Le centrali idroelettriche Edison in Lombardia | VIDEO

Scopriamo alcune delle centrali idroelettriche Edison in Lombardia, monumenti industriali di particolare bellezza.


Attraverso una serie di video realizzati da Edison, “la più antica società europea nel settore dell’energia e tra le principali società energetiche in Italia”, abbiamo l’opportunità di fare un viaggio alla scoperta di luoghi dal fascino unico che legano sapienza ingegneristica a gusto architettonico, luoghi che raccontano la nostra storia economico-industriale.

Ma prima di tutto è interessante capire come funziona la centrale idroelettrica. Lo scopriamo grazie ad un video sempre prodotto da Edison

 

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La centrale idroelettrica Bertini di Edison

La Centrale idroelettrica Bertini realizzata a Cornate d’Adda (MB), località Porto Inferiore, è la più antica centrale idroelettrica del gruppo Edison. Quando fu inaugurata, nel 1898, era il più grande impianto elettrico d’Europa e il secondo nel mondo… Continua qui

 

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La centrale idroelettrica Esterle di Edison

La centrale idroelettrica Esterle di Cornate d’Adda (MB), fu costruita tra il 1906 e il 1914. La centrale è stata dedicata alla memoria di Carlo Esterle, consigliere delegato della società Edison fino al 1918. Per l’epoca si trattava di un impianto di notevole importanza e capace di produrre 30.000 Kilowatt… Continua qui

 

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La centrale idroelettrica Guido Semenza di Edison

Nel 1917, Edison decise di sfruttare la quota ancora disponibile, nella stagione estiva, dell’energia dell’Adda e fu avviata la costruzione dell’ultimo, il più piccolo, degli impianti dell’Adda, quello di Calusco d’Adda (BG), poi intitolato all’Ing. Guido Semenza (direttore tecnico della società)… Continua qui

 

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Le centrali di S. Stefano, Venina e Publino di Edison

Gli impianti idroelettrici Edison denominati Armisa, Publino, Zappello, Vedello, Venina utilizzano le acque dei torrenti che nascono dalle Prealpi Orobie, tra cui i principali sono Malgina, Armisa, Caronno, Livrio, Venina, e dei loro affluenti, a loro volta affluenti di sinistra dell’Adda

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Dalmine dall’impresa alla città. Storia di una company town

Scopriamo Dalmine, la company town alle porte della città di Bergamo in Lombardia.

 

 

L’insediamento urbano di Dalmine, sorto nei primi anni del secolo scorso attorno allo stabilimento siderurgico, vive un rapido e intenso sviluppo architettonico e urbanistico fra gli anni ’20 e ‘40, quando, per iniziativa diretta dell’impresa e per la gran parte sotto la regia dell’architetto milanese Giovanni Greppi, vengono realizzate infrastrutture, quartieri residenziali, edifici pubblici e un fitto insieme di interventi che vanno via via a definire e caratterizzare una vera e propria città industriale. L’impresa costruisce e consolida inoltre una fitta trama di relazioni con le istituzioni locali e con il territorio, attraverso iniziative ed interventi di carattere sociale, assistenziale, ricreativo, rivolti in primo luogo ai propri dipendenti e alle loro famiglie. Interventi che sono parte integrante di un sistema di welfare aziendale di cui i manufatti architettonici, tracce materiali, sono oggi il sedimento più visibile.

Dalmine – Le origini dell’impresa

Lo stabilimento sorge nel 1906, in una località denominata Dalmine, per iniziativa della Società Mannesmann, titolare del brevetto per la produzione di tubi in acciaio senza saldatura. La conformazione pianeggiante del terreno, il prezzo relativamente favorevole, la disponibilità di energia e acqua e, non ultimo fattore rilevante, l’ampio bacino di manodopera non specializzata a basso costo, favoriscono l’insediamento dell’attività in un’area agricola e priva di impianti industriali.

Fin dal principio l’impresa stabilisce un complesso sistema di relazioni e negoziazioni con i Comuni di Mariano, di Sforzatica e in particolare di Sabbio, sotto la cui giurisdizione si trova la allora frazione di Dalmine. Rapporti, che trovano una prima importante definizione nella firma di una convenzione del 1909, che insieme all’insediamento dell’impianto regolamenta la realizzazione di vie di trasporto, di una rete idrica ed elettrica e di servizi minimi per la popolazione. Accanto alle infrastrutture industriali sorge così un primo apparato di alloggi e servizi per il personale trasferitosi nell’area di Dalmine dalla Germania, nel caso di dirigenti e tecnici, e dai comuni limitrofi nel caso di manodopera generica.

Nel 1911, con le lavorazioni di laminazione ormai a regime, e la nuova acciaieria elettrica avviata da un anno, la Mannesmann impiega 700 addetti, quando gli abitanti complessivi dei tre Comuni di Sabbio, Mariano e Sforzatica ammontano complessivamente a 3.200.
Lo scoppio della prima guerra mondiale, l’allontanamento della proprietà tedesca, le difficoltà della riconversione ad una economia di pace e l’insorgere di tensioni sociali – che conducono all’occupazione dello stabilimento nel marzo del 1919 – contribuiscono a frenare lo sviluppo dell’impresa e di conseguenza la sua capacità di azione sul territorio.

La città industriale di Dalmine – Impresa e città

Soltanto dopo la metà degli anni ‘20 si presentano una serie di condizioni che conducono alla nascita e sviluppo di un progetto urbanistico e sociale. Un progetto che si realizza anche con la costruzione, da parte della nuova Società, ora di proprietà dello Stato e denominata Stabilimenti di Dalmine, di una solida rete di relazioni istituzionali e territoriali con le locali autorità ecclesiastiche e politiche, nell’ambito di un controllo sempre più stretto imposto dal regime fascista. Ma anche le condizioni interne all’impresa si sono stabilizzate: un netto miglioramento dei conti della Dalmine grazie all’incremento delle commesse unite ad un intenso ammodernamento degli impianti, compongono un quadro complessivamente favorevole nel quale il rapporto di committenza che lega l’impresa all’architetto Greppi, trova una concreta, articolata e sistematica realizzazione.

A partire dal 1924 nascono così il Quartiere operaio, il Quartiere impiegati, la Pensione privata, gli impianti sportivi, il Quartiere centrale, una fitta serie di edifici collettivi direttamente o indirettamente legati alle funzioni non strettamente produttive dell’impresa, edifici di rappresentanza, edifici religiosi, piazze, scuole, colonie e aziende agricole. Con la seconda metà degli anni ‘30, parallelamente alla crescita dell’impresa, che giunge ad occupare un’area di 650.000 metri quadrati e ad impiegare 3.850 addetti nel 1935 e circa 5.500 nel 1940, cresce anche la popolazione residente: dai circa 6.000 abitanti del 1931 ai circa 7.300 del 1941. La dichiarazione di notevole importanza industriale, ottenuta dal Comune di Dalmine nel 1941 per decreto del capo del Governo, sancisce formalmente il completamento del processo di formazione della company town. Questo secondo periodo di vita della Dalmine, ormai parte dell’industria di Stato, è quindi quello della costruzione della piena identificazione fra impresa-fabbrica-territorio.

La company town di Dalmine – “Il villaggio modello”

La città industriale trova una significativa riorganizzazione nel 1927, con la nascita del Comune di Dalmine, che accorpa – sotto una denominazione che coincide sì con quella originaria dell’area, ma soprattutto con quella attuale dell’impresa – i tre paesi di Sabbio, Mariano e Sforzatica. La creazione del nuovo Comune sancisce di fatto lo spostamento del baricentro di una serie di funzioni ed edifici pubblici dal loro insediamento originario, al nuovo spazio antistante gli stabilimenti, che si pone come polo della riorganizzazione del territorio, e quindi sede delle istituzioni che lo governano. In quest’area sorge così nel 1931 la nuova Chiesa di San Giuseppe, donata alla Parrocchia e inaugurata solennemente il 19 marzo, giorno di festa del patrono dei lavoratori. La nuova sede del Comune è inaugurata nel 1938 nel nuovo centro della città, progettato su disegno di Greppi, dove hanno sede anche la Casa del Fascio, il Dopolavoro aziendale e l’asta alzabandiera (l’”antenna”), costituita da un unico tubo senza saldatura prodotto nello stabilimento di Dalmine, e di fatto simbolo della città.

Al vertice del nuovo Comune di Dalmine, in veste di Podestà, siede il Direttore amministrativo della Dalmine, nonché amministratore delegato de La Pro Dalmine, la Società costituita nel 1935 con lo scopo di gestire il patrimonio non industriale della Dalmine. In questi anni la company town di Dalmine si realizza non solo e non tanto attraverso le pur numerose costruzioni di edifici destinati ad abitazione o ad usi pubblici, ma anche attraverso l’esercizio e il controllo di una serie di altre funzioni legate alla gestione ed organizzazione del tempo e dello spazio esterno a quello lavorativo o abitativo. Un articolato sistema di attività che costituisce il vero tessuto connettivo di una strategia di costruzione del consenso e di creazione di una comunità, ovvero quel “villaggio modello” che la propaganda cinematografica fascista del 1940 illustra con riferimento alla città di Dalmine.

“Dare la possibilità di risiedere in luogo”: il sistema abitativo della città-impresa di Dalmine

“Dare la possibilità di risiedere in luogo” è uno degli obiettivi perseguiti dall’impresa fin dai suoi primi anni di attività per ospitare personale proveniente dalla Germania e dall’Austria, attrarre manodopera, che i ritmi del lavoro di fabbrica richiedono risieda nelle vicinanze degli impianti produttivi e interrompere – se possibile – quel legame con il mondo rurale che comporta picchi di assenteismo nei periodi dei più importanti lavori agricoli. La casa rappresenta inoltre un importante elemento di riduzione del rischio di turn over della manodopera, soprattutto di quella specializzata, poiché il passaggio del posto di lavoro di padre in figlio, pratica assai diffusa, implica il rinnovo del contratto d’affitto. Contratti che, essendo assai restrittivi nella durata (solitamente annuale) e vincolati al mantenimento del posto di lavoro, sono in definitiva, totalmente sottoposti al potere e alle strategie dell’impresa. Nel 1935, all’inizio della sua attività, la Pro Dalmine gestisce circa 70 edifici, che danno alloggio a più di 150 famiglie impiegati e di operai, per un totale di oltre 800 persone. Negli anni ‘40 i fabbricati sono quasi 90, con un numero di locali che è quasi raddoppiato (1.460 al posto di 878).

VIDEO: Cronistoria TenarisDalmine

Dalmine company town: salute, previdenza e assistenza

La Società, fin dall’inizio dell’attività, tenta di porre rimedio alle precarie condizioni igienico-sanitarie e di garantire la salute dei propri dipendenti. Nei primi anni ‘10 favorisce così la nascita di una farmacia comunale e provvede inoltre a ospitare l’ambulatorio comunale nei locali dell’abitazione del medico aziendale, la cui attività si estende anche al di fuori dell’area industriale.

Già nei primi anni ‘20 nascono inoltre una Cassa mutua operai, che sussidia i soci in malattia con il 60% della paga giornaliera, e la Cassa di previdenza per impiegati, che, attraverso il versamento di un contributo sulla paga mensile, di contributi volontari e di erogazioni liberali della Società, assicura un fondo di previdenza dal momento della loro cessazione in servizio. Entrambe le casse si occupano inoltre del pagamento delle convalescenze di particolare gravità e delle cure speciali sia per i dipendenti che per i loro figli.A questo fine la Dalmine può contare fin dagli anni ‘20 su di una colonia elioterapica, gestita della Direzione sanitaria dello stabilimento. A questa seguono, nel 1931, la Colonia montana di Castione della Presolana, nel 1938 quella marina di Riccione, e dal 1941 quella di Trescore Balneario, dotata di un padiglione per le cure termali. Le attività di welfare nell’ambito sanitario culminano negli anni ‘40 con la costruzione di un Poliambulatorio.

Dalmine company town: istruzione e formazione

Altro ambito cruciale di sviluppo del welfare aziendale è senza dubbio quello dell’organizzazione e controllo del sistema formativo, ovvero dell’istruzione primaria e tecnica. Già nel 1909 la Mannesmann contribuisce alla maggior parte delle spese per il mantenimento dell’istruzione di base nella frazione di Dalmine. E se la scuola elementare di Stato nasce a Dalmine solo nel 1928, già tre anni prima è invece attiva la scuola elementare fondata dall’impresa, composta da cinque classi miste. Nel 1916 nasce la prima Scuola popolare operaia e nel 1922 una Scuola professionale serale. Nel 1929 prendono invece avvio alcuni corsi serali domenicali per capi operai, che anticipano la nascita, nel 1937, della Scuola apprendisti, che forma, nei primi 11 anni di attività, oltre 200 operai specializzati. Si tratta di una istituzione formativa che fonda la propria attività sull’integrazione fra teoria e pratica, sulla didattica del lavoro. Una scuola in cui al tradizionale apprendistato fondato sul rapporto con operai più anziani si preferiscono, da un lato, i nuovi metodi di organizzazione del lavoro, e, dall’altro, una disciplina di tipo militare (alzabandiera, adunata, giochi ginnici, campeggio estivo).

Dalmine: industria e agricoltura in un sistema integrato

In quel 1941 in cui Dalmine riceve il riconoscimento di comune di notevole interesse industriale l’impresa risulta essere, dalla documentazione conservata presso l’Archivio comunale, anche uno dei maggiori produttori agricoli. Nel 1946 l’azienda agricola della Pro Dalmine coordina infatti 14 gruppi colonici, che ospitano 140 persone e danno lavoro a oltre 60 contadini. Le Cascine, significativamente denominate con nomi dell’impero fascista (Macallè, Adua, Asmara, Addis Abeba), sono insediate su terreni appartenenti alla Società e riforniscono l’impresa e la città con i loro prodotti, secondo il modello “autarchico” del regime fascista. I principali clienti dell’azienda agricola sono infatti la la Mensa aziendale e la Cooperativa di consumo, che offrono così prodotti agricoli, latte e carne a prezzi calmierati. Ma al di là degli aspetti ideologici – intensificati negli anni della battaglia del grano – nella strategia della Pro Dalmine vi è una continua attenzione a una gestione moderna, quasi industriale dei terreni non occupati dall’attività produttiva. Vengono investite cospicue risorse per rendere ogni singolo gruppo colonico maggiormente produttivo, applicando criteri moderni di rotazione dei raccolti e di selezione delle sementi. Anche la progettazione degli spazi rientra nel più ampio incarico affidato all’architetto dell’impresa, Giovanni Greppi.

Dalmine, anni ’50: il welfare cambia

Nei primi anni del dopoguerra, pur in un quadro politico-istituzionale e di relazioni industriali totalmente rinnovato, la Società mantiene e rafforza il proprio apparato assistenziale sorto nei decenni precedenti ma ancora efficace nell’affrontare le necessità e i problemi postbellici. Ma negli anni delle lotte sindacali e del boom economico l’impresa promuove un nuovo sistema salariale, che tende a trasformare in retribuzione, o meglio in incentivi alla produzione, parte di quelle elargizioni in beni materiali o in servizi nate negli anni ‘20, legando così alla disciplina sul posto di lavoro la possibilità di usufruire dei vantaggi di appartenere alla “grande famiglia” di Dalmine.
Se quindi è vero che, a partire da questi anni, prende avvio il processo di progressiva riduzione da parte dell’impresa del proprio potere di governo diretto del territorio, è altrettanto vero che il tessuto connettivo della company town, ovvero quel sistema di relazioni fondato fra l’altro sulla comunicazione interna, sulle provvidenze, sui servizi al personale, sui servizi di assistenza e ricreazione, continua pressoché invariato nella sostanza.

Sito archeologico industriale: Dalmine Company Town
Settore industriale:Industria metallurgica
Luogo: Dalmine – Bergamo – Lombardia – Italia
Proprietà/gestione: TenarisDalmine – sede operativa di Tenaris in Italia – è il primo produttore italiano di tubi di acciaio senza saldatura per l’industria energetica, automobilistica e meccanica. Tenaris è il maggior produttore e fornitore globale di tubi in acciaio e servizi per l’industria energetica mondiale e per altre applicazioni industriali.www.tenaris.com
Testo a cura di: Fondazione Dalmine www.fondazionedalmine.org
Fonti: Carolina Lussana, Manuel Tonolini, Dalmine: dall’impresa alla città, in Dalmine dall’impresa alla città. Committenza industriale e architettura, a cura di Carolina Lussana, Fondazione Dalmine, Dalmine, 2003.

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Dayanita Singh: Museum of Machines – In mostra alla Fondazione MAST di Bologna

La Fondazione MAST presenta per la prima volta in Italia un’esposizione personale di Dayanita Singh, una delle figure più rilevanti della fotografia contemporanea.

 

Chi è Dayanita Singh:

Nata a Delhi nel 1961, Singh è una protagonista affermata della scena artistica internazionale e una delle rare fotografe indiane note in tutto il mondo, autrice di un’opera decisamente peculiare, che riflette una visione straordinariamente personale del suo paese pur esplorando temi che superano qualsiasi confine geografico.

Negli ultimi cinque anni il suo lavoro è stato esposto presso l’Art Institute di Chicago, la Hayward Gallery di Londra, il Museum für Moderne Kunst di Francoforte sul Meno, il Kiran Nadar Museum of Art di New Delhi e la Fundación Mapfre di Madrid. Ha partecipato inoltre a due edizioni consecutive della Biennale di Venezia, nel 2011 e nel 2013.

Dopo gli esordi nel fotogiornalismo e i numerosi reportage sull’India realizzati negli anni novanta per importanti testate internazionali, Singh ha preso le distanze dal linguaggio giornalistico e dalla prospettiva tipicamente coloniale da cui il suo paese è spesso stato ritratto, sviluppando una ricerca fotografica documentaristica e poetica insieme e realizzando progetti e pubblicazioni in cui le immagini si susseguono secondo criteri, displays e ritmi narrativi nuovi.

Dayanita Singh ha infatti elaborato una forma espositiva molto originale: attraverso una serie di arredi in legno – paraventi, carrelli, tavoli che riprendono il concetto di griglia modernista – costruisce ciò che lei stessa definisce “musei”: strutture mobili, portatili, modulabili, che permettono di conferire al suo lavoro una fisionomia mutevole e un significato sempre nuovo. In questi “musei”, attraverso un racconto per immagini privo di parole, Singh rielabora storia personale e storia collettiva, vita privata e vita pubblica, presenza e assenza, realtà e sogno, trasformandoli in un insieme frammentario ma pervaso da un profondo sentimento di umanità, dall’interesse e dal rispetto profondo per tutto ciò che la circonda: persone, ambienti sociali, oggetti, archivi, macchine.

 

Museum of Machines, la mostra fotografica alla Fondazione MAST di Bologna:

La mostra allestita nella Photo Gallery della Fondazione MAST e ideata dal suo curatore Urs Stahel prende il nome dal Museum of Machines, recente acquisizione della Collezione MAST. Il percorso espositivo propone circa 300 fotografie articolate in serie – oltre a Museum of Machines, anche Museum of Industrial Kitchen, Office Museum, Museum of Printing Machines, Museum of Men e File Museum, e alcune altre opere – che raccontano il lavoro e la produzione, la vita, la sua gestione quotidiana e la sua archiviazione.

Macchinari enormi che fumano ed esalano vapori, processi e metodi lavorativi, luoghi deputati all’esecuzione e all’organizzazione del lavoro, presentati in maniera quasi labirintica grazie a una forma espositiva molto articolata e originale, non si limitano a descrivere ambienti produttivi ma danno vita a scenari psichici in cui riconosciamo esperienze, dolore, speranze.

A proposito del Museum of Machines il critico e scrittore Aveek Sen osserva: “Trascorrendo del tempo con queste creature e contemplando gli spazi d’incontro che occupano o evocano, paradossalmente sentiamo farsi strada dentro di noi la sensazione di trovarci di fronte a una personalità, a un carattere individuale”.

Racconta il curatore della mostra, Urs Stahel: “Oggi Dayanita Singh è una delle artiste indiane più apprezzate e tra le fotografe più famose sul piano internazionale. La mostra al MAST consente non soltanto di osservare le opere esposte, ma anche di conoscere da vicino una vita piena, ricca, dedicata interamente all’arte, una personalità forte e complessa, divenuta negli anni sempre più matura e consapevole, senza smarrire la curiosità, l’interesse per gli altri, il piacere del gioco.”

Al livello 0 della Photo Gallery di MAST la mostra prosegue con Archives e Factories, due proiezioni di altre immagini di Dayanita Singh dedicate rispettivamente agli archivi e alle fabbriche, e con l’installazione del Museum of Chance.

 

Informazioni:

Dove: MAST.  via Speranza 42, Bologna
Quando: la mostra sarà visitabile sino a giorno 8 gennaio 2017
Orari di apertura: Martedì – Domenica 10.00 – 19.00
Ingresso gratuito




Le cattedrali dell’energia – Mostra alla Fondazione AEM

La mostra “Le cattedrali dell’energia. Architettura, industria e paesaggio nelle immagini di Francesco Radino e degli Archivi Storici Aem”, con oltre cento immagini racconta e descrive gli edifici, i luoghi e le architetture dell’impresa dediti alla produzione dell’energia da nord a sud Italia.

 

Le cattedrali dell’energia: la mostra fotografica alla Fondazione Aem

Esposta presso la Casa dell’Energia e dell’Ambiente di Milano dal 21 ottobre al 27 gennaio, la rassegna è ideata e promossa dalla Fondazione Aem – Gruppo A2A, curata da Francesco Radino e Fabrizio Trisoglio e si articola in due sezioni in stretto dialogo fra loro che mettono in evidenza due sguardi, due epoche e che ripercorrono la storia delle “cattedrali dell’energia” dai primi del novecento ad oggi.

L’inedita campagna fotografica a colori, realizzata da Francesco Radino nel 2016, illustra gli edifici simbolo di Aem, le nuove architetture del Gruppo A2A, tracciando un lungo percorso – testimonianza della contemporaneità – che dalle centrali valtellinesi porta in Friuli e che dai termovalorizzatori lombardi giunge agli splendidi invasi della Calabria. Si tratta di costruzioni dall’aspetto molto differente che uniscono utilità a estetica e creano nuovi equilibri con la natura circostante. I quattro elementi naturali acqua, terra, aria e fuoco assumono di conseguenza un’importanza imprescindibile, che non solo li lega ai processi di produzione dell’energia, ma li rende parte attiva nell’unione trasversale di paesaggio e architettura.

Nella sezione dal taglio storico, un’accurata selezione di scatti fotografici in bianco e nero, appartenenti al prestigioso patrimonio fotografico conservato negli Archivi Storici Aem, illustra con scatti di Vincenzo Aragozzini, Guglielmo Chiolini, Antonio Paoletti, Gianni Moreschi una panoramica delle strutture industriali della prima metà del Novecento, che ritraggono imponenti centrali, officine, ricevitrici e monumenti elettrici di Milano, di Cassano d’Adda e della Valtellina, oltre a dettagli dei macchinari, quadri di manovra per le linee elettriche o per il servizio tramviario.

Il corpus di immagini nella sua completezza mostra una varietà di edifici, caratterizzati dalla prevalenza di elementi storici o moderni. Ne sono esempio la centrale idroelettrica del Roasco, progettata dal celebre architetto Piero Portaluppi, che ricorda un castello medievale, gli impianti di Grosotto e Fraele dalla matrice neorinascimentale e neoromanica, mentre il richiamo allo stile gotico è evidente nella centrale termoelettrica di Monfalcone, dalle ampie navate che ribadisce la connessione al tema delle “cattedrali” così come riporta il titolo della mostra. Espressioni più moderne, geometriche, legate all’alternanza dei pieni e dei vuoti, sono la ricevitrice sud di Milano e la centrale idroelettrica di Calusia in Calabria, progettata da Giovanni Muzio.

Alberto Martinelli, presidente di Fondazione Aem – Gruppo A2A, da tre anni ha aperto le porte dell’Archivio Storico alla città, promuovendo un’inedita serie di mostre fotografiche, convegni e creando un dialogo tra patrimonio storico e contemporaneo come emerge dal suo testo di presentazione della mostra: “alla selezione delle ‘cattedrali storiche’ di Aem, documentate dai preziosi scatti degli Archivi Storici di Fondazione, si accompagnano le splendide immagini contemporanee di Francesco Radino, già protagonista negli anni Ottanta con Gabriele Basilico e Gianni Berengo Gardin di grandi servizi fotografici per la municipalizzata milanese.

Insieme ai luoghi storici di Aem e delle altre realtà che compongono oggi il Gruppo A2A, la nuova campagna fotografica ha indagato i più moderni impianti dell’azienda e i suoi nuovi territori di competenza, non più storicamente ancorati all’area lombarda ma da anni ormai diffusi su tutto il territorio italiano”.

 

Le cattedrali dell’energia, mostra alla Fondazione Aem: il catalogo

L’esposizione Le cattedrali dell’energia è corredata da un prezioso volume di oltre 150 immagini di grande valore storico e artistico che approfondiscono significativamente il tema. Nel libro, a cura di Francesco Radino e Fabrizio Trisoglio, sono presenti le introduzioni istituzionali di Alberto Martinelli, presidente di Fondazione Aem – Gruppo A2A e di Giovanni Valotti, presidente A2A e importanti contributi critici di: Roberto Mutti, Francesco Radino, Ornella Selvafolta e Fabrizio Trisoglio. Il coordinamento generale è di Luisa Toeschi, consigliere di amministrazione di Fondazione Aem.

 

“Le cattedrali dell’energia” in mostra alla Fondazione Aem: biografia di Francesco Radino

Francesco Radino nasce a Bagno a Ripoli (Firenze) nel 1947. Dopo studi di Sociologia, negli anni Settanta si dedica completamente alla fotografia in vari ambiti da quello industriale al design, dall’architettura al paesaggio. Da sempre intreccia lavoro professionale e ricerca artistica ed è oggi considerato uno degli autori più influenti nel panorama della fotografia contemporanea in Italia.

A partire dagli anni Ottanta partecipa a numerosi progetti di carattere pubblico di ricerca sul territorio, fra i quali le campagne fotografiche Archivio dello Spazio all’interno del Progetto Beni Architettonici e Ambientali della Provincia di Milano, il progetto Osserva.Te.R promosso dalla Regione Lombardia, il progetto European Eyes on Japan, Atlante italiano 2003 per il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e Tramsformazione per il Museo di Fotografia Contemporanea di Villa Ghirlanda a Cinisello Balsamo (Milano).

Stimato in Italia e all’estero, Radino dal 1984 ha collaborato con l’Aem a numerose campagne fotografiche, che hanno costituito uno dei fondi più ricchi e pregiati dell’Archivio fotografico contemporaneo di Fondazione Aem. Ha pubblicato inoltre numerosi libri e realizzato diverse opere audiovisive.

Ha esposto in gallerie e musei italiani, europei, giapponesi e statunitensi e le sue opere fanno parte di collezioni pubbliche e private internazionali.

Le cattedrali dell’energia: informazioni 

Sede Casa dell’Energia e dell’Ambiente, piazza Po 3 – Milano
Date 21 ottobre 2016 – 27 gennaio 2017
Inaugurazione giovedì 20 ottobre 2016, ore 18.30
Orari da lunedì a venerdì, ore 9 – 17.00
chiuso dal 24 dicembre 2016 al 7 gennaio 2017
Ingresso libero
Contatti: Tel. +39 02 7720 3935 fondazioneaem@a2a.eu – www.fondazioneaem.it




Ai Cantieri Culturali alla Zisa di Palermo inaugura Haus der Kunst – La Casa dell’Arte

All’interno di uno dei capannoni industriali dei Cantieri Culturali alla Zisa di Palermo, il Verein e.V. Düsseldorf Palermo apre la sua nuova sede siciliana.

 

Il 15 ottobre alle ore 12:00 inaugura infatti “Haus der Kunst“ (Casa dell’Arte) uno spazio che ospiterà le attività del Verein e.V che da tre anni conduce progetti e scambio culturali e artistici tra le città di Palermo e Düsseldorf, e tra le due rispettive regioni, Sicilia e Renania Settentrionale-Vestfalia. In questi giorni è in fase di restauro uno dei capannoni della ex fabbrica storica dei Ducrot, un luogo plasmabile al servizio dell’arte.

Ma uno spazio artistico non è tale se non si apre con una mostra: ed ecco quindi nascere – sempre sabato 15 ottobre – la collettiva “Haus der Kunst #1” che raccoglie le opere di diversi artisti che lavorano tra la Sicilia e la Renania Settentrionale-Vestfalia; generazioni diverse, spesso a confronto, ma anche notorietà, medium (pittura, scultura, fotografia, istallazioni) e tematiche artistiche sviscerate.

Da nomi noti in ambito internazionale – come Felix Droehse, Jan Kolata, Valerie Krause, Fulvio Di Piazza, Sergio Zavattieri – fino agli studenti delle Accademie di Düsseldorf e di Palermo. L’idea è proprio quella di “invadere lo spazio con l’arte”, simbolicamente e fisicamente, pur mantenendone le “tracce”, le orme indelebili del suo passato remoto, del suo essere luogo di lavoro, attivo fino al secondo dopoguerra.

Con “Haus der Kunst #1” il Verein e.V. vuole quindi riconsegnare simbolicamente lo spazio all’arte e alla cultura, costruendone una nuova identità in cui si intrecciano due realtà apparentemente distanti, Palermo e Düsseldorf, ma che negli ultimi anni hanno dimostrato la volontà di conoscersi e di innescarsi a vicenda.

Archeologiaindustriale.net incontra Alessandro Pinto, vicepresidente del Verein  Düsseldorf Palermo e.V. e Responsabile dello spazio  Haus der Kunst

 

Alessandro Pinto così ci racconta il progetto culturale:

“Haus der Kunst (casa dell’arte, il nome che è stato dato allo spazio) è il risultato di anni di attività del Verein Düsseldorf Palermo e. V. e dello scambio artistico e culturale che il Verein ha condotto. Il Comune di Düsseldorf e quello di Palermo hanno siglato un patto di gemellaggio a marzo di quest’anno e in virtù di questo hanno assegnato al Verein uno spazio per i progetti che hanno luogo in Sicilia.  Si tratta di una concessione temporanea della durata di sei anni e si spera già da ora che venga rinnovata, ovviamente se riusciremo a guadagnarci la nostra presenza in uno spazio così bello, e secondo l’accordo col Comune di Palermo garantendo dei progetti inerenti allo scambio artistico e culturale e garantendo la manutenzione e il restauro del padiglione.”

Chiediamo: cosa significa lavorare all’interno di uno spazio di archeologia industriale?

Insediarsi in un luogo industriale per noi che promoviamo arte significa quasi un ritornare al fare, al produrre. Per certi versi è un onore rileggere la storia dello spazio che il Comune di Palermo ci ha assegnato, abbiamo la possibilità di riattivare un luogo che per anni è rimasto chiuso e quasi isolato dal mondo. Esporre arte organizzando progetti legati all’arte e alla cultura è un modo per approcciarsi alla storia di questi luoghi. Ed è per questo che abbiamo deciso di iniziare con il primo progetto lasciando lo spazio esattamente come l’abbiamo trovato, intervenendo solo nella messa in sicurezza e cercando di rispettare il più possibile le tracce del suo passato.”

E ancora: quali sono i vantaggi e gli svantaggi di lavorare all’interno di un ex spazio industriale?

“Ovviamente il vantaggio di lavorare in un luogo dell’archeologia industriale come questo è poter fare tutto. Cercare di trasferire l’idea del produrre manualmente anche nella fase allestitiva dello spazio. Abbiamo installato delle opere intervenendo fisicamente nello spazio e cercando di sfruttare anche elementi, per così dire, non convenzionali per uno spazio espositivo, per esempio le nicchie e binari presenti nel capannone. Lo svantaggio sta nel competere con lo spazio, spesso questi spazi ex industriali sono già delle esposizioni, delle mostre, visitarli suscita interesse e andare ad allestire una mostra significa dover competere con le pareti, con il tetto, con la pavimentazione, ovvero con il risultato visivo della loro storia.”

 

Informazioni:

Nel giorno dell’inaugurazione, “Haus der Kunst” rimarrà aperto da mezzogiorno a mezzanotte e, oltre alla mostra, vedrà susseguirsi performance musicali di artisti siciliani e tedeschi.

Artisti in mostra: Felix Droese, Petra Fröhning, Jan Kolata, Birgit Jensen, Valerie Krause, Nina Brauhauser, Driss Ouadahi, Udo Dziersk, Stefanie Pürschler, Wanda Koller, Frank Hinrichs, Mira Sasse, Jan Holthoff, Giuseppe Agnello, Fulvio Di Piazza, Sergio Zavattieri, Riccardo Brugnone, Andrea Buglisi, Giuseppe Adamo, Andrea Stepkova, Daniele Notaro, Erika Giacalone, Dimitri Agnello, Valeria Prestigiacomo, Grazia Inserillo, Roberta Mazzola, Azzurra Messina, Giampiero Chirco.




Convegno in Parlamento: Il Patrimonio industriale in Italia. Da spazi vuoti a risorsa per il territorio

Il Patrimonio industriale in Italia. Da spazi vuoti a risorsa per il territorio è il titolo del convegno, voluto e promosso dalla Senatrice Michela Montevecchi che si terrà a Roma, venerdì 7 ottobre, dalle 10:0 alle 13:00, nella Sala della Regina a Palazzo Montecitorio.

Il convegno sul patrimonio industriale in Parlamento: come nasce l’idea

Il convegno sul patrimonio industriale prende spunto dall’indagine conoscitiva sul patrimonio culturale in stato di abbandono promossa dalla Senatrice Michela Montevecchi all’interno della Commissione Cultura al Senato, indagine propedeutica alla creazione di una vera propria “Mappa dell’abbandono .

L’indagine parte dalla convinzione che sia assolutamente necessario mappare il nostro patrimonio culturale abbandonato se si vuole partire con una seria strategia di recupero, valorizzazione e restituzione alla collettività che sia il presupposto concreto per la rinnovata fruizione del bene nonché per la creazione di nuove opportunità di lavoro.

All’interno di questa mappatura il patrimonio industriale ha assunto un ruolo di primo piano, sia per il suo significato storico, economico, tecnologico sia come risorsa per il territorio grazie al potenziale che rappresenta in ottica di riutilizzo e riqualificazione urbana.

Da questa consapevolezza prende il via l’idea di dare maggiore risalto al patrimonio industriale attraverso l’organizzazione di un convegno all’interno dell’istituzione più importante del nostro paese: il Parlamento.

Il convegno sul patrimonio industriale in Parlamento: il programma

Il programma del convegno sul patrimonio industriale, coordinato dalla dottoressa Simona Politini, esperta del settore e presidente dell’Associazione Archeologiaindustriale.net, mira ad offrire una panoramica sullo stato dell’arte del patrimonio industriale e sul fermento che questa tipologia di beni culturali sta vivendo: censimenti, rivitalizzazioni da parte di committenti privati come di enti pubblici, progetti di riqualificazione dal basso attraverso la pratica dei bandi pubblici, casi concreti di trasformazioni già avvenute che hanno restituito il bene alla comunità nella stessa forma, ma con una nuova missione.

Apre l’evento la Senatrice Michela Montevecchi, eletta al Senato della Repubblica nella XVII Legislatura con il Movimento 5 Stelle nel 2013, prima della lista della circoscrizione Emilia Romagna e membro della 7ª Commissione permanente (Istruzione pubblica, beni culturali). La Senatrice Montevecchi illustrerà il progetto da lei promosso in Commissione Cultura al Senato: la Mappa dell’abbandono, che mira a restituire una fotografia, la più completa possibile, dei beni del nostro patrimonio culturale abbandonati.

Terminata la presentazione della Mappa dell’abbandono da parte della Senatrice Montevecchi seguirà il triplice intervento sulle Nuove forme di promozione e censimento del patrimonio industriale condotto da Simona Politini, Marcello Modica e Francesca Santarella.

Simona Politini illustrerà il progetto Archeologiaindustriale.net da lei ideato e gestito. Archeologiaindustriale.net nasce nel novembre 2013 come Progetto Web 2.0 con l’intento di valorizzare il Patrimonio Industriale italiano attraverso la condivisione di informazioni e il coinvolgimento di esperti e appassionati della materia. Ad un anno e mezzo di distanza, nel luglio 2015, Archeologiaindustriale.net si è costituita in Associazione Culturale per venire incontro alle esigenze del settore ed operare attivamente sul territorio in maniera più efficace. Quest’anno Archeologiaindustriale.net ha ricevuto la Menzione Speciale al Premio dell’Unione europea per il Patrimonio Culturale / Europa Nostra Awards 2016, la più alta onorificenza presente in Europa nel settore del patrimonio culturale e naturale, nella categoria “Category Education, Training and Awareness-Raising”.

Marcello Modica presenterà il suo progetto web di censimento del patrimonio industriale dismesso mediante la fotografia. Il progetto Still Alive, ideato e direttamente curato da Modica, nasce nel 2004 con lo scopo di raccontare visivamente il fenomeno della dismissione industriale. Lo studio sistematico dei siti industriali dismessi si esplicita attraverso un’accurata e approfondita operazione di lettura fotografica e ricerca storiografica, cui segue la pubblicazione di un reportage all’interno dell’archivio territoriale “virtuale” presente sul sito. Con questo progetto, l’autore vuole dare il suo contributo alla salvaguardia della memoria dell’epoca industriale e, soprattutto, incoraggiare una percezione positiva e costruttiva di un patrimonio culturale di straordinaria valenza tecnica e di irripetibile bellezza, spesso ignorato e costantemente a rischio.

Dal web alla carta. L’incontro tra Marcello Modica e Francesca Santarella da vita al progetto editoriale “Paraboloidi, un patrimonio dimenticato dell’architettura moderna, del quale parlerà per l’appunto la relatrice Francesca Santarella. La monografia Paraboloidi, che censisce un centinaio di silos industriali in cemento armato a copertura parabolica (comunemente, seppure impropriamente, denominati appunto “paraboloidi”), si pone l’obiettivo di fare luce, per la prima volta nel nostro Paese, su un patrimonio storico, architettonico e culturale di valore inestimabile costantemente a rischio di estinzione per la sua natura “industriale”. La ricerca, infatti, muove dall’esigenza di dare voce alle istanze dei cittadini che tentano di far valere le motivazioni della tutela e del recupero, talvolta scontrandosi con Amministrazioni ed Istituzioni prive delle forze e delle conoscenze necessarie per la salvaguardia dei “beni comuni”.

Sarà la volta poi del Direttore dell’Agenzia del Demanio Roberto Reggi. L’intervento del Direttore Reggi si concentrerà sulla presentazione delle iniziative messe in campo dall’Agenzia del Demanio per avviare e realizzare il recupero di insediamenti/aree industriali dismessi da valorizzare individuando nuovi utilizzi e destinazioni che siano anche volano per operazioni più generali di rigenerazione urbana e riqualificazione territoriale. Verranno citati alcuni esempi concreti come l’ex Arsenale di Pavia o la Ex Manifattura Tabacchi di Bari, con percorsi di riutilizzo già avviati grazie anche all’intensa attività di concertazione istituzionale tra tutti livelli di governo e al contributo apportato da strumenti di partecipazione diretta come la “consultazione pubblica” per favorire il coinvolgimento, già in fase progettuale, di cittadini, associazioni e imprese. Segue un focus su Valore Paese-Fari, un progetto di grande fascino: fari, torri ed edifici costieri possono essere affittati fino a 50 anni presentando un progetto di riqualificazione e recupero coerente con i temi del turismo sostenibile, della natura, della cultura e dell’ambiente. Il successo riscosso con il bando 2015, la seconda edizione attualmente in corso.

Prenderà poi la parola Claudio Tedeschi, Vice Presidente e Amministratore Delegato Dismeco Srl. L’azienda Dismeco srl è promotrice del progetto Borgo Ecologico®, inaugurato a Marzabotto (BO) su circa 42.000 metri quadri acquisiti dall’area della ex Cartiera Burgo. All’interno progetto, nel luglio di quest’anno, la Young Architects Competitions, con la collaborazione di Unindustria Bologna, ha lanciato Green Academy, un concorso di idee per la riqualificazione dell’ex cartiera di Marzabotto (Bologna). Obiettivo dell’iniziativa: fornire un paniere quanto più vasto possibile di soluzioni architettoniche per la rifunzionalizzazione del bene a fine di trasformarlo, da ex-impianto industriale, in un polo didattico-museale d’avanguardia, dedicato alla ricerca in ambito di riciclo ed eco-sostenibilità. Verranno presentati i progetti vincitori e le motivazioni. Inoltre, attenzione particolare verrà data ad un progetto che, sebbene non sia rientrato tra quelli selezionati, si è fatto notare per la sensibilità mostrata verso il valore storico e culturale del bene industriale. Il progetto in questione si chiama Re-Acts e sarà illustrato da tre membri del gruppo proponente: Manuel Ramello – AIPAI, Jacopo Ibello – Save Industrial Heritage e Patrizia Trivisonno – architetto e archeologo industriale.

Segue poi il duplice intervento sul Villaggio Operaio di Crespi dAdda – sito Unesco, e il recupero del suo cuore produttivo: la Fabbrica.

A parlare per primo è l’architetto Mauro Piantelli che, insieme a Tobia Scarpa, protagonista del design e della cultura italiana del ’900, è stato incaricato del progetto di recupero della fabbrica di Crespi d’Adda, dal 2013 proprietà della Società Percassi.
L’ex cotonificio, in più di un secolo di storia industriale, ha prodotto, direttamente ed indirettamente, un paesaggio unico, senza eguali. Le azioni antropiche e naturali si sono avvicendate indirizzando l’evoluzione del luogo; oggi si presenta come un paesaggio in divenire che richiede azioni sistematiche che lo rendano leggibile e coerente.

Crespi d’Adda diviene così un prezioso laboratorio di urbanistica, architettura, restauro, sociologia, paesaggio, che unisce ricerca e produzione, pubblico e privato, storia e innovazione, locale e globale. In questo momento storico, mentre la Fabbrica, che trascende alle ragioni del proprio essere e passa da fatto produttivo a fatto culturale, si afferma la consapevolezza della necessità di ri-scrivere il luogo e di ri-portare il lavoro, come mezzo culturale, al centro del racconto. È verso questa direzione che si sviluppa il progetto.

Segue Giorgio Ravasio, presidente dell’Associazione Crespi d’Adda, che parlerà dell’importanza delle memorie per dare un senso ai luoghi dell’industria: la storia di Crespi d’Adda attraverso i suoi anni di svolta (1878 fondazione 1929 il passaggio di consegna alla STI 1995 l’inserimento nel Patrimonio dell’Umanità 2003 la chiusura della fabbrica 2013 una possibile nuova vita).

Da un caso di recupero in itinere si passa ad un caso di recupero di bene archeologico industriale già portato a termine: il Museo della Centrale Montemartini. Un progetto sicuramente unico nel suo genere dove l’archeologia industriale incontra l’archeologia classica. Il Museo della Centrale Montemartini fa parte del sistema Musei Capitolini e accoglie innumerevoli sculture insieme a epigrafi e mosaici, scoperte durante le stagioni più feconde dell’archeologia romana in una straordinaria ambientazione di archeologia industriale. A parlarcene la dott.ssa Emilia Talamo, già direttore del Museo della Centrale Montemaritini.

Conclude il convegno lo storico Mario Bencivenni. Il professor Bencivenni porterà a termine i lavori del convegno tirando le fila degli interventi che l’hanno preceduto durante il corso della mattinata non mancando di sottolineare la necessità di una ripresa di interesse verso questo importante settore del patrimonio culturale attraverso spunti di riflessione volti a rimuovere alcuni ostacoli che invece recentemente si sono creati in questa direzione.

 

GUARDA IL CONVEGNO:  IL PATRIMONIO INDUSTRIALE IN ITALIA

Il programma del convegno sul patrimonio industriale in Italia:

Il Patrimonio industriale in Italia. Da spazi vuoti a risorsa per il territorio

10:00/10:10
Apertura del Convegno

10:10/10:30
Benvenuto della Senatrice Michela Montevecchi

10:30/11:00
Simona Politini – Presidente Associazione Archeologiaindustriale.net
Marcello Modica – Autore del progetto Still-Alive
Francesca Santarella – Coautrice della monografia Paraboloidi
Nuove forme di promozione e censimento del patrimonio industriale. Presentazione dei progetti digital Still-Alive e Archeologiaindustriale.net. Segue Dal web alla carta. Catalogazione tipologica del patrimonio industriale: il caso dei magazzini a copertura parabolica

11:00/11:20
Roberto Reggi – Direttore dell’Agenzia del Demanio
I progetti dell’Agenzia del Demanio per il riuso del patrimonio industriale pubblico dismesso – Il recupero dei fari costieri: un’iniziativa di successo

11:20/11:40
Claudio Tedeschi – Vice Presidente e Amministratore Delegato Dismeco Srl
Green Academy: un concorso d’idee aperto a tutti per recuperare l’ex cartiera di Marzabotto

11:40/12:10
Mauro Piantelli – Studio De8 Architetti architetto e progettista con Tobia Scarpa del progetto di recupero della fabbrica di Crespi d’Adda di proprietà della Società Percassi
Giorgio Ravasio – Presidente dell’Associazione Crespi d’Adda
Rivitalizzare il territorio attraverso il recupero dei luoghi e della cultura del lavoro – Nuova vita alla fabbrica del Villaggio operaio di Crespi d’Adda, sito Unesco

12:10/12:30
Emilia Talamo – già Direttrice del Museo della Centrale Montemartini
La nuova energia della centrale Montemartini: quando l’archeologia industriale incontra l’archeologia classica

12:30/12:50
Mario Bencivenni – storico
Conclusioni

12:50/13:00
Saluti finali della Senatrice Michela Montevecchi

Al Termine del convegno seguirà un momento di confronto tra il pubblico e i relatori

Modera il convegno Simona Politini

 

Note sui relatori:
Mario Bencivenni

Mario Bencivenni, storico, vive a Firenze e si occupa di storia dell’architettura e dei giardini, e di storia del restauro e della tutela; ha svolto attività di ricerca e docenza presso le Facoltà di Architettura di Firenze, del Politecnico di Milano, di Ferrara; dal 2013 è docente alla Scuola di specializzazione in restauro dei monumenti e dei giardini storici e del paesaggio de «La Sapienza» di Roma. È accademico d’onore dell’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze e nel 1999 è stato nominato Ispettore onorario per i beni ambientali e architettonici di Firenze. Nel 2015 ha curato la sezione «Il verde Pubblico» della mostra per i 150 anni di Firenze Capitale (Archivio di Stato di Firenze). Ha al suo attivo circa cento pubblicazioni fra le quali L’architettura della Compagnia di Gesù in Toscana (Alinea, 1996); Monumenti e Istituzioni (Alinea, 2 voll.1987-1992, in collaborazione con R. Dalla Negra e P. Grifoni); in collaborazione con Massimo de Vico Fallani : Giardini pubblici a Firenze dall’Ottocento a oggi (Edifir, 1998), l’edizione italiana di M.L. Gothein, Storia dell’Arte dei Giardini, (Olschki, 2006, 2 voll.) e l’edizione del manoscritto di A. Pucci, I giardini di Firenze, (Olschki, 2015-2016, 6 voll.).

Marcello Modica

Marcello Modica (Milano, 1987), laureato in Pianificazione Urbana e Territoriale presso il Politecnico di Milano, si occupa da diversi anni di studiare e documentare attraverso la fotografia la dismissione
industriale sul territorio italiano ed europeo. Le sue ricerche sono state pubblicate su numerose riviste scientifiche e presentate in diverse conferenze sul tema. Collabora con continuità presso università e
istituzioni culturali. Di recente pubblicazione il suo libro “Paraboloidi. Un patrimonio dimenticato dell’architettura moderna” (con Francesca Santarella; Edifir, 2015).

Mauro Piantelli

Mauro Piantelli, Carlo Vailati e Massimo Bressanelli si laureano al Politecnico di Milano. Fondano lo studio DE8 architetti e lavorano all’inizio degli anni ’90 a Milano. Decidono di trasferire lo studio a Bergamo. Dal 2008 si associa Cristian Sangaletti anch’egli laureatosi al Politecnico di Milano.
Lo studio lavora sia in Italia che all’estero occupandosi di temi progettuali eterogenei: urbanistica, residenziale, terziario, commerciale, alberghiero, strutture sportive, interior design, retail.
La possibilità di effettuare frequenti cambi di scala, dal progetto urbano al dettaglio costruttivo, così come l’indirizzo rivolto a temi differenti dell’architettura, è diventata una caratteristica della propria attività professionale: “unspecialized architecture”.
Membro fondatore del “new italian blood”, lo studio è stato invitato a mostre e conferenze sia in Italia che all’estero; propri progetti sono stati pubblicati su riviste specializzate.
Lo studio è stato premiato in 2 progetti europan 8 ( Bergamo – italia ; Kemi –finlandia).
Nel 2010 vince il concorso per Social Housing a Milano Figino, nel 2011 riceve una nomination al “MIES VAN DER RHOE award” nonché il premio OAB quale miglior realizzazione privata 2000-2010 della provincia di Bergamo ed il premio PIDA per gli Hotels. Nel 2010 ha partecipato all’esposizione di Shanghai “Eccellenze Italiane. Alto Design – Alta Tecnologia”, presso il WTC, con il progetto PIRELLI SKYSCRAPER (nuovo belvedere grattacielo Pirelli).
DE8 architetti ha collaborato, ed ha collaborazioni in corso, con Tobia Scarpa, Dominique Perrault, Kengo Kuma, Asymptote.

Simona Politini

Simona Politini si è laureata con lode in Conservazione dei Beni Culturali presentando una tesi di laurea sperimentale in Archeologia Industriale. Dopo aver frequentato il Master alla LUISS Management di Roma in Management dei Beni Culturali ha lavorato per diverse aziende, nazionali ed internazionali, impegnate nella gestione e valorizzazione del patrimonio culturale, tra le quali la Réunion des Musées Nationaux.
Specializzata in comunicazione, prima classica e ora digital, nel novembre 2013 Simona ha lanciato online il progetto Archeologiaindustriale.net con l’intento di valorizzare il patrimonio industriale italiano attraverso la condivisione di informazioni e il coinvolgimento di esperti e appassionati della materia. Nel luglio 2015, Archeologiaindustriale.net si è costituita in Associazione Culturale per venire incontro alle esigenze del settore ed operare attivamente sul territorio in maniera più efficace.

Giorgio Ravasio

Giorgio Ravasio vive a Crespi d’Adda. Ha creato, nel 1991, il primo movimento di valorizzazione culturale del villaggio operaio contribuendo, poi alle iniziative del CSFM – Centro Sociale Fratelli Marx che culminarono, nel 1995, nell’inserimento del sito nella World Heritage List dell’Unesco. Ha fondato, nel 2011, l’Archivio Storico di Crespi d’Adda – la biblioteca sentimentale crespese. Ha pubblicato “Crespi d’Adda. La città del lavoro proficuo, dell’utopia sociale e della metafora architettonica” e di “Crespi d’Adda. Storia di una impresa”. Attualmente è il presidente della Associazione Crespi d’Adda.

Roberto Reggi

Roberto Reggi dal settembre 2014 è Direttore dell’Agenzia del Demanio. Laureato in Ingegneria, ha unito nel corso degli anni l’attività professionale all’impegno nella pubblica amministrazione. Nel 1994, in una fase difficile per la vita amministrativa e politica di Piacenza, la sua città, inizia il suo percorso di amministratore pubblico come assessore alle Politiche Sociali e Abitative del Comune. Nel giugno 2002 viene eletto Sindaco di Piacenza e nel 2007 viene riconfermato nella carica. Durante i dieci anni da Sindaco realizza una imponente operazione di rigenerazione urbana basata su grandi opere pubbliche realizzate anche attraverso un rapporto virtuoso pubblico-privato, fondato sulla sostenibilità e l’attenzione all’ambiente. Nel giugno del 2005 diviene Vicepresidente nazionale del Forum Italiano per la Sicurezza Urbana. Nell’ottobre 2009 è nominato Vicepresidente nazionale dell’Anci, con delega al Patrimonio, alle Infrastrutture e alla Protezione Civile. Nell’aprile del 2012 è Presidente della Fondazione Patrimonio Comune dell’Anci costituita insieme alle Casse Previdenziali di Geometri e Periti Industriali con l’obiettivo di accompagnare i Comuni nel difficile processo di valorizzazione del patrimonio immobiliare. Carica che mantiene sino al 28 febbraio 2014 quando viene nominato Sottosegretario di Stato presso il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.

Francesca Santarella

Francesca Santarella studiosa di cultura industriale, è stata consigliere comunale del Movimento 5 Stelle a Ravenna dal 2011 al 2016. Dal 2010 si batte per la tutela del magazzino a copertura parabolica della Società Interconsorziale Romagnola presso la darsena portuale antica di Ravenna, destinato alla demolizione a favore di un centro commerciale benché le norme urbanistiche ne prevedessero il recupero. Tra le numerose iniziative intraprese per sensibilizzare le Istituzioni sul valore dell’architettura industriale, ricordiamo, oltre a petizioni popolari, collaborazioni nella stesura del Piano Operativo Comunale Darsena di Città, processi partecipativi e conferenze, un progetto di recupero commissionato da un gruppo di cittadini all’architetto Marco Mattei di Firenze, già autore del recupero dell’Opificio Campolmi di Prato, ora Museo del Tessuto e Biblioteca Civica e la redazione, insieme all’architetto Marcello Modica, della prima monografia dedicata ai cosiddetti “paraboloidi” italiani.

Emilia Talamo

Emilia Talamo già Funzionario Direttivo della Sovrintendenza Capitolina di Roma Capitale, Responsabile dei Musei Capitolini, Centrale Montemartini dal 1997 al 2015.
È stato responsabile del gruppo di lavoro che ha progettato e realizzato l’allestimento dell’esposizione archeologica alla Centrale Montemartini (1997 e 2000). Ha fatto parte del gruppo di lavoro che ha progettato e realizzato l’allestimento del Palazzo dei Conservatori in Campidoglio (2000). Curatore di mostre in Italia e all’estero. Membro della Commissione per il prestito di opere d’arte istituita dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Direttore scientifico di numerosissimi interventi di restauro su sculture antiche e di ricomposizioni di frammenti appartenenti a Musei diversi (statua di Agrippina Orante). Membro del comitato di redazione del Bullettino della Commissione Archeologica Comunale. Autore di saggi e articoli scientifici di carattere archeologico (avori, sculture romane e topografia di Roma).

Claudio Tedeschi

Claudio Tedeschi è Vice Presidente e Amministratore Delegato Dismeco Srl, azienda nata nel 1977 come attività a gestione familiare e poi sviluppatasi a fine 2010 sino a diventare la prima in Italia nella gestione specifica dei RAEE, con una forte accelerazione in seguito all’apertura del nuovo stabilimento ubicato nel vicino Comune di Marzabotto, che rientra in un progetto decisamente più ampio: il Borgo Ecologico®, un modello industriale di sostenibilità ambientale applicabile operativamente in tutte le sue numerose declinazioni. Claudio Tedeschi, fortemente ispirato dai temi del salvaguardia ambientale e della valorizzazione culturale del territorio è Componente Direttivo dell’Associazione Amici del Museo del Patrimonio Industriale di Bologna, è parte del Gruppo di Studio Ambiente e Responsabilità Sociale di Impresa organizzato dall’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Bologna, è componente dell’Osservatorio IEFE sulla Green Economy – Università Bocconi, nonché Componente Commissione Energia e Sviluppo Sostenibile di Confindustria Emilia-Romagna e Componente Settore Acqua Energia Ambiente Unindustria Bologna di Unindustria Bologna.




Master sul Patrimonio Industriale 2016/2017 – Università di Padova

Riparte il Master in Conservazione, gestione e valorizzazione del Patrimonio Industriale organizzato dall’Università degli Studi di Padova e diretto dal Prof. Giovanni Luigi Fontana.

master-patrimonio-industriale-2016-2017

Il Master prevede 312 ore di attività didattica in presenza; a tale attività si aggiunge lo svolgimento di uno stage/project work della durata di almeno 200 ore con compilazione di relazione finale. Tipologia didattica: lezioni; stage; prova finale.

Obiettivi del Master sul Patrimonio Industriale:

Il Master in Conservazione, gestione e valorizzazione del patrimonio industriale si propone di rinnovare e diffondere procedure, metodi e pratiche conoscitive, progettuali e gestionali nel campo del patrimonio industriale in un quadro di cooperazione tra gli operatori economici, culturali e i diversi attori istituzionali. Intende formare architetti indirizzati alla progettazione e al recupero di edifici industriali, archivisti d’impresa, storici dell’industria, progettisti e allestitori museali.

Sbocchi professionali del Master sul Patrimonio Industriale:

Il Master in Conservazione, gestione e valorizzazione del patrimonio industriale forma le seguenti figure professionali: esperti del patrimonio industriale e documentaristi; esperti di tecniche di inventariazione e catalogazione dei i beni della civiltà industriale; archivisti d’impresa; esperti in restauro e conservazione di macchine, impianti ed infrastrutture industriali; esperti in economia, management e policies del patrimonio industriale; esperti in museologia, museografia e didattica del patrimonio industriale; esperti in programmi e progetti di riqualificazione del patrimonio industriale.

 

ATTENZIONEScadenza presentazione domanda di preiscrizione:
29 novembre 2016 (ore 12.30 chiusura procedura compilazione domanda online/ore 13.00 consegna domanda cartacea). Qui il modulo

Per maggiori informazioni cliccate qua




Percorso di Archeologia industriale per gli ospiti del convegno Icom Milano 2016

Crespi d’Adda e la Centrale idroelettrica Taccani: il percorso di archeologia industriale organizzato dall’Associazione Archeologiaindustriale.net per gli ospiti del Convegno Icom Milano 2017.

Villaggio Crespi d Adda Vista del Villaggio 1921

Qui l’escursione

 




Ex Vetreria Ricciardi: simbolo dell’era industriale a Vietri sul Mare in Costiera Amalfitana

La ex Vetreria Ricciardi di Vietri sul Mare in provincia di Salerno conserva tra le sue mura le tracce di un passato tutto da scoprire e raccontare.

 

ex Vetreria Ricciardi - Vietri sul Mare - ph Francesco Lupo - prospetto sud scorcio

Originariamente sorto come monastero, il complesso venne convertito nel ‘700 in opificio per poi essere trasformato nell’800 in una grande fabbrica. Oggi la ex Vetreria Ricciardi è uno di quei beni di archeologia industriale che attende di essere recuperato e rigenerato per tramandare alle generazioni presenti e future la sua storia.

 

La storia industriale di Vietri sul Mare

La Costiera Amalfitana, con i suoi paesini aggrappati alle montagne ed i panorami mozzafiato, è oggi una delle mete turistiche più affascinanti d’Italia, ma fino a qualche secolo fa era tra i poli industriali più importanti del Mezzogiorno.

Vietri sul Mare, città capofila della Costiera Amalfitana dalla secolare tradizione di ceramica artigianale (testimonianze già nel Medioevo e più accreditate dal 1472), vede nascere i primi opifici nel XVII secolo con lavorazioni protoindustriali di ceramica, smalti, vetro, metalli carta e tessuti. Sfruttando l’energia idraulica del fiume Bonea per alimentare macchinari tecnologicamente sempre più sofisticati, contando su una fitta rete di scambi commerciali in tutto il Mediterraneo e godendo dell’autonomia politica dalla città di Cava de’ Tirreni sancita da Giuseppe Bonaparte nel 1806, Vietri sul Mare si afferma nell’800 non solo come centro di produzione industriale ma anche come prolifico ambiente culturale, ospitando artisti ed intellettuali da tutta Europa attirati dal fascino del Grand Tour. Nel Novecento, a causa della crisi del ’29 e dell’alluvione del ’54, si assiste alla progressiva ma inesorabile chiusura dei settori industriali, soppiantati dal comparto turistico.

Attualmente la Costiera Amalfitana viene percepita, in un certo senso, come un gioiello cristallizzato in un’epoca ormai lontana e irriproducibile, un museo a cielo aperto da visitare quasi esclusivamente d’estate, un paesaggio suggestivo da fotografare e incorniciare, impegnarsi dunque a ridare valore alla storica produzione industriale locale si configura come una delle possibili strade per diversificare e destagionalizzare il flusso turistico attraverso la sperimentazione di nuovi contenuti.

Ex Vetreria Ricciardi: ricerca storica, studio dell’architettura e del contesto territoriale

Nel 1736 il notabile Lorenzo Cantilena lascia in eredità tutti i suoi averi per la costruzione di un Monastero di sole donne nella zona dell’Olivone, una forcella tra le attuali via XXV Luglio e via Costiera Amalfitana a Vietri sul Mare. Dopo il completamento l’edificio viene sottratto alle religiose a causa delle leggi Murattiane e utilizzato come lanificio.

Successivamente viene acquistato da Luigi Maglione che ne utilizza i locali per produrre bottiglie in vetro. Nel 1860 la Famiglia Taiani rileva l’intero stabilimento, avvia le prime opere di ampliamento realizzando un capannone sul lato orientale e dando inizio alla produzione di vetri e cristalli.

La società Modigliani-Ricciardi nel 1880 acquista la fabbrica, continua la produzione vetraia e provvede ad ampliare ulteriormente la struttura realizzando un nuovo corpo di fabbrica sul lato meridionale, ma agli inizi del ‘900 la società si scioglie e Cesare Ricciardi resta alla guida dell’azienda realizzando nuove opere di ampliamento sul lato sud. Infine i Solimene, importante famiglia di ceramisti vietresi, acquista nel 1956 la vetreria e termina le opere di ampliamento innalzando ancora di un piano il capannone industriale ed il corpo di fabbrica ottocentesco posto sul lato meridionale.

Attualmente l’Ex Vetreria Ricciardi versa in uno stato di evidente degrado e addirittura dissesto nella zona occidentale. I numerosi cambi di destinazione d’uso, gli stravolgimenti architettonici nei locali interni per accogliere le svariate attività produttive e l’abbandono durante gli ultimi decenni hanno compromesso profondamente l’aspetto delle facciate principali rendendo per altro quasi impossibile la lettura delle interessanti stratificazioni storiche dei vari corpi di fabbrica che fanno di questo edificio un eccezionale esempio di archeologia industriale.

 

Prima di ipotizzare qualsiasi intervento di restauro si è reso pertanto necessario lo studio della fabbrica attraverso i rilievi fotografici, architettonici, materici e del degrado che hanno evidenziato la complessità di un edificio evolutosi in tre secoli di storia, le varie tecniche costruttive che lo caratterizzano e lo stato di conservazione dei materiali.

Un progetto di restauro e conservazione dell’Ex Vetreria Ricciardi

Da una fabbrica di vetro e ceramica ad una fabbrica di idee e progetti per il futuro.

Così si può sintetizzare il progetto proposto dall’architetto Francesco Lupo, che sulla ex Vetreria Ricciardi ha compilato la sua tesi di laurea in restauro architettonico all’interno della facoltà di Architettura.

Gli obiettivi generali del progetto sono due, il primo è quello di liberare le architetture permettendo una chiara lettura delle stratificazioni storiche dell’edificio attraverso la demolizioni delle aggiunte contemporanee incompatibili con la struttura, il riproporzionamento delle facciate nord e sud, la ricostruzione di alcuni moduli con i criteri dei restauro critico, la separazione mediante tagli e lucernai dei vari corpi di fabbrica appartenenti ad epoche differenti.

Il secondo obiettivo, concorde con le previsioni UNESCO per la Costiera Amalfitana, con i vincoli del Piano Urbanistico Territoriale vigente, nonché con le disposizioni della Soprintendenza ai Beni Culturali, consiste nel recuperare la vocazione industriale del territorio, incentivando la diffusione della conoscenza dell’arte della fabbricazione della ceramica e della carta mediante l’assegnazione della funzione scolastica (istituto tecnico professionale) ai locali situati al piano del chiostro ed ai piani superiori dell’Ex Vetreria Ricciardi e mantenendo la funzione industriale di fabbrica per la ceramica nei due piani parzialmente interrati.
Far coesistere in un unico edificio la scuola ed il lavoro, mettendo in comunicazione queste due realtà attraverso pozzi di luce, tagli nei solai e sistemi di risalita. La Scuola è il luogo dove la cultura può essere conservata, aggiornata e fatta evolvere, il posto dove la storia e l’arte sono tramandate e dove quindi nascono e si sperimentano le nuove idee. La Fabbrica è il luogo dove la teoria diventa concretezza, dove gli errori diventano esperienza, dove la passione diventa lavoro.

Questo progetto vuole proporre un luogo dove la cultura e il lavoro possano incontrarsi, mescolarsi e generare un cambiamento virtuoso.

Sito archeologico industriale: ex Vetreria Ricciardi
Settore industriale: Produzione ceramica e vetro
Luogo: Vietri sul Mare, Salerno, Campania, Italia
Testo a cura di: architetto Francesco Lupo
Crediti fotografici: foto e studio del progetto a cura dell’architetto Francesco Lupo




I villaggi operai in Italia: su Virgilio.it una bella foto gallery

Virgilio.it presenta una bella foto gallery sui villaggi operai in Italia.

E l’archeologia industriale trova spazio anche su Virgilio, il primo portale internet italiano.

Attento ai trend in ogni ambito e spinto dalla costante volontà di offrire ai propri lettori contenuti sempre interessanti e di valore, Virgilio ha deciso di dedicare una foto gallery con un breve approfondimento sul nostro patrimonio industriale scegliendo il tema dei villaggi operai.

Per realizzare questo contenuto, testuale e visivo, Virgilio ha deciso di affidarsi all’Associazione Archeologiaindustriale.net che dal 2013 si occupa di promuovere il patrimonio industriale italiano.

Sperando che sia il primo di una serie, Archeologiaindustriale.net ringrazia Virgilio per l’interesse manifestato e per la possibilità di diffondere tramite i propri canali il patrimonio archeologico industriale e ringrazia altresì le organizzazioni che hanno contribuito a realizzare il pezzo: Associazione Crespi d’Adda (Crespi d’Adda), Associazione Amici della scuola Leumann e la dott.ssa Carla Gutermann discendente dei Leumann (Villaggio Leumann), Sassi Editore (Schio), il Comune di Torviscosa (Torviscosa) e Stefano Muroni (Tresigallo) e tutti i fotografi che gentilmente hanno collaborato coi propri scatti.

Per vedere la Foto Gallery dei Villaggi Operai pubblicata su Virgilio cliccate a qui

 

Nota:

Pubblicata nella sezione locale di Bergamo, a breve la Foto Gallery andrà online anche nella Home Page di Virgilio e Libero: diffondiamo insieme il nostro patrimonio industriale.




Tresigallo, la città corporativa di Edmondo Rossoni

Tresigallo, in provincia di Ferrara, è la più completa tra le città nuove, la sola e vera città corporativa realizzata nel ‘900. Risorta grazie alle idee rivoluzionarie di Edmondo Rossoni, Tresigallo si distingue nettamente dagli interventi dell’Agro Pontino per la sua complessità e per la visione sociale che sta a monte del progetto urbano. 

 

Nella pianura orientale della Provincia di Ferrara, sulla sponda sinistra del Po di Volano, si trova una piccola, quanto ancora sconosciuta, capitale del razionalismo italiano: Tresigallo, la città di marmo immersa nel verde della pianura padana.

Nonostante sia uno dei centri della provincia più antichi, Tresigallo conosce il suo massimo splendore tra il 1933 e il 1939, quando Edmondo Rossoni, allora Ministro dell’Agricoltura e Foreste, nativo del posto, dà un nuovo assetto urbano, industriale e architettonico al paese.

La nuova cittadina viene concepita in modo da creare non solo un’inscindibile relazione fra l’abitato e il territorio, attraverso l’industria di trasformazione, ma anche tutta quella complessità di relazioni sociali che fondano l’identità urbana.

Ma, se è vero che Tresigallo ha una storia molto diversa rispetto alle città nuove propagandate dal Duce, se è vero che la città è l’espressione e la concretizzazione del pensiero politico-economico del Ministro, bisogna prima conoscere la storia e le idee di Rossoni per poi comprendere la rifondazione del paese.

 

Edmondo Rossoni e le origini della trasformazione di Tresigallo

Tutto comincia e si realizza per volontà di Edmondo Rossoni, nato qui nel 1884, quando il paese era solo un povero agglomerato di vecchie case.

Anarchico, socialista, anima inquieta, insomma quel che si dice un perfetto rivoluzionario. Praticamente inarrestabile, presto diviene una vera e propria potenza politica, con una escalation che lo portò a conquistare, nel 1921, la carica di capo dei sindacati fascisti, aderendo così al fascismo, mantenendo sempre quel suo lato ribelle, spregiudicato di vecchio rivoluzionario.

Sempre avrà come sogno l’idea di un “Paese più giusto” e forte economicamente anche sulla scena internazionale, un Paese senza padroni né servitori e dove i proprietari non devono più considerarsi padroni. Edmondo Rossoni si fa così portavoce del “sindacalismo integrale”, ovvero l’organizzazione in un medesimo ente corporativo, autonomo sia dai partiti che dallo Stato, di datori di lavoro e prestatori d’opera. Questa teoria trova però ostacolo da parte dei datori di lavoro, per nulla disposti a rinunciare alla loro autonomia.

Dopo alcuni anni, nei quali Rossoni è appoggiato da un grandissimo consenso nazionale, nonché temuto dallo stesso Mussolini (il quale intuisce che quell’abilissimo oratore e trascinatore di folle andava ridimensionato), il 21 novembre 1928 avviene il cosiddetto “sbloccamento sindacale”, in cui il Sindacato unitario diretto da Rossoni viene diviso in sette parti. È la sconfitta politica di Rossoni, il quale perde potere e consenso.

Ma Rossoni è personaggio troppo importante e ingombrante. Così, nel settembre del 1930, entra a far parte del Gran Consiglio del Fascismo e nel luglio del 1932 viene nominato Sottosegretario della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Sono questi gli anni in cui vengono costruite le prime città nuove volute dal Duce: sorgono Littoria, Sabaudia, Pomezia, Aprilia, Guidonia (nel Lazio), Mussolina (poi Arborea), Carbonia, Fertilia (in Sardegna). Rossoni presenzia personalmente alla costruzione e all’evoluzione di alcune di queste città – inaugurando nuovi stabilimenti industriali o visitando i cantieri – osservando allo stesso tempo le loro carenze organizzative e sociali: i problemi idrici, un’ascesa industriale mai veramente decollata, una bonifica troppo radicale, una migrazione “coatta” che destabilizzava l’individuo, il quale veniva a trovarsi a contatto con una realtà così differente dalla sua.

Edmondo Rossoni inizia così a pensare, segretamente e lontano da grandi clamori, alla costruzione di una “città modello”, la sua città, più “intelligente” rispetto a quelle dell’Agro Pontino e a quelle che si andavano diffondendo in tutta Italia, una città dove poter concretizzare le sue idee di sindacalismo integrale, sicuro del fatto che, se fosse riuscito a proporre un modello concreto di città corporativa, avrebbe dimostrato che la sua idea vincente poteva essere riprodotta su scala nazionale, ovvero: costruire una città utopica, mai realizzata prima di allora, dove ci sarebbe stata una viva collaborazione tra lavoratore e datore di lavoro, con obiettivi finalizzati a creare nuove risorse e opportunità, nuovo sviluppo, maggiore ricchezza e benessere per la gente.

È il 1933 quando viene costruita una strada che da Ferrara porta a Tresigallo, aprendo la viabilità e il commercio a quel piccolo paese, che viveva ormai da secoli nella povertà e nella miseria.

Con la nomina nel 1935 a Ministro dell’Agricoltura e Foreste, Rossoni si dedica a fondo alla costruzione della sua città, in modo quasi clandestino, senza utilizzare i grandi clamori propagandistici con cui le città nuove dell’epoca venivano seguite. Una volta nominato Ministro, Rossoni torna a Tresigallo, dove tutta la cittadinanza lo aspetta in teatro festante, e si impegna a ricostruire Tresigallo tutta nuova, con case, ospedale, fabbriche, piazze, vie, dando lavoro a quella cittadinanza che fino ad allora aveva vissuto soffrendo.

Era iniziata la rifondazione del paese.

 

La rifondazione di Tresigallo

Quando Rossoni si trova a Tresigallo, progetta a tavolino con l’ingegner Carlo Frighi, suo compaesano, al quale ha finanziato gli studi nella Scuola di urbanistica all’Università La Sapienza di Roma, il futuro sviluppo del paese, tracciando, probabilmente in privato, linee organizzative urbanistiche estremamente precise; quando il ministro è a Roma, spedisce all’amico Livio Mariani, macellaio del paese, degli schizzi, degli accorgimenti, delle lettere riguardanti la costruzione di nuovi edifici e strade. Rossoni mette fretta, ordina di fare presto, di concludere il prima possibile gli edifici prestabiliti. Così, non si fa in tempo a tracciare le vie che immediatamente crescono i corpi delle fabbriche, i muri, i solai, gli intonaci, le finestre e le tinteggiature delle case.

L’operazione di trasformazione della cittadina e del territorio avviene attraverso la partecipazione della gente del posto, la quale collabora e partecipa attivamente alla trasformazione del proprio territorio, anche se non ha un’adeguata preparazione professionale, come scriverà Rossoni in una lettera a Mussolini nel ’40 spiegando il proprio operato.

Il ministro agisce con intelligenza, dimostra personalmente agli imprenditori, i quali inizialmente rifiutano di aiutarlo, che vi può essere un guadagno reale. Con questo spirito, all’inizio del 1935 si iniziano a vedere le prime opere, le prime strade, i primi stabilimenti industriali. Si sperimentano straordinarie tecniche di costruzione, per l’epoca geniali: ad esempio, vennero adoperati, essendo in piena autarchia, materiali poveri a portata di mano, come il cemento per simulare il marmo (da vedere il porticato della chiesa di piazza Italia), ottenendo le venature con del sale grosso sparso sulle lastre in essiccazione.

Tresigallo città di Fondazione - libro di Stefano Muroni

“Tresigallo, città di fondazione. Edmondo Rossoni e la storia di un sogno” Autore Stefano Muroni Casa editrice Pendragon www.pendragon.it Pp. 342 Uscita: 8/10/2015

La costruzione del Loggiato della Chiesa rivestito in marmo bianco e ornato con formelle inneggianti al lavoro agricolo; la Casa del Fascio, attualmente caserma dei Carabinieri, anch’essa rivestita in marmo bianco; la maestosa piazza della Rivoluzione, a forma di D, con al centro un’elegante fontana arricchita da quattro sculture bronzee che rappresentano quattro gazzelle protese nell’intento d’abbeverarsi; l’Ospedale (la cosiddetta Colonia Post-Sanatoriale) per la cura della tisi, tempio eretto al culto della salute contro i germi del decadentismo, sfoggiante di una bellissima scala interna a spirale, la terrazza-solarium e una serie di finestre a forma di oblò; la monumentale entrata del Campo Sportivo, realizzato in marmo travertino; sono queste – col senno di poi – alcune opere della rifondazione che portarono ad un momento felice di pregiata architettura razionalista italiana.

Diversamente dalle città rurali create dal Regime, Tresigallo fu anche fornita di una dotazione di servizi pubblici di prim’ordine: la Scuola di Ricamo per le ragazze, l’Acquedotto, l’Albergo Italia, l’Albergo Domus Tua (di lusso), un Asilo Nido, dedicato alla madre di Rossoni, Maria Dirce Cavalieri Rossoni, un Asilo Infantile (già esistente nel nucleo novecentesco del paese), impreziosito con un portale d’ingresso, su cui spicca il bassorilievo del balcone raffigurante il Sacrario ai Caduti, la Casa del Balilla, divenuta poi Casa della G.I.L. (Gioventù Italiana del Littorio), luogo della formazione ideologica-fisica dei giovani con annessi i Bagni Pubblici, una Sala da Ballo per lo svago della popolazione, la Scuola Elementare, il Teatro Corporativo (poi Cooperativo), l’edificio delle Assicurazioni Generali Venezia.

Tresigallo viene arricchita con un arredo urbano costituito da cento e più lampioni, panchine, fontane, centinaia di alberi selezionati: nel parco del nuovo ospedale, lungo il viale del nuovo cimitero, lungo viale Roma, lungo viale Verdi, in piazza della Rivoluzione e intorno agli opifici, ovunque.

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Sito archeologico industriale: Tresigallo
Settore industriale: Misto – Città di fondazione
Luogo: Tresigallo, provincia di Ferrara, regione Emilia Romagna, Italia
Testo a cura di: Il testo è stato interamente prodotto da Stefano Muroni, autore del libro “Tresigallo, città di fondazione. Edmondo Rossoni e la storia di un sogno” edito da Pendragon www.pendragon.it Pp. 342 Pubblicato 8/10/2015 ISBN: 978-88-6598-632-5
Crediti fotografici:  per le immagini storiche si ringrazia l’archivio di Tresigallo, le immagini attuali sono state realizzate da Stefano Muroni e da Piero Cavallina

Tresigallo, da borgo agricolo a città industriale

Tresigallo è rivoluzionata non solo dal punto di vista urbanistico, ma cambia soprattutto l’economia dell’intera area: nell’intenzioni di Rossoni, Tresigallo doveva essere una cittadella di tecnici costruita da tecnici e lavoratori, dove il nucleo generatore fosse la fabbrica.

Viene prodotto un ammodernamento socio-economico della sua originaria configurazione di borgo agricolo padano, attrezzandolo – come in un vero polo agro-industriale di scala regionale – con fabbriche destinate a vari scopi: alla produzione di attrezzature meccaniche per l’agricoltura; al trattamento industriale dei prodotti agricoli proveniente dal circostante latifondo bonificato (canapa, barbabietola, latte, frutta); infine alla produzione di una merceologia autarchica, ricavata principalmente dalla lavorazione della fibra della canapa o dei suoi sottoprodotti.

Negli anni della rifondazione sono state rispettivamente impiantate: la distilleria della Società SADA., per l’estrazione dell’alcool dalle bietole speciali a tale sfruttamento, con annesso lo zuccherificio della Soc. ANB per la lavorazione delle bietole; il CAFIOC, per la trasformazione della canapa in fiocco tendente a ridurre al minimo l’importazione del cotone; la SIARI (Società Incremento Agricolo e Rinnovamento Industriale) per la lavorazione del latte con la sua trasformazione in burro, caseina e quindi lana sintetica; il magazzino del Consorzio Agrario Provinciale, per l’ammasso grano con annesso impianto meccanico dell’essiccatoio granone; il CATEXIL, per la trasformazione della canapa in fiocco pregiato; lo stabilimento della Soc. An. Canapificio, per la lavorazione della canapa verde; il magazzeno del CALEFO (Consorzio Agrario Lavorazione ed Esportazione Frutta e Ortaggi), per la raccolta e la selezione della frutta da esportazione; l’INTA (Industria Nazionale Tessile Autarchico), adibito alla trasformazione degli stracci in lana artificiale; la MALICA (Manifattura Lino Canapa), per la stigliatura della canapa verde; la SAAT, (Società Anonima Agricola Tresigallo), per l’allevamento dei bovini, la SAIMM (Società Anonima Industriale Meccaniche e Metallurgiche), per la produzione di macchine agricole; il grande magazzino della FEDERCANAPA, per l’ammasso e la selezione della canapa da esportazione; la CELNA (Cellulosa Nazionale), a quel tempo tra le più grandi d’Europa, per la produzione della cellulosa dal canapolo e dalla paglia.

Inoltre, escludendo le unità lavorative impegnate nei campi, nella costruzione di opere pubbliche, negli ammasso grano e ammasso canapa, come guardiani delle fabbriche e nelle istituzioni pubbliche, l’impegno di mano d’opera fu: distilleria e zuccherificio: 270 unità; CAFIOC: 200; S.I.A.R.I.: 50, CATEXIL: 60; Canapificio: 120; S.A.I.M.M.: 150; CEL.NA: 500; C.A.L.E.F.O.: 50.
In totale 1450 capi famiglia, cioè la metà di quelli collocati in Agro Pontino, senza mezzi straordinari e il tutto in una sola frazione.

 

Tresigallo ed il nuovo riassetto urbanistico

Dal punto di vista urbanistico, il tracciato della nuova strada Ferrara-Tresigallo, oltre a essere un importante snodo viario, permette di dislocare le industrie vicino al paese ma, nello stesso tempo, queste sono separate da tale arteria di traffico; gli insediamenti sono infatti a sud del paese, oltre la strada, e ad ovest, su di una strada di bonifica che collega Tresigallo con Jolanda di Savoia.

Inoltre, osservando la pianta del paese, il quale ha una strana e insolita forma trapezoidale, si può comprendere come la scelta di Rossoni non sia stata casuale: egli dispone le arterie stradali in modo che fossero sviluppate attorno a una “croce di via” formata dal nuovo centralismo di viale Roma in direzione est-ovest, e in direzione nord-sud dalla via Filippo Corridoni che, dallo stabilimento CAFIOC, arriva dritto sino al cimitero, utilizzando uno schema urbanistico basato sull’assialità. All’estremità di quest’ultima via erano quindi rappresentati simbolicamente il Lavoro e il Riposo Eterno.

Agli estremi di viale Roma vi erano a est la chiesa parrocchiale e a ovest la Casa dell’Opera Nazionale Balilla, quasi a testimoniare il bisogno di religiosità ma anche di svago terreno. Sui lati di viale Roma si insediarono le maggiori attività commerciali del paese e la piazza di fronte alla chiesa diventò il vero centro del sito.

Anche piazza della Rivoluzione, metà quadrata e metà circolare, somigliante a un grande anfiteatro, rivestì per Rossoni parecchia importanza, tanto da indurlo a donare al Comune, affinché ne ornasse la fontana, le quattro statuette di bronzo raffiguranti le gazzelle.

Con l’intervento di Rossoni, si è passati certo da un’architettura di terra a una architettura di fabbrica.

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Sito archeologico industriale: Tresigallo
Settore industriale: Misto – Città di fondazione
Luogo: Tresigallo, provincia di Ferrara, regione Emilia Romagna, Italia
Testo a cura di: Il testo è stato interamente prodotto da Stefano Muroni, autore del libro “Tresigallo, città di fondazione. Edmondo Rossoni e la storia di un sogno” edito da Pendragon www.pendragon.it Pp. 342 Pubblicato 8/10/2015 ISBN: 978-88-6598-632-5
Crediti fotografici:  per le immagini storiche si ringrazia l’archivio di Tresigallo, le immagini attuali sono state realizzate da Stefano Muroni e da Piero Cavallina

Tresigallo e l’esperimento sociale di Rossoni: la città corporativa

A Tresigallo non ci fu solo un’evoluzione industriale dell’intero paese, ma pure un cambiamento sostanziale dell’apparato lavorativo, sia a livello individuale che collettivo. Riprendendo il dibattito tra “città” e “azienda”, è evidente, una volta studiato il caso, che Tresigallo non rientra in quelle città denominate autarchiche o nate dall’autarchia, come Torviscosa, Carbonia e Arsia. Tresigallo non sarà la città del padrone, finalizzata allo sfruttamento delle risorse in loco e costituita da una società divisa in classi; come non avrà una produzione monofunzionale (Torviscosa la cellulosa; Carbonia il carbone; Arsia la lignite).

Il nuovo apparato economico-lavorativo tresigallese viene concepito, secondo le concezioni rossoniane, per risolvere problemi nuovi e ancestrali attraverso la collaborazione di classe, basata sulla concatenazione gerarchica delle competenze e l’accentuazione degli sforzi per la creazione di maggiori capacità tecniche, nella visione condivisa di un interesse collettivo superiore. Non c’è dunque un mero sviluppo industriale, ma tutta la comunità ogni giorno è chiamata individualmente a realizzarsi nel proprio lavoro.

Anche dal punto di vista architettonico, non è un caso se a Tresigallo, a fianco delle case degli operai, si trovino le villette degli industriali; vicino a quelle dei braccianti si trovino quelle degli impiegati: tutte le categorie sociali dovevano aspirare alla serena coabitazione, civile e lavorativa. Assieme si andava a lavoro, ognuno con le proprie mansioni, e assieme si ritornava. I giardini e le recinzioni delle varie case confinavano tra loro. Questo sistema lavorativo-civile, basato sulla collaborazione di classe e su una “democrazia architettonica”, permetteva di abbassare notevolmente il divario – sociale e culturale – tra bracciante e capitalista, manovale e capo d’industria. Per questi motivi Tresigallo “supera” le città autarchiche e quelle rurali dell’Agro Pontino e di tutt’Italia: per la sua concezione economica-civile e la sua realizzazione urbanistica. Tra le città di fondazione, diviene così – col senno di poi – la più completa tra le città nuove, la sola e vera città corporativa realizzata nel ‘900.

I risultati concreti della diffusa industrializzazione del paese furono un aumento demografico e soprattutto la terziarizzazione dello scenario socio-economico. Tresigallo non era più il borgo agricolo costituito da braccianti, ma questi si erano trasformati in operai una volta inseritisi nelle fabbriche di nuova costruzione. Qui, hanno poi incontrato tecnici provenienti da altri paesi che li hanno addestrati alle più aggiornate tecnologie della lavorazione del legno, del ferro, al montaggio di parti staccate, al lavoro con macchine utensili, a una cantieristica moderna. Molti di questi operai sono diventati artigiani.

 

Tresigallo e la rivoluzione antropologica

Ma la rivoluzione è stata di ampiezze maggiori: si sono attirati capitali e lavoro, create nuove attività economiche, è stato un vero e proprio cambiamento antropologico, che ha mutato usi, tempi di vita, ritmi di lavoro, prospettive di vita, sogni.

Con la costruzione della nuova Tresigallo, c’è stata una vera e propria rivoluzione antropologica.
Ancora adesso gli anziani tresigallesi, a quel tempo bambini, ricordano quegli anni di grande sviluppo. L’anziano Vittore Castaldini ci confida che:

«La manodopera veniva da tutta la provincia: vennero dottori, chimici agrari, imprenditori con le loro famiglie, le quali si sono inserite con quelle del paese. I tresigallesi sono venuti a contatto con la cultura portata appunto da queste persone. Quando senti i vecchi tresigallesi parlare, magari iniziano il discorso in dialetto ma lo finiscono sempre in italiano. Questo è ancora il residuo di quell’epoca: pensa ai barbieri, a chi aveva il negozio, a chi vendeva la frutta: da un giorno all’altro vennero in contatto con persone che venivano dalla provincia, dalla regione, dalle città. Furono quasi obbligati i cittadini di Tresigallo a iniziare a parlare l’italiano per farsi capire. E questa fu una vera rivoluzione linguistica».

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Settore industriale: Misto – Città di fondazione
Luogo: Tresigallo, provincia di Ferrara, regione Emilia Romagna, Italia
Testo a cura di: Il testo è stato interamente prodotto da Stefano Muroni, autore del libro “Tresigallo, città di fondazione. Edmondo Rossoni e la storia di un sogno” edito da Pendragon www.pendragon.it Pp. 342 Pubblicato 8/10/2015 ISBN: 978-88-6598-632-5
Crediti fotografici:  per le immagini storiche si ringrazia l’archivio di Tresigallo, le immagini attuali sono state realizzate da Stefano Muroni e da Piero Cavallina

Tresigallo ai giorni nostri

La meraviglia che emerge, a distanza di ottant’anni dalla rifondazione del paese, dalle parole di queste persone che hanno vissuto direttamente quell’epoca storica, esprime nella loro totalità il cambiamento avvenuto in pochissimi anni.

Alle soglie del 1939, sembrava che tutto procedesse per il meglio: un altro anno e Tresigallo sarebbe stato completato, con l’avviamento delle ultime fabbriche costruite e la costruzione degli ultimi edifici. Invece, nell’ottobre del 1939, Rossoni viene sollevato dalla carica di Ministro (la nascita di Tresigallo fu motivo di numerose accuse giunte a Rossoni da più parti, le quali hanno contribuito al suo allontanamento dalla carica di ministro). A peggiorare la situazione, è stata l’entrata in guerra da parte dell’Italia nel 1940, che provoca la chiusura definitiva dei lavori a Tresigallo; alcune fabbriche non entrano in funzione e solo una piccola parte di esse è stata riconvertita.

A distanza di ottanta anni, Tresigallo emerge tra le città di nuova fondazione caratterizzata dalla contemporaneità e dallo stile architettonico, che possiamo definire razionalista, per una visione dello stilema urbanistico diversa da quelle delle altre città di fondazione. Tresigallo rappresenta una felice quanto solitaria operazione di “democrazia urbanistica”.

Nel 2004 la Regione Emilia-Romagna ne ha riconosciuto l’appartenenza al prestigioso circuito delle Città d’Arte.

 

Visitare Tresigallo: luoghi capolavoro del razionalismo italiano

Piazza Repubblica
La piazza, che si colloca lungo l’asse urbano che collega il Cimitero (luogo della memoria) alla zona industriale (luogo del lavoro), crea un senso percettivo unitario esaltato dalla caratteristica forma a ferro di cavallo. Lo spazio è delimitato da una cortina di edifici pensati unicamente per il popolo, escludendo qualsiasi funzione di regime. Pur rappresentando il baricentro fisico del paese, infatti, la piazza non concentra in sé funzioni civili, politiche o rappresentative ma riveste un ruolo essenzialmente simbolico, formale e percettivo. Gli alti porticati su piazza della Repubblica ritagliano dunque uno spazio “ibrido”, in cui Pubblico e Privato cooperano per governare questo raffinato filtro spaziale, tra piazza ed abitazioni. L’unico edificio pubblico a funzione collettiva è il teatro, elemento mediano tra la piazza e viale Roma e accessibile da più lati.
E’ probabile che la forma ad arena fosse l’espressione di un desiderio diretto di Rossoni per fornire alla popolazione uno spazio attrezzato per spettacoli musicali e teatrali all’aperto; ipotesi che spiega la significativa assenza di quell’usuale palcoscenico retorico rappresentato dalla torre littoria, sostituito da quello spazio balconato, aggettante sulla piazza. Da notare inoltre che – andando contro la tradizione italiana – la piazza fu impreziosita dalla “passeggiata”: due filari di pini marittimi delineavano il perimetro dello spazio pubblico.

Chiesa e portici
La chiesa di Sant’Apollinare Martire, dall’originale facciata settecentesca, occultata negli anni ‘30, ed interamente rivestita con lastre di travertino impreziosite da bassorilievi in marmo candido, rappresenta l’unico episodio del genere nell’ambito delle differenti rifondazioni realizzate in Italia. Il nuovo intervento ha nascosto le origini romaniche dell’edificio (di cui si hanno notizie a partire dal 1044 d.C. e la cui unica testimonianza rimane la torre campanaria) e successivamente modificato in epoca barocca.
Il porticato della Chiesa, dall’impianto curvilineo e dalla forte simmetria, enfatizza prospetticamente l’intero snodo urbano che si apre su Via Verdi (un corso alberato che accoglie l’architettura sociale); cadenza il cornicione del lungo porticato che abbraccia la chiesa parrocchiale, una lunga sequenza di lapidee formelle in bassorilievo, che, con rara efficacia epigrammatica, raccontano didascalicamente al religioso pellegrino la cultura agricola della realtà rurale tresigallese pre-rossoniana, studiata e analizzata da Don Chendi, agrario locale del ‘600 (come la pigiatura dell’uva, la raccolta della frutta, la raccolta del granturco, attrezzi agricoli).
Un disegno di rara eleganza realizzato in struttura di cemento armato rivestito da intonaco in graniglia che simula, con incredibile efficacia, gli elementi lapidei.

Scuola Elementare
Uno degli edifici maggiormente rappresentativi del paese è la scuola elementare Forlanini. L’edificio era stato progettato per contenere dodici aule, con l’ingresso principale su piazzale Forlanini e due corpi laterali allungati. In realtà il numero delle aule è stato ridotto e il corpo laterale di destra non è mai stato costruito. Nel tempo è stata ampliamente rimaneggiata mediante interventi pesanti sulla forometria delle porte e delle finestre che ne hanno alterato l’immagine. La volumetria complessiva resta di fatto inalterata permettendo di apprezzare comunque la forma e l’imponenza dell’edificio. Attualmente è in corso uno studio per il recupero filologico dell’edificio.Il disegno delle aperture superiori è stato ampiamente rimaneggiato.

Campo Sportivo
Vero e proprio arco di trionfo, risulta poderoso ma privo di decorazioni.
Stiamo parlando dell’ingresso monumentale del campo sportivo (piazzale Forlanini) che costituisce, insieme alle facciate degli edifici circostanti, una vera e propria quinta scenica per questo polo urbano a carattere sociale. Realizzato in marmo travertino è il simbolo della Tresigallo razionalista; l’arco trionfale, espressione di quella romanità di cui il fascismo intendeva riappropriarsi, diventa una nuova porta del centro abitato alla quale si affiancava un portale di raccordo, ora rimosso. L’edificio ospitava al suo interno l’appartamento del custode del campo sportivo svolgendo pertanto una funzione che non era solo monumentale. L’edificio è stato restaurato nel 2006.

Sala da ballo Domus Tua
Sorta nella prima metà degli anni ‘30, la Domus Tua, nata come sala da ballo, aveva in origine uno sviluppo planimetrico maggiore. Negli anni ‘90, in seguito ad un incendio, il corpo retrostante è stato demolito, per lasciare spazio ad un complesso residenziale. La snella torretta enfatizza la funzione scenica dell’edificio, in posizione di ingresso al paese.
L’edificio è stato restaurato è convertito a struttura recettiva nel 2009.

Colonia post-Sanatoriale
La costruzione della Colonia Post-Sanatoriale fu appaltata alla cooperativa Muratori e Decoratori di Carpi, e iniziò ufficialmente l’8 febbraio del 1936. La ditta era diretta dal geom. Ferretti, l’architetto Turchi e l’assistente Bassoli. La Colonia Post-Sanatoriale fu realizzata a 5 piani (compreso l’interrato), con muri a intercapedine e col recinto perimetrale.
Al tempo dell’edificazione ospitava sole donne che, durante il periodo di convalescenza controllata, venivano preparate al reinserimento lavorativo apprendendo nozioni di lavoro professionale.
La Colonia – ultimo dell’intervento rossoniano – collocata al limite dell’abitato, centrale rispetto al parco che lo circonda, rappresenta per forme ed espressione architettonica une delle opere più importanti dell’ing. Frighi.
Spunta di scorcio, tra la rigogliosa vegetazione del parco circostante, l’aggetto del vano scale del corpo centrale (soluzione caratteristica dell’architettura “Novecentista” nazionale). Intorno all’impianto, un ricco polmone verde maschera al visitatore l’edificio sanatoriale, infilato nella scenografia del viale d’accesso. L’ingresso al parco circostante è sottolineato da due edifici gemelli di servizio, mentre l’imponente corpo principale a blocco, ancora parzialmente in funzione, rimane arretrato e conserva, in alcune sue parti, infissi e rivestimenti originari. Interessante il muro di cinta ora vincolato e, in particolare l’originale esedra che affaccia su via del Mare.
Degni di particolare nota sono il vano scale dell’edificio centrale che con la forma elicoidale produce un’affascinante ritmia spaziale e la cappella per funzioni religiose.

Albergo Domus Tua
L’edificio, costituito da un corpo centrale parallelepipedo con due volumi semicircolari apposti ai lati, deve la sua imponente massa volumetrica alla destinazione d’uso pubblica che ospitava in origine (era di fatti l’albergo di lusso Domus Tua). In questo caso le modifiche non interessano solo il sistema delle finiture ma, per adeguamenti funzionali, sono state aggiunte delle parti che ne hanno alterato l’originale disegno. L’edificio è stato ristrutturato e destinato a Casa Protetta nel 1990.

Casa del Fascio
La ex Casa del Fascio è uno degli edifici più eleganti e rappresentativi del regime, la cui monumentalità è espressa dallo sfalsamento dei volumi che articolano la facciata e dall’uso di materiali di pregio come il travertino romano.
Inizialmente, doveva sorgere sul nodo urbano di fronte alla Casa del Balilla, andando idealmente a delineare il fulcro dell’attività fisica (in contrapposizione a quella spirituale, rappresentata dalla chiesa, situata all’estremità opposta del viale principale del paese). Per problemi legati all’acquisto dell’area prescelta, la casa littoria venne realizzata lungo l’asse urbano di viale Roma in una posizione anomala perché priva del consueto slargo antistante per le adunate e perché percettivamente meno incombente sul resto della città. Per aumentare l’importanza e la forte valenza simbolica furono realizzati ai suoi fianchi due edifici gemelli utilizzando particolari espedienti prospettici e cromatici: l’altezza dei marciapiedi, il diverso allineamento sul fronte stradale e le differenti cromie dei materiali utilizzati nelle due fasce che compongono ciascun fronte sottolineano la monumentalità della Casa del Fascio e la verticalità della sua torre. Al piano terra erano collocate tutte le attività di controllo, come gli uffici amministrativi e la segreteria principale di partito, la sala riunioni ed adunate; mentre al primo piano gli ambienti accoglievano le sale del dopolavoro, oltre all’arengario, al balcone per le personalità illustri alla sinistra e al balcone per gli ospiti alla destra dell’arengario. I solai realizzati nella Casa del Fascio di Tresigallo sono in latero-cemento gettati in opera con elementi in laterizio Sap, prodotti dalle Fornaci RDB di Piacenza. Oggi è la caserma dei carabinieri.

Bar Roma
Secondo dei due edifici gemelli nati per enfatizzare l’imponenza della Casa Littoria (grazie alla posizione arretrata in pianta, al gioco cromatico alternato delle fasce del fronte e agli allineamenti orizzontali) conserva gran parte degli elementi originali. L’abbandono in cui versa, da un lato, ha evitato la sostituzione di dettagli di pregio (tra i quali spiccano gli infissi in ferrofinestra al piano terra e nel vano scale e ilo rivestimento del piano terra in litoceramica).
La scritta BAR ROMA, (dell’epoca, realizzata in pietra artificiale), ricorda caratteri futuristici.

Assicurazioni Generali Venezia
L’edificio è dedicato alla compagnia Assicurazioni Generali. Il corpo dell’edificio risulta interessante per la conformazione dei volumi che presentano forme pure e si impongono in modo deciso sulla scenografia di viale Roma. Edificio di rappresentanza, mantiene sulla facciata il bassorilievo con il simbolo dell’attività che ospitava. Il candore del finto travertino, scansito da piattabande murarie, ne segnala l’esemplare originalità.

Casa del Balilla
L’ex Casa Balilla (poi Casa della G.I.L) era il luogo della formazione fisico-ideologica dei giovani.
A Tresigallo, la Casa della GIL si propone come tipo edilizio isolato, dove il linguaggio appare semplificato, decisamente innovativo rispetto al fare architettonico del tempo, in linea con le avanguardie nazionali. I sottili aggetti in cls armato, le pareti curve, l’elemento architettonico della torre, il disegno stilizzato degli infissi, la bicromia giallo e rosso delle facciate sono solo alcune delle caratteristiche peculiari dell’edificio che lo fanno rientrare appieno tra le architetture del moderno italiano. L’impianto planimetrico della Casa del Balilla tiene fede alle disposizioni dettate dalla manualistica dell’epoca: nucleo ordinatore della Casa è la palestra di cui furono fissati orientamento, dimensioni, condizioni di illuminazione, rivestimenti per la pavimentazione e le pareti. Grandi aperture rivolte a sud-ovest, opportunatamente protette dai raggi solari e piccole aperture poste nella parte superiore, per potervi inserire le giuste attrezzature, illuminano un vasto spazio rivestito di sughero e finiture a gesso lisciato, per poter lasciar esercitare contemporaneamente 40 ragazzi, su un piano sopraelevato rispetto al piano stradale, in condizioni di igiene. Ad essa si affiancano gli spogliatoi, i servizi igienici e i locali accessori: in dimensioni decisamente più ridotte e distinti in volumi conclusi, come la sala lettura e la torre della scala, sono tra loro collegati e disposti attorno alla palestra.

Bagni
L’edificio, costruito in contemporanea con la Casa della GIL di cui era a servizio, collegato da un unico accesso e da aree sterne comuni, era destinato a spogliatoi e bagni per i giovani inquadrati nelle formazioni propagandistiche del regime. Funzionò come tale per un solo anno dopo di che fu abbandonato e negli anni fu radicalmente modificato con superfetazioni che ne hanno reso illeggibile il disegno originale. Restaurato nel 2010, oggi stupisce su via del lavoro, per volume e colore, essendo tornato alla sua immagine di estremo razionalismo e pulizia che lo aveva caratterizzato negli anni della sua costruzione.

Cimitero
Il Cimitero, il cui progetto risale al 1934 è situato al termine dell’asse prospettico che taglia il paese longitudinalmente e collega idealmente il cimitero alle fabbriche, attraverso piazza della Repubblica, con evidenti connotati simbolici. Il cimitero è circondato da un muro di cinta che viene spezzato, per sottolinearne l’ingresso, da un poderoso portale a trifora a chiusura del segmento urbano sopra citato.
Al suo interno è custodita la tomba celebrativa di Edmondo Rossoni – protagonista e fautore della rifondazione razionalista di Tresigallo – destinata ad ardere in modo perenne sullo svettante braciere di questa mitica ara. Il progetto del mausoleo è opera del valente architetto fiorentino Ugo Tarchi, rimasto nella storia dell’architettura del ‘900 per la realizzazione, tra le altre cose, dello straordinario Mausoleo dedicato a don Luigi Sturzo realizzato a Caltagirone.
All’entrata, due bassorilievi dell’epoca, stranamente asimmetrici, raffiguranti la madonna con in braccio Gesù bambino. Altra particolarità del luogo: è l’unico cimitero italiano dove, nel suo progetto originale, non compare il simbolo della croce.
Durante l’avvicinamento pedonale – chissà se qualcuno se ne è accorto – è particolarmente apprezzabile l’immagine, composta all’interno del fornice principale del portale, dell’angelo – opera dell’importante scultore Enzo Nenci – che sembra scivolare e nascondersi al di sotto della monumentale fiaccola in marmo verde del Brasile; mentre, quando ci allontaneremo dal cimitero – fateci caso – l’angelo, magicamente, ricomparirà, come per librarsi al di sopra del mausoleo e, sembrerebbe, quasi a proteggere i cittadini e la cittadina di Tresigallo, la Città d’Arte del ‘900. Sarà il volo dell’angelo che ci riaccompagnerà al centro di Tresigallo, dove si concluderà la nostra visita.

Sito archeologico industriale: Tresigallo
Settore industriale: Misto – Città di fondazione
Luogo: Tresigallo, provincia di Ferrara, regione Emilia Romagna, Italia
Testo a cura di: Il testo è stato interamente prodotto da Stefano Muroni, autore del libro “Tresigallo, città di fondazione. Edmondo Rossoni e la storia di un sogno” edito da Pendragon www.pendragon.it Pp. 342 Pubblicato 8/10/2015 ISBN: 978-88-6598-632-5
Crediti fotografici:  per le immagini storiche si ringrazia l’archivio di Tresigallo, le immagini attuali sono state realizzate da Stefano Muroni e da Piero Cavallina