Archeologiaindustriale.net festeggia i suoi 10 anni sulla rivista Architetti Notizie

Su Architetti Notizie − rivista trimestrale edita dal Consiglio dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Padova − è stato pubblicato un articolo sul progetto Archeologiaindustriale.net. Questa è la notizia.

E questa sono invece io che parlo, Simona Politini, fondatrice di Archeologiaindustriale.net.

Quando qualche mese fa sono stata contatta dall’architetto Alessandro Zaffagnini, parte del Comitato di Redazione della rivista Architetti Notizie, per raccontare di Archeologiaindustriale.net sul nuovo numero dedicato al patrimonio industriale, ho pensato fosse una bella occasione per celebrare i 10 anni del progetto, che il 14 novembre del 2013 andava online con il suo primo articolo. Da allora sono successe, e non successe, tante cose, che riassumo qui, una sintesi del passato e uno sguardo al futuro.

Questo articolo, dunque, lo dedico a tutti quelli che hanno creduto nel progetto, a tutte le persone che ho incontrato mosse dalla mia stessa passione, persone che ho poi perso, persone che ho ritrovato, persone che non se ne sono mai andate, e anche alle persone che incontrerò. Perché Archeologiaindustriale.net è ancora qui per dare la voce al nostro passato industriale riscoprendo insieme la radice di ciò che siamo oggi.

Prima di condividere con voi l’articolo, desidero ringraziare l’architetto Zaffagnini e invitarvi a richiedere il numero integrale della rivista (qui i contatti). Una sintesi perfetta, anche attraverso l’uso dichiarato e trasparente di ChatGPT, di come in questa “archeologia” passato e futuro si intrecciano senza soluzione di continuità.

Architetti Notizie

Alla scoperta del patrimonio industriale

Archeologiaindustriale.net un progetto online per ricordare la storia e ispirare il futuro

Il futuro è di chi ha un grande passato”. Queste parole non sono state pronunciate da un eminente storico rapito dalla maestosità del Colosseo, così recitava lo spot pubblicitario della nuova Alfa Romeo Giulietta Sprint che, nel 2015, attraverso la televisione, sfrecciava davanti ai nostri occhi di fianco a sua sorella di 60anni più vecchia, quel primo modello che tanto aveva fatto sognare gli amanti della velocità e del design di stampo italiano. Perché, quando la tecnologia accelera succede che la percezione del tempo si comprime, e pure concetti consolidati possono assumere nuove dimensioni. Si parla così di reperti di archeologia industriale. Coperture a shed, ciminiere, colonne in ghisa lavorate. Centrali idroelettriche, cotonifici, paraboloidi, cartiere. Storie di cose e di persone. Sono tutti elementi del nostro patrimonio industriale che ci raccontano dell’ingegno che è stato, in un passato non poi troppo lontano, ma che sa già di antico. Ed è così che tra un manuale di storia dell’arte moderna e le lettere di Jackson Pollock, questa materia, l’archeologia industriale appunto, ha inaspettatamente attirato la mia attenzione durante il corso di laurea in Conservazione dei Beni Culturali tanto da scriverci la tesi: “L’oro di Sicilia. L’industria zolfifera siciliana e la miniera Floristella 1825-1987”. Da quel 2001 sono passati poi diversi anni, e l’acquisizione di varie competenze tra cui la comunicazione online, sino a che nel 2013 va online il progetto Archeologiaindustriale.net. I monumenti del lavoro (https://archeologiaindustriale.net/). La sintesi di quello che ero, una storica dell’arte, e di quello che sono adesso, una giornalista specializzata sui temi della trasformazione digitale.

Compie dunque 10 anni questo novembre il primo sito web 2.0 (che a dirlo oggi fa quasi sorridere visto che ormai si parla di web 5.0, ma come detto sopra: la tecnologia corre veloce) dedicato alla promozione del nostro patrimonio archeologico industriale. Tanti i luoghi presenti all’interno del progetto (ad oggi circa 100), tra questi: la miniera di zolfo Floristella in Sicilia, naturalmente; la Grande Miniera di Serbariu e il Museo del Carbone in Sardegna; le miniere di lignite ed il MINE Museo delle Miniere e del Territorio di Cavriglia. La fabbrica Fernet Branca e la Collezione Branca; la ex fabbrica, l’Archivio Storico e Museo Birra Peroni a Roma; il Birrificio Menabrea di Biella; la fabbrica di liquirizia Amarelli in Calabria. E ancora: la centrale idroelettrica Taccani di Trezzo sull’Adda; la centrale Antonio Pitter di Malnisio oggi Museo & Science Centre; la centrale idroelettrica di Fies in Trentino – Alto Adige; la ex centrale termoelettrica Montemartini divenuta sede museale all’interno del Polo Espositivo dei Musei Capitolini. I mirabili esempi di villaggi operai quali: Crespi d’Adda in provincia di Bergamo, Patrimonio Unesco il cui corpo di fabbrica nel 2013 è stato acquisito dal gruppo Percassi; il Villaggio Leumann in Piemonte; la città di Schio e il Lanificio Rossi in Veneto. E le forme più contemporanee di essi come: Ivrea, la città di Olivetti; Dalmine; Metanopoli; e anche il Villaggio Eni di Borca di Cadore pensato per lo svago dei dipendenti dove da diversi anni ha trovato casa il Progetto Borca realizzato da Dolomiti Contemporanee. L’ex Stabilimento Florio delle tonnare di Favignana e Formica in Sicilia; il Molino Stucky a Venezia, ora Hilton Molino Stucky Venice, e altri ancora.

Ma Archeologiaindustriale.net è anche un palco da dove lanciare un appello per il patrimonio a rischio, come nel caso dell’ex merlettificio Turk di Pinerolo. Una vetrina dove promuovere libri sul tema. Uno spazio dove comunicare eventi (svolgendo anche il ruolo di media partner tematico in diverse occasioni) e novità del settore. Un luogo virtuale di connessioni, dal quale passano, alle volte anche accidentalmente navigando sul web, appassionati, esperti, curiosi, per chiedere suggerimenti su come valorizzare un proprio bene, presentare ricerche da pubblicare, o magari semplicemente prenotare una visita guidata credendo erroneamente di trovarsi sulla pagina ufficiale del complesso industriale dove si intende andare.

Oggi, guardando indietro a questi dieci anni, posso dire che tanti traguardi inattesi sono stati raggiunti da Archeologiaindustriale.net, una macchina che guido da sempre in solitaria: pubblicazioni di articoli, partecipazioni a convegni, persino all’interno del Parlamento organizzato personalmente − Il Patrimonio industriale in Italia. Da spazi vuoti a risorsa per il territorio −, una mostra in Galleria Vittorio Emanuele II a Milano – Metamorfosi Urbane –, e anche una menzione speciale al Premio dell’Unione Europea per il Patrimonio Culturale – Europa Nostra Awards. Certo, non sono mancate anche le delusioni e la convinzione che si sarebbe potuto fare di più se solo in questo Paese la cultura avesse davvero un ruolo da protagonista nell’economia. Ad ogni modo, Archeologiaindustriale.net, c’è, esiste e va avanti per tutti quelli che riescono a vedere il bello oltre la funzionalità, per chi riconosce nella scintilla del metallo fuso il genio che forgia la storia.




Tortona Solari. Milano in un quartiere, il nuovo libro alla scoperta dei luoghi che cambiano

“Tortona Solari. Milano in un quartiere”, è il titolo del libro di Roberto Monelli che ci porta alla scoperta di una delle zone del capoluogo lombardo più affascinanti dal punto di vista del recupero del patrimonio industriale. 

Il libro, ci racconta l’autore, nasce nell’ambito del lavoro dell’associazione Museolab6, laboratorio urbano attivo nel promuovere la tutela e la cura del patrimonio materiale e immateriale di Milano Sud-Ovest.

Un nuovo quartiere cresce a fine Ottocento fuori le mura di Milano, dove c’erano campi e cascine, due sentieri e una nuova ferrovia. Vedrà un’incredibile concentrazione industriale, la crisi, l’arrivo del mondo della moda e della comunicazione, di industrie culturali creative, della Design Week, del Museo MUDEC.

Una storia unica, ma emblematica dello sviluppo di Milano, e quindi dell’Italia industriale. Questa guida ci accompagna lungo le vie del quartiere, dove quasi in ogni edificio, in ogni corte, in ogni isolato c’erano laboratori, officine, grandi fabbriche. Le vie Tortona, Savona, Solari, Bergognone, Montevideo, Stendhal erano definite da attività industriali sconosciute o famose, alcune delle quali esistono ancora oggi.

Nella nostra passeggiata facciamo colazione con il caffè (d’orzo) della Franke oppure della Nestlè, usando il gas che esce da un contatore Siry-Chamon, come con un caffè fatto da una Cimbali Rapida, servito in una tazza Richard-Ginori; saliamo sulla scoppiettante vettura Prinetti e Stucchi 4HP guidata da Ettore Bugatti, veniamo superati dalle potenti auto della Züst o dalle eleganti Isotta Fraschini e Lancia della Carrozzeria Castagna, magari verniciate con i colori Max Mayer; ascoltiamo un motivetto da una radio CGE, facciamo un giro su una bicicletta Prinetti e Stucchi con pneumatici Hutchinson, prendiamo l’aperitivo con un Campari Soda nella bottiglia a cono prodotta dalla vetreria Bordoni, e, dopo cena, ci concediamo un Ferro-China con il signor Bisleri, alla luce di una lampadina OSRAM, della lampada Bilia di Gio Ponti per Fontana Arte, oppure del Luminator dei fratelli Castiglioni per la Gilardi & Barzaghi. La corrente elettrica che viene dalle centrali idroelettriche lombarde è generata dalle turbine Riva-Calzoni.

È solo una piccola parte delle aziende che producevano in zona (tranne Campari). Di alcune fabbriche sono rimasti gli edifici, riadattati a showroom e uffici, alle volte con inserimenti di corpi moderni progettati da noti architetti. Tra i tanti esempi, il complesso CGE-Ansaldo, che ora ospita l’hub culturale Base, il museo MUDEC, i laboratori della Scala; il complesso della Riva-Calzoni, l’area ex Nestlè oggi Armani. Un processo iniziato negli anni ’80, quando con l’abbandono delle attività produttive è iniziata una lenta gentrificazione del quartiere, con l’arrivo di attività legate all’editoria e alla moda. In seguito, spazi grandi e piccoli sono diventati showroom per le installazioni della Design Week o le sfilate della Fashion Week.

Tutto cambierà ancora con l’arrivo della linea 4 della metropolitana, e ancora di più quando avverrà il previsto arretramento della linea ferroviaria Milano Mortara, con la dismissione della stazione di Porta Genova e l’arretramento a quella di S. Cristoforo, mettendo in comunicazione il quartiere con il Naviglio Grande.

Questi cambiamenti modificheranno i confini del quartiere, ma resterà comunque l’identità di un grande passato.

Chi è Roberto Monelli

Roberto Monelli è nato nel 1957 e vive a Milano. È architetto, giornalista pubblicista e copywriter. Ha lavorato per Regione Lombardia nella comunicazione e in campo culturale. È co-fondatore dell’associazione Museolab6, laboratorio urbano attivo nel promuovere la tutela e la cura del patrimonio materiale e immateriale di Milano Sud-Ovest. Ha pubblicato 1600 vicini di casa (1996) e, con Mursia, il romanzo per ragazzi Mabbûl (2006).

Titolo:Tortona Solari. Milano in un quartiere
Autore:Roberto Monelli
Casa Editrice:Mursia
EAN:9788842560197
Lingua:italiano




Fabbriche ritrovate. Patrimonio industriale e progetto di architettura in Italia – Il nuovo libro

È uscito il nuovo libro sul patrimonio industriale realizzato a quattro mani dal professore Massimo Preite e dall’architetto Gabriella Maciocco, con la prefazione del presidente Aipai Edoardo Currà. Il libro è edito da Effigi e fa parte della collana Industrial Heritage.

Fabbriche ritrovate vuole essere una ricognizione delle migliori esperienze di riuso del patrimonio industriale condotte in Italia negli ultimi 30 anni. Nella prima sezione “Le fabbriche com’erano” il lettore potrà trovare un breve profilo storico degli stabilimenti di cui, nella seconda sezione “Le fabbriche ritrovate”, sono illustrati i progetti attraverso cui gli architetti hanno reinterpretato forma e funzioni delle architetture industriali. Nella terza sezione “Fabbriche e città” compaiono gli esempi di alcuni quartieri urbani in cui il recupero del patrimonio industriale dismesso ha rappresentato una leva fondamentale per la loro rigenerazione.

Fabbriche ritrovate

Riuso del patrimonio industriale, tra conservazione e trasformazione

Questa pubblicazione è nata da una mostra organizzata nel 2018 presso l’Istituto Italiano di Cultura di Santiago del Cile, in concomitanza al 17° Congresso di The International Committee for the Conservation of Industrial Heritage (TICCIH). In quell’occasione fu presentata una prima selezione di progetti realizzati di riuso del patrimonio industriale in Italia, nella convinzione che dalle esperienze condotte nel nostro paese emergesse una significativa varietà degli approcci possibili al tema del riuso delle antiche fabbriche.

La selezione fornita in queste pagine, pur nella sua inevitabile soggettività, ha cercato di includere un numero ancora maggiore di esperienze, desunte sia dalla conoscenza diretta degli autori, sia dallo spazio che hanno ricevuto nella stampa specializzata. Tali progetti hanno rivelato una forte carica sperimentale, resa necessaria dalla mancanza di una cornice condivisa di principi in grado di fissare quale dovrebbe essere l’equilibrio da osservare fra conservazione e trasformazione. In base alla propria esperienza, gli architetti che si sono cimentati in interventi di “adaptive reuse” hanno dato la propria personale risposta ai dilemmi in cui incorrono le pratiche di riuso del patrimonio dismesso: quali sono i margini di trasformazione entro cui un intervento deve restare per non compromettere i caratteri dell’edificio? Cosa è sacrificabile e quali, invece, sono gli elementi la cui conservazione non è negoziabile? Cosa è invece possibile cambiare?

La risposta a tali quesiti che, come già detto, non è potuta essere che soggettiva, ha messo in luce una grande varietà di strategie per quanto riguarda il rapporto con la storia della fabbrica da recuperare, la rimodulazione dei suoi spazi interni, l’impiego di nuovi materiali, gli inserimenti di nuova edilizia secondo rapporti di analogia formale o di opposizione stilistica con le strutture preesistenti, oppure la demolizione controllata di certe componenti per aprire e rendere accessibili spazi primi preclusi. Il libro vuole essere dunque una ricognizione delle migliori esperienze condotte in Italia negli ultimi 30 anni attraverso un certo numero di schede illustrative dei progetti selezionati, intese a fornire un’adeguata rappresentazione delle scelte di volta in volta effettuate.

Fabbriche ritrovate: gli autori

Massimo Preite, già professore di Urbanistica presso il Dipartimento di Architettura (DIDA) dell’Università di Firenze, insegna Patrimonio industriale nel master Erasmus Mundus Techniques, Patrimoines, Territoires de l’Industrie (TPTI) presso l’Università di Padova. Ha svolto un’intensa attività di ricerca sulla conservazione e la valorizzazione del patrimonio industriale. È membro dei Board di The International Committee for the Conservation of Industrial Heritage (TICCIH), della European Route of Industrial Heritage (ERIH) e dell’Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico Industriale (AIPAI). È autore di numerose pubblicazioni, tra cui “Paesaggi industriali del Novecento”, “Masterplan, la valorizzazione del paesaggio minerario”, “Towards a European Heritage of the Industry” e “Paesaggi industriali e patrimonio Unesco”.

Gabriella Maciocco, architetto, nel corso della sua attività ha svolto lavori di pianificazione urbanistica e di recupero/valorizzazione di siti industriali dismessi in Italia. Ha partecipato alla progettazione dei parchi e dei musei minerari di Abbadia San Salvatore (SI), delle Colline Metallifere (GR) e di Servette (AO). Dai suoi lavori di ricerca sul patrimonio industriale ha tratto numerose pubblicazioni, fra cui i libri “Da miniera a museo: il recupero dei siti minerari in Europa”, “La miniera di mercurio di Abbadia San Salvatore”, “Archeologia industriale in Amiata” e altri saggi. È membro dell’Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico Industriale” (AIPAI).

 

Titolo: Fabbriche ritrovate
Autore: Massimo Preite e Gabriella Maciocco
Casa Editrice: Effigi
ISBN: 9-788855-243414
Lingua: italiano/inglese




La Guida al turismo industriale, luoghi inediti del nostro passato e futuro

È uscita in libreria la Guida al turismo industriale, per chi ha voglia di farsi stupire dalla scoperta di luoghi non convenzionali, per chi è in grado di scorgere la bellezza anche dentro forme funzionali, per chi è appassionato di cultura materiale e storia di impresa.

Gallery: alcuni dei siti presenti nella Guida al turismo industriale

Scritta dall’esperto di patrimonio industriale Jacopo Ibello, cofondatore e presidente dell’associazione Save Industrial Heritage e membro del direttivo dell’Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico Industriale (Aipai), la Guida al turismo industriale si pone l’obiettivo di portare il lettore alla scoperta di città, siti, musei e fondazioni riconducibili alla civiltà industriale del nostro Paese, per sperimentare un’Italia diversa dall’immagine che comunemente ne abbiamo.

La Guida al turismo industriale, realizzata da Morelli Editore, ha una struttura molto pratica e di semplice fruizione. Per ogni regione italiana la guida presenta una serie di schede tutte corredate dalle informazioni di servizio utili per la visita (giorni e orari di apertura, costi, telefono, sito) e dalle coordinate Gps per raggiungere le località al di fuori dei consueti itinerari turistici (miniere, saline, ecc). In chiusura del volume c’è una sezione Eventi elenca le principali iniziative nazionali dedicate alla cultura industriale.

Guida al turismo industriale

La Guida al turismo industriale: alla scoperta del patrimonio italiano

Negli ultimi anni, il patrimonio industriale è diventato un tema d’interesse anche per il turismo: sono nati ovunque percorsi locali e regionali, reti di musei e veri e propri sistemi di promozione del territorio. E il nostro Paese è in prima linea nella valorizzazione di questa grande risorsa che comprende sia l’archeologia industriale – fabbriche dismesse, musealizzate o riconvertite a nuove funzioni – sia la cosiddetta cultura d’impresa, che include i musei e gli archivi aziendali e le visite all’interno di impianti industriali ancora attivi

Dal Piemonte fino alla Sardegna, sono quasi 300 le schede raccolte in questa guida suddivisa per regioni e aree geografiche che oltre a tracciare un nuovo profilo del made in Italy, vuole disegnare parallelamente la storia socio-economica della nostra Penisola a partire dalle sue industrie e manifatture. La Guida al turismo industriale è un viaggio appassionante che evidenzia lo stretto legame tra le produzioni di ogni tipo e i territori e le culture di appartenenza, dal distretto dell’automobile torinese alle grandi officine marittime, passando per i villaggi operai di fine Ottocento, fino agli esempi industriali “illuminati” novecenteschi – tra i quali spicca il caso Olivetti –, e alle produzioni autoctone come il marmo toscano, la liquirizia calabrese o le saline siciliane.

Non da ultimo, nella Guida al turismo industriale sono segnalati molti siti industriali oggi riconvertiti a luoghi della cultura, dove sono ospitate mostre di arte contemporanea, eventi, spettacoli e molto altro, com’è il caso del Villaggio ENI a Borca di Cadore, la Fondazione Pirelli o, ancora, l’avveniristica MAST – Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia di Bologna.

La Guida al turismo industriale è già acquistabile in libreria oppure sui canali online come Amazon, Feltrinelli e altri.




Centrale Montemartini. Una luce nuova per Roma, il libro

Centrale Montemartini. Una luce nuova per Roma. È questo il titolo del nuovo libro edito da De Luca Editori d’Arte che racconta di uno dei monumenti più affascinanti, complice una felice destinazione d’uso, dell’archeologia industriale a Roma.

Questo libro è il risultato degli studi e delle esperienze compiute negli anni presso il Museo Centrale Montemartini, e vuole essere uno strumento, per pubblico e addetti, a servizio del ‘cantiere’ Montemartini, laboratorio di sperimentazione museologica per l’Archeologia Industriale romana.

Il testo si propone due obiettivi: da una parte, raccontare la storia della centrale termoelettrica, le sue trasformazioni e fasi di sviluppo, intrecciandole con i fatti storici e i protagonisti che le hanno determinate; dall’altra, non trascurare il discorso tecnico, la funzione produttiva, che è la ragione d’essere stessa della fabbrica e dei macchinari che essa ospitava. È infatti proprio in questi due ambiti, quello storico e quello tecnico-funzionale, che risiede il complesso valore culturale di questo spazio così suggestivo, e unico.

Libro, Centrale Montemartini. Una luce nuova per Roma: introduzione dell’autore Antonio David Fiore

La ex centrale termoelettrica Giovanni Montemartini è un esempio unico di Archeologia Industriale. Tra gli opifici dismessi riadattati a nuove funzioni a Roma è il solo ad aver conservato buona parte del macchinario originariamente funzionante nell’impianto. Tra gli ex edifici industriali che, in Italia e all’estero, hanno conservato i meccanismi di produzione, è uno dei pochi a non essere stato trasformato esclusivamente in un museo di sé stesso, o ad offrire spazio per una esposizione generalista di tipo tecnico-scientifico. Il Museo Centrale Montemartini è l’unico museo al mondo a realizzare una commistione di reperti archeologici e tecnico-scientifici: il risultato è affascinante.

Eppure, questo esperimento coraggioso di musealizzazione ibrida non è stato il frutto di una pianificazione coerente o di un piano a lungo termine, tutt’altro. L’esposizione archeologica nasce nel 1997 come mostra temporanea, per essere trasformata in un allestimento permanente solo quattro anni dopo, quando il sorprendente successo dell’iniziativa aveva reso la centrale Montemartini un luogo di affezione che la cittadinanza aveva acquisito come stabile, forse anche per il suo raggiungere una periferia, come l’Ostiense, in cerca di nuova identità.

Per questo motivo, il connubio archeologia/tecnologia, così seducente dal punto di vista visivo e allo stesso tempo suggestivo di ulteriori relazioni e letture, da un punto di vista museologico è rimasto incompiuto, per lungo tempo, apparentemente immobilizzato. Apparentemente, perché nel frattempo, dietro le quinte, si è pazientemente investigato archivi e fondi storici, si è raccolto e ordinato il materiale documentario riguardante la centrale, si è studiato tutto il patrimonio tecnologico, lo si è catalogato ed inventariato; si è fatta ricerca presentandone i risultati alla comunità scientifica nazionale ed internazionale. Si è anche operato all’interno del Museo, con piccoli e mirati interventi di riequilibrio tra le diverse ‘voci’ che i visitatori sono invitati ad ascoltare.

Le pagine del libro sono il risultato degli studi e delle esperienze fatte e, allo stesso tempo, un ulteriore strumento, per pubblico ed addetti, a servizio del ‘cantiere’ Montemartini, laboratorio di sperimentazione per l’Archeologia Industriale romana. Esse si propongono due obiettivi: da una parte, raccontare la storia della centrale Montemartini, le sue trasformazioni e fasi di sviluppo, intrecciandole con i fatti storici e i protagonisti che le hanno determinate; dall’altra, non trascurare il discorso tecnico, la funzione produttiva, che è la ragione d’essere stessa della centrale e dei macchinari che essa ospitava. Conseguentemente, il testo è diviso in due parti. La prima descrive, seguendo un ordine cronologico, l’evoluzione del complesso dalle origini dell’impresa municipale fino alla dismissione degli anni ’60, la riconversione in Art Center ACEA e la successiva trasformazione in sede espositiva e quindi in museo. La seconda parte, invece, prende in considerazione l’aspetto tecnico-funzionale della centrale e mira a definirne l’identità attraverso un’interpretazione dei cicli produttivi, del contributo delle singole macchine e delle caratteristiche dei vari spazi… continua

 

Titolo:Centrale Montemartini. Una luce nuova per Roma
Autore: Antonio David Fiore
Casa Editrice:De Luca Editori d’Arte
ISBN:978-88-6557-450-8
Lingua: italiano




Torviscosa, città del Novecento: il libro sulla company town

Torviscosa, città del Novecento è un libro di semplice lettura, ricco di immagini e di documenti, che raccontano la storia di Torviscosa, la città della cellulosa nata dalla volontà imprenditoriale della SNIA Viscosa.

Il libro sulla storia della company town Torviscosa

La storia di Torviscosa comincia negli anni ’30 del secolo scorso con l’autarchia, che induce la SNIA Viscosa, all’epoca la più grande azienda italiana del settore dei tessili artificiali, a cercare il modo di produrre cellulosa a partire da materie prime nazionali. Nasce così questa città aziendale “di fondazione”, rigorosamente organizzata per categorie professionali, ma caratterizzata dagli stili architettonici tipici del regime e con una piazza ispirata a quelle metafisiche di De Chirico.

Tra il 1937 e il 1942 la SNIA Viscosa acquista e mette a coltura 6.000 ettari di terreno, costruisce e porta a pieno regime la fabbrica, fa edificare le principali strutture civili e poi, fino ai primi anni Sessanta, continua ad ampliare il centro civico con nuovi edifici e abitazioni. Fino alla fine degli anni Settanta, Torviscosa rimane quasi completamente di proprietà della SNIA Viscosa.

Il libro è un racconto ricchissimo di informazioni sulla storia di Torviscosa e del suo territorio, in cui sono sintetizzati i risultati di una ricerca storica ventennale. Facile da leggere, è però puntuale e preciso nelle descrizioni e inoltre ricco di immagini, curiosità e approfondimenti.

Titolo: Torviscosa, città del Novecento
Testi: Lorena Zuccolo
Ricerca storica: Mareno Settimo e Lorena Zuccolo
Disegni e grafica: Dario Ontani
Casa Editrice: Pro Torviscosa APS – Pagina Facebook
ISBN: 978-88-944233-0-3
Lingua: italiano




Musei d’impresa: conservare il passato per ispirare il futuro

Musei d’impresa: conservare il passato per ispirare il futuro è l’articolo pubblicato all’interno della rivista Uomini e Imprese edita da Fiera Milano Media Spa.

Musei d’impresa: conservare il passato per ispirare il futuro è un viaggio nei luoghi dedicati alla conservazione e valorizzazione del nostro più recente patrimonio industriale.

“Gli oggetti, i documenti, le immagini raccolte in queste strutture hanno la straordinaria capacità di testimoniare l’evoluzione sociale, culturale ed economica dei territori, di interpretare la nostra storia e il nostro presente.”

Alberto Meomartini, vicepresidente della Camera di commercio di Milano e Presidente di Museimpresa

Musei d’impresa: conservare il passato per ispirare il futuro

Musei d’impresa. E, a pensarci bene, se si leggesse “impresa” nell’accezione di “iniziativa importante e difficile” invece che di “azienda” non si commetterebbe poi un errore, perché non è raro in questi luoghi imbattersi in vere e proprie “imprese industriali” che hanno rivoluzionato il nostro vivere.

di Simona Politini

Per leggere l’articolo cliccare qui

All’interno dell’articolo Musei d’Impresa si racconta di:
Officina Rancilio 1926, Galleria Campari, Museo del cappello Borsalino, Museo Salvatore Ferragamo, Museo Armani Silos, Museo Ferrari e Museo Enzo Ferrari, La macchina del tempo – Museo Storico Alfa Romeo, Museimpresa




Strategie di rigenerazione del patrimonio industriale – Libro

Strategie di rigenerazione del patrimonio industriale. Creative factory, heritage telling, temporary use, business model è il nuovo libro sulla recupero dei siti di archeologia industriale e la loro rigenerazione.

Il libro Strategie di rigenerazione del patrimonio industriale, a cura di  Cristina Natoli e Manuel Ramello, si inserisce nella consolidata attività di ricerca sulla rigenerazione urbana ed extraurbana delle aree a forte connotazione industriale in cui è in atto un processo di deindustrializzazione legato a trasformazioni economico-produttive e processi di globalizzazione del mercato le cui conseguenze hanno determinato una profonda metamorfosi territoriale.

Da queste riflessioni e dall’osservazione dei molteplici fenomeni a piccola e grande scala già in essere, si sono individuati quattro temi di grande attualità per confrontarsi con sguardo multidisciplinare alla rigenerazione del patrimonio industriale attraverso citazioni nazionali e internazionali ed esperienze in ambito locale. Arte, cultura, creatività, nuove tecnologie, unite alla narrazione dei luoghi e delle esperienze e sorrette da un progetto economico sostenibile sono oggi motore di rinnovamento urbano e sociale.

Strategie di rigenerazione del patrimonio industriale: i contributi

Il libro Strategie di rigenerazione del patrimonio industriale: contiene i contributi di: Paola Bacchi, Pio Baldi, Michela Barosio, Francesco Bermond des Ambrois, Maria Consolata Buzzi, Davide Canavesio, Danilo Craveia, Stefania Dassi, Gianluca D’Incà Levis, Ferdinando Fava, Giovanni Luigi Fontana, Isabel Gollin, Maria Adriana Giusti, Jacopo Ibello, Carlo Infante, Renato Lavarini, Doris Messina, Gennaro Miccio, Marco Montemaggi, Stefania Moretti, Paolo Naldini, Cristina Natoli, Marco Pironti, Massimo Preite, Manuel Ramello, Emanuele Ronco, Manuela Salvitti, Angelica Sella Marco Trisciuoglio, Giovanni Vachino, Anna Zegna, Andrea Zorio.

Strategie di rigenerazione del patrimonio industriale: i curatori del libro Cristina Natoli e Manuel Ramello

CRISTINA NATOLI, architetto PhD, dal 2010 funzionario del MiBACT della SABAPTo, attiva sulla SABAPNo con ruolo di Referente per l’area Educazione e Ricerca, svolge attività di tutela, ispezione, progettazione e restauro su beni architettonici e paesaggistici, progetti di educazione e ricerca scientifica, organizzazione mostre, convegni, seminari divulgativi e scientifico formativi, cura di attività editoriali. È membro del Comitato Scientifico della Fondazione Sella, del Direttivo di AIPAI – Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico Industriale. Svolge attività di ricerca sul patrimonio industriale in relazione alle nuove tecnologie e alle attività culturali e creative. È autore di articoli e pubblicazioni sui temi del patrimonio industriale, di storia dell’urbanistica e dell’architettura medievale, lettura stratigrafica del territorio per l’identificazione dei valori culturali, paesaggio.

MANUEL RAMELLO, architetto phD, dal 2002 svolge attività di ricerca sui temi della tutela e valorizzazione del patrimonio industriale alternando la libera professione con collaborazioni continuative con enti di ricerca. È docente di Rigenerazione Urbana al Master in Conservazione, Gestione e Valorizzazione del Patrimonio Industriale – MPI dell’Università degli Studi di Padova, vicepresidente di AIPAI – Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico Industriale e condirettore della rivista semestrale AIPAI «Patrimonio industriale». Nel 2017 fonda con Alessandro Depaoli lo studio di progettazione dedicato ai temi del patrimonio industriale Ex Industria.

Titolo:Paesaggi industriali e patrimonio Unesco
Curatori: Cristina Natoli e Manuel Ramello
Casa Editrice:Edifir, Edizioni Firenze
ISBN:978 88 7970 877 7
Lingua: italiano




Paesaggi industriali e patrimonio Unesco, il nuovo libro del Prof. Massimo Preite

Il volume Paesaggi industriali e patrimonio Unesco propone una raccolta degli scritti più significativi di Massimo Preite sui temi del patrimonio industriale.

Si tratta di comunicazioni presentate a convegni e di articoli già pubblicati, ma non facilmente reperibili. Molti sono stati ritradotti dalla loro originaria versione in lingua straniera e resi pertanto accessibili anche ai lettori italiani. Pur essendo stati redatti in occasioni e in tempi diversi, una volta raggruppati per sezioni tematiche, questi contributi rivelano un coerente filo conduttore: quello del paesaggio, declinato sotto diverse angolazioni.

Paesaggi industriali e patrimonio Unesco, il nuovo libro di Massimo Preite: la trasformazione del paesaggio

 

Che il paesaggio sia l’elemento unificante del libro Paesaggi industriali e patrimonio Unesco unificante appare del tutto logico, dato che Massimo Preite è stato tra i primi in Italia ad analizzare le trasformazioni prodotte dai processi di patrimonializzazione nella percezione/ rappresentazione del paesaggio. Anni addietro egli aveva infatti avvertito come, nel passaggio da luoghi di lavoro a luoghi di loisir, quel che prima non era paesaggio poteva diventarlo, quando, ad esempio, la miniera cessava di operare e dalle complesse strutture dismesse (come in Sardegna o in Toscana), emergeva come per incanto – agli occhi dello studioso o del turista appassionato – “un’insospettata dimensione estetica, una ‘bellezza’ involontaria (perché inconsapevolmente ottenuta da chi progettò e realizzò quelle strutture”.

 

Paesaggi industriali e patrimonio Unesco, il nuovo libro di Massimo Preite: il paesaggio minerario

 

Non per caso, dunque, la prima sezione tematica del volume Paesaggi industriali e patrimonio Unesco è dedicata al paesaggio minerario, ma con considerevoli approfondimenti e sviluppi rispetto agli approcci originari. Le molte esperienze fatte ed analizzate, in Italia, in Europa e nel mondo, rendono infatti del tutto evidente che proprio nei territori minerari dismessi l’intreccio fra ambiente naturale e industria estrattiva impone la scala del paesaggio come dimensione irrinunciabile di ogni progetto di recupero e valorizzazione.

 

Paesaggi industriali e patrimonio Unesco, il nuovo libro di Massimo Preite: il paesaggio industriale urbano

 

La seconda sezione tematica del volume Paesaggi industriali e patrimonio Unesco affronta le problematiche del paesaggio industriale urbano, in cui il recupero dell’industrial heritage è oggi una delle leve strategiche per i nuovi programmi di rigenerazione urbana in Italia e in Europa, dimostrando quanto poco fondamento avessero i conclamati conflitti tra le ragioni della cultura e quelle dell’economia; e come pratiche orientate all’innovazione abbiano potuto permettere l’integrazione di edifici e siti industriali non più produttivi in nuove funzionalità urbane e la loro restituzione al pubblico come patrimonio culturale collettivo.

 

Paesaggi industriali e patrimonio Unesco, il nuovo libro di Massimo Preite: i paesaggi culturali evoluti, ovvero i siti Unesco di archeologia industriale

 

In connessione con i temi relativi alla riqualificazione urbana, nella terza sezione del libro Paesaggi industriali e patrimonio Unesco Massimo Preite si occupa dei paesaggi iscritti nella Lista Unesco sotto la categoria dei paesaggi culturali evolutivi, che, in quanto tali, aprono scenari assolutamente inediti nella ricerca di nuovi equilibri tra trasformazione e conservazione. Ancora una volta, il riferimento al paesaggio – inteso secondo la Convenzione europea del 2000 non solo quale “componente essenziale del quadro di vita delle popolazioni”, ma anche quale “espressione della diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale e fondamento della loro identità”- si rivela di grande utilità nel prefigurare un’evoluzione dalla comunità patrimoniale locale, quale referente naturale del patrimonio e dei significati ad esso associati, ad una società plurale, in cui occorre conciliare strategie talora in conflitto nella costruzione sociale del patrimonio culturale.

 

Paesaggi industriali e patrimonio Unesco: Massimo Preite e il patrimonio industriale

 

Nel loro insieme i lavori qui pubblicati documentano un’attività pluriennale di studio sui temi del patrimonio industriale che Massimo Preite ha svolto rivestendo molteplici ruoli: quello di ricercatore sui diversi modelli e percorsi di patrimonializzazione dei siti industriali; quello di docente a Firenze e a Padova, dove, dal diretto confronto con gli allievi del Master in Conservazione, gestione e valorizzazione del patrimonio industriale e dell’Erasmus Mundus “Technique, patrimoine, territoires de l’industrie” (TPTI), ha potuto trarre non pochi stimoli di discussione e di approfondimento; quello di consulente per enti e amministrazioni in progetti di riconversione di siti dismessi e quello di membro del consiglio direttivo dei maggiori organismi internazionali che si occupano di patrimonio industriale (TICCIH, ERIH).

Le questioni affrontate nel volume hanno segnato anche le tappe evolutive del ventennale impegno sviluppato in svariate attività scientifiche ed operative dall’Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico Industriale, del cui Consiglio direttivo Massimo Preite è membro da lunga data. Nelle sue riflessioni sulla conservazione del patrimonio industriale, sui suoi modelli di valorizzazione, sul ruolo attivo che la riqualificazione dei siti industriali dismessi esercita nelle politiche contemporanee di rilancio della città e del territorio non è difficile riconoscere la forte assonanza con le tesi che la nostra associazione ha sostenuto in tutte le occasioni di dibattito e di intervento promosse negli ultimi anni .

L’interesse di questi scritti, soprattutto di quelli più recenti, è legato in particolare alla percezione delle nuove sfide che devono fronteggiare coloro che si occupano di patrimonio industriale. Oggi, infatti, non è più sufficiente la pur sacrosanta difesa della memoria storica e dei sistemi di valori relazionati alla comunità locale. Per perpetuarsi, la memoria deve vivificarsi in un progetto creatore di nuovi valori integrandosi nelle dinamiche evolutive dei territori e proiettandosi nel futuro. Non solo la straordinaria varietà e complessità del patrimonio industriale, la sua enorme estensione a tutte le latitudini, ma anche e soprattutto i rapidissimi cambiamenti culturali, economici e sociali in atto nelle diverse aree del mondo impongono oramai l’elaborazione di strategie e politiche di conservazione, riuso e valorizzazione sempre più innovative e diversificate.

Solo così le testimonianze della civiltà industriale saranno definitivamente assimilate nella comune eredità culturale con processi di integrazione già ben visibili nell’evoluzione delle normative internazionali e in molte esperienze in atto, tutte ispirate alla salvaguardia del patrimonio culturale nelle sue diverse componenti materiali e immateriali, alla protezione e promozione delle diversità culturali, allo sviluppo del dialogo interculturale, alla partecipazione della società civile alle attività di individuazione e di gestione del patrimonio e alla definizione delle relative politiche.

Ne fa fede anche la proposta di legge sul patrimonio culturale immateriale depositata alla Camera dei Deputati lo scorso maggio, dove, tra le varie categorie di beni intangibili, si annoverano “cognizioni e prassi relative alla natura e all’universo, conoscenze, saperi, competenze e pratiche tradizionali connessi al rapporto tra l’uomo e l’ambiente, all’uso delle risorse naturali e alla cura degli animali”; ”arti manuali, mestieri e manifatture tradizionali con i relativi saperi, taciti e codificati, competenze e pratiche, nonché siti, edifici, strumenti, impianti, attrezzature, oggetti, manufatti e infrastrutture a essi dedicati o associati”; “attrezzature, edifici, complessi e siti industriali, reti energetiche e comunicative, infrastrutture e spazi abitativi, sociali, culturali, assistenziali e del tempo libero a essi dedicati o associati”; “attività commerciali tradizionali, con i relativi saperi e competenze tecnici e organizzativi, luoghi storici del commercio”; “tradizioni alimentari ed enogastronomiche, con i relativi saperi e tecniche, taciti e codificati, quali espressioni dell’identità storico-culturale del territorio e strumenti per la tutela della biodiversità alimentare”.

Tutto ciò si inserisce perfettamente nel quado evolutivo del nostro sistema produttivo marcatamente orientato verso un’economia dei servizi, dove sono sempre più evidenti le interazioni tra settori un tempo separati e dove la frontiera della qualità si arricchisce di semlre nuovi contenuti e capacità comunicative che portano a dare crescente valore all’autenticità della produzione e alle esperienze di consumo. Quest’economia delle esperienze e dell’autenticità ha anche dal lato dell’offerta alcune importanti ricadute messe in luce di recente da alcuni economisti dello sviluppo che hanno sottolineato la rilevanza del legame con la storia, la cultura, le capacità specifiche di un territorio produttivo, le quali “diventano parte essenziale della qualità del bene o del servizio venduto”. Se questo aspetto “può sembrare scontato per il turismo, dove l’ambiente, naturale o storico, costituisce una componente fondamentale dell’attrattività del servizio” o per il settore agroalimentare e viti-vinicolo, in particolare quando la denominazione di origine risulta essenziale nella valutazione dei consumatori, può essere molto importante “anche per i prodotti manifatturieri che esprimono un’eccellenza collegata ad una tradizione artistica, artigianale o industriale del territorio”.
Nuove sfide, dunque, ma anche nuovi e stimolanti spazi per la creatività e la progettualità nella valorizzazione del patrimonio industriale all’interno di processi di sviluppo sostenibile capaci di mobilitare tutte le risorse e tutti i soggetti presenti nel territorio.

Introduzione al volume Paesaggi industriali e patrimonio Unesco
di Giovanni Luigi Fontana
Presidente AIPAI

Note sull’autore
MASSIMO PREITE, docente di Urbanistica presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze, insegna “Patrimoine industriel: connaissance et projet” nel corso di laurea magistrale Erasmus Mundus “Techniques, Patrimoine,Territoires de l’Industrie” presso l’Università di Padova.
È membro dei consigli direttivi di The International Committee for the Conservation of the Industrial Heritage (TICCIH), dell’European Route for the Industrial Heritage (ERIH), dell’Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico Industriale (AIPAI).
Collabora con ICOMOS alla valutazione di candidature del patrimonio industriale alla Lista UNESCO del Patrimonio Mondiale dell’Umanità.

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Titolo:Paesaggi industriali e patrimonio Unesco
Autore: Massimo Preite
Casa Editrice:Edizioni Effigi
ISBN:978-88-6433-838-5
Lingua: italiano




Ivrea e Olivetti, eredità di un luogo – Intervista al Segretario Generale della Fondazione Adriano Olivetti

Ivrea e Olivetti, eredità di un luogo, articolo pubblicato all’interno della rivista Uomini e Imprese edita da Fiera Milano Media Spa, racconta della visione di uomo e del patrimonio materiale e immateriale che questa ha generato.

Ragioni per le quali Ivrea Città Industriale del XX Secolo si candida a far parte della Lista del Patrimonio Mondiale Unesco. Ne parliamo insieme a Beniamino de’ Liguori Carino, Segretario Generale Fondazione Adriano Olivetti.

Per le immagini si ringrazia il fotografo Gianluca Giordano

Ivrea e Olivetti, eredità di un luogo

Esistono luoghi che, pur perdendo la funzione originaria, non scompaiono né si mimetizzano all’interno del processo di urbanizzazione, ma rimangono lì, rigenerandosi attraverso la propria forza ed energia, a mantener vivo un ricordo che serve da ispirazione. È questo il caso di Ivrea, la città industriale di Adriano Olivetti.
di Simona Politini

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Chi va al mulino… Acque mulini e mugnai delle valli piemontesi – Il libro

Chi va al mulino… Acque mulini e mugnai delle valli piemontesi è il libro di Emanuela Genre edito da Neos Edizioni che racconta degli affascinanti mulini in Piemonte.

I mulini ad acqua, si sa, hanno un fascino del tutto particolare, hanno colpito la fantasia di scrittori e pittori e ancora oggi il loro potere di suggestione non è diminuito. Queste pagine, prendendo in esame un nutrito numero di mulini delle valli piemontesi, va oltre gli stereotipi e il mito un po’ romantico che ha connotato l’idea di queste strutture. Se ne vuole invece far conoscere il meccanismo di funzionamento e il piccolo universo che un tempo ruotava loro intorno: la relazione con la rete idrica del territorio, le figure dei mugnai, le normative che li regolavano e la loro importanza sociale, la loro sorte al giorno d’oggi.

 

Nel Pinerolese, sia nella zona pedemontana sia in quella di media montagna, sono tuttora visibili e visitabili numerosi mulini da cereali che hanno alle spalle una storia plurisecolare. In alta Val Pellice, ad esempio, il Comune di Bobbio Pellice possiede un mulino che, situato nel centro abitato a ridosso della cosiddetta “diga Cromwell”, presenta ancora la grande ruota verticale messa in movimento dall’acqua. Tale edificio vanta testimonianze che risalgono al primo decennio del XVIII secolo, quando già esso apparteneva alla comunità ed era da questa dato in affitto ad un mugnaio per un periodo di tre o nove anni. Nel corso dei secoli il mulino è stato oggetto di numerosi restauri, tentativi di miglioramento alle sue strutture ed ha attraversato periodi di maggiore o minore fortuna, ma intorno alla metà del XX secolo ha cessato la sua attività in modo definitivo. Nei primi anni duemila, per fortuna, il Comune ha ottenuto due finanziamenti con cui ha restaurato l’edificio, che è ora aperto al pubblico in alcune domeniche dell’anno; i visitatori hanno in tal modo la possibilità di vedere la ruota in movimento e tutti i macchinari in azione.

Accanto ad esempi di edifici simili convertiti a musei, sono poi ancora presenti alcuni mulini che continuano a macinare cereali, come accade al Mulino della Bernardina di Giaveno. Si tratta in questo caso di un edificio adibito in parte ad abitazione ed in parte a mulino, quest’ultimo funzionante grazie al canale che scorre alle sue spalle e che mette in moto una ruota verticale. Di certo, la produzione di farina rappresenta ormai un’attività marginale e piuttosto di nicchia, ma è comunque interessante verificare come modalità di produzione risalenti ai secoli scorsi riescano a sopravvivere ancora ai giorni nostri.

 

Chi va al mulino… Acque mulini e mugnai delle valli piemontesi è un’opera affascinante che tratta il tema con la consapevolezza che il mondo di cui facevano parte i mulini così come era è passato, ma può ancora costituire motivo di interesse, offrendo tanti aneddoti, curiosità, suggestioni; può offrire anche spunti di riflessione a una nuova generazione di operatori e consumatori che vuole riavvicinarsi con un approccio attuale alla tradizione molitoria della nostra terra.

Titolo:Chi va al mulino… Acque mulini e mugnai delle valli piemontesi
Autore: Emanuela Genre
Casa Editrice: Neos edizioni http://www.neosedizioni.it/
ISBN:9788866082477
Lingua: italiano