Il Cotonificio Amman di Pordenone, da fabbrica dismessa a polo culturale. Una proposta di recupero

L’ex Cotonificio Amman-Wepfer di Pordenone è stato per circa un secolo il più grande opificio cotoniero presente in provincia di Pordenone.

Cotonificio Amman

Anno 1913: acquarello di L. Parolini_fonte: Archivio privato famiglia Amman – Ello (Lecco)

Lo stabilimento ha di fatto cambiato la storia del capoluogo friulano, in quanto le opportunità lavorative offerte hanno determinato una importante crescita demografica ed economica della città e del suo hinterland.

La nascita del complesso risale al 1875, periodo in cui il territorio pordenonese era stato da poco riannesso al Regno d’Italia. Sorto come piccolo opificio, dopo quello sito nella frazione di Torre del 1840, negli anni a seguire aumentò le proprie dimensioni e introdusse rilevanti innovazioni tecnologiche fino a raggiungere un livello d’importanza tale che la stessa città veniva citata come la “Manchester del Friuli‘‘.

Oggi l’ex complesso cotoniero versa in un grave stato di abbandono. Recentemente la proprietà è stata acquisita da un gruppo di investitori veneti sui quali si ripongono le speranze per un suo recupero, che valorizzi adeguatamente la storia del sito e ridia allo stesso lo splendore che si merita quale uno dei principali simboli identitari della città.

Pordenone e l’industrializzazione italiana

La progressione storica dell’industria pordenonese ha contribuito al processo di promozione dell’Italia dalla periferia al centro dell’economia mondiale. Ciò si rileva meglio se si rapporta in particolare la grandezza dell’industria tessile pordenonese a quella nazionale.

Si consideri che quando venne fondata la filiera produttiva filatura-tintoria-tessitura, fra Torre e Rorai Grande, Pordenone si inseriva come caso singolare nel panorama dell’industria cotoniera lombardo-veneta. Per esempio, nel 1857, le 32 filature lombarde disponevano in media di 3800 fusi circa, mentre l’impresa di Torre ne disponeva dieci mila. Nel 1861, nell’unico cotonificio di Pordenone allora esistente, si lavoravano ventimila fusi, mentre in Italia nel settore cotoniero se ne censivano complessivamente circa 400 o 450 mila. Attorno al 1880, dopo la realizzazione del Cotonificio Amman-Wepfer, nei due cotonifici pordenonesi i fusi erano raddoppiati, mentre in tutta Italia se ne contavano 750 mila.

Il capitale forestiero dette impulso al settore trainante del tessile avendo cura di inserire gli stabilimenti nel paesaggio circostante con una collocazione che consentirà agli stessi di sfruttare in modo migliore i salti delle acque canalizzate e che manterranno anche con l’introduzione delle turbine e poi dell’energia idroelettrica.

I quattro impianti (Pordenone, Rorai, Torre, Cordenons) che costituivano la filiera produttiva filatura-tintoria-tessitura sono individuabili ai margini dei centri abitati e le loro ciminiere marcano il profilo della città insieme con i campanili.

La realizzazione di cotonifici produsse cambiamenti a tratti del paesaggio, prima di tutto con le opere di sistemazione idraulica poi con la presenza della stessa mole degli edifici. La crescita degli abitanti da essi indotta infatti portò all’espansione di Pordenone e delle sue frazioni.

Ex Cotonificio Amman-Wepfer: storia dell’ex manufatto industriale

La costruzione del cotonificio A. Amman & Wepfer, avviene nel 1875. A differenza di altri presenti sul territorio si presenta come una fabbrica molto proiettata in avanti per idee, invenzioni e gli stessi macchinari che vi verranno introdotti, facendone il cotonificio più studiato del Friuli grazie alle sue peculiarità estetiche e strutturali.

In materia innovativa, infatti, si svilupperà tutto in orizzontale: solo piano terra, per favorire il movimento dei materiali, agevolarne la gestione e ridurre anche le conseguenze di eventuali incendi.

Gli ampi capannoni vengono illuminati dall’alto, sfruttando la luce naturale. Per questo motivo le coperture sono costituite da una sequenza di piccoli e lunghi tetti a capanna (shed), a due falde simmetriche, la falda rivolta a nord è in buona parte finestrata per dare luogo ad un’ottima illuminazione senza sole diretto.

I capitali investiti erano di Alberto Amman, nato a Monza ma di famiglia austriaca, proprietario di altri cotonifici in Lombardia, e di Emilio Wepfer di famiglia cotoniera svizzera ma nato a Angri nel salernitano.

I motivi principali che determinarono la scelta di collocare il cotonificio a Pordenone furono: disponibilità di energia idraulica quasi gratuita, manodopera a basso costo e senza pretese, possibilità di buoni collegamenti per i trasporti: fiume Noncello, ferrovia e strada.

Il luogo scelto fu quello delle ‘’Melosette’’, vicino a Borgo Meduna, alla periferia di Pordenone, in una zona bassa e paludosa ma in cui poteva sfruttarsi un buon salto d’acqua.

La forza motrice per le macchine della prima filatura inizialmente era ottenuta con una turbina idraulica posta a lato del complesso, alimentata dal “canale della filatura” derivata dal fiume Noncello. Dieci anni dopo l’insediamento del cotonificio, viene trasformato il movimento dei macchinari da meccanico ad elettrico e altri canali artificiali vengono costruiti per sfruttare i “salti d’acqua”. La fabbrica raggiunge una importante espansione produttiva.

Il processo è complesso: si acquista cotone grezzo e vengono venduti filati e tessuto finito. Sono lavorati sul posto anche i cascami per farne ovatta.

Nel tempo il complesso si evolve anche dal punto di vista architettonico con una vera e propria architettura pensata e curata nei dettagli, anche attraverso un uso elegante di materiali tradizionali quali mattoni e ghisa.

Dopo la grande esondazione del Noncello, del 1966, il grosso della produzione cesserà e nel 1999 lo stabilimento e l’azienda si sposterà a Travesio (PN), Comune della pedemontana pordenonese. Ad oggi rimane in funzione solo la centrale elettrica.

Cotonificio Amman di Pordenone. Da fabbrica dismessa a polo culturale. Proposta di recupero

Il progetto proposto è finalizzato alla creazione di un polo culturale per il territorio di riferimento previo recupero e valorizzazione del sito in funzione di detta destinazione d’uso.

L’Arch. Filippo Enna si fa carico di offrire soluzioni affinché un complesso manifatturiero, oggi degradato e sommerso da una vegetazione incontrollata, torni a rappresentare un fiore all’occhiello per la comunità pordenonese, capace di rispondere alle pressanti esigenze di ampliamento del vicino Consorzio Universitario, distante solo poche centinaia di metri, nella frazione di Borgomeduna.

E’ avvertita l’esigenza di un rilancio e di un nuovo sviluppo della presenza universitaria a Pordenone. C’è infatti la volontà di offrire ulteriori corsi di laurea più vicini alle esigenze delle aziende e alle necessità di sviluppo del territorio e che riguarderanno nuovi trend di sviluppo quali sostenibilità, digitale e energie rinnovabili. Con il progetto proposto si coglie l’obiettivo di unire cultura e storia, rendendo fruibile per le nuove generazioni di studenti un patrimonio che per i loro stessi avi ha rappresentato importante fonte di lavoro e crescita sociale.

Testimonianza di un legame storico che continua e stimolo per una positiva evoluzione culturale e occupazionale.

Inglobata l’area interessata al contesto urbano, attraverso il suo risanamento, l’interesse del progetto è rivolto al recupero degli edifici storici integri, in particolare quelli che presentano una coerenza architettonica al progetto originario, compreso il ripristino dei canali d’acqua che un tempo attraversavano il complesso e alimentavano i macchinari tessili. La visione generale del progetto di recupero è conservativa dei manufatti esistenti, tranne delle superfetazioni che nel tempo erano state realizzate; queste ultime verrebbero eliminate, mentre delle aggiunte sarebbero eseguite dove un tempo erano presenti, ma con uno stile architettonico contemporaneo, in maniera tale da restituire agli edifici interessati l’immagine del passato, anche dal punto di vista volumetrico, ma dando la possibilità all’osservatore di dare una lettura più completa rilevando quella che era la vecchia architettura, senza però creare un falso storico.

Caratteristiche identitarie e volumi degli edifici storici del complesso vengono rivisti in relazione alle nuove destinazioni d’uso.

Così nell’ex filatura bassa, con la sua storica facciata, vengono realizzate le unità abitative degli studenti universitari, sfruttando il disegno compositivo caratteristico delle vecchie colonnine in ghisa, anch’esse recuperate. Colonnine che vengono recuperate anche in altri ambienti per creare delle corti o per segnare singolari camminamenti coperti da pergolati.

La volumetria della torre d’ingresso con l’orologio e dei capannoni che un tempo ospitavano uffici e officine per le macchine tessili e magazzini vengono sfruttate per i nuovi uffici universitari, aule e una biblioteca soppalcata.

Spazi più importanti, come quelli dell’ex deposito del cotone sodo, vengono utilizzati per la creazione di sale congressi, sala ristorazione e altre polivalenti.

Una parte denominata ‘’lungo fiume’’, consistente in un camminamento sopraelevato che costeggia la parte del fiume Noncello rettificato tramite canale, si distingue per essere composta da due passerelle che permettono di collegare l’ex complesso Amman, da una parte con Via Santi Martiri Concordiesi, dall’altra con il Parco del Seminario. La stessa si caratterizza anche per una piazza-spazio polivalente, che si sviluppa a gradoni in corrispondenza della curva del canale.

L’ex centrale termica destinata a spazio mostre, su due livelli.

La ciminiera diventa il Landmark del complesso. Il fumaiolo, in mattoni, era stato privato di cinque metri della sua altezza iniziale dopo il terremoto del Friuli, nel 1976. Viene restituita l’immagine che aveva un tempo, ma con un materiale diverso, il vetro. Al suo interno è posto un ascensore vetrato di forma cilindrica predisposto per interventi di questo genere, che consente di raggiungere la cima e godere del panorama circostante.

Un progetto quindi che mira, soprattutto, al recupero della memoria storica, ma nel contempo guarda anche al futuro e all’utilizzo di nuove tecnologie e materiali che rispettino le preesistenze, quindi inserendosi in modo ‘’gentile’’, ma distinto, nel complesso architettonico esistente.

Sito archeologico industriale: Cotonificio Amman-Wepfer di Pordenone
Settore industriale: Settore tessile
Luogo: provincia di Pordenone – Regione Friuli Venezia Giulia
Proprietà/gestione: Privata
Testo a cura di: Arch. Filippo Enna – contatto: filippoennaarchitetto@gmail.com. Tratto dalla tesi di laurea ‘’Cotonificio Amman di Pordenone. Da fabbrica dismessa a polo culturale. Proposta di recupero’’ di Filippo Enna. Politecnico di Torino – Torino. Anno accademico 2020-2021. Relatore Prof. Daniele Regis, Correlatori: Prof.ssa Cristina Coscia, Arch. Roberto Olivero.

 

PREMI E SEGNALAZIONI
TESI MERITORIA 2021 – Torino – tesi valutata dalla Commissione di laurea ‘’meritevole di pubblicazione’’.
PREMIO DI LAUREA AGNESE GHINI 2021 – Parma – tesi ritenuta meritevole di segnalazione per le tematiche legate alla riqualificazione socio-ambientale degli spazi marginali.
PREMIO DI LAUREA ARCH. MICHELE BERARDO 2022 – Torino – tesi risultata vincitrice del premio per il progetto di conservazione e valorizzazione del patrimonio architettonico.




Torviscosa, città del Novecento: il libro sulla company town

Torviscosa, città del Novecento è un libro di semplice lettura, ricco di immagini e di documenti, che raccontano la storia di Torviscosa, la città della cellulosa nata dalla volontà imprenditoriale della SNIA Viscosa.

Il libro sulla storia della company town Torviscosa

La storia di Torviscosa comincia negli anni ’30 del secolo scorso con l’autarchia, che induce la SNIA Viscosa, all’epoca la più grande azienda italiana del settore dei tessili artificiali, a cercare il modo di produrre cellulosa a partire da materie prime nazionali. Nasce così questa città aziendale “di fondazione”, rigorosamente organizzata per categorie professionali, ma caratterizzata dagli stili architettonici tipici del regime e con una piazza ispirata a quelle metafisiche di De Chirico.

Tra il 1937 e il 1942 la SNIA Viscosa acquista e mette a coltura 6.000 ettari di terreno, costruisce e porta a pieno regime la fabbrica, fa edificare le principali strutture civili e poi, fino ai primi anni Sessanta, continua ad ampliare il centro civico con nuovi edifici e abitazioni. Fino alla fine degli anni Settanta, Torviscosa rimane quasi completamente di proprietà della SNIA Viscosa.

Il libro è un racconto ricchissimo di informazioni sulla storia di Torviscosa e del suo territorio, in cui sono sintetizzati i risultati di una ricerca storica ventennale. Facile da leggere, è però puntuale e preciso nelle descrizioni e inoltre ricco di immagini, curiosità e approfondimenti.

Titolo: Torviscosa, città del Novecento
Testi: Lorena Zuccolo
Ricerca storica: Mareno Settimo e Lorena Zuccolo
Disegni e grafica: Dario Ontani
Casa Editrice: Pro Torviscosa APS – Pagina Facebook
ISBN: 978-88-944233-0-3
Lingua: italiano




Malnisio Science Festival – Il primo festival friulano dedicato alla scienza

Il 6 e 7 ottobre 2017, presso la centrale idroelettrica Antonio Pitter di Malnisio a Montereale Valcellina (Pordenone), si terrà il Malnisio  Science Festival, Il primo festival friulano dedicato alla scienza.

Due giorni dedicati alla divulgazione scientifica per sviluppare lo spirito critico, imparare a difendersi dalle false notizie e scoprire le opportunità che scienza e tecnologia offrono allo sviluppo economico.

27 conferenze, 26 relatori, 2 lectiones magistrales, 4 laboratori, 3 punti esperienziali e 2 escursioni guidate: sono i numeri della prima edizione del Malnisio Science Festival.

Il Malnisio Science Festival porterà nella storica centrale idroelettrica “Antonio Pitter” di Malnisio esperti di fama mondiale, ricercatori, docenti universitari, ma anche imprenditori: ognuno di loro avrà a disposizione 45 minuti di tempo per parlare di scienza, in modo semplice e diretto.

Il Malnisio Science Festival è il primo festival friulano dedicato alla scienza, aperto a tutti, gratuito, cui si può accedere semplicemente iscrivendosi su www.malnisiosciencefestival.com.

Malnisio Science Festival: un festival di divulgazione scientifica aperto a tutti

«Il Malnisio Science Festival non è un evento dedicato agli “addetti ai lavori“, ma una finestra di 48 ore sul futuro di tutti noi» – spiegano Eleonora Gobbato e Andrea Paroni, assessore al commercio e consigliere del Comune di Montereale Valcellina, ente organizzatore dell’evento – «è un festival di divulgazione scientifica in cui tutti, giovani e meno giovani, possono entrare in contatto con la scienza, sia in senso stretto sia in senso lato».

È ambizioso quanto imprescindibile stimolare la curiosità dei giovani nei confronti delle discipline scientifiche e infondere una conoscenza critica nella popolazione per difendersi dalle truffe, in particolar modo in un mondo popolato da fake news.

Non a caso, l’apertura dell’evento è affidata a Massimo Polidoro: scrittore, giornalista, divulgatore scientifico e segretario nazionale del CICAP, il Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze. Polidoro sarà protagonista della cerimonia inaugurale, con un intervento dal titolo “Indagare i misteri con la lente della scienza”: si potrà ascoltare alle 20.30 di venerdì 6 ottobre, nell’auditorium della Centrale.

Altro ospite di spicco è Piergiorgio Odifreddi, matematico e scrittore (premio Galileo per la divulgazione scientifica nel 2011), che presenterà il suo libro “Dalla terra alle lune”. Il seminario di Odifreddi si terrà sabato 7 ottobre dalle 18.30 alle 20.00, sempre nell’auditorium.

“Su ciò che non si può parlare, si deve tacere. Wittgenstein e i vaccini, tra logica e (im)potenza” è il titolo dell’incontro su un tema caldissimo di questi tempi: i vaccini. Ne parlerà Lucio Bomben, direttore del dipartimento di prevenzione dell’Azienda per l’assistenza sanitaria n.5 del Friuli occidentale (sabato, ore 17.45, auditorium).

Quattro differenti sessioni saranno tenute da ricercatori del CRO di Aviano, in collaborazione con AIRC, Associazione italiana per la ricerca sul cancro: il dottor Paolo De Paoli, direttore scientifico del Centro di riferimento oncologico, proporrà l’incontro dal titolo “La ricerca che cura i tumori”; il dottor Gustavo Baldassarre interverrà su “Il carcinoma ovarico: un paradigma di ricerca traslazionale”; la dottoressa Valentina Damiano racconterà il “mestiere” del ricercatore con il suo “Diario di una giovane ricercatrice”; il dottor Diego Serraino si occuperà di “Tumori e trapianto di organo solido: pro e contro della terapia immunosoppressiva”.

Saranno due, invece, gli interventi di Giovanni Boniolo, docente di Filosofia della scienza e Medical Humanities nell’Università di Ferrara e ricercatore nell’ambito del decision-making pubblico e individuale: sabato, alle 14.45, nell’auditorium, parlerà di etica della ricerca biomedica e della pratica clinica; alle 17, lo stesso giorno, presenterà il suo libro “Consulenza etica e decision-making clinico. Per comprendere e agire in epoca di medicina personalizzata”.

Delle opportunità che la scienza può offrire all’impresa parlerà Franco Scolari, direttore del Polo Tecnologico di Pordenone, ente istituzionale per il supporto alle start up e all’innovazione: “Lavori del futuro: chi avrà successo e chi soccomberà” è il titolo del suo seminario.

«Al Malnisio Science Festival parleremo anche d’intelligenza artificiale, dei suoi benefici ma anche dei rischi – raccontano Paroni e Gobbato – Parleremo di energia, di cibo e di cambiamenti climatici. E ancora: dei comportamenti animali; di cosa significa essere una giovane ricercatrice in Italia; di astronomia; di come l’informatica aiuta l’ingegneria e di come si comunica la scienza, perché il Festival che pensiamo sarà il luogo ideale per aumentare le proprie conoscenze – aggiungono – per lasciarsi affascinare dalle nuove scoperte, per incuriosirsi e per toccare con mano le tecnologie che migliorano la nostra vita».

Al Malnisio Science Festival si potranno scoprire da vicino anche i processi che influenzano le nostre vite in modo, per noi, spesso inconsapevole: si scoprirà cosa nascondono il mentalismo e il paranormale, e cosa scatena l’effimera illusione delle vincite al gioco d’azzardo.

 

Malnisio Science Festival: la location

Alla fine dell’Ottocento, l’ingegnere capo del Regio Ufficio del Genio Civile, Aristide Zenardi, ebbe l’intuizione, rivoluzionaria per quel periodo, di sfruttare le acque del torrente Cellina per produrre energia elettrica.
La costruzione iniziò nel 1900, a marzo: Zenari curò la parte idraulica e quella civile, mentre l’ingegner Antonio Pitter si occupò delle funzioni elettromeccaniche. Più di duemila operai lavorarono per cinque anni al progetto, che prevedeva l’installazione di quattro turbine accoppiate ai rispettivi alternatori. La corrente generata a 4mila Volt fu elevata con due trasformatori sino a 30mila Volt. La Centrale di Malnisio entrò in funzione nel maggio del 1905 e diede la prima luce a piazza San Marco. Funzionò sino al 1988 e in questi giorni, la centrale idroelettrica “Antonio Pitter” sarà la sede del Malnisio Science Festival.

 

Malnisio Science Festival: tutti i nomi dei partecipanti

Al Malnisio Science Festival parteciperanno:
– Massimo Polidoro, scrittore, giornalista, divulgatore scientifico e segretario nazionale del CICAP
– Paolo De Paoli, direttore scientifico del Cro di Aviano
– Diego Serraino, direttore della Struttura di epidemiologia dell’IRCCS del Cro di Aviano
– Gustavo Baldassarre, direttore dell’Unità di Oncologia molecolare del Cro di Aviano
– Valentina Damiano, ricercatrice al Cro di Aviano
– Piergiorgio Odifreddi, matematico e scrittore, premio Galileo per la divulgazione scientifica nel 2011
– Lucio Bomben, direttore del dipartimento di prevenzione dell’Azienda per l’assistenza sanitaria n.5 del Friuli occidentale
– Giovanni Boniolo, docente di Filosofia della scienza e Medical Humanities nell’Università di Ferrara e ricercatore nell’ambito del decision-making pubblico e individuale
– Franco Scolari, direttore del Polo Tecnologico di Pordenone
– Giorgio Dendi, matematico ed enigmista
– Franco Pettenati, ricercatore dell’Istituto nazionale di oceanografia e geofisica sperimentale
– Wilbert Smeets, ingegnere che ha ideato sistemi di compostaggio innovativi, tra i quali quelli dell’azienda Bioman
– Lidia Rota, responsabile del Centro di prevenzione cardiovascolare globale di Humanitas Research Hospital e presidente di ALT, Associazione per la lotta alla trombosi e alle malattie cardiovascolari (Milano)
– Luigino De Marco, esperto di progettualità di ricerca con attrezzature innovative e strategiche
– Roberto Ongaro, pubblicitario, Senior partner per Ogilvy e Geometry Global
– Giuliano Bettella, informatico, coordinatore e fondatore del CICAP Friuli Venezia Giulia
– Jan Hidden, illusionista-mentalista, cultore dell’illusionismo e della parapsicologia.
– Matteo Griggio, etologo di campo, studia il comportamento degli animali, in particolare degli uccelli, nel loro ambiente naturale
– Paolo Geremia, fondatore di Engys, azienda specializzata nello sviluppo di strumenti software nel campo della simulazione per l’industria
– Francesco Bianchini, ricercatore in filosofia della scienza, esperto di scienze cognitive
– Alberto Bolla, ingegnere civile-ambientale, ricercatore dell’università degli studi di Udine, si occupa di tematiche legate al rischio idrogeologico
– Paolo Paronuzzi, geologo, uno dei massimi esperti della frana del Vajont
– Maurizio Fermeglia, rettore dell’Università degli studi di Trieste
– Saverio Maisto, direttore del Consorzio NIP- Maniago
– Francesco Curcio, fondatore e presidente degli spin off universitari Tissue and Organ Replacement srl e VivaBioCell spa.

 

Malnisio Science Festival: gli organizzatori

Il Malnisio Science Festival coinvolge enti e associazioni locali e nazionali ed organizzato dal Comune di Montereale Valcellina in collaborazione con:

– CICAP, Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sulle pseudoscienze nazionale e sezione Friuli Venezia Giulia;
– AIRC, Associazione italiana per la ricerca sul cancro
– OGS, Istituto nazionale di oceanografia e geofisica sperimentale
– Polo tecnologico di Pordenone
– Azienda per l’assistenza sanitaria n.5
– Università degli studi di Trieste
– Università degli studi di Udine
– Associazione Sviluppo e territorio
– Ecomuseo Lis Aganis
– Eupolis studio associato
– Nucleo d’industrializzazione della provincia di Pordenone
– Laboratorio dell’Immaginario scientifico
– Unione degli artigiani di Pordenone
– Unione degli industriali di Pordenone
– Consorzio Pordenone turismo
– Uti delle Valli e delle Dolomiti friulane
– Associazione pordenonese di astronomia
– Regione autonoma Friuli Venezia Giulia
– PromoTurismo FVG
– Istituto d’istruzione superiore “Il Tagliamento” di Spilimbergo (Pordenone)
– Istituto d’istruzione superiore “Evangelista Torricelli” di Maniago (Pordenone)

 

Malnisio Science Festival: laboratori e punti esperienziali

Il Malnisio Science Festival non è soltanto teoria.  Tra gli appuntamenti, anche laboratori e sperimentazioni.

Laboratori, esperienze per tutta la famiglia

Laboratorio dell’Immaginario Scientifico
BimbinScienza – sabato, dalle 11.45 alle 13.15.
Laboratori ludo-didattici per bambini.
I più piccoli potranno realizzare un oggetto creativo o un prototipo con materiali poveri o di recupero. Impareranno, così, a conoscere strumenti e materiali e ad affrontare semplici concetti scientifici attraverso il gioco.

Family Lab – sabato, dalle 16.15 alle 17.45.
Il Family Lab è dedicato a tutta la famiglia: bimbi e genitori diventeranno per un pomeriggio un “team di scienziati-creativi”.
La metodologia utilizzata è quella del “tinkering”: prevede di smontare e reinventare apparati tecnologici, riutilizzare vecchi materiali per nuovi progetti, creare meccanismi per sistemi funzionanti lasciandosi guidare dalla creatività. Il tutto fa leva sulla collaborazione, sulla capacità d’indagine e sull’apprendimento condiviso.

Eupolis, Studio associato
Tutti i colori delle piante – sabato, dalle 10.15 alle 11.45 e dalle 14 alle 15.30.
Dedicato ai ragazzi della scuola secondaria di primo grado e del primo biennio della secondaria di secondo grado.
“Tutti i colori delle piante” è un laboratorio itinerante: 90 minuti tra i boschi vicini alla Centrale per scoprire i principali pigmenti che colorano le piante e gli adattamenti evolutivi che portano il bosco a colorarsi in autunno.

APA, Associazione pordenonese di astronomia
Osservatorio solare – sabato, tutto il giorno (se le condizioni meteo lo consentono).
L’osservatorio solare è un laboratorio per tutti, che propone due esperienze:
– osservazione del sole in luce bianca con telescopi rifrattori dotati di prismi di Herschel e filtri neutri ND di varia gradazione. Grazie a una videocamera, i partecipanti potranno guardare su un monitor le macchie solari e altre formazioni della fotosfera;
– osservazione del sole e delle protuberanze solari in luce H-alfa con un piccolo telescopio dedicato.

Associazione Amici della Centrale
Visita guidata alla centrale – sabato, dalle 11 alle 19.
Una visita guidata aperta a tutti per scoprire la Centrale idroelettrica di Malnisio tra storia e tecnica.
Circolo Legambiente Prealpi Carniche
Escursione alla scoperta del bacino della Centrale, sabato dalle 10.45 alle 12.15 e dalle 14.30 alle 16.30.
Una camminata per adulti e bambini farà scoprire ai partecipanti il funzionamento del bacino di carico della Centrale e il sentiero del Cjasarile.
Punti esperienziali
Cultura, tecnologia e turismo per toccare con mano le nuove frontiere del tempo libero (Sala macchine).

Artechne, MyTempArt
Artechne presenta MyTempArt, il sistema integrato per la cultura: nuovi modelli per l’inclusione, la gestione, la condivisione e la fruizione attraverso il digitale. Un modo del tutto nuovo per promuovere l’arte e lo sviluppo dei territori.

Moto Parilla
La casa motociclistica italiana permetterà ai visitatori del Malnisio Science Festival di provare uno dei suoi ultimi prodotti: Carbon Suv e-Bike: non una semplice bicicletta elettronica, ma un prodotto d’eccellezza in fibra di carbonio abbinato a una raffinata gestione elettronica.

BusForFun
Concerti, festival, fiere, parchi tematici ed eventi sportivi: raggiungerli tutti è più facile oggi con BusForFun, la nuova Start-up del turismo che propone viaggi in bus economici, sostenibili e adatti a tutti.

 

Malnisio Science Festival:  la scienza incontra la musica e il buon cibo

A Malnisio concerti e degustazioni

Concerti
Nello stage allestito sopra la sala macchine della Centrale, due concerti imperdibili per chi ama l’innovazione anche nella musica.

Sabato, alle 21
The Leading Guy
“The Leading Guy” è il progetto da solista di Simone Zampieri.
Con la sua musica, Simone racconta la ricerca costante di una conversazione con il suo ascoltatore, che passa attraverso un’esecuzione essenziale e diretta. Zampieri porta, così, il suo pubblico a un confronto diretto con lui, che si esprime al meglio durante le esecuzioni dal vivo.

Sabato, alle 22
Giacomo Voli
È stato uno dei migliori performer di The Voice of Italy nel 2014. Giacomo Voli è compositore e cantante. Spazia dal rock all’elettronica, dall’rnb al funky, passando per il pop. Nato a Correggio come Luciano Ligabue, è stato maestro di canto in numerose scuole private.
Degustazione
BEFeD Truck
Un pub mobile targato BEFeD sarà presente durante tutto il periodo del festival: un’occasione per gustare il galletto cotto alla brace, preparato sul posto, e la birra artigianale BEFeD

 




Il Porto Vecchio di Trieste: storia e futuro

Il Porto Vecchio di Trieste rappresenta uno dei luoghi più importanti dell’archeologia industriale in Italia legati all’attività portuale.

Porto Vecchio Trieste: cenni storici

Il Porto Vecchio di Trieste copre un’area di circa mq. 601.403, estendendosi dallo sbocco del Canale di Ponte Rosso all’abitato periferico di Barcola. Comprende cinque moli (moli 0, I, II, III, IV), 3100 metri di banchine di carico e scarico merci, ventitrè grandi edifici tra hangars (in origine 38 corpi di fabbrica), magazzini ed altre strutture, è protetto da una diga foranea ed è direttamente collegato alla vecchia ferrovia del 1857.

L’aspetto del Porto Vecchio di Trieste è diverso da quello dei porti dell’area mediterranea in quanto riproduce, nell’impianto urbanistico e nelle regole costruttive dei suoi edifici, le caratteristiche dei Lagerhauser (brani di città destinati alla movimentazione delle merci) dei porti del nord-Europa, come la Speicherstadt di Amburgo.

Il Porto Vecchio di Trieste fu costruito tra il 1868 e il 1887, dopo un’ampia fase progettuale, per volontà dell’impero austroungarico che doveva dotarsi, a Trieste, di un grande porto capace di gestire il retroterra dell’Austria-Ungheria.

Porto Vecchio Trieste: gli edifici storici

Nel Porto Vecchio di Trieste le strutture portuali, i magazzini, gli hangars, gli edifici speciali (centrale idrodinamica e Sottostazione elettrica di riconversione), con le loro tipologie costruttive, le gru e le attrezzature elettromeccaniche testimoniano un aspetto essenziale della città-porto dell’ottocento e del primo novecento.
I magazzini e gli hangars, grandi edifici a uno e più piani, disposti su tre assi paralleli tra loro erano attrezzati con gru, elevatori, montacarichi ed altri arredi per le operazioni di carico e scarico merci; alcuni presentano alla base un “perron” (banchina a terra di movimentazione) adatto per le operazioni dai carri ferroviari o da autoveicoli.
La loro costruzione, che si fondava su progetti di altissima qualità architettonica e su tecniche d’avanguardia nell’uso del cemento armato, è un documento dell’epoca pionieristica dei brevetti detenuti dalle grandi imprese edili europee che avevano le loro filiali a Trieste (brevetto Hennebique della Ing. Odorico & C, brevetto viennese Ing. .Edmund Ast & Co, brevetto Wayss della Wayss, Freitag & Meinog di Innsbruck, brevetto della ditta triestina Ing. Geiringer e Vallon). Il completamento dei magazzini del Porto Vecchio di Trieste si protrasse fino all’inizio del novecento in quanto richiese interventi straordinari di consolidamento delle fondazioni e delle banchine e dei manufatti.
Per il valore di tutto il complesso storico urbanistico, per la presenza dei grandi edifici d’epoca e degli impianti di movimentazione, il Porto Vecchio di Trieste è stato tutelato nell’agosto 2001 dal Ministero per i Beni e le Attività culturali con vincoli di tutela diretti, indiretti e prescrizioni allo scopo di salvaguardarli e di consentire il restauro di tutta l’area attraverso proposte progettuali che non alterino l’esistente.

Porto Vecchio Trieste: il Polo Museale del Porto di Trieste e i primi restauri

I due edifici recentemente restaurati, Centrale idrodinamica e sottostazione elettrica, costituiscono il Polo museale del Porto di Trieste, iniziativa promossa nel 2004 da Italia Nostra con un percorso di realizzazione condiviso dalla Soprintendenza regionale del Friuli Venezia Giulia.
La Centrale idrodinamica è l’edificio di maggior valore tecnologico del Porto Vecchio di Trieste. Il porto di Trieste fu uno dei primi porti al mondo a dotarsi di un tale impianto, assieme ad Amburgo, Buenos Aires, Calcutta e Genova. Realizzata nel 1890, la Centrale del Porto Vecchio di Trieste è da considerarsi un capolavoro di archeologia industriale; ancor oggi conserva le sue prestigiose macchine (Breitfeld & Danek- Karolinenthal di Praga 1891) per la produzione di energia al servizio dei mezzi meccanici del porto.
Per il necessario ampliamento della già esistente sottostazione nel complesso della Centrale Idrodinamica, nel 1913 fu costruita accanto alla Centrale, e ad essa collegata, la Sottostazione elettrica di riconversione.
Questo edificio speciale si distingue stilisticamente dalle altre costruzioni perché costruito su disegno dell’architetto Giorgio Zaninovich, secondo i caratteri stilistici della Wagnerschule (Vienna). All’interno la sala trasformatori, le gallerie protette, le scale, le guide per gli argani, le apparecchiature elettriche e la disposizione degli arredi confermano ancora oggi la dignità e il prestigio di quell’architettura industriale.
In questi edifici verrà raccolto il patrimonio storico del porto di Trieste, che oltre a tutta l’area monumentale del Porto Vecchio, comprende un’ampia documentazione d’archivio.
A partire dal biennio 2012- 2013 la Centrale Idrodinamica e la Sottostazione elettrica di riconversione del Porto Vecchio di Trieste, sono state aperte al pubblico dall’Autorità portuale di Trieste con il contributo dei volontari di Italia Nostra.
In questi anni altri edifici sono stati restaurati dall’Autorità Portuale: il magazzino n. 1 sul molo quarto, il magazzino n. 26, la casa della piccola amministrazione e i varchi d’ingresso.

Porto Vecchio Trieste: il processo di riqualificazione e rigenerazione del distretto storico portuale

Oggi la vecchia area del porto di Trieste ed i magazzini ottocenteschi non sono più idonei a funzioni connesse ai traffici commerciali ed è in corso, dopo varie vicende fallite dagli anni settanta, un processo di riqualificazione e rigenerazione per nuove destinazioni che, nel rispetto dell’identità storica, ne consentiranno una riutilizzazione funzionale.
Se nel corso della rigenerazione non verranno rispettati i vincoli, l’intero distretto portuale storico rischierà di perdere la sua identità.

Sito archeologico industriale: Distretto storico portuale di Trieste (Porto Vecchio)
Settore industriale: Settore Portuale
Luogo: Trieste – Friuli Venezia Giulia – Italia
Proprietà/gestione: passaggio in corso da Autorità Portuale al Comune di Trieste
Testo a cura di: Antonella Caroli* – cartografia arch. Viviana Magnarin. (*Antonella Caroli: attualmente Ispettore onorario Mibac, direttore dell’Istituto di cultura marittimo portuale del porto di Trieste (fino ad aprile 2015), già Segretario Generale dell’Autorità Portuale di Trieste (2000-2004) si è laureata in architettura al Politecnico di Torino. Insieme a Italia Nostra e al comitato scientifico internazionale su Porto Vecchio, è impegnata sul riuso e sullo sviluppo del Porto di Trieste.)




Il Museo dell’Aria di Gorizia: presentazione del progetto

L’ Aeroporto di Gorizia, intitolato ad Amedeo Duca d’Aosta, rappresenta una delle pagine più significative della storia aeronautica ed un capitolo tra i più celebri e leggendari dell’ Aeronautica Militare Italiana.

 Museo dell'Aria - Aeoroporto di Gorizia

L’evento

Lunedì 14 settembre alle ore 15:00, presso il Punto ENEL di via Broletto 44/A a Milano, sarà presentato il progetto del Museo dell’Aria di Gorizia. Il progetto è promosso dall’associazione Culturale “Fratelli Rusjan” in collaborazione con European Museum Academy e l’Aeronautica Militare Italiana. Main Sponsor Banca Mediolanum.

Alla Presentazione interverranno:

– Philippe Daverio, Storico dell’Arte e Professore Ordinario di “Sociologia dei processi artistici”
– Paul van Vlijmen, Direttore del National Military Museum Soesterberg (NL)
– Agostino Ghirardelli, Principal e Direttore Tecnico Studio Libeskind, Milano
– Piero Marangon, Presidente dell’Associazione Culturale “Fratelli Rusjan”
– Un rappresentante del Touring Club Italiano

Modera:

– Massimo Negri, Direttore European Museum Academy

Il progetto

Dopo la dismissione del presidio militare, lunghi decenni di incuria hanno segnato le vicende dell’Aeroporto di Gorizia. Oggi una Società di Gestione, ottenuta da ENAC la concessione totale, ha predisposto un piano di ripresa e rilancio. Nasce così una Fondazione di Partecipazione con un obiettivo ben preciso: realizzare un MUSEO DELL’ARIA.

La realizzazione di un museo aeronautico è la risposta più precisa alla naturale vocazione storica, culturale e turistica dell’ aeroporto e, al tempo stesso, è la soluzione più coerente per un’ ipotesi concreta di riqualificazione, recupero e rilancio del campo di volo.

Nella sua fase iniziale l’intrapresa può trovare accoglienza e idonea sistemazione nelle tre strutture aeroportuali di seguito elencate: Hangar Gleiwitz, Officina III tipo e magazzino MSA.

L’Hangar Gleiwitz è una grande aviorimessa (lunga più di 66 metri, larga 28 metri, per circa 1860 mq e 12000 mc) ricostruita nel 1924, utilizzando gran parte della struttura edificata dall’Imperial Regio Esercito austro – ungarico nel 1910, per rispondere alle esigenze della nascente aeronautica e come scuola di volo durante i mesi invernali in supporto a quella di Wiener – Neustadt. Recentemente l’hangar è stato intitolato a Tullio Crali, uno dei grandi protagonisti della stagione futurista, ideatore dell’ aeropittura, che, innamorato del volo e delle straordinarie sensazioni che esso rivela, frequentò questo campo di volo nella seconda metà degli anni Trenta e fu spesso ospite di molti dei più famosi piloti, partecipando ad indimenticabili voli nel cielo di Gorizia.

Affiancano l’Hangar Gleiwitz gli edifici del Magazzino M.S.A. (900 mq e 7400 mc) e dell’Officina III tipo (600 mq e 4300 mc); costruiti tra il 1925 e il 1928 questi costituiscono una splendida scenografia che testimonia gli anni d’oro di Gorizia aeronautica e i fasti a cui assurse l’aeroporto fino alle soglie della II guerra mondiale, diventando uno dei più grandi ed importanti d’ Italia.

Dopo un’ opportuna e definitiva opera di restauro, filologicamente compiuta, e una messa a norma in collaborazione con la Soprintendenza per i beni storici, artistici ed etnoantropologici del Friuli Venezia Giulia e l’Università degli Studi di Trieste, queste tre strutture potranno adempiere ai seguenti uffici: l’Hangar Gleiwitz potrà ospitare aeromobili storici, velivoli di scuola e privati; nonché uffici amministrativi, segreteria, aula didattica e briefing; nel magazzino MSA potranno essere ospitati esemplari in mostra statica, ricostruzioni, componenti motoristiche, display multimediali, diorami e simulatori, laboratorio di modellismo e sala convegni; nell’Officina III tipo potranno trovare spazio una foto-galleria, una videoteca, una biblioteca e altre occorrenze museali.

Così articolato il Museo dell’Aria di Gorizia-Merna si presenta come più musei in uno:

Il Museo Volante, che racconta la storia dell’ aviazione militare e civile – in particolare di quella che si è svolta su questo campo – e raccoglie e colleziona, cura e preserva aerei storici: le esibizioni sul cielo campo di questi warbirds sapranno ricreare un’ atmosfera unica ed emozionante.

Il Museo Statico che presenta al pubblico la storia del campo di Gorizia – Merna: dai primi tentativi dei fratelli Rusjan (è prevista la riproduzione non volante dell’ EDA V) agli anni austroungarici (con uniformi, documenti fotografici e modellini) agli anni d’ oro della Regia Aeronautica, con fotografie e didascalie che raccontano la storia delle pattuglie acrobatiche, equipaggiate con i velivoli Breda BA-19 e con i Fiat CR 20 Asso che negli anni ’30 mieterono tantissimi allori internazionali. ed ancora le vicende del Gruppo Aerosiluranti e dei loro SM 79.

Una parte del museo potrebbe ospitare la storia della produzione aerea dei Cantieri Riuniti Dell’Adriatico, aprendo così la possibilità di una sezione dedicata ai rapporti aviazione-marina.

Un’altra parte del Museo, sede del Gruppo Paracadutisti, sarebbe ideale per l’allestimento della mostra sulla storia del paracadutismo militare e civile, dotata di reperti ed esemplari significativi.

Info:
www.europeanmuseumacademy.eu europeanmuseumacademy@gmail.com
Ufficio stampa European Museum Academy: + 39 347 5458609

Scarica qui la Presentazione Museo della Aria di Gorizia 14.09.15




La centrale Antonio Pitter di Malnisio oggi Museo & Science Centre

La centrale idroelettrica “Antonio Pitter” di Malnisio in provincia di Pordenone è uno splendido esempio di archeologia industriale riconvertito in Science Centre dove è possibile ripercorrerne la storia e comprenderne il funzionamento.

La centrale idroelettrica di Malnisio e la sua storia

Situata nel contesto naturale della pedemontana pordenonese, la Centrale idroelettrica “Antonio Pitter” di Malnisio si inserisce in un sistema di impianti per lo sfruttamento idroelettrico del torrente Cellina, realizzato agli inizi del ‘900, grazie all’intuizione e al progetto di Aristide Zenari, giovane ingegnere del Regio Genio Civile.

Alla fine dell’800, Zenari si rese conto che la stretta forra del Cellina ben si prestava ad uno sfruttamento idroelettrico. Il progetto prevedeva la costruzione di una diga in località Rugo Valfredda, lo scavo in roccia di un lungo canale adduttore con 57 ponti-canale e arcate di sostegno e con 5 gallerie e la realizzazione di tre centrali a Malnisio (1905), a Giais (1908) e in località Partidor (1919), inizialmente per alimentare la sola Venezia, quindi consentendo il decollo di numerose attività industriali nel Veneto e in Friuli.

Il progetto prese avvio nel marzo del 1900, sotto la direzione degli ingegneri Aristide Zenari per la parte idraulica e civile e Antonio Pitter per quella elettrotecnica. Più di duemila tra minatori, scalpellini, muratori, carpentieri, scarriolanti e donne portatrici lavorano alacremente per cinque anni nella serie di cantieri che si snodano dalla diga, lungo il canale adduttore, nelle centrali di Malnisio e Giais e nei rispettivi canali di scarico.

In funzione dal 1905 – con il suo sistema di quattro turbine tipo Francis Riva-Monnert accoppiate ai rispettivi alternatori Tecnomasio Italiano Brown-Boveri da 2.600HP – la Centrale chiude definitivamente la produzione nel 1988, uscendo indenne dai due conflitti mondiali e dal sisma del ’76 e mantenendo tutti i macchinari perfettamente intatti e conservati. Per la trasmissione alle stazioni rilevatrici, la corrente, qui generata alla tensione di 4.000 Volt, veniva elevata con due trasformatori monofase a 30.000 Volt (quello che allora era considerato il massimo potenziale), successivamente sostituiti da altri trifasi, che elevarono la tensione a 60.000 Volt.

Il Museo della Centrale di Malnisio e Science Centre 

Dopo la chiusura del 1988 delle tre centrali (Malnisio, Giais e Partidor), l’Enel, allora proprietaria della struttura, conscia del grandissimo valore culturale e ambientale della Centrale, accarezza l’idea di farne un museo dell’idroelettrico, procedendo anche con il recupero, nelle sue diverse centrali distribuite in Italia, e con il trasporto presso la Centrale di Malnisio stessa di macchinari dismessi di interesse storico-tecnico.

Il progetto di recupero della Centrale viene poi ripreso dal Comune di Montereale Valcellina: questi, acquisitane la proprietà, ha potuto iniziare l’intervento di recupero grazie a finanziamenti della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia e della Comunità Europea, ma anche grazie all’associazione di ex dipendenti della Centrale, che hanno fornito la loro preziosa collaborazione.

Nel 2006, in occasione del centenario della Centrale, è stato restaurato il fabbricato principale, adibito a sala macchine, e l’ingresso della struttura ad est, inaugurando così il museo della “Centrale di Malnisio”.

Fin dal principio, il Museo, in tutte le sue attività di organizzazione e assistenza alle visite guidate per il pubblico generico e scolastico, è stato affidato all’Immaginario Scientifico – già gestore del museo della scienza interattivo di Trieste – che nel luglio 2007 insedia nell’ex Centrale una nuova sede del Science Centre Immaginario Scientifico, con la sezione di exhibit interattivi Fenomena e l’attivazione di un programma di attività didattiche laboratoriali.

Da settembre 2017 la ex centrale idroelettrica di Malnisio è tornata sotto la gestione del Comune di Montereale Valcellina,  accogliendo pubblico scolastico e generico, per lo più da tutta la regione Friuli Venezia Giulia e dal Veneto.

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Il Museo della Centrale di Malnisio è Anchor Point ERIH Italia

 

 

Sito archeologico industriale: La Centrale idroelettrica “Antonio Pitter” di Malnisio
Settore industriale: Settore Energia
Luogo: Malnisio, Pordenone, Italia
Proprietà e Gestione: Proprietà e gestione Comune di Montereale Valcellina




Nasce lo Spazio Amideria per conservare e promuovere la storia della ex Amideria Chiozza di Ruda

La ex Amideria Chiozza di Ruda, sito di archeologia industriale, trova nella comunità locale la forza per tramandare la sua storia. Nasce così lo Spazio Amideria fortemente voluto da chi ha compreso il valore del nostro patrimonio industriale.

La Storia dell’Amideria Chiozza

Nel 1865 Luigi Chiozza avvia in località La Fredda di Perteole nel comune di Ruda (Udine) una piccola attività per l’estrazione dell’amido dal mais, denominata “Industria La Fredda”, dal nome della roggia su cui insisteva il vecchio mulino che verrà utilizzato come forza motrice.

Inizialmente si configurava come un laboratorio dove avveniva sia la ricerca che la produzione. In seguito decise di ampliare l’attività grazie ad un nuovo metodo brevettato da Chiozza per l’estrazione dell’amido dal riso, che garantiva non solo una maggiore resa, ma soprattutto una maggiore qualità del prodotto in termini di purezza e candore.

Nel 1902, con l’entrata in società della “Prima pilatura triestina di riso, società anonima ad azioni”, il complesso viene ampliato raggiungendo la superficie attuale di oltre 10.000 mq coperti, l’intera organizzazione produttiva rinnovata, vengono introdotti nuovi macchinari assumendo l’aspetto che ancor oggi possiamo osservare e garantendo l’occupazione ad oltre 100 lavoratori in un area rurale della Bassa Friulana caratterizzata da una economia Agricola estremamente povera.

L’amido veniva utilizzato nelle confezioni di panni e tessuti per renderli rigidi (colli, pizzi…), ma gli impieghi divengono ben presto molteplici: nelle tessiture di lino e cotone, nelle tintorie e stamperie, nelle cartiere, nella concia dei pellami, nell’industria farmaceutica come eccipiente per pastiglie, nei cosmetici, nelle colle e adesivi, nei leganti per fonderia, nell’industria alimentare.

Il processo di lavorazione messo a punto da Luigi Chiozza per l’estrazione dell’amido, è rimasto inalterato per l’intero arco di attività dell’amideria, oltre un secolo, a testimonianza della sua assoluta validità. Negli anni ’50 inizia la crisi del settore a causa dell’avvento dell’amido sintetico e della sempre maggiore diffusione delle fibre tessili artificiali. Nel 1986 vi erano impiegate 24 persone, di cui 3 nell’amministrazione e 15 nella produzione.

Nel 1991 il Comune di Ruda acquista il complesso produttivo per garantire la tutela di una delle più significative testimonianze legate alla storia dell’industria presenti sul territorio, la prima fabbrica sorta nella Bassa friulana .

 

Guarda il video dell’Amideria Chiozza di Ruda

L’Associazione Amideria Chiozza e lo Spazio Amideria

Nel territorio del Comune di Ruda e nella sua Comunità è profondamente sentita la presenza dell’eredità industriale dell’ Amideria Chiozza, non come un “ reperto archeologico “ da studiare , ma come un’eredità viva. Per questo è nata, nel febbraio 2014, l’Associazione Amideria Chiozza che conta oggi oltre 40 soci: il Comune di Ruda, abitanti di Ruda, ex lavoratori, studiosi; tutti uniti dalla “passione” e dalla “volontà di fare“. Obiettivo dell’Associazione Amideria Chiozza è far rivivere e mantener in vita l’Amideria Chiozza cercando di trasferire non solo le emozioni di chi ha partecipato a questa storia ma la cultura del lavoro.

Il primo progetto che l’Associazione Amideria Chiozza si è prefissata di concretizzare è stato l’apertura dello Spazio Amideria. Lo Spazio Amideria, realizzato grazie all’Amministrazione Comunale di Ruda che ha messo a disposizione gli spazi, ma sopratutto grazie al lavoro dei suoi soci, è un “contenitore aperto al pubblico”, un sistema polifunzionale dove trovano collocazione: il Centro Studi Amideria Chiozza (CSAC), nato in collaborazione con l’Università di Udine, Dipartimento di Storia e Tutela dei Beni Culturali; il Museo Storico, primo nucleo museale che presenta e descrive la storia della fabbrica con video, immagini e testi; l’Archivio dell’Amideria Chiozza, l’archivio della fabbrica che contiene tutta la sua storia dal 1927 al 1976; la Sala Consultazione ed una Sala Conferenze.

Progetto altrettanto ambizioso, per il quale però non sono sufficienti gli sforzi ed i modesti fondi dell’associazione è “Riaccendiamo la macchina a vapore”. Nel 2015 ricorre infatti il 150° anniversario della fondazione della fabbrica, in quest’occasione un atto significativo sarebbe poter aprire parte dell’opificio, ad oggi ancora chiuso per motivi di sicurezza, e rimettere in moto la macchina a vapore, un esemplare unico in Europa ancora nella sua sede dove, dal 1902 alla fine degli anni 80, produceva l’energia che faceva funzionare l’intera fabbrica.

L’evento: Inaugurazione dello Spazio Amideria

Sabato 11 aprile, alle ore 15:00, sarà inaugurato a Saciletto di Ruda lo Spazio Amideria, ovvero un locale, messo a disposizione dall’Amministrazione comunale, nel quale l’associazione che porta il nome della storica fabbrica di amido da riso potrà svolgere e far svolgere tutte le attività connesse alla conoscenza e poi al rilancio del sito produttivo della Fredda. All’inaugurazione, fra gli altri, interverrà il Presidente della regione Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani, che, da sempre impegnata sul sito dell’Amideria Chiozza, non ha voluto far mancare il suo appoggio in primis all’amministrazione comunale e in secondo luogo all’associazione, costituitasi un anno fa, entrambe impegnate nel difficile compito di tramandare la memoria ma anche di rilanciare un luogo che altrimenti rischia l’oblio perenne.

Per maggiori informazioni visitate il sito www.amideriachiozza.it

Evento: Inaugurazione Spazio Amideria
Genere: Inaugurazione di Associazione e della sua sede
Dove e Quando : Sabato 11 aprile, alle ore 15:00 Salacinetto di Ruda – Udine
Contatti: www.amideriachiozza.it
Presentazione a cura di: Associazione Amideria Chiozza
Crediti Fotografici: ph Elido Turco + Associazione Amideria Chiozza




Torviscosa, la città della cellulosa in Friuli Venezia Giulia

Torviscosa, cittadina in provincia di Udine, è un’affascinante company town nata in funzione della produzione di cellulosa a scala industriale e un gioiello dalle linee metafisiche della nostra archeologia industriale.

Una piccola cittadina, simbolo dell’Italia fascista e dei suoi principali riferimenti ideologici: costruita tra il 1937 e il 1942, Torviscosa è una città di fondazione, cioè una di quelle città nuove sorte in Italia negli anni Trenta del Novecento nei territori di bonifica e caratterizzate da architetture di regime. È allo stesso tempo una company town, perché la sua fondazione è legata a una grande azienda italiana, la SNIA Viscosa (da cui Torviscosa prende una parte del nome) che all’epoca si dedicava soprattutto alla produzione di fibre artificiali ricavate dalla cellulosa e che trova in questa parte della pianura friulana ancora poco sfruttata un territorio ideale per un esperimento “autarchico”: la coltivazione su larga scala di canna comune da cui ricavare la materia prima per le sue produzioni e l’insediamento di un nuovo grande stabilimento industriale per la sua lavorazione.

Torviscosa, company town del Nord-Est

Il visitatore che entra a Torviscosa non ha dubbi sul ruolo industriale di questa cittadina: il grande piazzale di ingresso all’abitato, disegnato da Giuseppe De Min nel 1937, è dominato per metà dagli edifici connessi all’attività industriale e dal grande edificio di rappresentanza del CID (Centro Informazione Documentazione), costruito dalla SNIA agli inizi degli anni Sessanta come biglietto da visita della città industriale e luogo di ricevimento delle delegazioni straniere. Utilizzato fino alla fine degli anni Settanta per ospitare la biblioteca tecnica aziendale, è stato recentemente restaurato e riaperto come sede espositiva. Accanto al CID si innalza la torre panoramica, alla cui sommità si apre un vano quadrangolare con funzione di belvedere, un tempo salottino per gli alti dirigenti della SNIA che qui accoglievano gli ospiti per offrire loro un punto privilegiato d’osservazione sulla città e l’intero territorio circostante. L’altra metà della piazza, a ovest, è invece una spazio sociale, con il teatro e l’edificio del dopolavoro ristoro. Il piazzale, oggi dedicato a Franco Marinotti, fondatore della città e all’epoca amministratore delegato e poi presidente della SNIA, si chiamava in origine “piazza dell’Autarchia”, per sottolineare che l’intero insediamento industriale e urbanistico era stato pensato in funzione del modello economico del regime.

Accanto allo stabilimento, architetti e ingegneri disegnarono e fecero costruire la nuova città, immaginata per espandersi e ospitare fino a 20.000 persone e organizzata per aree funzionali. La struttura originaria non ha subito modifiche sostanziali e ancora oggi sono quindi riconoscibili il villaggio operaio, le case per i tecnici, le ville dei dirigenti, gli spazi del lavoro e quelli per il tempo libero e lo sport. Il fulcro della vita pubblica era rappresentato dalla piazza “Impero” (oggi piazza del Popolo). Progettata dall’architetto Giuseppe De Min nel 1940 secondo il gusto architettonico dell’epoca che si ispirava alle piazze metafisiche di Giorgio De Chirico, è dominata dall’edificio del Comune caratterizzato dalla torre dell’arengario e dal suo balcone.

Il villaggio operaio di Torviscosa

Poco lontano, il villaggio operaio è costituito da due gruppi di case di diversa tipologia. Al primo gruppo appartengono le case chiamate “colombaie” per le loro caratteristiche architettoniche che ricordano le casette per i colombi. Questo gruppo di abitazioni, costruito a partire dal 1943 ma completato solo negli anni Sessanta, è composto da dieci blocchi di case a schiera disposti a coppie secondo l’asse est – ovest. Ogni blocco si compone di cinque alloggi. I prospetti principali sono caratterizzati dagli archi che segnano l’ingresso alle singole abitazioni, mentre i prospetti posti a sud presentano grandi arcate a doppia altezza, una sorta di brise soleil per il lato più esposto al sole. Il secondo gruppo, chiamato “case gialle”, è stato realizzato tra il 1941 e il 1944. È formato da 12 blocchi di edifici in linea disposti parallelamente su quattro file orientate nord – sud. I prospetti sono scanditi dalla modularità delle finestre e nell’insieme queste case risultano più modeste delle colombaie.

La fabbrica di Torviscosa

La parte più vecchia delle strutture industriali risale agli anni 1937 – 1940 e fu progettata dall’architetto Giuseppe De Min. Comprende vari edifici rispondenti a scopi diversi e quindi anche di forme e volumi differenti a seconda delle funzioni a cui erano destinati, ma tutti accomunati dalle facciate rivestite a mattoni rossi. Il nucleo storico della fabbrica, destinato alla produzione della “cellulosa autarchica” derivata dalla lavorazione della canna gentile, fu inaugurato il 21 settembre del 1938 alla presenza di Benito Mussolini. In seguito, il reparto cellulosa venne ampliato con il cosiddetto “raddoppio” del 1940 e nel periodo fra il 1946 e 1948 fu costruito il nuovo reparto sodacloro. L’intero reparto cellulosa è stato dismesso nel 1991.

Accanto al portale d’ingresso, costituito da colonne rivestite in mattoni, ci sono due statue monumentali di Leone Lodi realizzate nel 1938 e dedicate all’agricoltura e all’industria, a sottolineare la duplice natura del progetto imprenditoriale di Torviscosa. La statua che si riferisce all’agricoltura è intitolata “La continuità della stirpe nel lavoro” e rappresenta una donna seduta con un bambino sulle ginocchia e un uomo in piedi con un badile. La statua dedicata all’industria, invece, raffigura un cavallo trattenuto da un uomo e si intitola “Sintesi di Forza, Ragione e Fede”.

Immediatamente dietro alla portineria, la palazzina degli uffici è composta da una parte centrale di tre piani e due ali laterali simmetriche che discendono a due e un piano. In corrispondenza dell’edificio degli uffici inizia un viale lungo circa 1 km sul quale si affacciano i vari edifici che componevano l’impianto per la produzione di cellulosa. A metà circa del complesso è posto il Laboratorio Ricerche e Controlli, facilmente riconoscibile dall’iscrizione. Sull’altro lato del viale sorge invece l’edificio destinato alla produzione di vapore ed energia elettrica, collegato alla struttura che conteneva l’impianto cellulosa per mezzo di un ponteggio.

Poco oltre si stagliano le due torri Jensen destinate alla produzione di bisolfito di calcio. La prima, quella più a nord, fu realizzata nel 1938 mentre la seconda fu costruita nel 1940 durante i lavori del raddoppio dello stabilimento. Sono alte 54 metri, hanno una pianta circolare e poggiano su un unico basamento rettangolare. Esternamente ripropongono le forme dei fasci littori; la lama dell’ascia littoria che sporgeva dalla torre nord fu abbattuta dagli operai il 26 luglio del 1943. Le due torri sono collegate alla sommità da un percorso orizzontale che costituiva il passaggio per gli operai addetti al reparto.

Torviscosa oggi

Il sito industriale è tutt’ora sede di alcuni insediamenti che utilizzano parte delle strutture. Alcune di queste sono state recuperate o sono ora oggetto di ristrutturazione.

Sito archeologico industriale: La company town di Torviscosa
Settore industriale:Industria della cellulosa
Luogo: Torviscosa – Udine – Friuli Venezia Giulia
Proprietà/gestione: Le strutture del sito industriale appartengono alle varie aziende attualmente insediate www.comune.torviscosa.ud.it
Testo a cura di: Per la parte relativa al sito archeologico industriale sono state utilizzate le schede MBI del SIRPAC – Sistema Informativo Regionale del Patrimonio Culturale del Friuli Venezia Giulia e la relazione “Architetture storiche presenti nel Comune di Torviscosa” redatta nel 1995 dall’arch. Monica Bellantone per il Comune di Torviscosa.
Image courtesy of: Comune di Torviscosa