La centrale Antonio Pitter di Malnisio oggi Museo & Science Centre

La centrale idroelettrica “Antonio Pitter” di Malnisio in provincia di Pordenone è uno splendido esempio di archeologia industriale riconvertito in Science Centre dove è possibile ripercorrerne la storia e comprenderne il funzionamento.

La centrale idroelettrica di Malnisio e la sua storia

Situata nel contesto naturale della pedemontana pordenonese, la Centrale idroelettrica “Antonio Pitter” di Malnisio si inserisce in un sistema di impianti per lo sfruttamento idroelettrico del torrente Cellina, realizzato agli inizi del ‘900, grazie all’intuizione e al progetto di Aristide Zenari, giovane ingegnere del Regio Genio Civile.

Alla fine dell’800, Zenari si rese conto che la stretta forra del Cellina ben si prestava ad uno sfruttamento idroelettrico. Il progetto prevedeva la costruzione di una diga in località Rugo Valfredda, lo scavo in roccia di un lungo canale adduttore con 57 ponti-canale e arcate di sostegno e con 5 gallerie e la realizzazione di tre centrali a Malnisio (1905), a Giais (1908) e in località Partidor (1919), inizialmente per alimentare la sola Venezia, quindi consentendo il decollo di numerose attività industriali nel Veneto e in Friuli.

Il progetto prese avvio nel marzo del 1900, sotto la direzione degli ingegneri Aristide Zenari per la parte idraulica e civile e Antonio Pitter per quella elettrotecnica. Più di duemila tra minatori, scalpellini, muratori, carpentieri, scarriolanti e donne portatrici lavorano alacremente per cinque anni nella serie di cantieri che si snodano dalla diga, lungo il canale adduttore, nelle centrali di Malnisio e Giais e nei rispettivi canali di scarico.

In funzione dal 1905 – con il suo sistema di quattro turbine tipo Francis Riva-Monnert accoppiate ai rispettivi alternatori Tecnomasio Italiano Brown-Boveri da 2.600HP – la Centrale chiude definitivamente la produzione nel 1988, uscendo indenne dai due conflitti mondiali e dal sisma del ’76 e mantenendo tutti i macchinari perfettamente intatti e conservati. Per la trasmissione alle stazioni rilevatrici, la corrente, qui generata alla tensione di 4.000 Volt, veniva elevata con due trasformatori monofase a 30.000 Volt (quello che allora era considerato il massimo potenziale), successivamente sostituiti da altri trifasi, che elevarono la tensione a 60.000 Volt.

Il Museo della Centrale di Malnisio e Science Centre 

Dopo la chiusura del 1988 delle tre centrali (Malnisio, Giais e Partidor), l’Enel, allora proprietaria della struttura, conscia del grandissimo valore culturale e ambientale della Centrale, accarezza l’idea di farne un museo dell’idroelettrico, procedendo anche con il recupero, nelle sue diverse centrali distribuite in Italia, e con il trasporto presso la Centrale di Malnisio stessa di macchinari dismessi di interesse storico-tecnico.

Il progetto di recupero della Centrale viene poi ripreso dal Comune di Montereale Valcellina: questi, acquisitane la proprietà, ha potuto iniziare l’intervento di recupero grazie a finanziamenti della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia e della Comunità Europea, ma anche grazie all’associazione di ex dipendenti della Centrale, che hanno fornito la loro preziosa collaborazione.

Nel 2006, in occasione del centenario della Centrale, è stato restaurato il fabbricato principale, adibito a sala macchine, e l’ingresso della struttura ad est, inaugurando così il museo della “Centrale di Malnisio”.

Fin dal principio, il Museo, in tutte le sue attività di organizzazione e assistenza alle visite guidate per il pubblico generico e scolastico, è stato affidato all’Immaginario Scientifico – già gestore del museo della scienza interattivo di Trieste – che nel luglio 2007 insedia nell’ex Centrale una nuova sede del Science Centre Immaginario Scientifico, con la sezione di exhibit interattivi Fenomena e l’attivazione di un programma di attività didattiche laboratoriali.

Da settembre 2017 la ex centrale idroelettrica di Malnisio è tornata sotto la gestione del Comune di Montereale Valcellina,  accogliendo pubblico scolastico e generico, per lo più da tutta la regione Friuli Venezia Giulia e dal Veneto.

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Il Museo della Centrale di Malnisio è Anchor Point ERIH Italia

 

 

Sito archeologico industriale: La Centrale idroelettrica “Antonio Pitter” di Malnisio
Settore industriale: Settore Energia
Luogo: Malnisio, Pordenone, Italia
Proprietà e Gestione: Proprietà e gestione Comune di Montereale Valcellina




Metanopoli, la città sostenibile di Mattei

A San Donato Milanese, alle porte di Milano, sorge Metanopoli, la città del metano voluta da Enrico Mattei per i lavoratori di eni.


Concepita secondo criteri urbanistici d’avanguardia, in linea con la filosofia del villaggio aziendale che mirava a integrare in un’unica realtà operai, impiegati e dirigenti dell’azienda di Stato, Metanopoli ha mantenuto nel tempo il suo aspetto originale, con case basse circondate da giardini e viali alberati.

L’idea di costruire un centro organizzativo e amministrativo nei pressi di San Donato nasce nel 1952, agli albori della costituzione di eni, con una funzione ben precisa: dar vita al più ordinato, razionale e verde hinterland di Milano. L’insediamento si inserisce nel tessuto urbanistico della cittadina come fondazione ex novo, in un’area in cui non esisteva fino a quel momento alcun impianto produttivo. Fortemente voluto da Mattei, il “quartier generale” eni – denominato Metanopoli – diviene ben presto un polo di eccellenza e di innovazione destinato a far ripartire, dopo anni di depressione, la grande industria del Nord.

Il progetto urbanistico, affidato all’architetto Mario Bacciocchi, prevedeva la collocazione del complesso in una zona di transito vicina alle grandi reti di trasporto dell’epoca: l’aeroporto di Linate, la storica Via Emilia, che collegava il centro di Milano con le città emiliane e il Sud, l’Autostrada del Sole. In brevissimo tempo il quartiere si trasforma in una vera e propria “città del terziario” dove si concentrano uffici, laboratori, centri di formazione, quartieri residenziali.

I laboratori, realizzati da Bacciocchi, diventano un fiore all’occhiello della ricerca scientifica in Italia. Qui chimici, fisici, ingegneri, biologi, scelti tra i più giovani delle università italiane, lavorano a stretto contatto, inaugurando un nuovo metodo di ricerca di tipo interdisciplinare. All’eccellenza guarda anche la Scuola superiore di studi sugli idrocarburi istituita a San Donato nel 1955 per la formazione dei quadri e dei dirigenti italiani e stranieri, nella quale insegnano i migliori docenti internazionali nel campo dell’economia, del management e della ricerca energetica.

Allo spazio esterno del centro, l’ambiente pubblico destinato a residenti, ospiti e addetti ai lavori, si unisce lo spazio interno, che comprende un’area residenziale, un centro sportivo, una scuola, una chiesa parrocchiale e un centro commerciale. A ridosso di Viale Alcide De Gasperi, Bacciocchi realizza nel 1955 l’unica vera piazza di Metanopoli, dominata dal complesso parrocchiale di Santa Barbara. All’interno e all’esterno della chiesa sono collocate opere di Arnaldo e Giò Pomodoro, Cassinari e Cascella.

Bacciocchi realizza anche una parte del complesso sportivo (il campo di calcio, la tribuna e il campo da tennis coperto) mentre la piscina coperta viene attribuita a Bacigalupo e Ratti e la piscina scoperta a Zoppini e Mattioni.

Lontana dall’idea di “città-fabbrica”, Metanopoli per Mattei doveva rappresentare una realtà urbana, viva e in movimento, concepita secondo criteri di sostenibilità ambientale ed efficienza, sul modello delle grandi città industriali statunitensi.

Nello stesso anno, il 1955, viene realizzato il Primo palazzo uffici, denominato progettato da Marcello Nizzoli e Gianmario Oliveri, a forma esagonale. Sulla sommità dell’edificio Piero Porcinai progetta anche un giardino pensile sul quale si affacciava, all’epoca, l’appartamento di Mattei.Il Secondo Palazzo Uffici, realizzato nel 1962 dagli architetti Marco Bacigalupo e Ugo Ratti, è caratterizzato da una pianta stellare a tre bracci.

In tempi più recenti, nel 1973, viene realizzato il Terzo palazzo uffici, nuova sede della Snamprogetti, un edificio alto 17 metri con bande rosso scuro dei rivestimenti esterni. In un’area verde adiacente al Terzo palazzo nasce poi, nel 1984, il Quarto palazzo Uffici, nuova sede della società Saipem, caratterizzato da una facciata continua, austera ed omogenea. Al piano terreno dell’edificio nell’ingresso è collocata una scultura di Arnaldo Pomodoro.

Infine, il Quinto palazzo uffici di eni, è stato inaugurato il 7 dicembre 1991. L’edificio, progettato dagli architetti Roberto Gabetti e Aimaro Isola, fronteggia i primi due Palazzi Uffici formando un ideale ingresso tecnologico alla città di Milano, tutto in cristallo verde azzurro.

La caratteristica che ancora oggi colpisce il visitatore di San Donato è la geometria essenziale del sistema viario, che integra in uno stesso spazio le zone destinate agli uffici e quelle riservate alle abitazioni. Una concezione che deriva dall’attenzione al benessere dei dipendenti sempre sostenuta da Mattei, che anticipa di una cinquantina d’anni il concetto di “welfare aziendale”. Proprio sui valori della coerenza e dell’integrazione Mattei fonderà molte delle sue scelte successive: dal salvataggio del Pignone a Firenze, agli investimenti nel settore della gomma sintetica e delle materie plastiche, alla creazione di società miste con i paesi produttori per il petrolio. Nella logica del fondatore di eni “tutto si tiene”, in nome del progresso ancora prima che dell’utile.

Sito archeologico industriale: Metanopoli
Settore industriale: Industria energetica
Luogo: San Donato Milanese, Milano, Lombardia, Italia
Proprietà e Gestione: Eni www.eni.com
Testo a cura di:Archivio storico eni
Crediti fotografici:Archivio storico eni




La centrale idroelettrica di Fies in Trentino – Alto Adige

La centrale idroelettrica di Fies, frazione del comune di Dro in provincia di Trento, è un dei luoghi della archeologia industriale che oggi rivivono attraverso l’arte contemporanea. 

 

 

Lo sviluppo dell’industria idroelettrica in Trentino Alto Adige

Edificata sulla riva del fiume Sarca, la centrale di Fies iniziò la produzione nel 1909 al fine di coprire il fabbisogno energetico del Comune di Trento, delle utenze industriali della città e delle nascenti tranvie elettriche che erano state progettate per unire il capoluogo alle valli del Noce e dell’Avisio.

La città di Trento già disponeva a quel tempo di un impianto per la produzione di energia idroelettrica nei pressi di Ponte Cornicchio, che sfruttava la forza idrica del torrente Fersina. Benché di ridotta capacità, la realizzazione di questa prima centrale, compiuta nel 1890, costituì una tappa importante per lo sviluppo dell’industria idroelettrica dell’intera area trentino-tirolese. In quel periodo, caratterizzato da un clima di fiducia nel progresso tecnico e sociale e, per il Trentino in particolar modo, tinto da istanze di emancipazione culturale ed economica che di lì a poco sfoceranno in pieno irredentismo, altre municipalità locali seguivano l’esempio della città trentina: Arco (impianto di Prabi, 1892), Riva del Garda (centrale alle foci del Ponale, 1895), Rovereto (centrale alla Flora, 1899), Pergine Valsugana (primo impianto a corrente alternata a Serso, 1893).

Già quindi si evidenziavano le premesse per uno sviluppo promettente dell’industria idroelettrica locale. Se in una prima fase, quasi sperimentale, la realizzazione di questi impianti era rivolta a dimostrare i positivi risultati di una nuova industria (non mancavano atteggiamenti in parte scettici e negli anni antecedenti la costruzione delle prime applicazioni pratiche si svolsero numerose esposizioni pubbliche organizzate dalle società elettriche che fornivano le principali apparecchiature), in un periodo immediatamente successivo sarebbero invece emerse le problematiche inerenti gli aspetti gestionali e organizzativi: la crescita degli uffici tecnici comunali e il loro successivo consolidarsi in forma autonoma quali aziende municipalizzate (questo avvenne in particolare per Trento e Rovereto).

 

La centrale Fies e la sua storia

In questo frangente si colloca la realizzazione dell’impianto di Fies. Posto di fronte alla necessità di espandere l’offerta di energia elettrica per l’industria locale (che in parte già si stava dotando di piccoli impianti privati) e ancor più per le esigenze che scaturivano dalle progettate ferrovie a scartamento ridotto (la sola ad essere realizzata sarà poi la tranvia Trento-Malé), l’ufficio tecnico comunale stava in particolare valutando due alternative: una riguardava lo sfruttamento delle acque dell’Avisio, con centrale a Lavis, a nord di Trento, l’altra l’utilizzazione delle acque del bacino del Sarca. Una terza alternativa prevedeva la realizzazione di una centrale unica insieme con la città di Rovereto, ma l’accordo non venne mai perfezionato vista poi la decisione di Rovereto di realizzare, nel 1906, un importante impianto al Ponale.

Avviati i primi studi sullo sfruttamento del fiume Sarca già sul finire dell’Ottocento, nel 1903 il Comune di Trento ottenne la concessione dal Capitanato distrettuale di Riva. Il progetto iniziale dell’impianto venne sviluppato dall’ing. Domenico Oss e in seguito rielaborato dall’ing. Antonio Fogaroli. La Giunta comunale decise per questo progetto perché giudicato ottimale per la parte idraulica, si osservava inoltre che la maggior distanza rispetto alla soluzione alternativa che prevedeva la centrale di Lavis non avrebbe presentato rilevanti difficoltà tecniche dal punto di vista del trasporto dell’energia elettrica.

L’impianto venne realizzato tra il 1906 e il 1909, sotto la direzione lavori dell’ingegnere municipale Domenico Fogaroli, mentre l’eclettica veste architettonica si deve all’architetto Marco Martinuzzi.

Le caratteristiche, relativamente alla parte idraulica, prevedevano: la derivazione del fiume Sarca a Pietramurata con un canale di alimentazione che conduceva al lago di Cavedine (serbatoio), un’opera di presa nella parte meridionale del lago che serviva il bacino di carico e quindi sette condotte forzate che alimentavano le turbine (Francis) della centrale. Quest’ultima, destinata ad ospitare 2 gruppi a corrente continua da 160 kW e 6 gruppi da 2.000 kVA, nei primi anni di esercizio aveva una disponibilità pari a 3.000 kW. La linea ad alta tensione, in alcuni tratti realizzata con cavo interrato, serviva la stazione di trasformazione principale di Trento, ora demolita.

Già con l’entrata in funzione dell’impianto tuttavia il Municipio di Trento aveva esaurito la quasi totalità dell’energia disponibile per servire l’illuminazione pubblica della città e delle borgate vicine, l’utenza industriale e la tranvia Trento-Malé (inaugurata nell’autunno di quell’anno) per cui si rese ben presto necessaria una maggiore dotazione della centrale che nel 1913 fu portata ad una potenza installata di oltre 6.000 kW.

Nel primo dopoguerra l’impianto di Fies venne ulteriormente potenziato e integrato con la nuova centrale realizzata poco più a valle, nei pressi di Dro, dedicata al Principe Umberto di Savoia. Con la creazione delle imponenti strutture del Secondo Dopoguerra gli impianti del Sarca della città di Trento persero tuttavia la loro importanza relativa: in particolare con la costruzione della centrale di Nago-Torbole, negli anni ’60, l’attività della centrale di Fies venne notevolmente ridimensionata. Passato nel frattempo in proprietà all’ENEL, da alcuni anni l’edificio della centrale ospita incontri culturali ed è sede per spettacoli e performance artistiche.

 

La centrale Fies oggi spazio per l’arte contemporanea

Centrale Fies è un centro di produzione delle arti performative e luogo di sperimentazione e creazione di nuovi scenari culturali all’interno di un centrale idroelettrica in parte ancora funzionante, data in comodato a una cooperativa nata negli anni 80 dall’azienda illuminata di Hydro Dolomiti Enel che ha creduto in questa riconversione dell’energia alla produzione d’arte e all’accompagnamento nella nascita di nuove imprese culturali.

La particolarità dei contenuti e dei progetti nati in questi anni ha una speciale aderenza a questo edificio immerso nella natura più selvaggia del Trentino, per l’esattezza su una frana di epoca post glaciale. Ogni stanza, ogni pavimento, ogni altissimo soffitto hanno ospitato e visto nascere progetti sempre più preziosi e articolati fino al muro di ferro dell’artista Francesca Grilli esposto nel padiglione dell’ultima edizione della Biennale arte.

La centrale Fies è un luogo speciale in cui far nascere opere che poi vengono esportate e vendute sia in Italia che all’estero e sede di un festival trentennale di performing art dove si danno appuntamento importanti direttori di festival stranieri che giungono in un piccolo paese del Trentino a fine luglio per vedere cosa produce l’Italia delle arti performative. Ma non solo. Attraverso questa fervente attività, la centrale Fies si qualifica da anni come incubatore di artisti performativi e visivi che uscendo da questo luogo hanno poi varcato tutti i confini possibili sia di linguaggio che geografici attraversando i festival, i teatri, le gallerie, le biennali d’arte.

Fies Core un hub cultura all’interno della Centrale Fies

Nel 2014 all’interno di questa struttura nasce anche un hub cultura dal nome Fies Core con la mission di sostenere, guidare, accompagnare, lanciare imprese culturali innovative supportandole con attività orientate allo sviluppo e al potenziamento di nuove skill. Fies Core è un luogo dove diverse esperienze e umanità convergono per creare i contenuti culturali più eterogenei: da nuove idee di turismo, al district branding passando per free school filosofiche sulla performance. Inoltre Fies Core crea progetti transettoriali che mette a disposizione di giovani imprese che vogliano sperimentare e iniziare a muoversi nel campo del cultural design e dell’impresa culturale. A chi invece ha già le idee chiare propone un team modulare di art director, graphic designer, image maker,  più un universo parallelo di artisti, web master, fashion designer, illustratori e creativi.

Informazioni
Centrale Fies, Località Fies 1, Dro (Tn)
Tel: +39 0464.504700
www.centralefies.it info@centralefies.it

Sito archeologico industriale:Centrale idroelettrica di Fies
Settore industriale: Industria dell’energia
Luogo: località Fies, Dro, Trento, Trentino – Alto Adige
Proprietà e Gestione: Proprietà dell’immobile Hydro Dolomiti Enel – Gestione Cooperativa Il Gaviale
Testo a cura di:
Per la parte storica si ringrazia il dott. Roberto Marini dello studio associato Viriginia
opere consultate:
Renato Capraro, Edoardo Model, Gli impianti idroelettrici della Città di Trento, Trento 1924
Umberto Zanin, Il carbone bianco. L’energia elettrica nell’Alto Garda. I primi cinquant’anni: 1890/1940, Arco 1998
Acquaenergia. Storia e catalogazione delle centrali idroelettriche del Trentino, a cura di Angelo Longo e Claudio Visintainer, Trento 2008

Per la parte contemporanea si ringrazia l’Ufficio Comunicazione, immagine e relazioni esterne Centrale Fies
Crediti Fotografici: si ringrazia Roberto Marini e l’ufficio comunicazione Centrale Fies




Il Museo della Geotermia di Larderello e l’energia rinnovabile in Toscana

Il Museo della Geotermia di Larderello, nel Comune di Pomarance in provincia di Pisa, racconta una storia unica al mondo che dalle terme etrusco romane ci proietta in un presente all’insegna dell’energia rinnovabile.

 

Larderello e la Geotermia

Già nel 270 a.C., lo scrittore greco Licofrone racconta dell’esistenza di acque calde dalle proprietà medicamentose in Etruria (nel 1626 Filippo Cluverio, considerato il fondatore della geografia storica, identifica il fiume Lynceus citato da Licofrone, come l’attuale fiume Cornia)
E probabile che lo stesso Dante Alighieri abbia immaginato l’Inferno dopo aver visitato questi luoghi, ricchi di laghi bollenti e fumarole. Non è un caso che la valle di Larderello veniva chiamata la Valle del Diavolo.

Il Museo della Geotermia di Larderello

Il Nuovo Museo della Geotermia di Larderello, inaugurato da Enel Green Power nell’ottobre del 2013, presenta un percorso museale interattivo che, attraverso dieci sale con una voce narrante, conduce il visitatore alla scoperta della geotermia dalle terme etrusco romane allo sfruttamento della risorsa per usi chimici con l’estrazione del boro e il primo “paese fabbrica” in Italia, per poi arrivare al De Larderel e al suo brevetto della calotta che consentiva di utilizzare il calore del vapore per gli usi industriali. Procedendo lungo le sale si arriva alle prime perforazioni per l’estrazione del fluido geotermico e alla loro evoluzione nel tempo; bellissima la “parentesi” con un viaggio al centro della terra che, attraverso un video 3D, proietta il visitatore nei serbatoi geotermici laddove tutto comincia. Il Principe Ginori Conti e la scoperta dell’utilizzo elettrico della geotermia, con l’accensione della prima lampadina nel 1904, a cui nel 1913 segue l’entrata in esercizio della prima centrale geotermica completano il cammino geotermico che nelle ultime sale del museo offre anche l’opportunità di approfondire e conoscere nel dettaglio le tecnologie e le attrezzature meccaniche utilizzate, nonché di avere una panoramica della geotermia nella sala dei plastici.

All’esterno della struttura un’area turistica attrezzata dà modo ai turisti di sostare per un picnic o per una foto ricordo con il “lagone” del 1827 alle spalle e il tipico paesaggio geotermico sullo sfondo.

La Geotermia ed i suoi segni sul territorio

Oltre che con il percorso museale, i segni rinnovabili della geotermia sono ben visibili all’esterno con gli argentei vapordotti inseriti nel contesto paesaggistico, il villaggio Enel Green Power e le Officine di Larderello, le 33 centrali geotermiche con le caratteristiche torri di raffreddamento dislocate tra le province di Pisa, Siena e Grosseto, i pozzi di perforazione, i numerosi siti di manifestazioni naturali, i percorsi naturalistici, i sentieri geotermici, il Parco delle Biancane a Monterotondo Marittimo (Gr) e molti altri luoghi che raccontano la Toscana geotermica: tessere di un grande mosaico che, attraverso molteplici suggestioni, consentono al visitatore di rendersi conto della storia ma anche di un presente sostenibile grazie all’opera dell’uomo che ha saputo utilizzare la risorsa senza depauperarla e anzi portando valore e sviluppo economico, energetico, sociale e culturale al territorio e alle comunità che ivi risiedono.

La geotermia è anche delizia del palato perché vi è un indotto agricolo ed enogastronomico che utilizza il vapore geotermico per la produzione: dalle serre di basilico ai caseifici, dai salumifici agli allevamenti di cinta senese fino alla produzione di birra con un processo a fermentazione naturale e totalmente rinnovabile, la geotermia è anche food & wine, cibo e salute, in un percorso valorizzato anche dalla presenza della Comunità del cibo ad Energie rinnovabili del Cosvig (Consorzio Sviluppo Aree Geotermiche).

La geotermia soddisfa il 26,5% del fabbisogno energetico della Toscana e fornisce calore utile a riscaldare circa 9.000 utenze (in costante crescita perché sono in fase di realizzazione teleriscaldamenti in varie aree geotermiche) nonché 25 ettari di serre, caseifici e ad alimentare una importante filiera agricola, gastronomica e turistica.

Informazioni:
Museo della Geotermia
Piazza Leopolda 1 | Localita’ Larderello, 56045 Pomarance (PI)
Tel.+ 39 0588 67724
La struttura è aperta sette giorni su sette ed è visitabile gratuitamente.

Sito archeologico industriale:Museo della Geotermia di Larderello
Settore industriale: Industria dell’energia
Luogo: Aree geotermiche della Toscana (Larderello, Radicondoli, Lago Boracifero, Piancastagnaio sedi di Area Geotermica che ricadono sui Comuni di Pomarance, Castelnuovo Val di Cecina, Radicondoli, Chiusdino, Monterotondo Marittimo, Monteverdi Marittimo, Piancastagnaio, Santa Fiora, Arcidosso)
Proprietà e Gestione: www.enelgreenpower.com
Testo a cura di: Enel Relazioni con i Media Toscana
Crediti Fotografici: Fabio Sartori ed Archivio Storico Enel di Napoli




Convegno La centrale idrotermoelettrica del Battiferro: un patrimonio da ri-scoprire

Sabato 7 giugno, presso il Liceo Augusto Righi di Bologna si è svolto il convegno “La centrale idrotermoelettrica del Battiferro. Un patrimonio da ri-scoprire”, gettando le basi per la creazione di un Comitato per la Salvaguardia della Centrale del Battiferro.

La Centrale del Battiferro, da oltre 50 anni versa in stato di abbandono potrebbe rifiorire a nuova vita grazie anche allo sforzo di un Comitato creato ad hoc no solo per sensibilizzare l’opinione pubblica, ma anche e soprattutto per promuovere la realizzazione di progetti concreti di riqualificazione del sito.

Sita lungo il canale Navile, importante are di Bologna che ha visto negli anni il fiorire di numerose attività industriale, La centrale del Battiferro lo scorso dicembre è stata messa in vendita dal comune di Bologna, insieme ad altri prestigiosi beni pubblici, con l’obiettivo di appianare il bilancio comunale.
Rischio o opportunità? Dipenderà da come si evolveranno i fatti, ma per non lasciare la questione in balia di pochi decisori, trattandosi di un bene comune di estremo interesse per la storia industriale della città, un gruppo di persone ha deciso di agire.

Il movimento nasce dalla passione di un giovane geografo di adozione bolognese specializzato sul tema dell’archeologia industriale, il dott. Jacopo Ibello, che già dalla fine dello scorso anno si è mosso per scuotere l’opinione pubblica sull’argomento, attività questa che si è concretizzata, come primo step, attraverso l’organizzazione del primo convegno ufficiale sul tema.

L’evento, organizzato dalle associazioni Save Industrial Heritage – l’associazione appunto presieduta dal dott. Ibello – e Amici delle Acque/Bologna Sotterranea, in collaborazione col Liceo Scientifico Augusto Righi (ricordiamo che proprio lo stesso Righi visitò la centrale nel 1901) che ha offerto anche i propri spazi istituzionali, è stato patrocinato dall’Archivio Storico Comunale di Bologna e dall’AIPAI (Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico Industriale).

Alla convegno sono intervenuti personalità del mondo accademico, professionisti del settore nonché rappresentanti delle istituzioni pubbliche. A seguire l’elenco dei partecipanti in ordine di presenza:

• Prof. Mauro Borsarini: dirigente scolastico del Liceo Scientifico Augusto Righi.
• Prof. Mario Rinaldi: Presidente Associazione Elettrotecnica Italiana.
• Prof. Paolo Pupillo: Biologo, Docente dell’Università di Bologna e Rappresentante nazionale di Italia Nostra.
• Dott. Jacopo Ibello: Presidente dell’associazione Save Industrial Heritage.
• Massimo Brunelli: Vicepresidente dell’associazione Amici delle Acque-Bologna Sotterranea.
• Prof. Giorgio Dragoni: Docente di Storia della Fisica dell’Università di Bologna.
• Claudio Mazzanti: Consigliere comunale e Presidente della Commissione Urbanistica del Comune di Bologna.
• Prof. Giampiero Cuppini: Architetto.
• Moderatore: Prof. Elisabetta Golinelli, docente di Scienze del Liceo Righi.

Aperti i lavori con i saluti del prof. Borsarini, il prof. Rinaldi ha tenuto a sottolineare il forte gap che esiste tra l’Italia ed i paesi stranieri in tema di salvaguardai e promozione della cultura tecnica. Un gap che va sicuramente colmato dal quale dipende il benessere sociale ed economico del nostro paese.
Segue l’intervento del prof. Pupillo che ha raccontato alla platea come in realtà nel tempo alcuni progetti di recupero della centrale fossero stati presentati, ma nessuno di questi vide mai la sua realizzazione.
Il dott. Ibello, dopo un inciso sul forte legame che sussiste tra Bologna e la sua attività industriale e manifatturiera, e dopo aver raccontato la storia della Centrale del Battiferro, ha esposto la propria idea per il futuro del sito, ovvero: utilizzare la centrale come un luogo sociale,un luogo dedicato alla cultura attraverso la gestione dello spazio in una formula temporanea, evitando così di dare una destinazione definitiva che potrebbe fossilizzarlo o, ancora peggio, riportarlo al disuso qualora l’operazione non funzionasse.
Massimo Brunelli ha regalato una panoramica sul ruolo del canale Navile e sulle molteplici attività che sorsero lungo le sue sponde, proseguendo poi con una serie di interessanti scatti realizzati all’interno della centrale che ne dimostrano lo stato di degrado. Tali scatti, sottolinea Brunelli, risalgono però ad un anno fa circa, da allora la situazione è notevolmente peggiorata:immense quantità di rifiuti riempiono ogni angolo della centrale.
Il prof. Dragoni è entrato poi nel merito delle occasione perdute, raccontando nel dettaglio come in realtà un’ingente cifra fosse stata già stanziata su un progetto realizzato dall’Università sfruttando i finanziamenti sui fondi del gioco del lotto, soldi questi però mai arrivati. Dragoni confida in una nuova fase per la centrale, immaginando un graduale recupero della struttura di tipo minimalista – ovvero senza la necessità di onerosi e imponenti modifiche strutturali – aprendola così al pubblico e realizzandone poi un centro culturale.
Il prof Cupini ha ricordato comunque i vincoli d’uso e strutturali, oltre a quelli di tipo economico, ai quali in ogni caso chi andrà ad intervenire sul sito dovrà attenersi.
Ha chiuso l’incontro l’architetto Cuppini ricordando la potenzialità dei Fondi europei: creare occasioni di lavoro per poter accedere a questi interessanti e spesso inutilizzati finanziamenti.

Tanti quindi gli spunti su cui riflettere, ma soprattutto tante le volontà che intendono mettersi in gioco affinché la centrale del Battiferro, stimabile esempio di archeologia industriale bolognese, non vada perduta ed acquisisca invece nuovamente un ruolo importante per la cittadinanza.

Archeologiaindustriale.net era presente al convegno e continuerà a seguire la vicenda.




La Centrale Montemartini a Roma Ostiense

La ex Centrale termoelettrica Montemartini, oggi sede museale all’interno del Polo Espositivo dei Musei Capitolini, integra mirabilmente archeologia industriale e arte classica.

Inaugurata il 30 giugno del 1912, la Centrale termoelettrica Montemartini fu il primo impianto elettrico pubblico per la produzione di energia elettrica della “Azienda elettrica municipale” (oggi Acea).
Venne intitolata a Giovanni Montemartini, economista italiano e teorico più autorevole del movimento delle municipalizzazioni delle aziende di servizi ad interesse pubblico.

La costruzione della centrale, su un’area di circa 20.000 mq tra la Via Ostiense e l’ansa del Tevere, fu affidata alla ditta di costruzione in cemento armato dell’ing. H. Bollinger di Milano.

L’aspetto monumentale dell’edificio si giustifica con la volontà di manifestare l’orgoglio della municipalità nel poter provvedere da sola alla produzione di servizi per i propri cittadini. Esigenze funzionali e valore estetico si sposano perfettamente nella struttura sia esterna che interna:

Le pareti laterali lunghe erano scandite dai pilastri su cui poggiavano le capriate paraboliche che reggevano il solaio. Quest’ultimo lungo l’asse principale si interrompeva per raggiungere uno quota più alta e formare un lucernaio con finestre a nastro. Il terrazzo di copertura era formato da una doppia soletta per favorire l’isolamento termico. L’aula era stata divisa in due aree distinte a seconda della tipologia di macchinario installato.
Lo spazio del lavoro veniva poi connotato attraverso una fascia alta circa due metri in “lapis ligneus” culminante con un fregio con un motivo decorativo a festoni, fiocchi e targhe che correva lungo tutto il perimetro. Una serie di eleganti lampioni in ghisa con globi sorretti da bracci arcuati illuminava l’interno. Sulla parete est era stato sistemato un grande schermo con lo schema dell’illuminazione pubblica.

Nel 1933, fu Benito Mussolini in persona ad inaugurare i due giganteschi motori diesel da 7500 Hp Franco Tosi, lunghi entrambi 23 metri, collocati all’interno della sala macchine completamente rinnovata. Un nuovo pavimento a mosaico disegnava intorno alle macchine cornici multicolori,ancora oggi utili a visualizzare l’assetto originario.

Nel periodo fascista, la centrale venne ulteriormente potenziata con lo scopo di sostenere il consumo energetico previsto per la grande Esposizione Universale che nel 1942 il regime intendeva realizzare nella zona sud di Roma per autocelebrarsi, ma in realtà mai organizzata.

Durante i bombardamenti che colpirono la città di Roma tra il 1944-45, anche la Centrale Montemartini subì alcuni danni, ma per fortuna di poca entità. la Centrale Montemartini si fece carico da sola dell’approvvigionamento energetico dell’intera città durante la liberazione. Dopo la guerra fu ulteriormente potenziata.

Nel 1963 la produzione di energia elettrica venne interrotta a cause dell’impianto ormai obsoleto per il quale non risultava più conveniente investire ulteriori risorse.

Il recupero della ex Centrale Montemartini, esempio di archeologia industriale

Per circa 20 anni la centrale rimase abbandonata, finché l’Acea non decise di recuperare la struttura con lo scopo di realizzare uno spazio polifunzionale destinato al terziario.
Su progetto dell’ingegnere Paolo Nervi l’intervento interessò principalmente la Sala Macchine e la nuova Sala Caldaie. I lavori, iniziati nel 1989, furono realizzati nel rispetto delle forme originali, recuperando parte delle decorazioni e dei macchinari originari, tra questi la grande turbina a vapore del 1917.

Il Museo della Centrale Montemartini parte del polo espositivo dei Musei Capitolini di Roma

Nel 1997, in occasione di un ampia ristrutturazione che ha interessato i Musei Capitolini, un centinaio di sculture sono state temporaneamente trasferite all’interno della ex Centrali Montemartini ed allestite nella mostra “Le macchine e gli dei“, creando un dialogo tra archeologia classica ed archeologia industriale.

In un suggestivo gioco di contrasti accanto ai vecchi macchinari produttivi della centrale sono stati esposti capolavori della scultura antica e preziosi manufatti rinvenuti negli scavi della fine dell’Ottocento e degli anni Trenta del 1900, con la ricostruzione di grandi complessi monumentali e l’illustrazione dello sviluppo della città antica dall’età repubblicana fino alla tarda età imperiale.

L’adeguamento della sede a museo, il restauro delle macchine e la sezione didattica del settore archeo industriale sono stati realizzati dall’Acea.

Lo splendido spazio museale, inizialmente concepito come temporaneo, in occasione del rientro di una parte delle sculture in Campidoglio nel 2005, alla conclusione dei lavori di ristrutturazione, è stato confermato come sede permanente delle collezioni di più recente acquisizione dei Musei Capitolini.
Nei suoi spazi continua il lavoro di sperimentazione di nuove soluzioni espositive collegato alla ricerca scientifica sui reperti; l’accostamento di opere provenienti da uno stesso contesto consente anche di ripristinare il vincolo tra il museo e il tessuto urbano antico.

Il museo stesso è inserito all’interno di un più ampio progetto di riqualificazione della zona Ostiense Marconi, che prevede la riconversione in polo culturale dell’area di più antica industrializzazione della città di Roma (comprendente, oltre alla centrale elettrica Montemartini, il Mattatoio, il Gazometro, strutture portuali, l’ex Mira Lanza e gli ex Mercati Generali) con il definitivo assetto delle sedi universitarie di Roma Tre e la realizzazione della Città della Scienza.

I servizi museali all’interno del Museo della Centrale Montemartini, in quanto parte del Sistema dei Musei Civici di Roma Capitale, sono curati da Zetema Progetto Cultura.

Info:
Musei Capitolini – Centrale Montemartini
Via Ostiense 106 – 00154 ROMA
Informazioni e prenotazioni Tel. 060608 tutti i giorni ore 9.00-21.00
Website www.centralemontemartini.org/E-mail info.centralemontemartini@comune.roma.it

 

Sito archeologico industriale:La Centrale Montemartini
Settore industriale:Settore Energetico
Luogo: Roma – Lazio
Proprietà/gestione: Musei Civici di Roma www.museiincomuneroma.it/
Testo a cura di:Centrale Montemartini. I testi per la parte storica sono stati tratti da “la Centrale Termoelettrica Giovanni Montemartini” di Antonio David Fiore.
Image Courtesy of: Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali




La Centrale del Battiferro a Bologna è in vendita

Il Comune di Bologna mette in vendita la Centrale idrotermoelettrica del Battiferro, una delle testimonianze più importanti della storia industriale del capoluogo dell’Emilia Romagna.

La Centraledel Battiferro è situata lungo il canale Navile, che fu per secoli uno dei cuori pulsanti dell’attività produttiva in città: l’area dove si trova, il Battiferro, deriva il nome dalla presenza nel passato di opifici legati alle lavorazioni metallurgiche. Si tratta di una zona che potremmo definire “strategica” dal punto di vista dell’archeologia industriale: nelle immediate vicinanze della centrale si trovano, infatti, il principale sostegno (così si chiamano le chiuse) del canale, la Fornace Galotti che ospita il Museo del Patrimonio Industriale e i resti di un’antica cartiera.

Storia della Centrale del Battiferro, esempio di archeologia industriale

La Centrale del Battiferro venne costruita per iniziativa della Ganz, la rinomata industria di Budapest produttrice di materiale elettrico, tra il 1898 e il 1900: venne dotata di 2 coppie di caldaie a vapore e di una turbina che sfruttava un salto di 3 metri del vicino canale Navile; questi macchinari azionavano 3 alternatori Ganz da 400 kW ciascuno. La turbina idraulica venne realizzata dalla Escher Wyss di Zurigo, mentre le caldaie furono prodotte dalla rinomata ditta tedesca Steinmüller; italiani erano i condensatori e le macchine motrici, fabbricati dalla Franco Tosi di Legnano. Si trattava quindi di una centrale che produceva energia sia termo che idroelettrica. La distribuzione dell’elettricità venne affidata a una società cooperativa fondata da Giuseppe Galotti, industriale attivo nei laterizi e proprietario della vicina fornace. Si trattava di una struttura all’avanguardia per l’epoca, che andava a sostituire l’unico l’impianto idroelettrico della città, collocato presso il Molino Poggioli.
La centrale del Battiferro fu la seconda grande “fabbrica” di energia di Bologna, dopo le Officine del Gas, costruite nel 1862 e divenute nel 1900 di proprietà del Comune (la prima azienda municipalizzata del gas nella storia d’Italia). L’elevato livello tecnologico della centrale venne attestato dalla visita che vi condussero nel 1901 i fisici italiani, riuniti a Bologna per il loro V congresso nazionale, alla presenza di Augusto Righi.
Con la costruzione dei laghi artificiali appenninici durante la prima metà del XX secolo, destinati alla produzione di energia idroelettrica, la piccola centrale del Battiferro perse pian piano importanza fino alla sua definitiva chiusura nel 1961.
In oltre 50 anni di abbandono, questo monumento della archeologia industriale ha subito danni molto gravi a causa delle intemperie, dell’usura del tempo e dei vandali. Chi ci è stato dentro negli ultimi tempi racconta che il pavimento è sparito sotto uno spesso strato di sporco e rifiuti, mentre all’interno dei locali vi trovano alloggio senzatetto e attività criminali legate al confezionamento e allo spaccio di stupefacenti. Nonostante tutto questo, sopravvivono ancora alcuni macchinari come un paio di turbine.

Il Comune di Bologna mette in vendita la Centrale del Battiferro

L’11 dicembre il Comune di Bologna ha comunicato la propria volontà di mettere in vendita alcuni dei gioielli del suo patrimonio per ripianare lo stato di crisi del bilancio municipale. Spicca nella lista il nome di Villa Aldini, fatta costruire nel 1811-16 per ospitare Napoleone; ma tra i beni in vendita c’è anche la centrale del Battiferro. Questo avvenimento può essere visto come un’opportunità per chi ha a cuore non solo l’archeologia industriale, ma tutto il patrimonio culturale bolognese. Dopo decenni di incuria, infatti, questo edificio potrebbe essere recuperato e rilanciato.

“Salviamo la Centrale del Battiferro” il nuovo gruppo su Facebook

Per sensibilizzare sulle potenzialità di questa struttura è stato recentemente lanciato il gruppo Facebook Salviamo la Centrale del Battiferro che si propone di creare un gruppo di opinione impegnato sulla rete e sul campo nel creare un progetto di recupero realizzabile e sostenibile. C’è bisogno, oltre che del sostegno della comune cittadinanza, di professionisti ed esperti in vari campi, dalla storia all’architettura, al restauro, alla tecnica, alla cultura, alla progettazione e al fund raising. Tutte queste figure sono necessarie per elaborare un progetto di salvataggio che sia di alto spessore culturale ma allo stesso tempo sostenibile dal punto di vista economico.

Archeologiaindustriale.net invita tutti gli interessati ad aderire al gruppo “Salviamo la Centrale del Battiferro” ed a lasciare il proprio contributo intellettuale affinché la Centrale del Battiferro, qualunque sia la nuova destinazione d’uso, non perda di identità e possa raccontare la propria storia  alle generazioni future.

Il gruppo Facebook “Salviamo la Centrale del Battiferro” è stato lanciato da Jacopo Ibello. Jacopo Ibello, autore del testo di cui sopra, è laureato in Geografia presso l’Università di Bologna. Dopo la laurea  ha conseguito il diploma di Master in Conservazione e Gestione del Patrimonio Industriale presso l’Università di Padova.

Hashtag di riferimento #saveindustrialheritage

Hanno parlato della Centrale del Battiferro:

CILAC Newsletter N° 180 – 31 dicembre 2013 clicca qui

UNESCO Chair Forum University and Heritage – Twitter Account clicca qui

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Sito archeologico industriale: La Centrale del Battiferro
Settore industriale: Settore Energia
Luogo: Bologna- Emilia Romagna
Proprietà/gestione: Comune di Bologna www.comune.bologna.it
Testo a cura di: Jacopo Ibello contatto: jacopo.ibello@gmail.com.
Crediti Fotografici: si ringrazia Massimo Brunelli – Vicepresidente, nonché ricercatore e fotografo, della “Associazione amici delle vie d’acqua e dei sotterranei di Bologna” www.amicidelleacque.org