Valdarno: le miniere di lignite ed il MINE Museo delle Miniere e del Territorio di Cavriglia

Le miniere di lignite ed il MINE Museo delle Miniere e del Territorio di Cavriglia: storia del nostro patrimonio industriale in Valdarno in Toscana.

Chi si trovasse a percorrere la Strada delle Miniere con sguardo distratto non potrebbe cogliere l’essenza e l’entità delle profonde trasformazioni sociali e ambientali che si sono succedute per oltre un secolo nel territorio verdeggiante che si dipana davanti ai suoi occhi.

“ENEL PRODUZIONE S.p.A. – Unità di Business Santa Barbara – Miniera Santa Barbara”.
Questo è ciò che recita, a lettere bianche su sfondo blu, il cartello indicatore situato sotto le enormi torri di raffreddamento della Centrale Termoelettrica di Santa Barbara: una semplice riga di testo per identificare il luogo dove, dal 1875, si è sviluppata una delle più straordinarie storie industriali del nostro Paese.

Una storia che nasce per volontà di un lungimirante gruppo di industriali toscani che intuisce la possibilità di sfruttare a fini produttivi quel minerale che fa capolino qua e là nelle campagne situate a ovest dell’Arno, infondendo nell’aria, se incendiato, un odore acre e non gradevole.

È di quegli anni l’apertura delle prime miniere in galleria: uomini che scavano nelle viscere della terra, riempiono vagoncini e chiatte da portare in superficie trainandoli con cavalli e argani elettrici, dove altri uomini, donne e ragazzi selezionano il materiale dividendo lo sterile dalla lignite, i pezzi grossi da quelli tritati, la lignite “bazzotta” da quella “secca”.

Nel XX secolo l’attività si sviluppa: a cavallo delle due guerre nelle miniere si contano circa 5.000 lavoratori; una risorsa straordinaria in grado di trainare vigorosamente, e per alcuni decenni, le sorti dell’economia del Valdarno Aretino.

Con la fine del secondo conflitto mondiale e con l’avanzare delle impietose regole di mercato viene messa a nudo la scarsa competitività della lignite; dopo un periodo di lotte fra la società mineraria e i lavoratori riuniti in cooperativa per la prosecuzione dell’attività di estrazione, si giunge a metà degli anni ’50 alla definizione di un nuovo progetto di coltivazione mineraria che prevede lo scavo a cielo aperto della lignite e il suo conferimento ad una nuova centrale termoelettrica da realizzarsi a bocca di miniera.

Tra la fine degli anni ‘50 e l’inizio dei ’60, con l’acquisizione da parte di Enel della concessione mineraria di Santa Barbara, potenti macchine a catena di tazze cominciano l’asportazione del materiale sterile di copertura del banco di lignite, che ha uno spessore medio di 80 metri, e lo depositano nei cavi di estrazione precedentemente esauriti o in valli limitrofe, fino a ridisegnare completamente l’orografia di circa 3.000 ettari di territorio.

Alla fine dell’attività estrattiva, avvenuta nel 1994, i movimenti di terra sono nell’ordine di 390 milioni di metri cubi di terreno sterile e di circa 40.000 tonnellate di lignite, con un cambiamento sostanziale del paesaggio caratterizzato da una miniera a cielo aperto che in questi ultimi 20 anni è stata oggetto di visite e iniziative per le sue caratteristiche da “paesaggio lunare”.

Oggi, dei circa 3.000 ettari di territorio inizialmente interessati dal Comprensorio Minerario, circa 1.300 ettari sono stati restituiti alla collettività; sui restanti 1.700 ettari sono in corso le operazioni di riassetto ambientale, che porterà, nel giro di qualche anno, alla chiusura completa dell’attività mineraria: si tratta di uno dei più grandi progetto di riqualificazione ambientale e paesaggistico a livello nazionale, che porterà alla creazione di due grandi laghi, all’inalveazione di tredici torrenti, alla messa in sicurezza di intere colline, alla rinaturalizzazione di centinaia di ettari di territorio nel rispetto della biodiversità e alla realizzazione di strutture viarie, piste ciclabili, aree industriali.
Una rinascita completa attraverso una minuziosa opera di ricucitura con il territorio circostante e con la sua società, nel rispetto dell’ambiente e della storia delle migliaia di persone che alla Miniera di Santa Barbara hanno dedicato la loro vita, garantendo al Valdarno sviluppo economico e sociale.

MINE: il Museo delle Miniere e del Territorio di Cavriglia

Il museo MINE mostra in modo interattivo le vicende di una popolazione legata per oltre cento trent’anni alle miniere di lignite: sopravvivenza economica e dannazione del nostro patrimonio industriale.

Il nome MINE deriva da un antico vocabolo italiano usato, come sinonimo di miniere, da Lodovico Ariosto nell’Orlando Furioso all’inizio del Cinquecento. Abbiamo, nello stesso periodo, la prima documentazione della presenza della lignite nel Valdarno, anche se per il suo sfruttamento industriale bisogna aspettare gli anni Settanta dell’Ottocento.

Il complesso museale documenta e valorizza la storia del territorio di Cavriglia e in particolare le vicende minerarie che hanno modificato profondamente una parte rilevante di questo territorio ed è ospitato in alcuni edifici nella parte alta di Castelnuovo dei Sabbioni. Il resto del vecchio borgo fu abbandonato e in parte distrutto dall’attività mineraria dell’ultimo periodo caratterizzata dall’escavazione a cielo aperto. I grandi escavatori seguivano il filone della lignite e buttavano giù tutto quello che trovavano: case coloniche, cimiteri, antiche chiese, castelli e borghi. Tra questi Castelnuovo dei Sabbioni che venne lambito dallo scavo al punto da intaccarne la stabilità e da costringere la popolazione ad andare a vivere altrove.
Rimane, all’inizio della strada, un sacrario che ricorda le 74 vittime civili dell’eccidio perpetrato dai nazisti il 4 luglio 1944. Alcune case in rovina contornano la strada che conduce alla parte superiore dell’abitato, che comprende alcuni edifici recentemente recuperati e rifunzionalizzati in spazi museali: la ex chiesa di San Donato, adibita a spazio polifunzionale, il centro espositivo ed una palazzina degli anni Venti del Novecento utilizzata come centro di documentazione e spazio per attività didattiche. La logica comune che pervade questi spazi è fortemente tesa al coinvolgimento dello spettatore per una conoscenza approfondita del patrimonio culturale conservato.

Il Percorso museale del MINE si sviluppa attraverso sette sale dedicate alla storia e alle vicende minerarie secondo un itinerario che inizia dalle prime notizie documentate sul giacimento di lignite, per poi passare allo sviluppo dell’attività mineraria nel secondo Ottocento e alle prime lotte sindacali all’inizio del Novecento. Il percorso si concentra poi sulle tecniche di scavo nella miniera in sotterraneo e sulla vita del minatore. La ricostruzione di un tratto di galleria permette ai visitatori di immedesimarsi nella penombra, nei diversi rumori e negli gli odori di una miniera di lignite. La galleria termina uno spazio che mostra le vicende del territorio dagli anni Trenta agli anni sessanta del Novecento. Trent’anni densi di storia con lutti, quali quelli provocati delle stragi nazista sulla popolazione maschile nel luglio del 1944. Poi le lunghe lotte e le forme di autogestione del dopoguerra, accompagnate da forme di partecipazione e di solidarietà da tutta Italia con invio di aiuti alimentari alle famiglie degli operai in sciopero. Infine i cambiamenti delle tecniche di coltivazione; da quelle in galleria a quelle a cielo aperto. Si passa da una strumentazione molto semplice mostrata nella galleria ad un industrializzazione centrata su grandi macchine complesse elementi portanti di automatismi che permettono un enorme aumento di produzione ed una contemporanea riduzione di manodopera.
L’itinerario si chiude con la presentazione della trasformazione del territorio dovute all’attività mineraria e al suo riassetto con un tecnologico tappeto virtuale che permette in base ai movimenti del visitatore la proiezione di differenti sequenze di immagini. Punto caratteristico dell’allestimento è l’interazione con le moderne tecnologie che permettono al visitatore di essere soggetto attivo nella conoscenza dei temi presentati. È presente una figura parlante, che rappresenta Priamo Bigiandi, un personaggio simbolico della storia territoriale che, azionato dal visitatore introduce alla visita, vi sono poi dei touch screen, un’installazione artistica per ricordare la strage dei civili il 4 luglio 1944, un tappeto virtuale finale ed inoltre possibilità di esperienze tattili ed olfattive che rendono particolarmente densa la visita al museo.

La visita continua all’esterno in una corte che domina un ampio panorama caratterizzato da un sottostante lago e dalle torri refrigeranti della centrale elettrica di Santa Barbara dove veniva utilizzata la lignite per essere trasformata in energia elettrica. La centrale funziona ancora e dalle sue eleganti torri, una è ancora in attività, è possibile vedere ancora levarsi un pennacchio di fumo bianco che ricorda come il passato energetico non si è ancora concluso, anzi Cavriglia sta vivendo una seconda età dell’energia. Infatti oltre alla centrale elettrica è attivo da alcuni anni, nel territorio, un importante complesso Fotovoltaico ed il museo sta progettando un ampliamento del suo allestimento per mostrare accanto alle forme di sfruttamento dell’energia (i combustibili fossili) di ieri, quelle moderne: il sole. Un aspetto importante dell’attività del museo è la didattica per facilitare il passaggio di saperi da una generazione all’altra in modo da creare , nel tempo una continuità nella costruzione culturale della popolazione e per mostrare ai turisti un esempio di storia sociale del territorio.

Info:
Museo delle Miniere e del Territorio e Centro Documentazione del Museo
via XI Febbraio – Vecchio Borgo di Castelnuovo dei Sabbioni – Cavriglia (Ar)
Tel. 055 3985046 email: info@minecavriglia.it

Sito archeologico industriale: la Miniera di Santa Barbara e MINE Museo delle Miniere e del Territorio
Settore industriale: Settore minerario e della Energia
Luogo: Comune di Cavriglia (AR), Toscana, Italia
Proprietà e Gestione: La miniera di Santa Barbara è di proprietà Enel
Testo a cura di:per la parte relativa al sito minerario si ringrazia l’ufficio comunicazione Enel; per la parte relativa al Mine si ringrazia il Museo delle Miniere e del Territorio di Cavriglia
Immagini a cura di: Si ringrazia l’ufficio comunicazione Enel ed il MINE Museo delle Miniere e del Territorio di Cavriglia




Giornata Nazionale sulle Miniere: il 30 e 31 maggio si celebra la settima edizione

Il 30 e 31 maggio 2015 si celebra la VII edizione della Giornata Nazionale sulle Miniere attraverso una serie di eventi organizzati su tutto il territorio italiano che ci condurranno alla scoperta di questo eccezionale patrimonio industriale.

Organizzatori dell’evento: l’Istituto Superiore per la Ricerca Ambientale – ISPRA, l’Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico Industriale – AIPAI, l’Associazione Nazionale Ingegneri Minerari – ANIM, l’Associazione Mineraria Italiana per l’industria mineraria e petrolifera – ASSOMINERARIA e l’Associazione Italiana di Geologia e Turismo – G&T.

La Giornata Nazionale sulle Miniere, nata per diffondere il valore ed il significato culturale del turismo geologico, di anno in anno ha registrato un crescente interesse sul territorio nazionale, coinvolgendo non solo le realtà minerarie ed i professionisti del settore, ma un pubblico sempre più vasto ed eterogeneo affascinato da un patrimonio interessante sotto l’aspetto culturale, paesaggistico, storico, scientifico, sociale e che ha rappresentato una parte importante dell’economia del nostro paese, sin dai tempi remoti.

Anche per questa edizione è previsto un ricco programma nazionale inteso a promuovere la fruizione del patrimonio minerario e geologico integrandolo con gli altri valori del territorio quali l’archeologia, le risorse naturali, l’arte, l’architettura, l’enologia e la gastronomia.

Dalla Sicilia alla Valle d’Aosta, circa cinquanta eventi, organizzati da soggetti diversi quali Enti, Soprintendenze, Associazioni, per scoprire il nostro meraviglioso patrimonio minerario in differenti modi (visite guidate, escursioni, workshop e seminari, mostre fotografiche, concerti, laboratori didattici per le scuole, spettacoli teatrali, ect)

Si va dal “Viaggio in locomotiva per le VIE DELLO ZOLFO : Parco delle zolfare di Comitini e la zona miniera-museo di Cozzo Disi” organizzato dalla Soprintendenza BB.CC.AA di Agrigento, alla visita alla mostra “Il fascino del tempo: tasti abbandonati, macchine e attrezzature da ufficio d’epoca” insieme all’escursione alla galleria sotterranea organizzata dal Museo del Carbone Grande Miniera di Serbariu in Sardegna; dal percorso di trekking e turismo culturale tra natura, arte e industria dal titolo “Dalle rocce nere del Prinzera all’Oro Nero di Vallezza” organizzato dal Comune di Fornovo di Taro, Gas Plus Italiana, Università di Parma insieme alle visite guidate del sito minerario petrolifero di Vallezza in Emilia Romagna, al concerto di Joanna Zimmer, pop star tedesca, all’interno della Miniera della Brusada Ponticelli di Lanzada accompagnato dall’Aperitivo in miniera proposto insieme ad altre attività dall’Ecomuseo della Valmalenco in Lombardia; dal festival “I luoghi del tempo” con lo spettacolo sulla miniera di Niccioleta di Ascanio Celestini, alla mostra fotografica di Adriano Mauri “Nero Sulcis: minatori e paesaggi minerari” organizzata dall’Associazione Save Industrial Heritage in collaborazione col Museo del Patrimonio Industriale di Bologna.

Quest’anno la Giornata Nazionale sulle Miniere rappresenta l’evento lancio della Giornata Europea dei Minerali – EMD che si terrà a settembre 2015.

La VII edizione della Giornata Nazionale sulle Miniere rientra nella programmazione dell’Anno Europeo del Patrimonio Archeologico Industriale.

AIPAI, attraverso la sua Official Facebook Fan Page Patrimonio Industriale ha dato risalto
all’iniziativa proponendo tra l’altro in anteprima alcuni degli eventi in programma. Per seguire su
Facebook l’attività dell’AIPAI cliccate qui

Per informazioni contattare:
dott.ssa Agata Patanè – ISPRA
Servizio Attività Museali e Coordinatrice Giornata delle Miniere
tel:. 06-50074780 e-mail: agata.patane@isprambiente.it

dott.ssa Erika Bossum – Segretaria nazionale AIPAI
Sede operativa: c/o DiSSGeA (Dipartimento di Scienze Storiche, Geografiche e dell’Antichità)
Via del Vescovado, 30 – 35141 Padova
mobile: +39 3895626521 e-mail: info@patrimonioindustriale.it

Per consultare il programma completo dell’evento cliccate qui Giornata sulle Miniere 2015




NERO SULCIS. Minatori e paesaggi minerari | Mostra fotografica – VII Giornata Nazionale sulle Miniere

NERO SULCIS. Minatori e paesaggi minerari : una coinvolgente mostra fotografica per scoprire il paesaggio minerario sardo ed i suoi protagonisti.


L’Associazione Save Industrial Heritage, in collaborazione con il Museo del Patrimonio industriale di Bologna promuove la mostra fotografica dell’artista Adriano Mauri: NERO SULCIS. Minatori e paesaggi minerari.

La mostra inaugurerà sabato 30 maggio, alle ore 17:00, in occasione della VII Giornata Nazionale sulle Miniere (evento promosso dall’AIPAI – Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico Industriale – per diffondere il valore ed il significato culturale del turismo geologico e minerario) e terminerà il 15 di luglio.

Adriano Mauri, fotografo professionista che nel suo curriculum vanta importanti collaborazioni con enti e editori di primo piano, nonché la partecipazione a diverse collettive in Italia ed all’estero, non ultima la sua presenza all’interno della imminente Biennale di Fotografia 2015 di Milano, curata da Vittorio Sgarbi e Giorgio Gregorio Grasso, è prima di tutto un sardo doc che, attraverso l’uso della macchina fotografica, ci racconta della sua terra dai contrasti forti, del sole accecante del mezzogiorno come del nero dei cunicoli che ci portano nelle viscere della terra.

La mostra si articola in due sezioni fotografiche: i ritratti fotografici dei minatori della miniera di carbone della Carbosulcis di Nuraxi Figus, presso Gonnesa, in Provincia di Carbonia Iglesias in Sardegna, già oggetto di una mostra promossa nel 2011 dall’Istituto Italiano di Cultura e dal Consolato Italiano di Cordoba (Argentina) ed il lavoro inedito sul paesaggio industriale: nato prima su hipstamatic come diario per raccogliere appunti visivi, diventa, per questa occasione, un vero percorso esplorativo degli odierni siti minerari dell’Iglesiente, molti dei quali non più fruibili ma di grande valore storico e archeologico.

Termina il percorso una sezione video nella quale si potrà ammirare una proiezione in grande formato dell’intero lavoro di Adriano Mauri, accompagnato dalla base musicale del rapper Alessandro Sanna (Quilo). All’interno di questa sezione, com’è già stato in occasione della mostra allestita in Argentina, Marco Delogu, fotografo e nuovo direttore dell’Istituto italiano di cultura di Londra, partecipa attraverso un suo contributo critico.

Incontriamo il fotografo Adriano Mauri che ci racconta un po’ del suo progetto.

D: Adriano, come nasce l’idea di ritrarre i minatori sardi e quali emozioni ha scaturito in te questo lavoro?

R: Sono figlio di terra di miniera. Sono nato ad Iglesias, uno dei territori più importanti in Italia per presenza di miniere metallifere, attive sino alla fine degli anni ’80. Mio bisnonno, Evaristo Mauri, uno dei primi fotografi professionisti italiani, giunse in Sardegna invitato dalla famiglia di Amedeo Modigliani, sui personali amici, per fotografare i terreni di loro proprietà sui quali sorgeva la miniera di Buggerru. Innamoratosi di una giovane donna del luogo decise di rimanere là dove era approdato. Da allora la storia della mia famiglia si intreccia con la storia delle miniere: mio nonno Adriano per circa trent’anni ha diretto l’amministrazione di una miniera, mio padre Giulio ha lavorato come impiegato in una società mineraria e mia madre Nunzia è stata insegnante in una scuola di minatori.

Io non ho mai lavorato in una miniera, né mai ho pensato di farlo, preferendo seguire la mia passione per la fotografia, ma la porto nel mio dna, nei miei ricordi. Tutto intorno a me era naturalmente legato a quel mondo. Con la mia arte ho cercato così di raccontare questo mondo.

I minatori della Carbosulcis (unica miniera ancora attiva) hanno rappresentato per me il motivo e la voglia di raccontare la miniera non attraverso gli impianti industriali, ma attraverso le facce di chi la miniera la fa e la vive tutti i giorni.

Ogni scatto per me è stato una fortissima emozione, un tentativo di riportare alla luce questi uomini che lavorano al buio per dieci ore al giorno impegnati nell’attività del taglio. Ecco perché ho scelto di utilizzare uno sfondo bianco: ogni volta che si esce dal buco è come una rinascita. Dal nero al bianco, “un lavoro di camera oscura al contrario” così come l’ha definito Marco Delogu.

D: Sardegna terra di mare e di sole, all’interno di questa cartolina un grande patrimonio minerario da valorizzare e promuovere. In questo contesto come si inseriscono i tuoi scatti sui luoghi delle miniere?

R: Ho approcciato questo lavoro senza pensare assolutamente alla Sardegna come terra da cartolina, come un posto turistico. Il mio è stato un lavoro di documentazione. Per me era importante lasciare una testimonianza di questo momento di passaggio nel quale questi luoghi, attualmente non fruibili, si accingono a trasformarsi definitivamente per accogliere il turismo industriale.

D: Il tuo auspicio per il patrimonio minerario sardo

R: Alla luce di quanto è ormai di dominio pubblico, mi riferisco alla cattiva gestione da parte della società IGEA (azienda fondata nel 1986 per mettere in sicurezza e bonificare le aree minerarie dismesse, ndr), venuta fuori grazie all’inchiesta Geo&Geo, il mio augurio, come quello di qualsiasi persona di buon senso che non solo è legata affettivamente al territorio, ma riscontra nella storia della sua attività mineraria una strada per uscire dal difficilissima situazione economica nella quale versa, è quello che finalmente i finanziamenti per la messa in sicurezza e la valorizzazione dei luoghi vengano gestiti in maniera onesta e proficua . Grandi aspettative ricadono adesso sul Piano Sulcis della Regione Sardegna che lo scorso febbraio ha avuto l’approvazione del CIPE in via definitiva.

NERO SULCIS. Minatori e paesaggi minerari è un’iniziativa patrocinata dal Comune di Iglesias, dalla Regione Sardegna, dal Consorzio del Parco Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna e dall’Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico industriale, ed è sostenuta dalla Filctem Cgil Sulcis-Iglesiente.

Le Associazioni Culturali Sarde “Grazia Deledda” di Parma e “Nuraghe” di Fiorano Modenese offriranno agli ospiti il tipico “cùmbidu/rinfresco” con degustazione di prodotti della tradizione sarda.

La mostra è visitabile con il biglietto di accesso al museo secondo i normali orari di apertura.

Evento: NERO SULCIS. Minatori e paesaggi minerari
Genere: Mostra Fotografica
Dove e Quando : Museo del Patrimonio Industriale di Bologna – ex Fornace Galotti Via Beverara, 123 40131 Bologna Tel 051.63.56.611. 30 maggio / 15 luglio 2015
Contatti: Save Industrial Heritage saveindustrialheritage@gmail.com Cell. 377/4529323

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La Miniera di Cogne in Valle d’Aosta e il suo Cuore di Ferro

La miniera di magnetite di Cogne nel Parco Nazionale del Gran Paradiso è stata per decenni fonte di materia prima per l’impianto siderurgico di Aosta. Chiusa nel 1979, la miniera è in attesa di diventare un museo di archeologia industriale.

L’insediamento minerario di Cogne, il più importante della Valle d’Aosta, è uno dei più importanti siti di estrazione di minerali di ferro del nostro paese, luogo di lavoro di generazioni di Cognens e di emigrati da provenienti da tutta Italia, cuore pulsante della valle prima che il turismo diventasse la prima risorsa economica, venne sfruttato sin dall’antichità.

Il primo documento relativo al sito risale al 1432. Da quell’anno l’attività di estrazione della magnetite è stata praticamente ininterrotta, ma è con l’inizio del 900 che si avvia l’estrazione su scala industriale, con la costruzione di una filiera che va dalla coltivazione del minerale, alla prima lavorazione del grezzo in loco, al trasporto a valle tramite teleferiche e un trenino fino alla trasformazione in acciaio nell’impianto “Cogne”, ad Aosta. Il villaggio minerario di Colonna, a 2500 metri sul livello del mare, abbarbicato alla montagna come un monastero tibetano, ospitava mensa, dormitori, una chiesa e persino un cinema.

È soprattutto nel periodo dell’autarchia che vengono effettuati i maggiori investimenti, con il passaggio dell’impianto dall’Ansaldo allo Stato. La società rimase pubblica sino alla sua dismissione. Le due guerre Mondiali e l‘intervento statale diedero una forte spinta allo sfruttamento della miniera, dove lavoravano centinaia di operai, provenienti non solo da Cogne, ma da tutte le parti d’Italia. Nel 1940 vennero estratte 350 mila tonnellate di minerale e il personale impiegato alle miniere superò le mille unità.

La crisi degli anni 70 portò alla cessazione dell’estrazione. Formalmente la concessione mineraria rimase attiva: per 34 anni, alcuni dipendenti hanno continuato a lavorare in miniera, per tenere in efficienza e sicurezza gli impianti e fare un minimo di manutenzione ma nemmeno un grammo di minerale è stato più estratto da allora.

Nel maggio del 2014 è avvenuto il passaggio di proprietà. A poco più di cento anni dalla nascita della Società Anonima per Azioni Miniere di Cogne, con la definitiva cessazione della concessione mineraria, si è chiuso formalmente il sipario. Fintecna (la società pubblica ultima detentrice della concessione) ha ceduto la proprietà del sito al Comune di Cogne, restituendo in qualche modo alla comunità la proprietà di questo loro pezzo di storia.

La miniera di Cogne e il Comitato Cuore di Ferro: un museo di archeologia industriale a cielo aperto

Salviamo le miniere di Cogne! Firma l’appello di Legambiente

Salviamo le miniere di Cogne! Firma l’appello di Legambiente

La miniera oggi è una bella testimonianza di archeologia industriale, raggiungibile con un trekking di un paio d’ore non

particolarmente impegnativo: sono ben visibili i resti delle teleferiche per il trasporto del materiale, la funivia per i passeggeri e i tanti edifici. Ma le transenne impediscono l’entrata.

Trasformare quell’enorme complesso fatto di gallerie, impianti di trasformazione, teleferiche e piani inclinati, trenini che si inoltrano nella montagna, terrazze con vista su una corona mozzafiato di montagne non sarà facile e richiede massicci investimenti. C’è chi, a Cogne, si batte da anni per questo obiettivo e si dice convinto che per un progetto del genere possano arrivare facilmente i Fondi europei. Si tratta del Comitato Cuore di Ferro, un comitato spontaneo per la Difesa del Bacino minerario di Cogne e della Ferrovia del Drinc, che ha come obiettivo la riconversione in parco minerario, che condurrebbe i visitatori nel villaggio minerario più alto d’Europa, a 2.500 metri, con gallerie e impianti visitabili, un panorama che va dal Monte Bianco al Gran Paradiso, sulle tracce di generazioni di Cognens e di immigrati. Ma nessun progetto è mai andato oltre il pourparler.

Adesso il sito è perfettamente in sicurezza: Fintecna, prima di abbandonarlo definitivamente, ha dovuto mettere in atto una serie di interventi (raccolta acque all’interno della miniera, messa in sicurezza delle vie d’accesso e delle gallerie interne, messa in sicurezza delle zone esterne).

Il Comitato Cuore di Ferro, animato – tra gli altri – da due discendenti di Franz Elter, mitico direttore-partigiano dell’impianto, ha presentato un piano di fattibilità finalizzato alla creazione di un parco minerario dall’enorme potenziale, una via del ferro che da Aosta conduce i visitatori sino alla miniera, rimettendo in funzione il trenino che trasportava il minerale a valle.

Il trenino in questione in realtà è già stato sottoposto a una serie di interventi per essere adibito al trasporto persone, intorno agli anni 90, ma non è mai stato attivato, a causa di una serie di magagne saltate fuori in sede di collaudo. Il direttore dei lavori è stato condannato a risarcire la cifra record di 13 milioni e la Regione ha stabilito che la ferrovia non potrà mai essere attivata, destinandola allo smantellamento. Anche in questo caso, il Comitato Cuore di ferro non ci sta, perché è convinto che il museo minerario abbia senso solo in una logica di sistema, che parta dall’acciaieria di Aosta e arriva sino alla miniera.

Il Comune di Cogne si è impegnato, nel momento in cui ha rilevato la proprietà del sito, di destinarlo ad attività socio-culturali.

La vicenda della miniera è raccontata – oltreché in un piccolo museo ai piedi dell’insediamento, nel villaggio Anselmetti – anche da un film, “Questa miniera”, realizzato dalla regista Valeria Allievi, che racconta il desiderio della comunità di Cogne, dove ogni famiglia ha avuto un minatore in casa, di mantenere saldo il filo della memoria del suo “cuore di ferro”

Questa miniera di Valeria Allievi | Trailer del 61° Trento Film Festival

 

Informazioni: Fondation Grand Paradis
Villaggio Minatori, 11012 Cogne (Ao) – Tel: +39-0165-75301

Sito archeologico industriale:Miniera di magnetite di Cogne
Settore industriale: Industria mineraria
Luogo: Cogne, Aosta, Valle d’Aosta, Italia
Proprietà e Gestione: Comune di Cogne www.comune.cogne.ao.it
Testo a cura di:Silvano Rubino, giornalista – tratto in parte da articoli pubblicati dal Fatto Quotidiano
Crediti fotografici: Silvano Rubino




Convegno Il distretto minerario Riso – Parina. Studi, valorizzazione e sviluppo 22 marzo 2014

Si terrà sabato 22 marzo il Convegno “Il distretto minerario Riso-Parina. Studi, valorizzazione e sviluppo” presso la Sala della Comunità Arcobaleno – Gorno (BG).

Per secoli l’attività mineraria ha caratterizzato le alte vallate bergamasche. In particolare le miniere di piombo e di zinco hanno rappresentato una delle più importanti fonti di lavoro per gli abitanti. Presenti fin dall’epoca preistorica, le miniere erano ben conosciute anche al tempo dei Romani; nei secoli successivi l’attività estrattiva assunse dimensioni industriali con l’arrivo a metà Ottocento di società inglesi, belghe e austriache. Durante la Seconda Guerra Mondiale le miniere passarono in gestione a società italiane a capitale pubblico fino alla loro chiusura nel dicembre 1982.

I ritmi delle giornate delle famiglie di questi luoghi sono stati scanditi dalla presenza dell’attività mineraria che si è integrata nell’altra attività altrettanto secolare rappresentata dall’allevamento di animali e dalla coltivazione della terra.
Il distretto minerario prende il nome della immensa rete di gallerie scavate nel corso degli anni e che si estendono da Riso sul versante Seriano fino alla località Parina sul versante Brembano. Lo sviluppo della coltivazione è di oltre 250 km disposta su 6 diversi livelli.

Il convegno si propone di presentare nuove iniziative e progetti in ambito storico archivistico e imprenditoriale, fra cui la convenzione con lo stato per il deposito e la valorizzazione dell’archivio minerario, una proposta di progetto per una rete degli archivi minerari, lo stato degli studi geologici, la normativa di riferimento ed il programma industriale di ripresa dell’attività mineraria da parte della società australiana Energia Minerals Limited.

Il Convegno “Il distretto minerario Riso-Parina. Studi, valorizzazione e sviluppo”
è promosso e organizzato da:
Comune di Gorno, Comune di Oneta, Comune di Oltre il Colle, Promoserio, Ecomuseo Miniere di Gorno.

Con il patrocinio di:
Provincia di Bergamo, Regione Lombardia, Comunità Montana Valle Seriana, Ordine dei Geologi della Lombardia, Parco delle Orobie Bergamasche.

Con la collaborazione di:
Archivio di Stato di Bergamo, Consorzio Minerario Valle del Riso – Val Parina, Promoserio, ASSOMINERARIA, ANIM, AIPAI, Associazione Minatori Orobici

Per visionare il programma completo del convegno clicca qui

Segreteria
Ecomuseo delle Museo di Gorno (municipio) –
Website www.ecomuseominieredigorno.it/info@ecomuseominieredigorno.it – tel. 035-707145
Fabio Varischetti – fabiovarischetti@alice.it – mobile 338.8613738
Sergio P. Del Bello – spdelbello@yahoo.it – mobile 339.85596959

Presentazione a cura di: Dario Roggerini Coordinatore Ecomuseo Miniere Gorno

 




La Grande Miniera di Serbariu e il Museo del Carbone in Sardegna

La Grande Miniera di Serbariu, a Carbonia in Sardegna, oggi in parte fruibile e sede del Museo del Carbone, è un bene prezioso del nostro patrimonio industriale e sito posto sotto gli auspici dell’UNESCO.

La Grande Miniera di Serbariu e l’archeologia industriale in Sardegna

Inserita all’interno del Parco Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna (posto sotto gli auspici dell’ UNESCO), la Miniera di Serbariu, nata attorno al giacimento carbonifero di Serbariu – Nuraxeddu, è stata la principale miniera del bacino carbonifero del Sulcis caratterizzandone l’economia della zona.

La Miniera di Serbariu, attiva dal 1937 al 1964, con un’estensione pari a 33 ettari di superficie, 9 pozzi di estrazione (dal pozzo n.° 1 al n.° 7, più Pozzo Nuraxeddu Vecchio e Pozzo del Fico), 100 Km di gallerie sotterranee per una profondità massima di 179 metri dalla superficie topografica, ha rappresentato tra gli anni ’30 e ’50 del ‘900 una delle più importanti risorse energetiche d’Italia. Per cavare il carbone furono reclutati lavoratori da tutta Italia, raggiungendo il numero di 18.000 di cui 16.000 minatori; ed è proprio in funzione dell’attività estrattiva nella regione del Sulcis che nasce Carbonia, esempio di città in stile razionalista di impronta fascista, con case per le maestranze, alberghi operai, cinema e spaccio. I minatori, che lavoravano 24 ore su 24 divisi su tre turni, venivano pagati con una moneta speciale con inciso sopra Sulcis, spendibile nel paese.

La Miniera di Serbariu venne chiusa ufficialmente nel 1971, lasciando il sito in preda dell’incuria e dell’abusivismo, finché l’amministrazione comunale intervenne acquistandola, era il 1991. I lavori di recupero presero il via nel 2002.

Il 3 novembre 2006 la Grande Miniera di Serbariu, alla presenza degli alti rappresentati della politica nazionale, del sindaco e di tutta la popolazione di Carbonia, ha riaperto i suoi cancelli al suono della vecchia sirena, rimessa in funzione da un antico minatore, commuovendo tutti i presenti per i quali quella stessa sirena aveva risuonato giorno dopo giorno scandendone la vita. Perché l’archeologia industriale non è solo il recupero di siti e macchinari, ma anche e soprattutto la conservazione e la trasmissione del patrimonio immateriale come documento della memoria collettiva.

Il progetto per il recupero e la valorizzazione del sito prevedeva l’utilizzo dei diversi edifici quali sedi permanenti di attività culturali, scientifiche, accademiche e artigianali. La riconversione, ancora in via di completamento, ha reso fruibili gli edifici e le strutture minerarie che oggi costituiscono il Museo del Carbone, il Museo PAS Paleoambienti Sulcitani E.A.Martel, il Centro di Documentazione di Storia Locale e il Centro Ricerche Sotacarbo.

Il Museo del Carbone di Carbonia e la valorizzazione del patrimonio industriale in Sardegna

Il Museo del Carbone di Carbonia include i locali della lampisteria, della galleria sotterranea e della sala argani. Nella lampisteria ha sede l’esposizione permanente sulla storia del carbone, della miniera e della città di Carbonia; l’ampio locale accoglie una preziosa collezione di lampade da miniera, attrezzi da lavoro, strumenti, oggetti di uso quotidiano, fotografie, documenti, filmati d’epoca e videointerviste ai minatori.

La galleria sotterranea mostra l’evoluzione delle tecniche di coltivazione del carbone utilizzate a Serbariu dagli anni ’30 alla cessazione dell’attività, in ambienti fedelmente riallestiti con attrezzi dell’epoca e grandi macchinari ancora oggi in uso in miniere carbonifere attive. La sala argani, infine, conserva intatte al suo interno le grandi ruote dell’argano con cui si manovrava la discesa e la risalita delle gabbie nei pozzi per il trasporto dei minatori e delle berline vuote o cariche di carbone.

Il Museo del Carbone è stato arricchito dall’allestimento dei servizi aggiuntivi, vi trovano spazio infatti un bookshop, nel quale è possibile acquistare libri e gadgets, una caffetteria e una sala conferenze con 130 poltroncine e moderno impianto audio-video.

Il Centro Italiano della Cultura del Carbone (CICC) e la gestione del patrimonio industriale

Il Centro Italiano della Cultura del Carbone (CICC) nasce nel 2006 come associazione senza scopo di lucro tra il Comune di Carbonia e il Parco Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna con lo scopo di gestire il sito della Grande Miniera di Serbariu, promuovere e sostenere la conservazione, la tutela, il restauro e la valorizzazione di tutte le strutture e i beni della ex Miniera, con particolare attenzione all’inalienabilità del materiale museale e alla sua catalogazione e sistemazione, al potenziamento e alla promozione del Museo ad essa collegato. Nel 2011 entra a far parte dell’associazione anche la Provincia di Carbonia-Iglesias.

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Il Centro Italiano della Cultura del Carbone (CICC) è Anchor Point ERIH ITALIA

 

 

Riconoscimenti e partenariati – La Grande Miniera di Serbariu sotto l’egida UNESCO

La Grande Miniera di Serbarium è posta sotto gli auspici dell’UNESCO, in quanto parte del Parco Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna. Il Parco Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna, infatti, è uno dei 58 geoparchi all’interno del European Geoparks Network (EGN) e i membri del European Geoparks Network sono, per diritto, membri del Global Geoparks Network, coordinata dall’UNESCO (GGN):

Il Global Geoparks Network coordinato dall’UNESCO e la European Geoparks Network sono state costituite in parallelo dopo molti anni di comune concertazione e pianificazione. Basandosi su principi condivisi riguardo la filosofia e la gestione, e con l’intento di applicare gli standard di alta qualità del modello Europeo ad un contesto più ampio, l’UNESCO ha deciso di includere di diritto i Geoparchi Europei aderenti al European Geoparks Network nel Global Geoparks Network.”

Si chiarifica che non è in atto alcun procedimento per la fuoriuscita dall’European Geoparks Network – EGN (per approfondimenti qui la Nota Stampa del 06/02/2014)

Nel 2011 la città di Carbonia si è aggiudicata la II edizione del Premio del Paesaggio del Consiglio d’Europa, grazie alla realizzazione dei progetti di recupero e riqualificazione dell’impianto urbanistico e architettonico della città e dell’area mineraria (Carbonia – The Landscape Machine).

Dal 2012 il CICC è membro, in qualità di rappresentante per l’Italia, del European Coal Mining Museums Network, costituita dai sei principali siti minerari europei: Lewarde CHM Centre Historique Minier du Nord Pas-de-Calais per la Francia, Marcinelle Bois du Cazier per il Belgio, Zabrze ZKWK Guido per la Polonia, NCMME National Coal Mining Museum for England per il UK, Deutsches Bergbau Museum di Bochum per la Germania

Inoltre, il Museo del Carbone fa parte del ERIH (European Route of Industrial Heritage), la rete europea di itinerari di archeologia industriale che comprende oltre 1000 siti in rappresentanza di 43 stati. La Miniera di Serbariu fa parte degli Anchor Points, i prestigiosi siti chiave che compongono l’itinerario principale; quale Anchor Point, il CICC è inserito in due European Theme Routes relative rispettivamente all’Industria mineraria e ai Paesaggi industriali

Info:

Museo del Carbone – Centro Italiano della Cultura del Carbone
Grande Miniera di Serbariu 09013 Carbonia (CI)
Tel. e fax Uffici +39 0781 670591 Tel. Biglietteria +39 0781 62727
www.museodelcarbone.itinfo@museodelcarbone.it

Sito archeologico industriale: Grande Miniera di Serbariu
Settore industriale: Industria mineraria
Luogo: Carbonia Iglesias – Sardegna
Proprietà/gestione: Comune di Carbonia/CICC Centro Italiano della Cultura del Carbone
Testo a cura di:CICC Centro Italiano della Cultura del Carbone

 




La miniera Floristella in Sicilia

La miniera Floristella è sicuramente tra le miniere di zolfo più importanti della Sicilia, che tra il 1800 ed il 1900 raggiunse il primato mondiale in questo settore industriale.

Il 10 novembre 1781 il feudo di Floristella, situato nei pressi di Valguarnera (Enna), a seguito dell’espulsione della Compagnia di Gesù titolare del fondo, viene acquistato da un certo don Camillo Caruso per conto e col denaro del barone Salvatore Pennisi.

L’11 aprile 1825, sebbene l’attività estrattiva fosse già avviata da tempo, la Direzione Generale de’ Rami e Diritti Diversi accorda al barone D. Venerando Salvatore Pennisi il permesso di apertura di una zolfara nell’ex feudo Floristella, previo deposito di 10 onze al Regio Erario, come in uso in quel periodo.

La miniera Floristella rimane nella titolarità della famiglia Pennisi sino a quando ne viene revocata la concessione con Decreto presidenziale del 12 luglio 1967, passando poi all’Ente minerario siciliano, presieduto da Don Graziano Verzotto.

L’attività estrattiva prosegue ancora per circa una ventina d’anni sino a che, l’1 dicembre 1986, viene redatto il piano di chiusura delle vie d’accesso al sotterraneo della miniera.
La legge della Regione Siciliana 15 maggio 1991 n° 17 (art. 6) istituisce l’Ente Parco Minerario Floristella – Grottacalda con lo scopo di tutelare uno dei siti di archeologia industriali più importanti del meridione e recuperare il palazzo Pennisi sito nell’aria mineraria di Floristella.

La miniera Floristella: Il sito archeologico industriale

La miniera Floristella occupa una superficie superiore ai 425 ettari.
In cima alla collina, che domina la vallata disegnata dal rio Floristella, si erge il Palazzo Pennisi.
Il palazzo si sviluppa in altezza su due piani  separati in parte da un piano mezzano, un solaio e, al di sotto del livello della strada, un grandissimo scantinato; in lunghezza si compone di tre corpi con quello centrale sensibilmente rientrato nella facciata esposta a Sud-Est di modo da costituire un cortile d’invito all’accesso. Sui quattro prospetti, pietra bianca riveste le lesene che scandiscono verticalmente il palazzo e tutte le aperture comprese le feritoie, indispensabili in caso di rivolta.
Il piano terra ospitava gli uffici amministrativi e, nell’ala Sud-Ovest, la cappella ottagonale sormontata da cupola.
I piani superiori costituivano la residenza della famiglia Pennisi che si recava lì nel periodo pasquale nonché gli alloggi dei direttori che via via si avvicendavano.
Il palazzo fu edificato in due fasi: si ritiene di poter datare la realizzazione del piano terra intorno al 1860, essendo stato ospitato al suo interno l’ing. Piemontese Sebastiano Mottura, mandato in Sicilia nel 1862 dal Ministero per L’Agricoltura Industria e Commercio per presiedere alla nuova scuola mineraria di Caltanissetta; il piano sopraelevato fu invece realizzato tra il 1880 ed il 1885. Dirigendosi giù per la valle ci si imbatte in tutte le più tipiche edificazioni delle miniere zolfifere.

Tre gli imponenti pozzi nella miniera Floristella per l’estrazione del minerale.

Il pozzo n. 1, nella Sezione Sant’Agostino, edificato direttamente in pietra intorno al 1919. Il pozzo n. 2, provvisoriamente edificato in legno, passerà ad una struttura in muratura nel 1945, per poi essere sostituito da un castelletto in ferro nel 1965.
Il pozzo n. 3, a pochi passi dal palazzo in direzione Sud-Ovest, costruito interamente in ferro tra il 1970 ed il 1971, dal quale transitavano sia carrelli carichi di materiale che persone; numeri diversi di tocchi di campana avvertivano cosa stesse percorrendo il pozzo.

Ma è nella parte più antica della miniera, in quel susseguirsi di sezioni denominate Calì, Pecoraro, San Giuseppe ed altre ancora, che è possibile ammirare le primissime discenderie composte da un’apertura principale per il passaggio degli operai e da una secondaria ed un pozzo verticale per il reflusso dell’aria. Tali discenderie sono tutte esposte verso Sud Sud-Est per sfruttare il più possibile la luce solare, che flebile faceva da guida alla risalita dei carusi, spesso sprovvisti di lampada.

Sistemi per la fusione dello zolfo: calcarelle, calcaroni, forni Gill sono sparsi per tutta la vallata, a volte singolarmente, a volte in batteria. Nella Statistica mineraria del 1956 risultano attivi 17 apparecchi Gill gemelli e 19 calcaroni.

Ed ancora altri edifici : capannoni, piccole costruzioni funzionali all’attività estrattiva, caseggiati come la Direzione, il dormitorio operai – conosciuto anche come “Case Mottura”, la sala riunione operai, la sede dell’I.N.A.I.L., una città dello zolfo a tutti gli effetti.

Oggi la vallata appare ricca di vegetazione, ma in realtà si tratta di un rimboscamento avvenuto in tempi recenti. Originariamente il paesaggio doveva esser tinto esclusivamente del giallo dello zolfo e del biancastro del gesso.

 

Sito archeologico industriale: Miniera Floristella
Settore industriale: Minerario – Le miniere di zolfo in Sicilia
Luogo: Valguarnera – provincia di Enna – Regione Sicilia
Proprietà/gestione: Ente Parco Minerario Floristella Grottacalda www.enteparcofloristella.it
Testo a cura di: Dott.sa Simona Politini contatto simona.politini@archeologiaindustriale.net
Tratto dalla tesi di laurea “L’oro di Sicilia. L’industria zolfifera siciliana e la miniera Floristella 1825-1987” di Simona Politini. Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa – Napoli. Anno accademico 2000-2001. Relatore prof. Gregorio Rubino

Archeologia Industriale