriali della città e delle nascenti tranvie elettriche che erano state progettate per unire il capoluogo alle valli del Noce e dell’Avisio.

La città di Trento già disponeva a quel tempo di un impianto per la produzione di energia idroelettrica nei pressi di Ponte Cornicchio, che sfruttava la forza idrica del torrente Fersina. Benché di ridotta capacità, la realizzazione di questa prima centrale, compiuta nel 1890, costituì una tappa importante per lo sviluppo dell’industria idroelettrica dell’intera area trentino-tirolese. In quel periodo, caratterizzato da un clima di fiducia nel progresso tecnico e sociale e, per il Trentino in particolar modo, tinto da istanze di emancipazione culturale ed economica che di lì a poco sfoceranno in pieno irredentismo, altre municipalità locali seguivano l’esempio della città trentina: Arco (impianto di Prabi, 1892), Riva del Garda (centrale alle foci del Ponale, 1895), Rovereto (centrale alla Flora, 1899), Pergine Valsugana (primo impianto a corrente alternata a Serso, 1893).

Già quindi si evidenziavano le premesse per uno sviluppo promettente dell’industria idroelettrica locale. Se in una prima fase, quasi sperimentale, la realizzazione di questi impianti era rivolta a dimostrare i positivi risultati di una nuova industria (non mancavano atteggiamenti in parte scettici e negli anni antecedenti la costruzione delle prime applicazioni pratiche si svolsero numerose esposizioni pubbliche organizzate dalle società elettriche che fornivano le principali apparecchiature), in un periodo immediatamente successivo sarebbero invece emerse le problematiche inerenti gli aspetti gestionali e organizzativi: la crescita degli uffici tecnici comunali e il loro successivo consolidarsi in forma autonoma quali aziende municipalizzate (questo avvenne in particolare per Trento e Rovereto).

 

La centrale Fies e la sua storia

In questo frangente si colloca la realizzazione dell’impianto di Fies. Posto di fronte alla necessità di espandere l’offerta di energia elettrica per l’industria locale (che in parte già si stava dotando di piccoli impianti privati) e ancor più per le esigenze che scaturivano dalle progettate ferrovie a scartamento ridotto (la sola ad essere realizzata sarà poi la tranvia Trento-Malé), l’ufficio tecnico comunale stava in particolare valutando due alternative: una riguardava lo sfruttamento delle acque dell’Avisio, con centrale a Lavis, a nord di Trento, l’altra l’utilizzazione delle acque del bacino del Sarca. Una terza alternativa prevedeva la realizzazione di una centrale unica insieme con la città di Rovereto, ma l’accordo non venne mai perfezionato vista poi la decisione di Rovereto di realizzare, nel 1906, un importante impianto al Ponale.

Avviati i primi studi sullo sfruttamento del fiume Sarca già sul finire dell’Ottocento, nel 1903 il Comune di Trento ottenne la concessione dal Capitanato distrettuale di Riva. Il progetto iniziale dell’impianto venne sviluppato dall’ing. Domenico Oss e in seguito rielaborato dall’ing. Antonio Fogaroli. La Giunta comunale decise per questo progetto perché giudicato ottimale per la parte idraulica, si osservava inoltre che la maggior distanza rispetto alla soluzione alternativa che prevedeva la centrale di Lavis non avrebbe presentato rilevanti difficoltà tecniche dal punto di vista del trasporto dell’energia elettrica.

L’impianto venne realizzato tra il 1906 e il 1909, sotto la direzione lavori dell’ingegnere municipale Domenico Fogaroli, mentre l’eclettica veste architettonica si deve all’architetto Marco Martinuzzi.

Le caratteristiche, relativamente alla parte idraulica, prevedevano: la derivazione del fiume Sarca a Pietramurata con un canale di alimentazione che conduceva al lago di Cavedine (serbatoio), un’opera di presa nella parte meridionale del lago che serviva il bacino di carico e quindi sette condotte forzate che alimentavano le turbine (Francis) della centrale. Quest’ultima, destinata ad ospitare 2 gruppi a corrente continua da 160 kW e 6 gruppi da 2.000 kVA, nei primi anni di esercizio aveva una disponibilità pari a 3.000 kW. La linea ad alta tensione, in alcuni tratti realizzata con cavo interrato, serviva la stazione di trasformazione principale di Trento, ora demolita.

Già con l’entrata in funzione dell’impianto tuttavia il Municipio di Trento aveva esaurito la quasi totalità dell’energia disponibile per servire l’illuminazione pubblica della città e delle borgate vicine, l’utenza industriale e la tranvia Trento-Malé (inaugurata nell’autunno di quell’anno) per cui si rese ben presto necessaria una maggiore dotazione della centrale che nel 1913 fu portata ad una potenza installata di oltre 6.000 kW.

Nel primo dopoguerra l’impianto di Fies venne ulteriormente potenziato e integrato con la nuova centrale realizzata poco più a valle, nei pressi di Dro, dedicata al Principe Umberto di Savoia. Con la creazione delle imponenti strutture del Secondo Dopoguerra gli impianti del Sarca della città di Trento persero tuttavia la loro importanza relativa: in particolare con la costruzione della centrale di Nago-Torbole, negli anni ’60, l’attività della centrale di Fies venne notevolmente ridimensionata. Passato nel frattempo in proprietà all’ENEL, da alcuni anni l’edificio della centrale ospita incontri culturali ed è sede per spettacoli e performance artistiche.

 

La centrale Fies oggi spazio per l’arte contemporanea

Centrale Fies è un centro di produzione delle arti performative e luogo di sperimentazione e creazione di nuovi scenari culturali all’interno di un centrale idroelettrica in parte ancora funzionante, data in comodato a una cooperativa nata negli anni 80 dall’azienda illuminata di Hydro Dolomiti Enel che ha creduto in questa riconversione dell’energia alla produzione d’arte e all’accompagnamento nella nascita di nuove imprese culturali.

La particolarità dei contenuti e dei progetti nati in questi anni ha una speciale aderenza a questo edificio immerso nella natura più selvaggia del Trentino, per l’esattezza su una frana di epoca post glaciale. Ogni stanza, ogni pavimento, ogni altissimo soffitto hanno ospitato e visto nascere progetti sempre più preziosi e articolati fino al muro di ferro dell’artista Francesca Grilli esposto nel padiglione dell’ultima edizione della Biennale arte.

La centrale Fies è un luogo speciale in cui far nascere opere che poi vengono esportate e vendute sia in Italia che all’estero e sede di un festival trentennale di performing art dove si danno appuntamento importanti direttori di festival stranieri che giungono in un piccolo paese del Trentino a fine luglio per vedere cosa produce l’Italia delle arti performative. Ma non solo. Attraverso questa fervente attività, la centrale Fies si qualifica da anni come incubatore di artisti performativi e visivi che uscendo da questo luogo hanno poi varcato tutti i confini possibili sia di linguaggio che geografici attraversando i festival, i teatri, le gallerie, le biennali d’arte.

Fies Core un hub cultura all’interno della Centrale Fies

Nel 2014 all’interno di questa struttura nasce anche un hub cultura dal nome Fies Core con la mission di sostenere, guidare, accompagnare, lanciare imprese culturali innovative supportandole con attività orientate allo sviluppo e al potenziamento di nuove skill. Fies Core è un luogo dove diverse esperienze e umanità convergono per creare i contenuti culturali più eterogenei: da nuove idee di turismo, al district branding passando per free school filosofiche sulla performance. Inoltre Fies Core crea progetti transettoriali che mette a disposizione di giovani imprese che vogliano sperimentare e iniziare a muoversi nel campo del cultural design e dell’impresa culturale. A chi invece ha già le idee chiare propone un team modulare di art director, graphic designer, image maker,  più un universo parallelo di artisti, web master, fashion designer, illustratori e creativi.

Informazioni
Centrale Fies, Località Fies 1, Dro (Tn)
Tel: +39 0464.504700
www.centralefies.it info@centralefies.it

Sito archeologico industriale:Centrale idroelettrica di Fies
Settore industriale: Industria dell’energia
Luogo: località Fies, Dro, Trento, Trentino – Alto Adige
Proprietà e Gestione: Proprietà dell’immobile Hydro Dolomiti Enel – Gestione Cooperativa Il Gaviale
Testo a cura di:
Per la parte storica si ringrazia il dott. Roberto Marini dello studio associato Viriginia
opere consultate:
Renato Capraro, Edoardo Model, Gli impianti idroelettrici della Città di Trento, Trento 1924
Umberto Zanin, Il carbone bianco. L’energia elettrica nell’Alto Garda. I primi cinquant’anni: 1890/1940, Arco 1998
Acquaenergia. Storia e catalogazione delle centrali idroelettriche del Trentino, a cura di Angelo Longo e Claudio Visintainer, Trento 2008

Per la parte contemporanea si ringrazia l’Ufficio Comunicazione, immagine e relazioni esterne Centrale Fies
Crediti Fotografici: si ringrazia Roberto Marini e l’ufficio comunicazione Centrale Fies




Master in Conservazione, gestione e valorizzazione del patrimonio industriale – MPI

Riaprono le selezioni per il Master in Conservazione, gestione e valorizzazione del patrimonio industriale – MPI per l’anno accademico 2014/2015.

Il Master è istituito dall’Università degli studi di Padova (Dipartimento DiSSGeA), dall’Università IUAV di Venezia, dal Politecnico di Torino, dall’Università degli Studi di Ferrara, dall’Università degli Studi di Cagliari, dal Politecnico di Milano, in cooperazione con l’Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico Industriale (AIPAI), il Consiglio Nazionale delle Ricerche – Istituto per i Beni Archeologici e Monumentali di Lecce.

Il Master si propone di rinnovare e diffondere procedure, metodi e pratiche conoscitive, progettuali e gestionali nel campo del patrimonio industriale in un quadro di cooperazione tra gli operatori economici, culturali e i diversi attori istituzionali.

La scadenza per la presentazione della domanda di preiscrizione è il 20 gennaio 2015

Per maggiori informazioni clicca qui




L’ex Stabilimento Florio delle tonnare di Favignana e Formica in Sicilia

L’ex Stabilimento Florio delle tonnare di Favignana e Formica, recuperato in maniera mirabile, è uno degli esempi di archeologia industriale più prestigiosi della Sicilia, regione con un’economia storicamente legata ai prodotti della terra e del mare.

 

L’ex Stabilimento Florio di Favignana e la sua storia

La genesi dell’ l’ex Stabilimento Florio di Favignana , il più importante e moderno stabilimento industria¬le del Mediterraneo per la lavorazione del tonno, costruito nella seconda metà dell’800 per iniziativa del senatore Ignazio Florio (1838-91), è comprensibile pienamente se si focalizzano alcuni aspetti che non attengono solo al complesso di attività poste in essere dalla più prestigiosa dinastia di borghesi imprenditori siciliani nei settori commerciale, industriale e finanziario, lungo tutto il secolo XIX.
Basti ampliare il campo di osservazione e di indagine, infatti, per rendersi conto di quanto siano antiche e profonde le radici dello Stabilimento e di quanto sia stato rischioso assumere la decisione di costruirlo. L’andamento della produttività delle tonnare delle Egadi, la creazione di un insediamento abitativo a Favignana sin dal XVII secolo, la progressiva formazione, generazione dopo gene¬razione, di una cospicua forza lavoro “specializzata” (raisi, sottopadroni, faratici, muxiari, semplici tonnaroti), in grado di assicurare lo svolgimento del ciclo produttivo, dalla cattura dei grandi cetacei alla lavorazione del pescato, la forte concorrenza interna e internazionale per il controllo dei principali siti di pesca del Mediterraneo, rappresentano solo alcuni dei temi da conside¬rare nella ricostruzione delle origini e della storia del grandioso complesso industriale.

L’acquisto delle isole (tonnare incluse), nel 1874, dai proprietari genovesi Pallavicini, al prezzo convenuto in contratto di 2.750.000 lire, non fu indotto da megalomania, né dettato da esigenze di status simbol del senatore, bensì rappresentò un traguardo nella strategia familiare ottocentesca. La gestione in gabella di diversi impianti di pesca siciliani – Vergine Maria, Arenella, Isola delle Femmine, Marzamemi, Favignana e Formica – era stata sperimentata ripetutamente in passato, con alterne fortune, sia dal padre che dallo zio di Ignazio Florio. Tuttavia, rispetto all’esperimento di semplice conduzione in affitto delle tonnare delle Egadi compiuto dal padre, don Vincenzo, nel periodo 1841-59, è innegabile che il salto di qualità del 1874 sia stato rilevante sotto ogni profilo.

Il primo nucleo dello Stabilimento – il cosiddetto edificio “Torino” – era stato costruito sul versante opposto a quello sul quale sorgevano gli antichi edifici (marfaraggio), per iniziativa del gabelloto genovese Giulio Drago che, dal 1860, aveva preso in esercizio gli impianti, dopo la rinuncia di Vincenzo Florio. Era già nelle intenzioni del Drago trasferire le attività più propriamente industriali in un’area lontana dal centro abitato, in nuovi locali per il confezionamento del tonno in barili sotto sale e in scatole di latta sott’olio.
Solo dopo l’arrivo di Ignazio Florio, nuovo proprietario delle Egadi, a quel corpo di fabbrica si aggiunsero, tra il 1881 e il 1889, i grandiosi magazzini, le sale di confezionamento del pescato e le strutture di servizio per tutti gli addetti, oltre ad una vasta area aperta – denominata camposanto – destinata all’essiccazione delle teste dei tonni, per ricavarne olio per uso industriale.
Fino alla metà degli anni settanta dell’800, il senatore si era avvalso dell’architetto Giuseppe Damiani Almeyda per committenze di lavori da svolgere a Palermo e per la progettazione del palazzo di villeggiatura a Favignana.

Dall’inizio del successivo decennio, invece, il nuovo artefice delle opere da realizzare nelle isole, per conto di Casa Florio divenne l’ingegnere Filippo La Porta, il quale aveva già diretto i lavori dell’edificio padronale favignanese, in assenza del Damiani Almeyda. Quattro grandi tavole di progetto acquerellate, firmate dal La Porta, furono esibite nel 1891 all’Esposizione Nazionale di Palermo, per illustrare non soltanto le dimensioni, la struttura e la funzionalità degli ambienti, ma anche la correlazione tra tipologia architettonica e nuovo modello industriale.

Ignazio Florio affidò la gestione dello Stabilimento a Gaetano Caruso, il più valido dei suoi amministratori: «…egli è il direttore, l’organizzatore, il creatore dello stabilimento, […] non è un semplice amministratore, che si limita ad impiegare le cure di un buon padre di famiglia pel regolare andamento della cosa amministrata […] e sospinto da una passione ardente per lo sviluppo di una industria, che può dirsi sua creazione, egli ne studia con amore indefesso l’organismo, così nei suoi più minuti dettagli come nel suo complesso, ne perfeziona i congegni, ne invigila con instancabile alacrità tutti i movimenti, moltiplicandosi, presenziando tutto, perché rinvigorito dalla potenza della sua ferrea volontà» (da La Settimana commerciale e industriale, 15 maggio 1892).

In questa nuova e moderna realtà produttiva, di molto somigliante alle cittadelle operaie continentali, si riuscì a organizzare un ciclo lavorativo che coinvolgeva alcune centinaia di addetti: «Buttati i pesci dalla barca nell’acqua della spiaggia, vengono immediatamente uncinati in un occhio, legati con corda alla coda, tirati nello sbarcatoio e disposti in tre ordini simettrici. Appena formata la prima fila, sei operai con un’accetta fanno in un attimo quattro tagli: uno per tagliare la testa, la quale vien subito portata via, due trasversali ed uno longitudinale per estrarre le interiora, le quali da un altro operaio, che accorre istantaneamente con un mastello, vengono portate in apposito locale. Appena sventrato il pesce, vien posto sulle robuste spalle di un uomo, il quale lo trasporta in magazzini dal tetto basso da cui pendono innumerevoli corde, alle quali i tonni vengono appiccati per la coda, perché ne possa colare il sangue per parecchie ore. […] Una serie di magazzini è destinata al riempimento delle scatole ed alla conservazione dei prodotti. L’intero stabilimento è illuminato a gas, la cui forza motrice viene utilizzata per estrarre l’acqua da un pozzo e per altri usi» (da La Settimana ecc. cit.). Il tonno tagliato a pezzi veniva cotto in 24 grandi caldaie e, successivamente, posto ad asciugare in ceste di ferro collocate in maga¬zzini ben ventilati. In un altro ampio locale si effettuava la lavorazione delle latte, mediante utilizzo di macchine e saldatrici. Alla citata Esposizione del 1891-92, Casa Florio, nel proprio padiglione dedicato alla pesca del tonno, presentò tarantello e ventresca nelle innovative scatolette di latta con apertura a chiave.

Con la costruzione dello Stabilimento, il rinnovato impulso dato alla pesca e alla commercializzazione del pregiato prodotto, sui principali mercati nazionali e stranieri, fu ampiamente ripagato dal successo, in termini di immagine e di profitto. E anche quando, nei primi decenni del ‘900, le sorti di quello che era stato il più importante gruppo industriale e finanziario siciliano apparivano segnate, lo Stabilimento Florio, pienamente attivo e produttivo, sopravvisse al fallimento della dinastia imprenditoriale, passando, a fine anni trenta, prima nel novero delle aziende di proprietà dell’I.R.I, poi nelle mani degli industriali genovesi Parodi e da questi, infine, alla Regione Siciliana.

 

Il restauro dell’ex Stabilimento Florio di Favignana

Il restauro dell’ex Stabilimento Florio di Favignana, progettato dall’arch. Stefano Biondo, è stato realizzato grazie ai fondi europei del POR 2000-2006; i lavori, avviati dallo stesso arch. Stefano Biondo e poi diretti e completati dall’arch. Paola Misuraca, hanno rappresentato uno dei più significativi impegni, sia dal punto di vista finanziario che professionale, affrontato dai tecnici della Soprintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali di Trapani. Un lungo cammino interdisciplinare, durante il quale architetti, impiantisti, storici, con il supporto di antropologi, amministrativi, grafici, fotografi e studiosi si sono confrontati ed unitamente hanno ricercato e progettato, per restituire alle Egadi, alla Sicilia e non solo, una delle più grandi tonnare del Mediterraneo: circa 32.000 mq la superficie complessiva, di cui oltre tre quarti di superfici coperte; una serie di corti attorno alle quali si articolano e distribuiscono spazi e ambienti diversi per dimensioni e destinazioni d’uso: uffici, magazzini, falegnameria, officine, spogliatoio per gli uomini e spogliatoio per le donne, magazzino militare, stiva, galleria delle macchine, trizzana e malfaraggio (per il ricovero delle barche), locali a servizio della lunga batteria di forni per la cottura del tonno e, svettanti su tutto, tre alte ciminiere. Superficie oggetto d’intervento mq 19.848, superfici di coperture ripristinate 9.000 mq; 27.500 mq di superfici parietali restaurate; circa 16.759 mq di pavimentazioni; 350 mc di legname impiegati per capriate ed orditure, 53.000 ml di cavi elettrici, ecc.

 

Gli spazi museali dell’ l’ex Stabilimento Florio di Favignana

Ex magazzini confezionamento, Antiquarium. Collezione di archeologia delle Egadi
La collezione archeologica esposta comprende principalmente anfore di varia epoca (greco-romana e punica) provenienti dal mare delle Egadi. Sono presenti anche ceppi di ancore greco-romane e puniche in piombo tra cui ne ricordiamo uno, del tipo mobile (cioè smontabile) che reca su un braccio in rilievo l’iscrizione in greco EUPLOIA che significa “Buona navigazione” e che simbolicamente proteggeva l’imbarcazione da possibili disastri. Tra i reperti particolari segnaliamo anche una fiasca in peltro del XIV secolo rinvenuta nelle acque del Bue Marino a Favignana che conteneva ancora il vino originale. Tra i reperti più interessanti spicca un esemplare rarissimo di rostro bronzeo recuperato nelle acquea a Nord-Ovest di Levanzo. Si tratta dell’arma letale che gli antichi usavano per colpire le navi nemiche e che ebbe un ruolo determinante nella vittoria romana il 10 marzo del 241 a.C. quando nel mare di Levanzo cessò la prima guerra punica con i Romani vittoriosi sulla flotta cartaginese.

Ex stiva, “Torino”, video-installazione
La video-installazione “Torino”, a cura di Renato Alongi, nasce da un progetto di raccolta di testimonianze orali presentate in forma visiva, condotto tra un gruppo di anziani operai dello stabilimento Florio di Favignana. L’installazione abitata da 18 autori-protagonisti e altrettante pratiche narrative (conversazioni, discorsi, rappresentazioni) è un’opera tesa a costruire uno spazio entro cui è possibile esplorare dei mondi d’esperienza narrati su celluloide digitale. Microcosmi di pochi secondi che hanno lo spessore semantico di precise memorie. Intensi primi piani, visi tesi, mezzi sorrisi, sguardi.

Ex magazzino della trizzana_ex spogliatoio donne
Mostra permanente di fotografie d’autore della collezione dell’ex Stabilimento Florio delle tonnare di Favignana e Formica. Fotografie di René Burri, Leonard Freed, Herbert List, Sebastião Salgado, Ferdinando Scianna
Negli ex magazzini della trizzana è allestita la prima sezione della mostra permanente, dedicata a Herbert List. La collezione comprende l’intero reportage fotografico, composto da 35 stampe fotografiche moderne in bianco nero, realizzato da Herbert List, a Favignana nel 1951, durante la campagna di pesca della mattanza e della lavorazione dei tonni.
Nell’ex spogliatoio delle donne è allestita la seconda sezione della mostra permanente, comprendente le opere fotografiche in bianco nero di Sebastião Salgado, della serie Workers, realizzate a Favignana agli inizi anni novanta, di René Burri che ritraggono la tonnara negli anni Cinquanta, le opere degli anni Settanta di Leonard Freed e quelle a colori degli anni Ottanta di Ferdinando Scianna.

Ex magazzini del carbone, “The death room”, video-installazione
All’interno degli ex magazzini del carbone si sviluppa la video installazione “The death room”, una sequenza di schermi di grande formato in tulle a maglia larga, che prende spunto, come citazione, dallo schema della camera della morte. Su questi schermi vengono proiettate in loop immagini subacquee di branchi di tonni in attesa del loro destino che si ripete nei secoli e di cui adesso ne resta solo la memoria. Di riverbo, dalla superficie, arrivano in lontananza i canti ritmici, le cialome, le nenie dei tonnaroti già pronti ad alzare le reti.

Ex Magazzini del sale. La pesca del tonno 1924-31
Un documentario inedito girato tra il 1924 e il 1931 dall’allora Istituto Nazionale Luce, capace di aver messo a fuoco cultura materiale (cicli produttivi) e immateriale della pesca del tonno (pratiche incorporate e saperi pratici). Documento poetico dell’era del muto e sonorità contemporanee di Gianni Gebbia, provocano insieme un estraniamento che gioca per dissonanza.

 

L’ex Stabilimento Florio di Favignana – fulcro del turismo delle isole Egadi

L’ex Stabilimento Florio di Favignana, oggi è il fulcro di un’offerta culturale che ha per temi i tanti aspetti della storia e dell’archeologia mediterranea riassunti nei meravigliosi contesti delle isole Egadi. Dalle originali ed esemplari incisioni rupestri paleolitiche della Grotta di Cala del Genovese che ci offrono i fotogrammi di un passato estinto quando le Egadi isole non erano e vaste praterie verdi occupavano l’azzurro intenso del mare odierno tra esse e Trapani dove cervi e cavalli selvaggi scorazzavano ed erano prede dei primi abitanti cavernicoli, si passa alle prime esperienze di osservazione del mare e dei suoi grandi pelagici, tra cui il tonno, dipinti nella stessa grotta alla fine del neolitico. Si giunge, infine, alla storia con gli impianti punico-romani per la lavorazione della salsa di pesce – il garum – di cui gli antichi, soprattutto in epoca romana, andavano particolarmente ghiotti. Ipogei punici e paleocristiani ricchi di vestigia di antichi culti sforacchiano le superfici rocciose di Favignana dove ancora riecheggiano da tempo immemorabile le nenie cantilenanti che annunciano il rito annuale della mattanza.

Nello Stabilimento non echeggiano più le voci dei lavoranti o dei tonnaroti in arrivo dopo le mattanze. Non si sentono più i calderoni ribollire di tonno ed i generatori elettrici ritmare le fasi della fervida vita industriale in un contesto di vivace e spiccata mediterraneità. Oggi lo Stabilimento Florio è un museo di se stesso, che tenta di far conoscere l’epopea di un passato glorioso attraverso immagini, suoni, filmati ed innovative istallazioni multimediali.

Per maggiori informazioni consultare:

Ex Stabilimento Florio della tonnara di Favignana Facebook Fan Page

Ex Stabilimento Florio della tonnara di Favignana e Formica su Issuu.com

ed inoltre

exstabilimentoflorio canale YouTube

Ex Stabilimento Florio tonnara di Favignana su Flickr

Ex Stabilimento Florio su Tripadvisor

 

Sito archeologico industriale:Ex Stabilimento Florio delle tonnare di Favignana e Formica
Settore industriale: Industria ittica – Pesca e lavorazione del tonno
Luogo: Favignana Isole Egadi Trapani Sicilia
Proprietà e Gestione: Proprietà: Regione Siciliana Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana Ente gestore: Soprintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali di Trapani
Testo a cura di: Soprintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali di Trapani
Crediti Fotografici: foto archivio Soprintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali di Trapani – credit:
Renato Alongi, Filippo Mannino, Vitalba Liotti, Paolo Balistreri, Gian-Luigi-Suman, Erika Chaubert Studer




Luigi Micheletti Award 2015: iscrizione entro il 15/09/14 – deadline September 15th 2014

Il 15 settembre 2014 scadono i termini per iscriversi al Luigi Micheletti Award 2015, il prestigioso premio europeo rivolto ai musei di storia contemporanea, industria e scienza.

Il Luigi Micheletti Award è focalizzato sulla storia contemporanea e il suo patrimonio scientifico, industriale e sociale. Questo Premio  è stato istituito nel 1996  dalla Fondazione Micheletti di Brescia e il grande esperto di archeologia industriale e museologia  Kenneth Hudson , per il riconoscimento delle eccellenze nel settore specifico della scienza e dell’industria musei europei. Possono partecipare musei scientifici, tecnici e industriali. Oggi il Premio è aperto anche ai musei di storia del 20° secolo (storia sociale, politica, militare) per riflettere la portata più ampia delle attività della  Fondazione Micheletti ed è gestito congiuntamente dalla Fondazione e da European Museum Academy.

Non perdete l’occasione di approfittare delle opportunità di visibilità e di networking offerti per il vostro museo partecipando alla edizione 2015! Centinaia di musei lo hanno già fatto nei 19 anni di attività del Micheletti Award con importanti risultati di comunicazione.

Il Luigi Micheletti Award 2014 è stato è stato assegnato al MUSE – Museo delle Scienze di Trento

Per partecipare alla nuova edizione del premio scaricate il modulo da compilare cliccando qui.

Il termine ultimo per la domanda è il 15 Settembre 2014.

La Cerimonia del  prossimo anno sarà il 8-9 maggio 2015 nella città di Brescia  per celebrare il 20° anniversario del Micheletti Award. Un evento speciale, una grande occasione per promuovere il vostro museo in Europa. Brescia è a 45’ in treno da Milano dove si terrà l’Esposizione Universale EXPO Milano 2015 sul tema “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”.

Per maggiori informazioni sul premio, i precedenti vincitori e tutto quello che concerne il Luigi Micheletti Award visitate il sito istituito dalla Fondazione Micheletti www.luigimichelettiaward.eu

 

The September 15th, 2014 is the deadline for taking part in the Luigi Micheletti Award 2015, the prestigious European prize for innovative museums in the world of contemporary history, industry and science.

The Luigi Micheletti Award is focused on contemporary history and its scientific, industrial and social heritage. Originally the Micheletti Award was established by the Micheletti Foundation and Kenneth Hudson in 1996, for the recognition of excellence in the specific sector of European science and industry museums. Applications are welcomed from scientific, technical and industrial museums and science centres, both long-established and recently opened. Today the scheme is also open to museum of 20th century history (social, political, military) to reflect the wider scope of the Micheletti Foundation work.

Apply right now, don’t miss the chance to profit from the visibility and networking opportunities offered to your museum by taking part in the scheme. Hundreds of museums have already done so in the 19 years of activity of the Micheletti Award.

Download and fill the form from here

The closing date for applications is the 15 September 2014.

Next year ceremony will  be on 8-9 May 2015 in the town of Brescia to celebrate  the 20th anniversary of the Micheletti Award.  A  special event,  a great chance to promote your museum in Europe.  Brescia is 45’  by train from Milan where  the great Universal EXPO Milano 2015 on the theme “Feeding the Planet, Energy for Life”  a unique global event not to be missed.

THE LUIGI MICHELETTI FOUNDATION – LMF is a research centre located in Brescia (Italy)  specialising in 20th-century history.  Scientific research covers ideologies of the 20th century, wars, the ambivalence of technical progress, industrialization and labour, conspicuous consumption, the origin of environmentalism.  The ideological, social and material contemporary history, led by international researches and conferences, is linked to a rich collection of archival materials www.fondazionemicheletti.eu .

The Micheletti Foundation has recently established an internet site in English specifically devoted to the Micheletti Award where you can find any information concerning applications, former winners and the history of this scheme: www.luigimichelettiaward.eu .