Convegno La centrale idrotermoelettrica del Battiferro: un patrimonio da ri-scoprire

Sabato 7 giugno, presso il Liceo Augusto Righi di Bologna si è svolto il convegno “La centrale idrotermoelettrica del Battiferro. Un patrimonio da ri-scoprire”, gettando le basi per la creazione di un Comitato per la Salvaguardia della Centrale del Battiferro.

La Centrale del Battiferro, da oltre 50 anni versa in stato di abbandono potrebbe rifiorire a nuova vita grazie anche allo sforzo di un Comitato creato ad hoc no solo per sensibilizzare l’opinione pubblica, ma anche e soprattutto per promuovere la realizzazione di progetti concreti di riqualificazione del sito.

Sita lungo il canale Navile, importante are di Bologna che ha visto negli anni il fiorire di numerose attività industriale, La centrale del Battiferro lo scorso dicembre è stata messa in vendita dal comune di Bologna, insieme ad altri prestigiosi beni pubblici, con l’obiettivo di appianare il bilancio comunale.
Rischio o opportunità? Dipenderà da come si evolveranno i fatti, ma per non lasciare la questione in balia di pochi decisori, trattandosi di un bene comune di estremo interesse per la storia industriale della città, un gruppo di persone ha deciso di agire.

Il movimento nasce dalla passione di un giovane geografo di adozione bolognese specializzato sul tema dell’archeologia industriale, il dott. Jacopo Ibello, che già dalla fine dello scorso anno si è mosso per scuotere l’opinione pubblica sull’argomento, attività questa che si è concretizzata, come primo step, attraverso l’organizzazione del primo convegno ufficiale sul tema.

L’evento, organizzato dalle associazioni Save Industrial Heritage – l’associazione appunto presieduta dal dott. Ibello – e Amici delle Acque/Bologna Sotterranea, in collaborazione col Liceo Scientifico Augusto Righi (ricordiamo che proprio lo stesso Righi visitò la centrale nel 1901) che ha offerto anche i propri spazi istituzionali, è stato patrocinato dall’Archivio Storico Comunale di Bologna e dall’AIPAI (Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico Industriale).

Alla convegno sono intervenuti personalità del mondo accademico, professionisti del settore nonché rappresentanti delle istituzioni pubbliche. A seguire l’elenco dei partecipanti in ordine di presenza:

• Prof. Mauro Borsarini: dirigente scolastico del Liceo Scientifico Augusto Righi.
• Prof. Mario Rinaldi: Presidente Associazione Elettrotecnica Italiana.
• Prof. Paolo Pupillo: Biologo, Docente dell’Università di Bologna e Rappresentante nazionale di Italia Nostra.
• Dott. Jacopo Ibello: Presidente dell’associazione Save Industrial Heritage.
• Massimo Brunelli: Vicepresidente dell’associazione Amici delle Acque-Bologna Sotterranea.
• Prof. Giorgio Dragoni: Docente di Storia della Fisica dell’Università di Bologna.
• Claudio Mazzanti: Consigliere comunale e Presidente della Commissione Urbanistica del Comune di Bologna.
• Prof. Giampiero Cuppini: Architetto.
• Moderatore: Prof. Elisabetta Golinelli, docente di Scienze del Liceo Righi.

Aperti i lavori con i saluti del prof. Borsarini, il prof. Rinaldi ha tenuto a sottolineare il forte gap che esiste tra l’Italia ed i paesi stranieri in tema di salvaguardai e promozione della cultura tecnica. Un gap che va sicuramente colmato dal quale dipende il benessere sociale ed economico del nostro paese.
Segue l’intervento del prof. Pupillo che ha raccontato alla platea come in realtà nel tempo alcuni progetti di recupero della centrale fossero stati presentati, ma nessuno di questi vide mai la sua realizzazione.
Il dott. Ibello, dopo un inciso sul forte legame che sussiste tra Bologna e la sua attività industriale e manifatturiera, e dopo aver raccontato la storia della Centrale del Battiferro, ha esposto la propria idea per il futuro del sito, ovvero: utilizzare la centrale come un luogo sociale,un luogo dedicato alla cultura attraverso la gestione dello spazio in una formula temporanea, evitando così di dare una destinazione definitiva che potrebbe fossilizzarlo o, ancora peggio, riportarlo al disuso qualora l’operazione non funzionasse.
Massimo Brunelli ha regalato una panoramica sul ruolo del canale Navile e sulle molteplici attività che sorsero lungo le sue sponde, proseguendo poi con una serie di interessanti scatti realizzati all’interno della centrale che ne dimostrano lo stato di degrado. Tali scatti, sottolinea Brunelli, risalgono però ad un anno fa circa, da allora la situazione è notevolmente peggiorata:immense quantità di rifiuti riempiono ogni angolo della centrale.
Il prof. Dragoni è entrato poi nel merito delle occasione perdute, raccontando nel dettaglio come in realtà un’ingente cifra fosse stata già stanziata su un progetto realizzato dall’Università sfruttando i finanziamenti sui fondi del gioco del lotto, soldi questi però mai arrivati. Dragoni confida in una nuova fase per la centrale, immaginando un graduale recupero della struttura di tipo minimalista – ovvero senza la necessità di onerosi e imponenti modifiche strutturali – aprendola così al pubblico e realizzandone poi un centro culturale.
Il prof Cupini ha ricordato comunque i vincoli d’uso e strutturali, oltre a quelli di tipo economico, ai quali in ogni caso chi andrà ad intervenire sul sito dovrà attenersi.
Ha chiuso l’incontro l’architetto Cuppini ricordando la potenzialità dei Fondi europei: creare occasioni di lavoro per poter accedere a questi interessanti e spesso inutilizzati finanziamenti.

Tanti quindi gli spunti su cui riflettere, ma soprattutto tante le volontà che intendono mettersi in gioco affinché la centrale del Battiferro, stimabile esempio di archeologia industriale bolognese, non vada perduta ed acquisisca invece nuovamente un ruolo importante per la cittadinanza.

Archeologiaindustriale.net era presente al convegno e continuerà a seguire la vicenda.




Il Museo della Carta di Amalfi in Campania

Il Museo della Carta di Amalfi, piccolo gioiello di archeologia industriale, racconta di una tradizione antica in uno dei luoghi più suggestivi della nostra Italia.

Amalfi e la produzione della carta

Non si hanno documenti ufficiali che consentono di determinare gli anni esatti dei primi impianti, ma si può supporre che siano sorti intorno alla prima metà del XII sec. prendendo come riferimento epocale la data (1231) in cui Federico II con le norme “decretali” pubblicate a Melfi vietò ai curiali di Napoli, Sorrento e Amalfi l’uso della carta “bambagina” negli atti pubblicati ed impose la trascrizione degli stessi su pergamena.

Gli amalfitani avevano appreso dagli Arabi le tecniche per la produzione di carta che allora veniva chiamata carta bambagina, dal nome della città araba El Mambig e, anche, secondo altre tesi, dal cotone omonimo.
Poi la carta amalfitana fu usata anche per scritture private, per atti giudiziari e valori bollati in tutte le città dell’Italia Meridionale, presso le corti degli Angioini, degli Aragonesi, del Vicereame Spagnolo e della corte Borbonica. Furono molti gli stranieri che, attirati dalla qualità del prodotto, arrivavano a Napoli per stampare le loro opere sulla carta d’Amalfi.
Quante siano le cartiere sorte nella Valle dei Mulini non é possibile stabilirlo.

Il Museo della Carta di Amalfi

Per iniziativa di uno dei suoi figli migliori, il comm. Nicola Milano, illustre discendente di un’antica stirpe di cartari, Amalfi ha il suo “ Museo della Carta ”. Questo museo ha sede in un’antica cartiera risalente al XIV secolo, o, forse, alla metà del XIII.
La donazione per la Fondazione avvenuta nel 1969 e riconosciuta con decreto del Presidente della Repubblica del 22 novembre 1971 n. 1294 è frutto dell’acquisita consapevolezza del Magister in arte cartarum Nicola Milano dell’incombente pericolo non solo di un ulteriore degrado di questo insediamento, e anche di una definitiva perdita della sua identità, ma soprattutto perché fosse conservata per i posteri la “Storia” della carta a mano amalfitana.

Nella cartiera – museo sono ancora oggi fruibili gli attrezzi secolari usati nella produzione della carta a mano. Ben evidenti gli antichi magli in legno che, azionati da una ruota idraulica, battevano e trituravano gli stracci di lino, cotone e canapa precedentemente raccolti nelle possenti “Pile in Pietra”. L’impianto così ricavato si prelevava dalle pile con opportuni attingiti in legno e veniva immesso nel Tino, diluendolo con acqua. Il “Tino” consisteva in una vasca, rivestita interamente di maioliche, di un’altezza tale da consentire al lavorante in piedi la più comoda delle posizioni. Il lavorante immergeva nel tino un telaio il cui fondo era costituito da una rete metallica a maglie strette e raccoglieva una certa quantità di pasta, distribuendola nella forma. Scolata l’acqua, restava un sottile strato di pasta. Il “Foglio” veniva poi messo su un feltro di lana “Ponitore” e ricoperto di un altro feltro. Molti “Fogli” accatastati insieme con la stessa procedura, venivano poi sottoposti ad una pressa per l’eliminazione dell’acqua residua. Nella cartiera – museo ne esistono due, tuttora funzionanti, risalenti al 1700. Dopo la pressatura i fogli venivano tolti dal levatore e posti l’uno sull’altro creando la così detta “Posta”. Successivamente le “Poste” venivano trasportate nei locali “Spanditoi” per l’asciugatura ad aria. I fogli venivano poi collati con soluzione di gelatina animale e lisciati a mano, previa accurata selezione a seconda della qualità.

L’ambiente della cartiera, nelle sue stratificazioni presenta altri aspetti più “moderni”. Nel 1600, infatti la “pila a maglio” fu sostituita dalle “Olandesi”, nuove macchine capaci di produrre più celermente a costi inferiori. L’esemplare esistente nella cartiera, azionato idraulicamente, fu installato il 18 novembre 1745, come risulta dalla data graffita sull’intonaco di una parte. Questa lavorazione a “mano – macchina” utilizzava, al posto del telaio, un cilindro ricoperto di tela metallica per metà immerso nella pasta di cui sollevava uno strato aderente alla superficie. Lo strato si staccava automaticamente e passava attraverso due rulli feltrati per l’eliminazione dell’acqua. Questa macchina era detta “in tondo” o “a tamburo”. La carta così prodotta a fogli veniva poi messa ad asciugare negli “Spanditoi”.

Il “Museo della carta” si avvale anche di una sala operativa, realizzata in un moderno ambiente sovrapposto, dove vi è una mostra antichi utensili per la fabbricazione e allestimento della carta a mano. A memoria delle numerose cartiere una volta in funzione disseminate lungo il fiume “Canneto”, ora ruderi, e per il godimento dei visitatori. Grande importanza e valore bibliografico assume la dotazione libraria di fonti e testi sulle origini della Carta di Amalfi in lettura presso la biblioteca del museo, in parte donata dal Magister in arte cartarum Nicola Milano fu Filippo.

Informazioni:
Museo della Carta
via Delle Cartiere, 24 – Amalfi
Tel.+ 39 089 83 04 561
www.museodellacarta.it info@museodellacarta.it

Sito archeologico industriale:Museo della Carta di Amalfi
Settore industriale: Industria Cartaria
Luogo: Amalfi, Salerno, Campania, Italia
Testo a cura di: Direttore del Museo della carta di Amalfi




Pirelli HangarBicocca a Milano

Pirelli HangarBicocca, nato nel 2004 dalla riconversione di un vasto stabilimento industriale appartenuto all’Ansaldo-Breda, con i suoi 15.000 metri quadrati è uno degli spazi espositivi per l’arte contemporanea più grandi d’Europa.

Pirelli HangarBicocca affonda le sue radici nel passato industriale del quartiere Bicocca e rappresenta il punto d’arrivo di oltre 140 anni di cultura d’impresa Pirelli.

La storia dell’edificio è strettamente legata alla Breda società fondata nel 1886 dall’Ingegner Ernesto Breda che a partire dal 1903 sposta l’azienda nel quartiere Bicocca. Come lui fanno anche Pirelli, Falck e Marelli, trasformando l’area in uno degli insediamenti industriali più importanti d’Italia.

Nei 200.000 metri quadrati dei nuovi stabilimenti, la Breda produce soprattutto carrozze ferroviarie, locomotive elettriche e a vapore, caldaie, macchine agricole e utensili a cui, durante il primo conflitto mondiale, si aggiunge la fabbricazione di aerei, proiettili e altri prodotti di impiego bellico.

Tra questi stabilimenti c’è anche l’HangarBicocca, allora diviso in corpi di fabbrica diversi per tipologia, origine ed estensione. Lo Shed, per esempio, edificio tipicamente industriale, realizzato con mattoni a vista, di altezza ridotta, con tetti a doppio spiovente e ampi lucernai, è già riconoscibile nelle immagini risalenti alla prima metà degli anni ’20 ed è luogo di produzione di componenti per locomotive e macchine agricole.

Negli anni ’50 lo Shed è ceduto alla Breda Elettromeccanica e Locomotive – prima delle otto sezioni nelle quali si organizza la società dal 1936 – che espande i propri spazi con l’aggiunta, nel 1955, di un edificio cubico voltato a botte che oggi, in HangarBicocca, è lo spazio espositivo chiamato Cubo.

Il capannone che unisce lo Shed al Cubo, eretto tra il 1963 e il 1965, era adibito al montaggio e alla prova di macchine elettriche di grande potenza. Rimasto intatto nelle dimensioni – 9.500 metri quadrati per circa 30 metri di altezza – l’edificio è caratterizzato da tre navate.

A delimitare ad est gli stabilimenti della Breda si trova la ferrovia: una posizione strategica dunque poiché collocata lungo l’asse Milano – Sesto San Giovanni – Monza, prima linea ferroviaria della Lombardia e seconda d’Italia, che garantisce il collegamento con l’Europa continentale tramite il San Gottardo.

Nei primi anni Ottanta la Breda viene ceduta al Gruppo Ansaldo e quasi contestualmente ha inizio un progressivo processo di dismissione delle aree industriali storiche a favore di un quasi totale riassetto urbanistico del quartiere Bicocca. Dopo un decennio di abbandono, l’HangarBicocca (ex Ansaldo 17) è acquistato nel 2004 da Pirelli che ne decide la trasformazione in spazio espositivo per l’arte contemporanea.

Il rilancio del HangarBicocca

Nell’aprile del 2012 Pirelli rilancia HangarBicocca investendo in un progetto di ristrutturazione degli spazi e di completo ripensamento del progetto culturale con l’obiettivo di creare un centro di arte contemporanea di profilo internazionale, aperto gratuitamente alla città, al territorio e a ogni tipologia di pubblico: ogni anno circa 280.000 visitatori italiani e stranieri hanno frequentato le mostre e partecipato ai percorsi e alle attività pensati per avvicinare all’arte contemporanea anche il pubblico non specializzato.

Il progetto nasce dalla convinzione che l’arte contemporanea sia un terreno privilegiato per la ricerca, la sperimentazione e la riflessione critica sui più importanti temi della contemporaneità: valori che appartengono, da oltre 140 anni, alla cultura d’impresa di Pirelli.
Nel corso della sua storia, infatti, l’azienda ha sempre coniugato l’innovazione dei processi produttivi con quella nei linguaggi della comunicazione, partecipando alla creazione di quella “cultura politecnica” che negli anni del boom economico italiano contribuì a superare la tradizionale contrapposizione tra sapere scientifico-tecnologico e tradizione umanistica: un modello che ancora oggi Pirelli ritiene d’ispirazione per uno sviluppo industriale rispettoso della comunità e in grado di raggiungere standard d’eccellenza.

La scelta di investire sull’arte contemporanea e sulla divulgazione presso un pubblico più ampio possibile nasce in forte continuità con questi presupposti: l’arte contemporanea è infatti l’ambito culturale che oggi rispecchia più di altri la ricerca di un continuo confronto tra saperi differenti, la coesistenza di diversi linguaggi espressivi, la vocazione alla multiculturalità.

Oggi Pirelli HangarBicocca è un’istituzione culturale unica nel suo genere, la cui programmazione di mostre personali dei più importanti artisti internazionali si distingue per il carattere di ricerca e sperimentazione e per la particolare attenzione a progetti site-specific, in grado di dialogare con le caratteristiche uniche dello spazio. Inoltre, le attività dedicate al pubblico, ai ragazzi, alle scuole e agli studenti universitari costituiscono una parte fondamentale del progetto Pirelli HangarBicocca. I diversi format HB Kids, HB School, Hb Tour, le visite guidate e le rassegne di film scelti dagli artisti costituiscono un calendario di attività gratuite di grande qualità che coinvolgono il pubblico e lo rendono partecipe in prima persona della vita dell’istituzione.

Le installazioni permanenti al HangarBicocca

La Sequenza, 1971 di Fausto Melotti

Collocata nel giardino di HangarBicocca nel 2010, La Sequenza accoglie il visitatore come una simbolica soglia, momento di passaggio all’arte del presente attraverso l’eredità culturale di un grande maestro del recente passato. L’opera – una composizione di moduli identici costituita da tre livelli di profondità secondo un’alternanza di pieni e di vuoti che rende impossibile coglierla con un unico sguardo – rappresenta il culmine della ricerca di Fausto Melotti, durata oltre quarant’anni, di una scultura anti-celebrativa e anti-monumentale.

I Sette Palazzi Celesti di Anselm Kiefer

L’installazione site-specific I Sette Palazzi Celesti, realizzata per HangarBicocca in occasione della sua prima apertura nel 2004, è costituita da sette torri, del peso di 90 tonnellate ciascuna, hanno altezze variabili tra i 14 e i 18 metri e sono realizzate in cemento armato utilizzando come elementi costruttivi moduli angolari ottenuti dai container utilizzati per il trasporto delle merci.
I Sette Palazzi Celesti rappresentano il punto d’arrivo dell’intero lavoro dell’artista tedesco e sintetizzano i suoi temi principali proiettandoli in una nuova dimensione fuori dal tempo: essi contengono infatti in sé l’interpretazione di un’antica religione (quella ebraica); la rappresentazione delle macerie dell’Occidente dopo la Seconda Guerra Mondiale; la proiezione in un futuro possibile da cui l’artista ci invita a guardare le rovine del nostro presente.

Sito archeologico industriale: Pirelli HangarBicocca www.hangarbicocca.org
Settore industriale:Industria meccanica
Luogo: Milano, Italia
Proprietà/gestione: Pirelli www.pirelli.com
Testo a cura della: Direzione Corporate Culture – Comunicazione
Image courtesy of: Pirelli; Fondazione ISEC – Archivio Storico Breda/Agostino Osio




Il Luigi Micheletti Award 2014 va al MUSE – Museo delle Scienze di Trento

Il MUSE – Museo delle Scienze di Trento si aggiudica il Premio Luigi Micheletti 2014, il più prestigioso premio europeo per i musei innovativi nei settori della tecnologia, del lavoro e della storia del XX secolo.

La consegna del XIX Premio Luigi Micheletti 2014, che si è svolta sabato 26 aprile scorso nella splendida cornice del Riverside Museum di Glasgow (Regno Unito), creazione di Zaha Hadid e vincitore dell’edizione 2012 del Premio, ha visto quest’anno la partecipazione di dodici paesi europei – dalla Repubblica Ceca alla Francia, dalla Norvegia alla Spagna.

L’importanza del Premio è stata ribadita dalla qualità dei musei finalisti: il Museo della Tecnica di Praga, con le sue tredici esposizioni permanenti; la Casa delle Montagne di Berchtesgaden, nel sud della Germania, e le sue spettacolari installazioni curate dall’Atelier Brueckner; le due storiche esposizioni fotografiche collocate in altrettanti edifici industriali dismessi dal Centro Nazionale Audiovisivo del Lussemburgo; il Kaap Skil di Texel, in cui l’affascinante storia di un’isola olandese è raccontata anche attraverso gli oggetti portati dal mare e raccolti dagli abitanti; il Museo Norvegese del Petrolio di Stavanger, vincitore del DASA Award, un premio speciale che incoraggia iniziative museali di particolare originalità e che, in questo caso, riconosce l’attenzione prestata alla sicurezza sul lavoro in un contesto tanto estremo quale quello delle piattaforme petrolifere; infine, e primo, il MUSE.

A ritirare il premio un raggiante Michele Lanzinger, direttore del MUSE. Inaugurato nel 2013, il Museo delle Scienze di Trento è stato selezionato dalla giuria dell’European Museum Academy per la sua capacità di unire, entro una cornice archittonica di grande impatto firmata da Renzo Piano, rigore scientifico e coinvolgimento del visitatore. Come recita il Report ufficiale dei giudici, al MUSE :

Tante idee innovative trovano una felice combinazione con approcci museografici più collaudati. L’approccio orientato a un costante dialogo con i visitatori e la popolazione rappresenta un invito per riconoscere e rafforzare la responsabilità sociale per il nostro ambiente naturale.

Sono già aperte le iscrizioni per la XX edizione del Premio Luigi Micheletti 2015. Clicca qui.

Evento:Luigi Micheletti Award 2014
Testo a cura di:René Capovin – Fondazione Luigi Micheletti

 




I forni fusori del vetro ed il Museo dell’Arte Vetraia di Altare in Liguria

Altare, in provincia di Savona, una piccola cittadina dell’Appennino ligure dove la manifattura del vetro ha origine lontanissime, conserva ancora degli importanti reperti di archeologia industriale come un forno di fusione del XVII secolo. 

Altare e la storia dell’arte vetraia

La storia, e le fonti archivistiche lo confermano, tramanda come l’arte del vetro venne introdotta da una comunità di monaci benedettini stabilitasi ad Altare nel 1130. Grazie all’avvio di questa attività esperti artigiani dalla Normandia e dalla Bretagna giunsero ad Altare, ed ebbe inizio un processo di immigrazione anche dalle altre città di tutta Italia.

Nel 1445 è attestata l’esistenza della prima corporazione, l’Università dell’arte vitrea, sorta per regolamentare l’attività . Alcuni di maestri vetrai svolsero il mestiere in città, altri nelle proprietà situate nelle vicinanze, altri ancora si allontanarono da Altare per impiantare una nuova manifattura o in altre parti d’Italia o all’estero come in Francia, Belgio, Paesi Bassi, Gran Bretagna e – nel XIX secolo – in America Latina, esportando uno stile unico, che ispirata allo stile veneziano, prediligeva la pura creazione a discapito delle finalità funzionali.

Nel dicembre 1856 nasce la Società Artistico Vetraria Anonima Cooperativa facendo seguito ad un accordo tra le 16 famiglie di Altare produttrici di vetro. Queste unirono le vetrerie di Altare in un’unica grande azienda: la Società Artistica di Manifattura del Vetro.

A seguito della II Guerra Mondiale, nonché della Guerra Civile in Italia del 1943, la produzione del vetro di Altare attraversò un periodo di difficoltà. Ad aggravare il tutto ci si aggiunsero l’inflazione e la forte concorrenza straniera che si avvaleva di nuove procedure manifatturiere completamente automatizzate. La tecnica artigianale della soffiatura a mano dei maestri altaresi, se certamente collocava il prodotto a livelli qualitativi superiori, costringeva però a mantenere dei prezzi superiori a quelli di mercato. Tuttavia, la Società Artistico Vetraria fu in grado di superare le difficoltà e di continuare sue attività industriali e commerciali fino al 1978, anno in cui dichiarò il suo fallimento. Nell’asta giudiziaria che seguì , venne aggiudicata a un imprenditore di Abbiategrasso, il Cav Angelo Masserini, il quale si era impegnato a conservare il lavoro a tutti i dipendenti. La S.A.V. prese allora il nome di S.A.V.A.M. Spense i forni nel dicembre del 1992.

L’antico forno di fusione del vetro di Altare – un bene di archeologia industriale da salvare

Per tutto il Medio Evo e nel’età Moderna, il forno conservò la forma da igloo. Diviso in tre sezioni, al piano terreno c’era il focolare, al piano intermedio avveniva la fusione, al piano superiore era collocata la “tempera” dove gli oggetti lavorati subivano un lento raffreddamento. I piani erano in comunicazione tra loro per mezzo di aperture centrali.

Nel centro di Altare, nell’area dell’antica Vetreria Racchetti, spenta nel 1967, si trovano i resti di due
antichi forni fusori da vetro di questa tipologia, attribuiti al XVII secolo. La loro scoperta, risalente al 1991, è stata oggetto di studi e approfondimenti a livello europeo, in particolare da parte dell’associazione francese GenVerrE.

Uno dei due forni è comunque, nelle parti non danneggiate, in buono stato di conservazione.
E’ l’ultimo esemplare rimasto, vincolato dalla Soprintendenza Archeologica, più volte ammirato da archeologi italiani e francesi come un raro tassello della storia della tecnica.

Del forno, carico di quattro secoli di storia, rimangono la parte inferiore, destinata alla combustione, e la volta, che vi è stata posata sopra. La parte inferiore, rimasta integra, presenta quattro fori quadrati, utili all’introduzione dell’aria, necessaria alla combustione della legna consumata nel focolare, per raggiungere temperature all’incirca di 1200°C. La circonferenza del forno è di circa m. 10,50. È circondato da un corridoio, alto circa m. 2, che portava da una parte al forno essiccatore della legna, dall’altra, attraverso un cunicolo, al secondo forno situato a più di 5 metri dal primo, attualmente in pessimo stato di conservazione, destinato probabilmente alla fusione della fritta. Rimane pure pare di una struttura muraria , entro la quale i fornii principali erano inseriti.

Dal confronto dei rilievi fotografici effettuati al momento della scoperta con quelli odierni è possibile
riscontrare come nell’arco di vent’anni i reperti archeologici si siano ulteriormente gravemente deteriorati, per cui un intervento di recupero di queste strutture si rende estremamente urgente.

Il Museo dell’Arte Vetraria Altarese

Nato negli anni ’80 e gestito dall’Istituto per lo Studio del Vetro e dell’Arte Vetraria (I.S.V.A.V.), il MAV conserva la collezione della Società Artistico – Vetraria, ultimo atto di una millenaria storia di produzione vetraria nel paese di Altare, piccolo borgo sulle alture savonesi.

La collezione comprende opere in vetro di tipo artistico, d’uso e per la farmochimica, attrezzature della ex S.A.V., nonché la collezione di libri e riviste conservati nella Biblioteca Specializzata del Vetro. Attività e mostre organizzate in collaborazione con artisti e designer di livello internazionale contribuiscono inoltre alla creazione di una sezione di arte contemporanea.

Sede del Museo è Villa Rosa, preziosa dimora che fa parte di una serie di edifici Liberty che si diffusero nel paese all’inizio del ‘900, in gran parte ancora esistenti. Acquistata dallo Stato nel 1992, dopo i restauri la Villa è stata riportata all’antico splendore e adibita a sede del Museo dell’Arte Vetraria Altarese. Attualmente nei giardini della sede è installata una fornace dimostrativa per la produzione di vetro soffiato che, nel corso dell’anno, viene frequentemente attivata: un’affascinante integrazione della visita museale.

Info
Museo dell’Arte Vetraria Altarese e Istituto per lo Studio del Vetro e dell’Arte Vetraria
Piazza del Consolato 4 17041 Altare (SV) Italy
tel: +39 019 584734 www.museodelvetro.org info@museodelvetro.org

 

Ricette Vetrarie Altaresi#SaveTheDate:

SABATO 10 MAGGIO 2014, ore 17:00
presso il MUSEO DEL VETRO DI ALTARE – Piazza del Consolato, 4 – Altare (Savona)
sarà presentato il libro
Ricette vetrarie altaresi. Note e appunti di fornace
di Maria Brondi Bandano e Luigi Gino Bormioli
Edito da SAGEP Editori

 

Sito archeologico industriale:Forno per la fusione del vetro e Museo dell’Arte Vetraia di Altare
Settore industriale:Industria vetraia
Luogo: Altare, Savona, Liguria, Italia
Proprietà/gestione: Proprietà privata
Testo a cura di: Maria Brondi Bandano




Lo State Textile and Industry Museum Augsburg – TIM in Germania

Il Museo Statale del Tessile e dell’Industria di Augsburg in Germania, collocato all’interno della storico edificio della Augsburg Kammgarnspinnerei (AKS), racconta la storia antica dell’industria tessile.

Prezioso esempio di archeologia industriale, il TIM, inaugurato nel 2010, accompagna i visitatori in un viaggio attraverso il tempo la scoperta della storia del tessile bavarese, partendo dal 1600 sino ai giorni nostri. La collezione museale testimonia la storia del settore tessile non senza dare uno sguardo alle prospettive future in maniera interattiva: 2500 metri quadrati per vedere, sentire, odorare, toccare e creare.

Al Museo Statale del Tessile e dell’Industria di Augsburg è possibile esplorare il sensazionale mondo dei materiali, modelli e colori legati alla produzione dei tessuti. Dagli abiti Biedermeier ai moderni vestiti Streness, il TIM guida il visitatore attraverso 200 anni emozionanti di storia della moda, che a loro volta sono la storia della società. Al TIM è altresì possibile conoscere l’intrigante mondo della tecnologia e delle macchine legate alla produzione. Telai storici affiancano macchinari moderni ad alta tecnologia per fornire una significativa esperienza.

3 I principali percorsi all’interno del TIM.
ll primo percorso esplora il processo di produzione tessile: dalle fibre tessili, alla filatura, alla tessitura. All’interno di questo percorso è presente una sezione dedicata alle mode degli ultimi due secoli. Il
secondo percorso racconta la storia dei lavoratori e degli imprenditori la cui vita è stata plasmata dal settore dal 19° secolo in poi. Il terzo percorso verte sulla collezione della New Augsburg Calico Factory (1780s-1990), che contiene più di 1,3 milioni di modelli di tessuto stampato.

Il servizio di didattica è un altro degli aspetti del quale il TIM ha molta cura. Per i bambini è stato realizzato un percorso separato attraverso il museo in cui tutto è pensato per essere provato. I processi di pettinatura della lana, di filatura e la stampa dimostrano un’attenzione particolare verso i più piccini

All’interno del TIM si trova il Museum Restaurant Nunò nonché la possibilità di affittare sale per eventi e conferenze dotate delle più moderne tecnologie, per una capienza massima di 800 persone

Sede del Museo Statale del Tessile e dell’Industria di Augsburg è la ex fabbrica di filati Augsburg
Kammgarnspinnerei ( AKS ). La Augsburg Kammgarnspinnerei, fondata ne 1836, essa è stata una delle aziende tessili storiche di Augsburg. La città tedesca di Augsburg , infatti, è stata uno dei centri più importanti del settore tessile in Europa. Nel 1986 l’azienda contava ancora 680 impiegati, ma purtroppo, colpita anch’essa dalla crisi del tessile, ha interrotto la produzione nell’aprile del 2004.

Il Museo Statale del Tessile e dell’Industria di Augsburg nel 2011 è stato insignito del Premio Luigi Micheletti come Miglior Museo Industriale, Tecnico e della Scienza d’Europa.
Qui la presentazione del TIM di Augsburg, in occasione del Micheletti Award 2011. Espone il direttore dottor Carlo Borromeo Murr.

 

Sito archeologico industriale: TIM | State Textile and Industry Museum Augsburg
Settore industriale:Industria tessile
Luogo: Augsburg, Germania
Proprietà/gestione: tim | State Textile and Industry Museum Augsburg ex Augsburger Kammgarnspinnerei – Provinostraße 46, 86153 Augsburg, Germany www.timbayern.de
Testo a cura di: TIM Press Office
Image courtesy of: Eckhart Matthäus www.em-foto.de




Crespi d’Adda: una location d’eccezione per la Percassi

Esiste un luogo magico che è il Villaggio operaio di Crespi d’Adda ed una grande azienda che è la Percassi, in comune le terre bergamasche e due imprenditori illuminati. Oggi Crespi d’Adda e la Percassi si fondono in un’unica realtà.

Lo scorso mese di ottobre l’imprenditore Antonio Percassi ha perfezionato l’acquisto della storica fabbrica facente parte del complesso industriale di Crespi d’Adda, monumento di archeologia industriale e sito protetto dall’UNESCO.

Abbiamo incontrato Giorgio Ghilardi, Presidente della “The Antonio Percassi Family Foundation” che ci ha raccontato la nascita e le aspettative di questa nuova realtà.

D: Com’è nata l’idea di investire su Crespi d’Adda?

R: Tutti i sogni, prima di diventare realizzabili, hanno una trafila lunghissima. L’Ing. Antonio Percassi, a capo della società che porta il suo nome e che sta sviluppando le proprie attività nel mondo, già da un po’ di tempo era in cerca una sede prestigiosa. Il forte legame esistente tra la persona e la propria terra natia ha spinto l’ingegnere a rivolgere lo sguardo oltre i più classici centri del commercio quali: Milano, Firenze o Roma,  indirizzandolo verso le potenzialità, gli sviluppi ed i luoghi legati alla terra di Bergamo.

Non si può dire mai per puro caso, perché alla fine il caso è sempre illuminato da uno sguardo significativo, ma una volta, passando per l’autostrada Bergamo-Milano che lui percorre spesso, Antonio Percassi ha visto il Villaggio Crespi ed ha chiesto di potersi fermare. Il Villaggio Crespi era già molto presente nel suo immaginario più che in termini reali, come del resto in tutta la nostra area.  Son di quegli accadimenti che non si riescono bene a spiegare, ma è stato feeling immediato. “Questo è il luogo dove mi piacerebbe collocare la sede della mia azienda” sono state le parole dell’Ing.  Percassi.

Certo che dal “mi piacerebbe” alla realizzazione la trafila è stata ed è complessa, se si pensa che l’acquisizione è stata possibile solo dopo quasi due anni di verifiche, ovvero nel momento in cui sono state presenti tutte le condizioni per realizzare quello che l’Ing. Antonio Percassi aveva in mente: collocare la Percassi e la sua attività lavorativa.

D: Qual è la vostra idea futura di Crespi d’Adda?  

R: L’idea di fondo è quella far rivivere il villaggio come un’esperienza di vissuto. Crespi d’Adda nasce non solo come attività produttiva, ma anche come luogo dell’abitare. Allo stesso modo,  dando  continuità allo spirito che ha mosso la nascita del sito,  noi desideriamo che Crespi d’Adda sia anche un luogo dove allacciare relazioni, dove vivere l’esperienza del lavoro a 360 gradi.

Se è quindi vero che non verrà recuperato il sito in termini di continuità lavorativa, tuttavia la riconversione al terziario comporterà la collocazione di centinaia di persone e tutto ciò che ne consegue. Attraverso l’inserimento di attività che andranno a toccare il settore del food come il settore del wellness come il settore culturale, puntiamo alla rivitalizzazione del sito  in una visione di benessere fisico e intellettivo

È chiaro che  le idee vorremmo farle nascere non solo a tavolino, ma vivendo il posto. Quindi, a poco a poco, mentre l’esperienza del vissuto prenderà corpo, cercheremo di capire quali saranno le esigenze di chi prenderà parte a questa esperienza.  Questa sorta di ristrutturazione avrà quindi degli step, primo tra tutti: l’inserimento  degli uffici perché la Percassi trovi sede e via via lo sviluppo di tutto il resto.

D: Quali rapporti vedremo svilupparsi con l’Amministrazione locale nonché con le varie realtà legate a Crespi d’Adda?

R: Noi ci inseriamo in un sito che ha la sua storia, ma che ha anche alcune sue progettualità. L’Amministrazione Comunale, appena cambiata, ha ripreso la sfida del dialogo con l’Associazione Siti Unesco impegnandosi nel portar avanti quello che è il Piano di Gestione necessario affinché il sito possa continuare a far parte della World Heritage List. Così, la Percassi, insieme alla altre realtà coinvolte, quali il Parco Adda Nord, nonché le associazioni locali, parteciperà  al perseguimento di questo obiettivo.  La nostra politica sarà improntata alla piena collaborazione per permettere al sito di ritornare allo splendore di una volta e di parlare ancora alle nuove generazioni di quella che è la sua  storia industriale ed il suo vissuto.

La società Percassi  e Crespi D’Adda

D: Che propositi avete riguardo al recupero della fabbrica?

R: Il recupero avverrà per step.  Il primo passo sarà quello di recuperare gli uffici, si parla di una superficie tra i dieci ei venti mila mq, perché è necessario ed urgente che il la Percassi trovi sede. Tuttavia, proprio perché si vuole agganciare il progetto nella sua complessità, gli architetti stanno lavorando ad un progetto globale che non è stato ancora comunicato e che vede di giorno in giorno un evolversi degli interventi.

La fabbrica ospiterà dunque gli uffici della Percassi oltre ai servizi terziari e la sede della Fondazione. Non si esclude l’ipotesi di realizzare anche un’area destinata ad una piccola produzione d’eccellenza attraverso lo studio e la ricerca che farebbe diventare il sito più riconoscibile a livello industriale, ma non è la priorità. Certo, problemi di spazio non ce ne saranno, visto che si parla di un totale di 80.000 metri quadri coperti.

D: Avete già pensato alla tipologia di museo che potrebbe essere ospitato all’interno della fabbrica?

R: Al momento non è ancora stata definita né la tipologia di museo che andrà a collocarsi all’interno della fabbrica, né la sua gestione. Siamo comunque indirizzati verso lo sviluppo di un museo un po’ unico, potenzialmente con uno sguardo nazionale e legato al tema dell’arte che ci permetterebbe poi di lavorare per la cultura locale, nazionale e mondiale. Abbiamo a disposizione ampi spazi che ci permettono di pensare ad un grande museo per dare il giusto valore ad un sito UNESCO quale Crespi D’Adda è. L’Ing.  Antonio Percassi ci tiene a far si che la storia che ci viene data in consegna  venga sviluppata in modo molto ampio, era già un sogno Crespi per allora e lo vuole essere ulteriormente oggi. Abbiamo un imprenditore di larga apertura, sognare in grande è sicuramente una delle sue caratteristiche.

Tuttavia sul piatto della bilancia c’è un altro obiettivo  importante e prioritario in termini di programmazione: il recupero dell’archivio della fabbrica e la sua ricollocazione in sede, riportando le cose dove in origine erano. Attualmente la documentazione cartacea e fotografica  è conservata presso il la sede del comune sotto la cura dell’ing. Rinaldi che, a richiesta, accompagna gli studiosi in un viaggio a ritroso alla riscoperta della storia di Crespi d’Adda. Il lavoro di archiviazione e digitalizzazione che andremo ad intraprendere è la premessa per la creazione di percorsi turistici dedicati alle scuole come agli adulti.

D: Sono presenti ancora macchinari all’interno della fabbrica?

R: Si, all’interno della fabbrica c’è ancora qualche macchinario, difatti stiamo cercando di recuperare anche solo alcuni dei procedimenti industriali di allora. Chiaramente questo sarà un lavoro che richiederà tempistiche abbastanza lunghe, ma che ci consentirà di metterci in relazione con le realtà manifatturiere del posto che potranno dare il  proprio contributo al progetto.

D: Cosa significa impegnarsi nella riqualificazione di una location così ricca in termini di storia, nonché attivarsi in interventi di ripristino su beni sottoposti a vincoli di tale calibro?

R: Il sito è grande e l’investimento altrettanto.  Vincoli sul sito rendono complesso qualsiasi tipo di intervento necessitando di un continuo lavoro di mediazione.  Ogni tanto ci diciamo che “il sogno sono anche le pazzie”. L’impegno della società è quello di valorizzare questo sito, ovviamente  tenendo presente lo sviluppo futuro e recuperandolo nel miglior modo possibile; questo è un regalo anche per l’Italia che desideriamo portar avanti.

D: Come intendete porvi nei confronti della comunità locale residente all’interno del sito?

R: La gente che abita il sito, che sono soprattutto i figli dei figli dei dipendenti della fabbrica, è gente che  ama il posto e che manifesta palesemente la voglia di recuperare il sito. Da un po’ di tempo attendevano  qualcuno che credesse in Crespi d’Adda e decidesse di investire per la sua rinascita. Certo  vivono questo momento di cambiamento con gran attenzione: sono molto attenti alle notizie, al fatto che si facciano le cose per bene, ad essere coinvolti. La nostra intenzione è quella di renderli edotti  su ciò che verrà fatto, cercando una  collaborazione. Sono gli abitanti di Crespi d’Adda che vivono e fanno vivere il sito accogliendo  visitatori e turisti verso i quali sono da sempre ben intenzionati ed accoglienti. Inoltre, la rivitalizzazione del sito insieme alla realizzazione di nuovi servizi sono i presupposti per la creazione di posti di lavori disponibili.

“The Antonio Percassi Family Foundation” – promuovere il territorio attraverso la cultura

D: Quali sono gli scopi della “The Antonio Percassi Family Foundation”  ?

R: La Fondazione nasce per volere del fondatore con il preciso intento di realizzare grandi iniziative, che possano dare lustro al territorio bergamasco nei suoi più diversificati aspetti e settori.

L’attenzione ai poveri e in particolare ai bambini sarà il motore catalizzatore e il cuore pulsante dell’attività solidale della fondazione.

Grande impegno è poi lo sviluppo di tutte quelle azioni volte a migliorare la “cultura” nel senso più ampio del termine, in questa nostra meravigliosa terra che è l’Italia e in particolare Bergamo.

Il sostegno alla realizzazione di grandi opere sarà un ulteriore impegno dell’attività della Fondazione, ed è proprio in virtù di questi principi che l’Ing. Percassi ha voluto già finanziare interamente il “Giardino della Pace di Papa Giovanni XXIII” a Sotto il Monte.

D: A chi sarà affidata la programmazione culturale nonché la sua realizzazione e gestione?

R: La fondazione è appena partita (“The Antonio Percassi Family Foundation” è stata fondata il 4 di ottobre 2013 ndr.) ed al momento siamo in una fase di raccolta delle proposte che ci stanno pervenendo che sono delle tipologie più varie: da progetti legati ai bambini ed allo sviluppo dell’infanzia, a progetti legati al turismo, all’arte contemporanea, sino alle proposte più eccentriche. Siamo nella fase dell’ascolto. Ad ogni modo prima dobbiamo capire la direzione che prenderà l’attività culturale: se farà a capo a noi direttamente, ed in quel caso dovremo creare una struttura organizzativa, o se un’istituzione già con la sua storia entrerà dentro il sito e si prenderà in carico questo aspetto.

Milano EXPO 2015

D: L’inaugurazione del sito è prevista per il 2015, anno in cui Milano ospiterà l’EXPO, Crespi d’Adda/Percassi – EXPO. Cosa c’è da aspettarsi da questa contingenza?

R: Il sogno al quale l’Ing. Percassi non rinuncerà mai è proprio quello di iniziare l’attività all’interno di Crespi d’Adda durante l’Expo. L’impegno della costruzione è enorme. La squadra disponibile c’è già, bisogna capire se tutta la tipologia di permessi necessari a procedere arriverà in tempo.

 

Images courtesy of:
Associazione Crespi d’Adda  www.crespidadda.it
Vincenzo del Franco, fotografo info@vincenzodelfranco.it




Torviscosa, la città della cellulosa in Friuli Venezia Giulia

Torviscosa, cittadina in provincia di Udine, è un’affascinante company town nata in funzione della produzione di cellulosa a scala industriale e un gioiello dalle linee metafisiche della nostra archeologia industriale.

Una piccola cittadina, simbolo dell’Italia fascista e dei suoi principali riferimenti ideologici: costruita tra il 1937 e il 1942, Torviscosa è una città di fondazione, cioè una di quelle città nuove sorte in Italia negli anni Trenta del Novecento nei territori di bonifica e caratterizzate da architetture di regime. È allo stesso tempo una company town, perché la sua fondazione è legata a una grande azienda italiana, la SNIA Viscosa (da cui Torviscosa prende una parte del nome) che all’epoca si dedicava soprattutto alla produzione di fibre artificiali ricavate dalla cellulosa e che trova in questa parte della pianura friulana ancora poco sfruttata un territorio ideale per un esperimento “autarchico”: la coltivazione su larga scala di canna comune da cui ricavare la materia prima per le sue produzioni e l’insediamento di un nuovo grande stabilimento industriale per la sua lavorazione.

Torviscosa, company town del Nord-Est

Il visitatore che entra a Torviscosa non ha dubbi sul ruolo industriale di questa cittadina: il grande piazzale di ingresso all’abitato, disegnato da Giuseppe De Min nel 1937, è dominato per metà dagli edifici connessi all’attività industriale e dal grande edificio di rappresentanza del CID (Centro Informazione Documentazione), costruito dalla SNIA agli inizi degli anni Sessanta come biglietto da visita della città industriale e luogo di ricevimento delle delegazioni straniere. Utilizzato fino alla fine degli anni Settanta per ospitare la biblioteca tecnica aziendale, è stato recentemente restaurato e riaperto come sede espositiva. Accanto al CID si innalza la torre panoramica, alla cui sommità si apre un vano quadrangolare con funzione di belvedere, un tempo salottino per gli alti dirigenti della SNIA che qui accoglievano gli ospiti per offrire loro un punto privilegiato d’osservazione sulla città e l’intero territorio circostante. L’altra metà della piazza, a ovest, è invece una spazio sociale, con il teatro e l’edificio del dopolavoro ristoro. Il piazzale, oggi dedicato a Franco Marinotti, fondatore della città e all’epoca amministratore delegato e poi presidente della SNIA, si chiamava in origine “piazza dell’Autarchia”, per sottolineare che l’intero insediamento industriale e urbanistico era stato pensato in funzione del modello economico del regime.

Accanto allo stabilimento, architetti e ingegneri disegnarono e fecero costruire la nuova città, immaginata per espandersi e ospitare fino a 20.000 persone e organizzata per aree funzionali. La struttura originaria non ha subito modifiche sostanziali e ancora oggi sono quindi riconoscibili il villaggio operaio, le case per i tecnici, le ville dei dirigenti, gli spazi del lavoro e quelli per il tempo libero e lo sport. Il fulcro della vita pubblica era rappresentato dalla piazza “Impero” (oggi piazza del Popolo). Progettata dall’architetto Giuseppe De Min nel 1940 secondo il gusto architettonico dell’epoca che si ispirava alle piazze metafisiche di Giorgio De Chirico, è dominata dall’edificio del Comune caratterizzato dalla torre dell’arengario e dal suo balcone.

Il villaggio operaio di Torviscosa

Poco lontano, il villaggio operaio è costituito da due gruppi di case di diversa tipologia. Al primo gruppo appartengono le case chiamate “colombaie” per le loro caratteristiche architettoniche che ricordano le casette per i colombi. Questo gruppo di abitazioni, costruito a partire dal 1943 ma completato solo negli anni Sessanta, è composto da dieci blocchi di case a schiera disposti a coppie secondo l’asse est – ovest. Ogni blocco si compone di cinque alloggi. I prospetti principali sono caratterizzati dagli archi che segnano l’ingresso alle singole abitazioni, mentre i prospetti posti a sud presentano grandi arcate a doppia altezza, una sorta di brise soleil per il lato più esposto al sole. Il secondo gruppo, chiamato “case gialle”, è stato realizzato tra il 1941 e il 1944. È formato da 12 blocchi di edifici in linea disposti parallelamente su quattro file orientate nord – sud. I prospetti sono scanditi dalla modularità delle finestre e nell’insieme queste case risultano più modeste delle colombaie.

La fabbrica di Torviscosa

La parte più vecchia delle strutture industriali risale agli anni 1937 – 1940 e fu progettata dall’architetto Giuseppe De Min. Comprende vari edifici rispondenti a scopi diversi e quindi anche di forme e volumi differenti a seconda delle funzioni a cui erano destinati, ma tutti accomunati dalle facciate rivestite a mattoni rossi. Il nucleo storico della fabbrica, destinato alla produzione della “cellulosa autarchica” derivata dalla lavorazione della canna gentile, fu inaugurato il 21 settembre del 1938 alla presenza di Benito Mussolini. In seguito, il reparto cellulosa venne ampliato con il cosiddetto “raddoppio” del 1940 e nel periodo fra il 1946 e 1948 fu costruito il nuovo reparto sodacloro. L’intero reparto cellulosa è stato dismesso nel 1991.

Accanto al portale d’ingresso, costituito da colonne rivestite in mattoni, ci sono due statue monumentali di Leone Lodi realizzate nel 1938 e dedicate all’agricoltura e all’industria, a sottolineare la duplice natura del progetto imprenditoriale di Torviscosa. La statua che si riferisce all’agricoltura è intitolata “La continuità della stirpe nel lavoro” e rappresenta una donna seduta con un bambino sulle ginocchia e un uomo in piedi con un badile. La statua dedicata all’industria, invece, raffigura un cavallo trattenuto da un uomo e si intitola “Sintesi di Forza, Ragione e Fede”.

Immediatamente dietro alla portineria, la palazzina degli uffici è composta da una parte centrale di tre piani e due ali laterali simmetriche che discendono a due e un piano. In corrispondenza dell’edificio degli uffici inizia un viale lungo circa 1 km sul quale si affacciano i vari edifici che componevano l’impianto per la produzione di cellulosa. A metà circa del complesso è posto il Laboratorio Ricerche e Controlli, facilmente riconoscibile dall’iscrizione. Sull’altro lato del viale sorge invece l’edificio destinato alla produzione di vapore ed energia elettrica, collegato alla struttura che conteneva l’impianto cellulosa per mezzo di un ponteggio.

Poco oltre si stagliano le due torri Jensen destinate alla produzione di bisolfito di calcio. La prima, quella più a nord, fu realizzata nel 1938 mentre la seconda fu costruita nel 1940 durante i lavori del raddoppio dello stabilimento. Sono alte 54 metri, hanno una pianta circolare e poggiano su un unico basamento rettangolare. Esternamente ripropongono le forme dei fasci littori; la lama dell’ascia littoria che sporgeva dalla torre nord fu abbattuta dagli operai il 26 luglio del 1943. Le due torri sono collegate alla sommità da un percorso orizzontale che costituiva il passaggio per gli operai addetti al reparto.

Torviscosa oggi

Il sito industriale è tutt’ora sede di alcuni insediamenti che utilizzano parte delle strutture. Alcune di queste sono state recuperate o sono ora oggetto di ristrutturazione.

Sito archeologico industriale: La company town di Torviscosa
Settore industriale:Industria della cellulosa
Luogo: Torviscosa – Udine – Friuli Venezia Giulia
Proprietà/gestione: Le strutture del sito industriale appartengono alle varie aziende attualmente insediate www.comune.torviscosa.ud.it
Testo a cura di: Per la parte relativa al sito archeologico industriale sono state utilizzate le schede MBI del SIRPAC – Sistema Informativo Regionale del Patrimonio Culturale del Friuli Venezia Giulia e la relazione “Architetture storiche presenti nel Comune di Torviscosa” redatta nel 1995 dall’arch. Monica Bellantone per il Comune di Torviscosa.
Image courtesy of: Comune di Torviscosa




La storica fabbrica di Fisarmoniche Dallapè a Stradella è a rischio

La storica fabbrica di Fisarmoniche Dallapè di Stradella, in provincia di Pavia, è un piccolo gioiello di archeologia industriale da preservare.

Mariano Dallapè, stradellino d’adozione ma trentino di nascita, come si legge in conclusione della voce “Fisarmonica” dell’Enciclopedia Italiana Della Musica: fu il personaggio di maggior rilevo che in Italia riuscì, con geniali intuizioni, a trasformare l’arcaico organetto nella più completa e complessa fisarmonica diatonica a cassetta.

Costruì il primo prototipo nel 1871; nel 1876 diede avvio all’attività artigiana con una piccola bottega che ampliò negli anni fino ad arrivare nel 1928 , anno della sua morte, a contare circa 300 operai. Una vera e propria industria.

La Dallapè si poteva vantare di costruire ogni particolare dello strumento all’interno dello stabilimento. Il fabbricato era articolato in diversi capannoni con un’officina meccanica per la preparazione degli stampi e di tutti i più piccoli particolari metallici delle fisarmoniche ed in particolare dei semilavorati delle “voci” che hanno sempre costituto la particolarità ed il pregio delle fisarmoniche Dallapè.

Abbinati all’officina c’erano anche un reparto fonderia (dove avveniva la fusione delle piastre supporto delle voci più basse dello strumento e che utilizzava una lega speciale di alluminio e bronzo miscelati in quantità che costituivano un po’ il segreto della loro sonorità) e un reparto attrezzato con bagni galvanici dove parecchi particolari metallici venivano zincati e cromati.

C’era poi un attrezzato reparto falegnameria con macchinari per la lavorazione del legno dove prendeva corpo la struttura dello strumento.

Era anche presente un ampio magazzino dove confluivano tutti i semilavorati da distribuire agli operai per le varie lavorazioni di loro competenza.

C’erano anche Il reparto “manticisti” per la preparazione del mantice della fisarmonica, il reparto “decoratori” che si occupavano dell’eleganza estetica con ricchi intarsi di madreperla sul corpo dello strumento, il reparto “tastieristi” che preparavano le tastiere a tasti ed a bottoni, il reparto “meccanicari” dove venivano montati i meccanismi dei bottoni dei bassi , il reparto “vocisti” dove si assemblavano le piastrine con l’ancia vibratile che davano il suono alla fisarmonica. Erano ancora presenti, dislocati in vari stanzini separati dove lavoravano senza disturbarsi, gli “accordatori” . Infine il locale per l’assemblaggio finale della varie parti dove avveniva anche la correzione di eventuali difetti , il collaudo e il controllo di qualità. Per ultimo il reparto “spedizioni”.

Il controllo qualità era meticoloso e come sigillo finale di garanzia c’era sempre il tocco finale del fondatore che, proprio quale garanzia del fatto che lo strumento era passato nelle sue mani, apponeva su ogni fisarmonica, integrata nell‘intarsio in madreperla, una sua fotografia.

Annessi alla fabbrica sono ancora presenti anche gli uffici arredati negli anni ’30 e lo studiolo dove lavorava Mariano Dallapè con ancora il suo banchetto da lavoro.

Negli anni a seguire, dopo il 1929, varie vicende dovute a fenomeni economici (1929 Wall street) di natura musicale legati al cambio delle mode, di natura politica relativi a problemi nei vari mercati mondiali di diffusione, hanno portato ad un ridimensionamento della superficie della fabbrica che comunque ha mantenuto l’importante facciata e parecchi dei vari reparti con tutte le attrezzature ed i macchinari.

Alla fine del 2010 é stato prodotto l’ultimo strumento e il trade-mark è stato ceduto alla ditta Roland che a tutt’oggi provvede a mantenere alto nel mondo il nome di Dallapè grazie alla diffusione mondiale del mitico suono attraverso l’utilizzo della tecnica del campionamento applicata alle loro fisarmoniche digitali.

Oggi la Fabbrica Dallapè è a rischio

La Fabbrica Dallapè è rimasta praticamente ferma dalla fine 2010, anno della chiusura.
C’è stato qualche interessamento da parte delle istituzioni, grandi apprezzamenti per il fascino del sito, dei macchinari, degli arredamenti delle attrezzature degli archivi, ma fino ad ora nessun tipo di aiuto e quindi nulla di concreto.
L’immobile è sito al centro di Stradella e purtroppo per la famiglia Dallapè non sarà possibile attendere ancora a lungo. Sarebbe veramente un delitto arrivare a disperdere questi tesori frutto di oltre un secolo di lavoro in un campo che ha dato onore all’Italia nel mondo e che tanti ci invidiano dato che non esiste in nessun altro luogo un sito di archeologia industriale simile a questo.

Sito archeologico industriale: La Fabbrica di Fisarmoniche Dallapè
Settore industriale:Industria strumenti musicali
Luogo: Stradella – Pavia – Lombardia
Proprietà/gestione: Mariano Dallapè e Figlio s.n.c. www.dallape-accordions.com
Testo a cura di: Dott. Amleto Dallapè

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La ex Officina Squadra Rialzo di Milano Centrale

La Fondazione FS Italiane, in occasione delle Giornate FAI di Primavera del 22 e 23 marzo 2014, ha aperto al pubblico la ex Officina Squadra Rialzo di Milano Centrale.

Le Squadre Rialzo sono così definite nel gergo ferroviario poiché attrezzate con appositi cavalletti che consentono il sollevamento delle vetture, o meglio ”il rialzo”, necessario per accedere ai carrelli e alle altre apparecchiature delle carrozze durante gli interventi di manutenzione.
La Squadra Rialzo di Milano Centrale viene costruita nel 1931 nell’ambito del progetto della nuova stazione viaggiatori e delle complesse opere di ammodernamento e potenziamento del nodo di Milano.

Durante le Giornate FAI di primavera il sito ha ospitato una mostra dedicata all’evoluzione della trazione elettrica in Italia, paese pioniere nel campo, a partire dalla fine del XIX secolo.
È stato possibile salire a bordo di alcune vetture storiche, tra le quali:
la carrozza “sala stampa” dei mondiali di calcio Italia ‘90, la vettura ristorante per treni internazionali TEE (Trans Europe Express), una carrozza dell’ex Treno presidenziale, il primo Pendolino, l’elettromotrice “Varesina” e le più significative locomotive testimoni dell’evoluzione della trazione elettrica.
Una locomotiva a vapore accesa e in manovra è stata l’attrazione dell’intera giornata per i più piccini, ma non solo.

La ex Officina di Milano Centrale fa parte del network di 11 siti, individuati da Fondazione FS Italiane sull’intero territorio nazionale, utilizzati per il deposito e il restauro dei rotabili storici delle Ferrovie Italiane, proteggendoli dal degrado.
La Fondazione FS Italiane, che il 6 marzo ha festeggiato il suo primo anno di attività, ha lo scopo di valorizzare e preservare l’inestimabile patrimonio storico, tecnico, ingegneristico e industriale del Gruppo FS Italiane.
Per informazioni sulla Fondazione FS italiane visitate il sito www.fondazionefs.it

Sito archeologico industriale: ex officina Squadra Rialzo di Milano Centrale
Settore industriale:Industria Ferroviaria
Luogo:Milano – Lombardia
Proprietà/gestione: Fondazione FS italiane
Testo a cura di:Fondazione FS italiane
Image courtesy of:Paola Sacconi

 




Attendendo la Consegna del XIX Luigi Micheletti Award

I giochi sono fatti. I giudici di EMA – European Museum Academy – si sono riuniti a Brescia, presso la sede della Fondazione Luigi Micheletti, per decidere il vincitore del XIX Luigi Micheletti Award.

Martedì 25 marzo, 15 tra i maggior esperti e professionisti museali di valore europeo – tra i quali Massimo Negri, Virgil Stefan Nitulescu, Danièle Wagener e Karl Borromeus Murr – si sono incontrati per esaminare le candidature in lizza per l’edizione 2014 del Premio Luigi Micheletti.

Il Premio, giunto alla sua XIX edizione, costituisce un evento di assoluto rilievo nel calendario museale europeo. Nato nel 1996 dall’incontro tra Luigi Micheletti e Kenneth Hudson, pioniere dell’archeologia industriale e tra i principali ispiratori del nuovo ruolo assunto dai musei europei a partire dagli anni Settanta, il Premio Luigi Micheletti è rivolto ai musei di storia contemporanea, musei della tecnica, della scienza e dell’industria che si sono distinti per i propri caratteri innovativi.

Da tre anni a questa parte, il Premio Luigi Micheletti, che sino al 2010 era incluso nel European Museum of the Year Award di competenza del European Museum Forum, è gestito dalla European Museum Academy (EMA è una fondazione internazionale creata nel 2009 per diffondere l’eredità scientifica di Kenneth Hudson. ndr).

Oggi i criteri di selezione sono identificati in quegli aspetti di un museo che – più che la qualità delle mostre, della sede espositiva, etc. – contribuiscono più direttamente ad attrarre e soddisfare i visitatori oltre le loro aspettative, ovvero ciò che Kenneth Hudson ha definito “Public Quality” .

Il nome del museo vincitore sarà comunicato solo durante la cerimonia di consegna del Premio, prevista per il 26 aprile 2014 a Glasgow, nella sede del prestigioso Riverside Museum, già vincitore della XVII edizione del Premio.

Maggiori Informazioni:

Per conoscere tutti i membri della giuria del XIX Luigi Micheletti Award clicca qui
Per conoscere la lista dei candidati del XIX Luigi Micheletti Award clicca qui
Per conoscere il programma della cerimonia di premiazione clicca qui

www.luigimichelettiaward.eu

www.europeanmuseumacademy.eu